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Consapevoli del fatto che le subordinate qui studiate non costituiscono propriamente un gruppo omogeneo, crediamo tuttavia necessario, sia per una convenzione fissata nel corso del tempo, sia per motivi pratici, utiliz- zare la denominazione “avverbiali” per raggruppare gli otto tipi di subor- dinate che analizzeremo nei successivi capitoli: temporali, modali, causali, finali, consecutive, comparative, condizionali e concessive.

Individuare un gruppo con un’unica denominazione permette di distin- guere immediatamente tali subordinate dalle altre esistenti, sostantive e aggettive (o relative).

La motivazione per la scelta della denominazione “subordinate avverbiali” può essere riassunta in tre punti fondamentali. In primo luogo, l’oggetto ultimo del nostro studio è il modo verbale della subordinata; per questa ragione non ci siamo soffermati a lungo sulla questione della diversità di denominazioni che tali subordinate hanno ricevuto. Tuttavia, non ab- biamo nemmeno eluso la questione, e di fatto, in ogni singolo capitolo, abbiamo richiamato i diversi studi sull’argomento. In secondo luogo, la contrastività dell’approccio di questo studio impone di seguire in parallelo due diverse tradizioni grammaticali; adottare quindi soluzioni terminologi- che originali o innovative, anche se forse più rigorose, avrebbe reso più complicata l’esposizione e impossibilitato la presentazione in parallelo. L’ultima ragione della denominazione “subordinate avverbiali” si fonda sulla comprensibilità da parte di lettori, studenti o meno, non specializzati nelle questioni grammaticali terminologiche. Ad essi, data la complessità che presenta la subordinazione, si evita con questa soluzione di dover superare lo scoglio di una terminologia troppo specializzata. In definitiva, l’adozione del termine “avverbiali”, pur sacrificando altri aspetti, favorisce la chiarezza, tenendo anche conto che tale denominazione è quella usata nelle due tradizioni grammaticali nazionali ed è, sebbene con qualche ri- serva, generalmente accettata dagli studiosi di grammatica e di linguistica in generale.

Occorrerà poi esporre, in primo luogo, lo stato della questione riguardo al binomio avverbiale/circostanziale, e in secondo luogo, le altre soluzioni nella loro classificazione.

Le grammatiche italiane che abbiamo consultato usano la denominazione “avverbiale” (GGIC 2001) o “circostanziale” (Graffi 1994) per riferirsi alle subordinate che non sono né completive né relative.

Nella GGIC (2001 II, p. 633), le subordinate avverbiali sono definite in contrasto con le funzioni svolte dalle subordinate sostantive (“argomen- tali”): «Le frasi avverbiali, invece, non sono richieste dal verbo principale e sono aggiunte alla frase principale sulla base di criteri semantici».

Graffi (1994, p.117) giustifica la scelta del termine “circostanziale” in so- stituzione di “avverbiale” in quanto «le frasi temporali, causali, ecc. si comportano come gli avverbi [...] non perché ne siano, in un certo senso, un’imitazione, ma perché entrambe queste classi di espressioni realizzano la stessa proprietà generale, quella cioè di essere degli elementi circostan- ziali».

Né Dardano/Trifone (1983) né Serianni (1988) indicano un termine speci- fico per individuare l’insieme costituito dalle subordinate causali, finali, ecc. Dardano/Trifone (1983, pp. 310-326), senza preamboli, divide direttamente le subordinate in diversi tipi: oggettive, soggettive, dichiara- tive, causali, finali, consecutive, ecc. Serianni (1988, p. 463) cita alcune classificazioni di grammatici precedenti, ma poi esplicita la propria scelta di trattare «in modo autonomo ogni proposizione secondaria, evitando di collocarla forzatamente entro categorie generali».

Anche nelle grammatiche spagnole sono generalmente adoperati i termini adverbial (M. Seco, Alarcos 1994, Pérez Saldanya nella GDLE) o circunstan- cial (Esbozo 1973, Hernández 1995); inoltre, nella tradizione spagnola, le diverse denominazioni implicano anche una sottodivisione e un determi- nato raggruppamento. El Esbozo (1973, p. 536) chiarisce che, mentre per la classificazione delle sostantive e relative si è basato sulla funzione sintat- tica, per la classificazione delle circostanziali si è invece fondato su un criterio semantico, e avverte che compariranno “zone intermedie” di delimitazione tra i sottogruppi. Nel calcolo statistico effettuato da Zamo- rano (2004, p. 320) a partire da un corpus costituito dalle grammatiche spagnole pubblicate tra 1953 e 1994, emerge che il 46,66% dei testi analiz- zati adopera il termine “adverbial” rispetto al 26,67% che usa il termine “circunstancial”.

La GGIC (2001) classifica le subordinate in “argomentali” e “avverbiali”. Graffi (1994) usa i termini “sintagmi”, e denomina le subordinate come

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“argomentali” e “circostanziali”. Senza sottovalutare il fatto che un di- verso punto di vista riesce, molte volte, a spiegare meglio determinati fenomeni, si può affermare che spesso è possibile stabilire delle corri- spondenze tra categorie e classi di una o dell’altra corrente, o scuola . Lo stesso Graffi (1994, p. 115), facendo riferimento alla grammatica tradizio- nale, collega da un lato le “sostantive” con le “argomentali”, e dall’altro le “avverbiali”con le “circostanziali”, lasciando chiaro che, pur essendo di- verso il principio che anima la classificazione, il comportamento sintattico trova una specifica corrispondenza.

Dardano/Trifone (1983, p. 308) segnalano direttamente i diversi tipi di proposizioni subordinate. Escluse quelle riconducibili alle sostantive e alle aggettive, esse sono le seguenti: causali, finali, consecutive, temporali, comparative, condizionali, concessive, relative, modali, avversative, esclu- sive, eccettuative, limitative e incidentali. Serianni (1988), escluse le com- pletive e le relative, distingue tra proposizioni causali, finali, consecutive, ipotetiche, concessive, temporali, comparative, modali, aggiuntive, esclu- sive, eccettuative, limitative.

Per descrivere le frasi circostanziali, Graffi (1994) segnala che il comporta- mento tipico degli elementi circostanziali si caratterizza, in primo luogo, per il fatto che non devono essere obbligatoriamente presenti per far sì che la frase (o periodo) a cui appartengono sia grammaticale; e in secondo luogo, per la libertà di collocazione all’interno della frase (o periodo) di cui fanno parte. Per questo studioso ci sono diversi tipi di frasi circostanziali: causali, temporali, finali, ecc., ma non offre un elenco completo.

Nella GGIC (2001 II, p. 633) le subordinate avverbiali si dividono in frasi temporali, causali, ipotetiche, concessive, finali, consecutive e compara- tive.

La GGIC non prende in considerazione le subordinate modali.

Nessuna delle grammatiche appena citate individua le locative come tipo di subordinate.

L’Esbozo, insieme a M. Seco (1972) e ad altri grammatici (cfr. Zamorano 2004), come pure in parte Alarcos (1994), in merito alla classificazione dell’insieme totale delle subordinate, seguono il criterio secondo il quale si paragonano le categorie morfologiche (sostantivo, aggettivo, avverbio) delle frasi semplici con le proposizioni della frase composta.

È da segnalare anche la classificazione stabilita da Alonso-Henríquez (1938-39) tra “inordinadas” (sostantive e relative) e “subordinadas pro- piamente dichas”; queste ultime comprendono le avverbiali.

Per il raggruppamento delle subordinate si applicano diversi criteri: se- mantico, sintattico, formale e funzionale (cfr. Zamorano 2004, pp. 312- 316).

Nello specifico, per la distinzione del gruppo delle avverbiali in diversi tipi, il criterio è semantico, sebbene vengano presi in considerazione anche criteri formali e funzionali.

M. Seco (1972) individua quindici tipi di avverbiali: lugar, tiempo, paralelismo, contraste, modo, intensidad, comparación, causa, finalidad, consecuencia, condición, restricción, concesión, excepción e adición (cfr. Zamorano 2004, p. 317).

L’Esbozo (1973, pp. 536-559) raggruppa tra le “circunstanciales” nove tipi di subordinate: di luogo, di tempo, di modo, causali, consecutive, conces- sive, condizionali, comparative e finali; e segnala che, trattandosi di una classificazione con criterio semantico, non è una diffrenziazione rigida, nella quale i membri si escludono tra loro.

Anche Alarcos (1994) segnala nove tipi di orazioni “trasposte” o subordi- nate, ma compie dei raggruppamenti particolari. Distingue un gruppo de- nominato “avverbiali proprie” che comprende le subordinate locative, temporali e modali; ma in più indica che una parte delle sostantive svolge funzione circostanziale (di “aditamento”). Le altre subordinate avverbiali individuate da Alarcos sono: finali, causali, concessive e condizionali. Vengono lasciate da parte le comparative e le consecutive, per le quali Alarcos (1994, p. 342) stabilisce un’analogia con le relative, ritenendo che anche nelle comparative e nelle consecutive si possa individuare un ante- cedente, identificato con il quantificatore o l’intensivo dell’elemento com- parato.

È stato Narbona (1989 e 1990) a individuare la distinzione tra subordinate avverbiali proprie e improprie, ripresa in parte da Alarcos (1994) e da altri grammatici tra cui Veiga/Mosteiro (2006). Diversi studiosi hanno tentato delle sottoclassificazioni, senza però che nessuna di esse abbia avuto il sopravvento; tutto ciò dimostra che esiste effettivamente la necessità di evidenziare la diversità che c’è tra le subordinate raggruppate sotto l’etichetta “avverbiali”, perché esse di fatto non costituiscono un gruppo omogeneo.

Nella GDLE (1999), Pérez Saldanya non include tra le avverbiali le subor- dinate comparative, categoria che non viene proprio presa in considera- zione.

Nell’insieme del testo della GDLE (1999), le comparative sono studiate nel capitolo dedicato alle costruzioni comparative in generale, e non è mai

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usato il termine “subordinada”; tuttavia, se la struttura ha il verbo finito, riceve la denominazione di “coda clausal”.

Riassumendo, le due tradizioni grammaticali nazionali hanno giustificato la classificazione delle subordinate, generalmente in tre grandi gruppi, in base all’associazione tra le funzioni delle parti del discorso nella frase semplice, e delle funzioni svolte dalle proposizioni nella frase complessa. Per quanto riguarda l’italiano, tale associazione viene ripresa esplicitamente da Graffi (1994), ma evitata da Dardano/Trifone (1983) e scartata esplicitamente da Serianni (1988). La GGIC (2001) definisce le avverbiali sulla base delle funzioni in contrasto con le argomentali, ma nella stessa definizione segnala anche i criteri semantici. Per quanto riguarda lo spagnolo, il colle- gamento tra le parti del discorso e le proposizioni, accompagnato da chia- rimenti e avvertenze, si ripresenta costantemente in maniera più o meno esplicita.

Per concludere, va segnalato che le grammatiche italiane non prendono in considerazione le locative come tipo di subordinata (Dardano/Trifone 1983, Serianni 1988, GGIC 2001); in più, la GGIC (2001) non menziona né analizza le subordinate modali. Le grammatiche spagnole, invece, la- sciano in disparte le comparative (Alarcos 1994, Pérez Saldanya 1999, Veiga/Mosteiro 2006). Questa separazione può rinviare a diverse spiega- zioni, tra cui il fatto che la comparativa non è riconducibile al concetto del rapporto causale al quale rispondono le altre subordinate “avverbiali im- proprie” (cfr.Veiga/Mosteiro 2006).

Capitolo 3