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Un approccio giuridico della definizione di terrorismo.

2.1: Cenni storici ed evoluzione del termine terrorismo.

2.3 Un approccio giuridico della definizione di terrorismo.

Secondo l'Enciclopedia Treccani, terrorismo significa: l’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività organizzata e a destabilizzarne o restaurarne l’ordine, mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei e simili.89

Il termine terrorismo tuttavia si presta a diversi usi e interpretazioni o almeno così è, se si parte da una concezione politica del termine. Massimalismo, sovversione, rivoluzione, ribellione e quant'altro, sono tutti vocaboli che in qualche misura possono confarsi o rimandare all'accezione terroristica. Il confine politico tra una definizione e l'altra è labile. Se accettiamo l'ipotesi per cui è definibile terrorismo la capacità di instillare terrore tra i civili ad esempio, potremmo definire la seconda fase di una delle più grandi rivoluzioni della storia, quella francese, come un modello di terrorismo. Non a caso, scorrendo tra le varie definizioni, la Rivoluzione Francese emerge sovente accanto alla descrizione di un fenomeno terrorista. È dunque questo che dobbiamo intendere per terrorismo?

Provando ad applicare questo schema ad altri episodi storici, si potrebbe tentare di confermare ovvero smentire tale tesi. Qual è ad esempio la distinzione (se esiste) tra il concetto di lotta armata e quello di terrorismo? Non sono forse entrambe modalità rivolte all'instillazione di una forma di terrore, destabilizzazione, sovversione dell'ordine precostituito? Eppure prendendo come riferimento le FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) possiamo notare delle divergenze nella definizione di diversi soggetti politici o para-politici. Le Farc rientrano infatti nella “Lista Nera” delle organizzazioni terroristiche per gli USA e l'UE, viceversa l'ONU e molti dei paesi sudamericani le classificano come una forza guerrigliera. È palese che la differenza tra le due classificazioni si riconduce tutta ad alcuni punti focali:

- La nozione di terrorismo è (nella sua natura politica) suscettibile di diverse e potenzialmente strumentali interpretazioni.

- L'assenza di un'univoca e universalmente accettata (dalla totalità degli Stati) nozione giuridica di terrorismo, lascia dei vulnus definitori che possono essere politicamente aggirati e/o scavalcati.

Tutto ciò sottolinea a maggior ragione quanto sia necessaria una classificazione terminologica che trascenda i vincoli politici e sia invece chiaramente inquadrabile in un contesto prettamente

giuridico. Obiettivo di questo paragrafo è per l'appunto sondare la dimensione legale del termine terrorismo in particolare modo nel suo rapporto con il diritto internazionale.

Fatte queste premesse, ci si può lecitamente chiedere, come mai ancora oggi questo risultato non sia stato raggiunto. La dottrina o una parte di questa, si è trovata spesso a vagliare le possibili ragioni alla base dell'inesistenza di una definizione generale. Tra queste, alcune emergono con una certa regolarità nei dibattiti sulla materia:

- Un primo ordine di motivi può essere esplicitato nella difficoltà oggettiva di superare il disaccordo sugli autori degli atti di terrorismo e dunque sulla scivolosa questione circa l'inclusione o meno di atti compiuti direttamente dagli Stati attraverso proprio organi (terrorismo di Stato) e inoltre degli atti compiuti in contesti di lotte legittime (sulla base del diritto internazionale) quali l'autodeterminazione dei popoli e di resistenza contro i regimi oppressori.90

- Un secondo ordine di motivi è intrinsecamente legato alla difficile individuazione delle vittime in atti terroristici ovvero dalla incerta definizione di un atto terroristico in quanto atto contro persone innocenti. Si è infatti sottolineata la natura particolarmente evasiva di tale termine e soprattutto la sua relatività nella misura in cui sarebbe piuttosto evidente che dal punto di vista dei terroristi le persone oggetto di un attacco non potrebbero affatto considerarsi innocenti bensì colpevoli di qualcosa ritenuto profondamente ingiusto.

- Un terzo ordine di motivi, infine, sarebbe riconducibile ad una sfera quasi psicologica, ovvero alla difficoltà di guardare al raggiungimento della definizione di terrorismo univoca, non tanto come un dare precisi caratteri all'identità “dell'Altro”, quanto piuttosto creare un'identità collettiva che rappresenti la coesa opposizione al terrorismo stesso.91

Un'altra parte del dibattito dottrinale invece si è spesso espresso circa la reale necessità di un enunciato giuridico preciso sul terrorismo in termini di funzionalità per la lotta internazionale contro lo stesso. E, dunque, per adottare misure adeguate di repressione del fenomeno risulta essere davvero essenziale l'adozione di una definizione giuridica? Anche in questo caso la dottrina ha espresso diverse posizioni.

90 Il principio dell'autodeterminazione dei popoli è ampiamente presente nel diritto internazionale, basti ad esempio pensare all'art. 1 par. 2 della Carta delle Nazioni Unite. “To develop friendly relations among nations based on respect for the principle of equal rightsand self-determination of peoples, and to take other appropriate measures to strengthen universal peace;”

https://treaties.un.org/doc/publication/ctc/uncharter.pdf

91 Per un approfondimento della tematica, E. Herscinger, “A battlefield of meaning”, 2013, pp. 183-190.

Alcuni autori hanno affermato che non vi sarebbe in realtà ostacolo posto alla repressione del terrorismo dall'assenza di una sua enunciazione. Si sottolinea a supporto di tale tesi ad esempio, che nonostante alcuni evidenti fallimenti nel tentativo di giungere ad una definizione univoca (si vedano il lavoro del” World Summit Outcome Document del 2005), esista comunque un corpo di risoluzioni ONU che prevedono e catalogano moltissimi atti di tipo terroristico pur in mancanza di una funzionale definizione dello stesso. In particolare viene messa in risalto la difficoltà che emergerebbe ed emerge costantemente in tale direzione allorquando si palesa che un tale accordo dovrebbe prevedere una forte unità d'intenti politica, del tutto irraggiungibile per i sostenitori di tale corrente di pensiero. Senza però che questa dinamica implichi un qualche tipo di defezione nel tentativo di combattere il terrorismo92. L'autore in questione, dopo

un'accurata analisi dei (a suo dire) non completi successi derivanti dal World Summit 2005 dell'ONU e dalla stesura in quella occasione del World Summit Outcome93, sottolinea come

seppur possibile un'evoluzione delle capacità ONU di trovare una definizione unanime di terrorismo, questa non sia poi imprescindibile per la repressione dello stesso.

Vi è infine (procedendo così verso una chiusura di questa parentesi squisitamente dottrinale) un'ulteriore parte della dottrina94 che sostiene che una definizione giuridica è in realtà già

prevista dal Diritto Internazionale e che “la controversia politica sull'inclusione di determinati atti compiuti in alcuni contesti, come nelle lotte di liberazione nazionale, costituisce in realtà un'eccezione a tale definizione, che comprende in realtà elementi definiti..”95. Altre posizioni

all'interno di queste stessa corrente di pensiero sostengono che il terrorismo “secondo un'effettiva norma consuetudinaria consolidata, consiste nella commissione di un atto criminale, con l'intento di spargere terrore nella popolazione di uno Stato o in una parte di essa e sempre che l'atto trascenda i confini di un singolo Stato. Sarebbe tuttavia esclusi dalla previsione della norma, atti terroristici commessi da cittadini nel territorio del loro Stato nonché gli atti di

92 Si veda R. Lavalle, “The Alleged Need for a Universally Agreed Definition of Terrorism”, p. 117.

93 Si tratta del “Documento finale” con in quale l'ONU pose le basi per la creazione dello “Human Rights Council”.

94 Quale riferimento di questa aerea si prenda in considerazione la tesi di A. Cassese, “The Multifaceted Criminal Notion of Terrorism in International Law” :<<Contrary to what many believe, a generally accepted definition of terrorism as an international crime in time of peace does exist. This definition has evolved in the international community at the level of customary law. However, there is still disagreement over whether the definition may also be applied in time of armed conflict, the issue in dispute being in particular whether acts performed by ‘freedom fighters’ in wars of national liberation may (or should) constitute an exception to the definition. As a consequence of disagreement on terrorism in armed conflict, states have so far been unable to lay down a general definition of the whole phenomenon of terrorism in a general treaty. >>.

terrorismo commessi dai movimenti di liberazione di territori sottoposti a dominazione straniera”96.

Le varie teorie succitate, forniscono tutte spunti interessanti, poiché evidenziano quanto il nodo principale della questione, la definizione giuridica di terrorismo, sia scivoloso e controverso. Tuttavia credo, nella mia personalissima opinione, che la teoria dottrinale che meglio evidenzia la necessità impellente di giungere al traguardo di una enunciazione univoca, sia quella illustrata da quella parte di autori che pongono il focus sull'utilizzo strumentale che gli Stati (soprattutto quelli “più forti”) possono garantirsi in assenza di una definizione giuridica. Risulta spesso palese come nel definire il terrorismo, siano proprio le divergenti (e diversamente influenti) posizioni sul tema di taluni Stati a farla da padrone: se uno Stato (o uno sparuto numero di Stati) ha la capacità di definire con successo i termini politici di un dibattito tale, sarà allora quasi pleonastico spiegare che fisserà le direttive dell'agenda politica per tutta la comunità di Stati considerati. Parte della dottrina, prendendo come esempio gli Stati Uniti e in particolare la strategia Bush contro il terrorismo, ha evidenziato come l'assenza di una precisa definizione di terrorismo ha consentito al governo americano di consolidare la propria posizione tramite la “politica della paura” nella guerra al terrorismo.97

Ecco perché, oltre che dal punto di vista strettamente giuridico (che chiaramente comporterebbe vantaggi non indifferenti alla causa), aspirare ad enunciare finalmente un'universale nozione di terrorismo sarebbe, a mio avviso, ancor più importante. Tuttavia sono molte le problematiche politiche, giuridiche e teoriche che si legano a tale raggiungimento.

Innanzitutto, nel tentativo di definire il terrorismo, ne va considerata la “nuova natura”, un terrorismo non più confinato in determinate aree e capace di mettere in campo forze maggiori rispetto al passato. Questo mette immediatamente l'approccio col quale storicamente si è tentato di affrontare la dinamica terroristica, vale a dire quello “settoriale”. La mancanza di una definizione precisa di terrorismo deriva anche dal carattere settoriale di Trattati, Carte, Dichiarazioni con le quali gli attori internazionali hanno affrontato il nemico comune. E a sua volta tale impostazione derivava spesso dalla mancanza di un generale consenso internazionale circa la questione terroristica.

96 B. Conforti, “Diritto Internazionale”, p. 221.

97 Un'analisi più accurata di queste idee sono riscontrabili in “Terrorizing Rhetoric: The Advancement of U.S. Hegemony Through the Lack of a Definition of ‘Terror’”, A.J. Marcopoulos, http://poseidon01.ssrn.com/delivery.phpID=pdf.

Come espresso già in parte e come esposto successivamente, per buona parte della Guerra Fredda l'approccio alla galassia terrorista è stato politicamente vincolato ad alcune precise ideologie ed in particolare alla difesa di talune prassi consolidate o comunque perseguite nel diritto internazionale. Si pensi ad esempio alla questione dell’autodeterminazione dei popoli e al contrasto che si è per decenni posto tra quest'ultimo e il terrorismo all'interno dell'arena politica internazionale (la politica dell’OIC è molto esplicativa in questo senso, come si vedrà successivamente). La commistione di tali problematiche (tra il politico e il giuridico) non ha concesso oggi di trascendere i limiti evidenziatisi.

Tra le visioni di alcuni autori98, una soluzione in tal senso potrebbe evincersi dall'utilizzo di un

approccio teorico alla questione della definizione del terrorismo, un “core-definition approach” che si fondi su un imprescindibile rispetto dei diritti umani e su una netta contrapposizione ai disumani metodi utilizzati dai terroristi o da gruppi di stessi nei confronti dei civili.

Nel trattare un approccio del genere, risulterebbe essenziale innanzitutto individuare un nucleo di base che agevoli l'uso degli strumenti cooperativi già esistenti e una consequenziale possibilità di definire norme giuridiche più efficaci. Inoltre apparirebbe altrettanto utile definire i “valori” di riferimento di tale nucleo e cosa dunque ci si proporrebbe di proteggere con tale concetto di base: gli imprescindibili diritti dei civili ovvero l'integrità o l'indipendenza dello Stato (non sembra azzardato che le disposizioni per lunga parte della seconda metà del 900 fossero indirizzate politicamente più verso il secondo di tali valori)?

Altro problema che tale approccio si propone di risolvere riguarda l'interpretazione circa la natura giuridica stessa nella quale far ricadere un atto terroristico: crimini contro l'umanità (visione che coprirebbe un'amplissima quantità di atti terroristici) ovvero una concretizzazione e un’autonoma figura nell'interpretazione di tali atti che si distacchi dall'impalcatura dei crimini contro l'umanità?

Andando per ordine, tale approccio si pone come primo problema quello di ricercare un certo grado di cooperazione internazionale sul tema. È senz'altro vero che le possibilità degli ordinamenti nazionali di esplicitare norme anti-terrorismo sono sufficientemente ampie. Tuttavia il carattere di transnazionalità di taluni atti terroristici (o delle organizzazioni terroristiche stesse) imporrebbe un grado di cooperazione in materia penale internazionalmente valida.

98 Si veda in tal senso, M. Di Filippo in “Terrorist Crimes and International Co-operation: Critical Remarks on the Definition and Inclusion of Terrorism in the Category of International Crimes”. EJIL, 2008., pp. 537-540.

Qui si insinua però l'ostacolo politico (che come si vedrà è ritenuto da scrive il principale ostacolo all'abbattimento del terrorismo) che smorza di netto le possibilità di collaborazione in tal senso. Da ciò è derivato il cosiddetto “approccio frammentato” nella questione del contrasto al fenomeno, particolarmente evidente a livello delle Nazioni Unite, le cui Convenzioni sovente hanno affrontato specificità del terrorismo senza riuscire di conseguenza ad introdurre un'universale definizione anche in termini penali del terrorismo.

Inoltre l'approccio ONU si è spesso espresso nel senso di un'ampia inclusione di reati, senza una netta distinzione tra quelli ispirati precipuamente al terrorismo e alle sue finalità e quelli dove la finalità era invece strettamente politica. Bisognerà attendere infatti l'adozione delle due Convenzioni di fine anni Novanta per un primo cambio di passo, che allontanasse lo “spettro” dell'approccio settoriale. Si fa riferimento alla Convenzione del 1997 per la Repressione degli attentati terroristici e alla Convenzione del 1999 per la Repressione del finanziamento del terrorismo, non a caso adottate nel periodo post Guerra Fredda.

Il metodo settoriale citato è stato per qualche tempo adottato anche a livello regionale, esplicitato tramite l'adozione di trattati che proponevano una categorizzazione autonoma di reati terroristici, ma evitando ancora una volta la diretta definizione del terrorismo e un'eventuale definizione di reato di tipo associativo collegato a questo. Successivamente tale tendenza è stata in parte invertita99.

Meno rosea appare invece la questione riguardante i meccanismi di cooperazione dove, se si eccettua il caso dell'UE, le manovre poste dell’OAS, dell 'UA, dell’ASEAN tramite i diversi trattati adottati non sembrano aver cambiato di molto il quadro, dato il contenuto quasi sempre poco originale e/o innovativo nel merito. Dati questi elementi non può non emergere la difficoltà oggettiva creata dall'assenza della definizione univoca.

L'approccio qui esposto, sottolinea anche un alto aspetto fondamentale, la cui risoluzione gioverebbe al raggiungimento di una nozione specifica. In riferimento ai lavori ONU sulla Convenzione del 1999 infatti, si noti che questa considera il proprio ambito di azione in riferimento agli atti dediti a colpire la vita e l'integrità fisica (senza la pre-condizione dell'esistenza di un progetto politico da perseguire da parte degli autori). Contrariamente a quanto accade invece in alcune convenzioni regionali (in particolare UE), laddove la matrice

99 Si consideri ad esempio la Framework-Decision 2002/475 dove all'art. 2 si legge: “For the purposes of this Framework Decision, ‘terrorist group’ shall mean: a structured group of more than two persons, established over a period of time and acting in concert to commit terrorist offences. ‘Structured group’ shall mean a group that is not randomly formed for the immediate commission of an offence and that does not need to have formally defined roles for its members, continuity of its membership or a developed structure”. O all' OAU Convention circa la definizione di atti terroristici.

terroristica dell'atto è ricondotta anche all'eventualità di destabilizzazione dello Stato (inserendo quindi l'elemento politico), così inoltre ampliando la mole di interessi pubblici e privati da salvaguardare (non solo la vita e l'integrità, bensì infrastrutture, proprietà privata, merci, ambiente ecc..). Tuttavia la frammentarietà con la quale, in ambito regionale oltre che universale, tali Convenzioni vengono ratificate crea un dislivello tra le potenzialità disposte dalle norme e la loro effettiva possibilità d'impatto. È pertanto evidente un problema qualitativo nella dinamica della cooperazione internazionale, che agevola ovviamente i terroristi. Le svariate definizioni di terrorismo non aiutano certo a indirizzare la comunità internazionale verso un'unica nozione.

Considerati tali elementi, l'approccio proposto, conscio della mancanza di chiarezza e della diversità di opinione che circonda la nozione di terrorismo, sottolinea come l'implementazione di un approccio teorico, fortemente incentrato sui valori da proteggere e sulla presa di posizione della comunità internazionale, possa essere lo strumento per far luce sul dibattito e dare la possibilità di categorizzare appositamente due classi principali di crimini violenti:

- una che copra azioni violente che minacciano o violano i diritti fondamentali dei civili (valori universali, come la vita, l'integrità fisica, la libertà e la dignità), ai quali andrebbe correlata la sicurezza di una condanna assoluta e di una pena altrettanto ferrea.

- una seconda classe che risulti quale condanna su altre violazioni (e sulla quale però al momento l'opinione internazionale è in disaccordo causa dei valori coinvolti) quali quelle che concernano i diritti essenziali dello stato, degli agenti, i beni pubblici o privati, reti di computer, l'ambiente.

Le caratteristiche del primo tipo di reati riguarderebbero così la presenza di una dimensione organizzativa e l'espressione di una volontà di creare terrore fra la popolazione, mentre le seconde sarebbero più precisamente collegate al fatto che gli attori perseguono fini politici e dovrebbero dunque essere regolate da legislazione penale dedicata in materia.

Dunque sotto queste condizioni il terrorismo diventa una nozione assoluta che non è collegata con la conservazione di un sistema statale (e il suo governo), ma si concentra sulla salvaguardia della tutela delle persone innocenti e degli interessi delle vittime e sui valori umani che questi soggetti incarnano.

La forza di un approccio tale è riconoscibile nella capacità di: - Superare la questione della “politicità” o meno di un atto terrorista;

- Ridurre la portata di alcune questioni che hanno rallentato o disallineato spesso le capacità cooperative internazionali. Si pensi alla questione dell'autodeterminazione. Tale approccio discernere dal semplice legame terrorismo-violenza politica, evitando fuorvianti commistioni tra il principio di autodeterminazione e il terrorismo.

- Inoltre, ponendo l'enfasi posta sulla tutela dei diritti fondamentali degli individui, indicare che l'adesione della comunità internazionale a questa nozione non è soggetto ad aspetti quali la natura transnazionale della condotta: una violazione dei diritti umani è materia di interesse comune per la comunità internazionale anche se si verifica in un contesto che è 'puramente' interno di un singolo stato.

In definitiva i punti di questo “core-definition approach” sono dunque esplicitati nella visione per cui è fattibile pensare ad una definizione univoca, purché si delineino precisamente gli strumenti penali, l'alveo di riferimento e le condizioni che dipingano esattamente gli atti di terrorismo in maniera precisa anche in riferimento al loro rapporto con la categoria dei crimini contro l'umanità. E in questo tentativo, la cooperazione dovrebbe essere internazionalmente sostenuta. Il che significa, in termini più chiari, ridurre al minimo la frammentarietà e la settorialità degli approcci fin qui esplicitati negli anni dalle diverse organizzazioni.

La mia personale opinione su tale approccio è di piena condivisione sul piano teorico. Non vi è dubbio che rendere “autonomo” il reato di terrorismo (e il reato di associazione a esso correlabile) condurrebbe ad una svolta in tal senso. Ma è nell'idea di chi scrive, che tale traguardo possa invece proprio essere raggiunto partendo da disposizioni tali emergenti in ambiti regionali. Il terrorismo possiede un evidente carattere di transnazionalità che conduce consequenzialmente alla deduzione per cui sia proprio l'ambito internazionale quello in cui la materia va trattata. Tuttavia (idea che parte da una personale adesione alla visione “realista” della politica, dove per realista ci si riferisce ai termini di politologia) proprio per l'enormità