• Non ci sono risultati.

Tabella 13: Valutazione Goal free e valutazione Responsive a confronto.

Goal free - Scriven Responsive - Stake

Criteri per la valutazione Check-list predisposta dal valuta-tore - indicatori reliable rispetto al worth

Ritratto del docente condiviso, creato ad hoc - profilo responsive Caratteristiche della valutazione Standardizzata - comparabile Personalizzata - non comparabile Tipo di valutazione Tendenzialmente sommativa Formativa

Funzione della valutazione Informare e rendere consapevole il consumer Informare e rendere consapevole il client Finalità della valutazione Prevalentemente di accountability Di improvement

Fonte: Plessi, P. (2004). Teorie della valutazione

e modelli operativi. Brescia: La scuola. Adatt.

tabella 20, p. 229.

3.1.a Il “good teacher” di Scriven e Stake

I paradigmi di riferimento e lo scopo della valutazione sono fattori tutt’altro che neutri nella definizione del good teacher. Anche le definizioni (o le non - definizioni) che si desumono dagli scritti di Scriven e Stake sono intrise delle loro idee rispetto alla valutazione e di conseguenza rispetto alla valutazione dei docenti, oltre che della loro concezione di scuola e di apprendimento. L’orientamento al consumer di Scriven tenta, anche nel delineare le caratteristiche del “buon insegnante”, di rispondere alle necessità delle persone rispetto al bisogno di istruzione ed educazione, quindi di essere vicino al loro reale vissuto. L’approccio Responsive di Stake prevede, invece, la realizzazione di una valutazione orientata al client, tramite il coinvolgimento auten- tico dei partecipanti per una loro maggior consapevolezza.

Scriven prevede una Check list di duties dell’insegnante, dei quali, affinchè sia reliable, verificare costantemente la coerenza al worth. Il riferimento ultimo, al quale ricon- durre qualsiasi giudizio, è il need espresso dal consumer che, come abbiamo rilevato in precedenza, presenta il limite di non essere, a sua volta, verificato nella sua coerenza. Secondo Stake, invece, l’aggettivo che deve qualificare gli indicatori della valutazio- ne dei docenti è responsive, gli elementi sui quali valutare l’operato degli insegnanti sono da determinare attraverso una condivisione dei significati da parte dei parte-

cipanti. Il riferimento è, inoltre, il contratto individuale che il docente stipula con il datore di lavoro, come previsto nelle istituzioni scolastiche degli Stati Uniti. L’autore prende le distanze da qualsiasi forma di superficialità nel giudizio, dall’affidarsi al “mi piace - non mi piace” senza essere in grado di definire in base a quali criteri, mette in guardia, inoltre, da qualsiasi forma di forzata semplificazione del tema in- segnamento - apprendimento e della sua valutazione.

There is no “true” quality of teaching, it depends on what people see - and they differ. But there is such a thing as quality of teaching because, some of the time, many agree on what is good and bad teaching. Much of what they agree on is personalistic, pedagogicially superficial, not taking into account what should have been taught and even whether or not it was taught. Education and teaching are far more complex than any testing, grading, or ratings used, emphasizing exposure and experience more than memory and routine. We know very little about how great or small the contribution to each student’s education (Stake, 1998. P. 4).

Stake concepisce, inoltre, l’insegnante come un Communitarian teacher, di conse- guenza sostiene si debba tenere conto nella valutazione degli aspetti connessi all’at- tività di insegnamento che sia all’interno di una community of practice. Scriven, a sua volta, considera sotto la voce professionalism, i duties del docente legati agli aspetti della professionalità, della quale fa parte anche la collegialità; richiama l’etica e l’at- titudine alla professione, la conoscenza e lo sviluppo della professionalità, l’aiuto ai pari e ai principianti, il lavoro per le associazioni professionali, la ricerca sull’inse- gnamento, la conoscenza dei propri compiti, della scuola e della sua comunità. Lo sviluppo della professionalità dell’insegnante è trattato, da parte di Scriven, come un compito esplicito, la sua realizzazione passa, insieme ad altre modalità, attra- verso la comunicazione del giudizio formulata dal valutatore. Il docente dovrebbe utilizzare il giudizio ricevuto ai fini del miglioramento professionale, attraverso una scoperta diretta del grado di efficacia dei processi attivati, similmente a quello che accade nella medicina popolare che conferma ciò che si è mostrato efficace sen- za averne dimostrato il motivo: “Although the traditional approach to remediation is through explanation, the occasional success of “folk - medicine” demonstrated the possibility

of finding remedies whose success is not inferred from a general explanatory theory, but discovered directly (Scriven, 1983. P. 247)”.

Per Stake, invece, tale passaggio è insito nel processo valutativo stesso; il docente, infatti, facilitato dal valutatore, attiva un percorso di comprensione e consapevolezza approfondita dei propri vissuti e significati, è il soggetto stesso a valutare (in modo negoziato e condiviso) e, contemporaneamente, ad apprendere.

3.1.b Il “buon insegnante” nella global learning crisis

Qualunque siano il paradigma e l’approccio di riferimento, tracciare un profilo esau- riente del “buon insegnante” risulta un compito irto di difficoltà per i profondi mu- tamenti che stanno avvenendo nello scenario culturale e, di conseguenza, nella realtà in cui la scuola opera.

Principalmente è difficoltoso raffigurare l’orizzonte di senso verso il quale i soggetti implicati nella valutazione, e ancor prima protagonisti del processo di insegnamen- to - apprendimento, si muovono. Il quadro globale dell’istruzione riflette quella che il Rapporto sull’educazione (Unesco, 2014) chiama la global learning crisis. Si tende ad immaginare, rispetto all’istruzione e all’educazione, un mondo tagliato in due: da una parte i paesi economicamente forti che perseguono l’apprendimento permanen- te e performances d’eccellenza, dall’altra i paesi poveri o poverissimi che inseguono obiettivi minimi di apprendimento o, purtroppo di frequente, di mera alfabetizza- zione.

Tuttavia, la situazione è molto più composita e complessa; i confini tra le due re- altà sono labili e discontinui. Nei paesi poveri la global learning crisis si traduce in difficoltà oggettive nel reperire le strutture, il personale e le risorse, per impiantare sistemi d’istruzione se non efficienti, almeno stabilmente funzionanti.

Nei paesi economicamente forti si stanno mostrando in tutta la loro drammaticità i problemi dell’evasione scolastica e dell’analfabetismo di ritorno, della dispersione scolastica, dell’inadeguatezza nell’includere i disabili, dei risultati d’apprendimento, in alcuni casi, deficitari rispetto alle aspettative.

Non solo la scuola non svolge più il ruolo di “ascensore sociale”, ma si è notevol- mente indebolito il rapporto tra il possesso di un titolo di istruzione e la probabilità di trovare un lavoro, un qualsiasi lavoro. Oltre alle ristrettezze derivanti dalla crisi economica, alcuni dei paesi economicamente sviluppati, in prima linea l’Italia, sono sempre meno propensi ad investire risorse nel sistema di istruzione, i cui risultati sono, in ogni modo, a lungo termine. L’annuale rapporto “Education at a glance” (OECD, 2014), a tal proposito, riporta dati che nella loro chiarezza ed evidenza risultano sconcertanti, per il nostro paese in modo particolare [in allegato I].

Il circolo vizioso si chiude con il dato sulla presenza del 25% della popolazione gio- vanile (tra i 15 e i 29 anni) nel nostro paese e del 15% di media dei paesi OCSE, né impegnata in un lavoro, né nello studio, denominata con il triste acronimo di NEET1. Emerge a tutto tondo il quadro di dirompente contraddittorietà nel quale vive la scuola, che si trova supportata da investimenti in progressivo e costante calo a ri- spondere a sfide di inclusione dei soggetti deboli: studenti disabili, di altra cultura, di genere femminile, a disagio socio-economico, platea che va, anziché a restringersi, purtroppo ad allargarsi.

3.1.c Il “buon insegnante” nel “buon curricolo”

Nel tentativo di dare risposte a queste emergenze è in atto, da parte dei gover- ni di molti paesi, una revisione del curricolo, uno sforzo per individuare i saperi fondamentali, il common core curriculum sul quale si ragiona negli USA, lo zoccolo comune dei saperi nella vicina Francia, soltanto per portare due esempi. Talvolta tale operazione reca con sé il risvolto indesiderato di una “restrizione del curricolo”, prodotta da una selezione delle conoscenze eccessivamente basata sulle prove di apprendimento, oppure generata da una malintesa ricerca degli obiettivi minimi di apprendimento, anziché riferirsi ad vero e proprio quadro di competenze scientifi- camente definite.

Anche dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione (UNESCO) vie- ne un monito rispetto alle caratteristiche di un curricolo che sia strumento di svi- luppo, non solo economico ma culturale e sociale:

The curriculum therefore lies at the crossroads of these four key aspects of SDG 4 [Sustainable Development Goal Four]: that education should be (1) inclusive and equitable, (2) characterized by quality learning, (3) pro- mote lifelong learning, and (4) relevant to holistic development. Curri- culum, in other words, provides the bridge between education and deve- lopment - and it is the competencies associated with lifelong learning and aligned with development needs, in the broadest, holistic sense of the term, that span that bridge (UNESCO, 2015. P. 3).

Per entrare più nel merito pedagogico del tema del curricolo, le premesse secondo le quali si dovrebbe configurare sono, secondo Margiotta (2014), la funzione del ren- dere abili gli allievi alla mobilità culturale prima che a quella geografica e lavorativa, come condizione per dirigere e negoziare il proprio futuro. L’insegnamento dovrà quindi sviluppare nell’allievo qualità personali dinamiche, l’autonomia di giudizio, la capacità di organizzare la conoscenza in modo personale, stimolare l’autoregolazio- ne e l’autovalutazione dell’esperienza in confronto con il quotidiano nei suoi diversi aspetti. Nel curricolo l’accento sarebbe da porre sulla responsabilità personale di ciascun allievo e su un nucleo comune di conoscenza, comprensione e abilità, al fine di mettere tutti in condizioni di partecipare alla vita economica e sociale e di poter esercitare una cittadinanza attiva. La cruciale attitudine dell’apprendere nel corso di tutta la vita si sviluppa attraverso un apprendimento attivo, nel quale sia vivo il desiderio di apprendere e presente l’autodeterminazione rispetto ai propri percorsi di apprendimento.

Si intende come dalla definizione di un “buon curricolo” consegua una caratterizza- zione del “buon insegnante” che, insieme all’allievo, quel “buon curricolo” è tenuto a metterlo in atto. Il primo elemento che balza in evidenza è il fatto che sia indi- spensabile al docente la capacità di apprendere lungo l’arco della vita; l’insegnante, infatti, è chiamato a cimentarsi nella gestione del processo di insegnamento - ap- prendimento avvalendosi di competenze delle quali non è scontato si sia impadro- nito nel corso degli studi, non per sua mancanza, ma per la rapida obsolescenza dei curricoli stessi.

3.2

L’INSEGNAmENTO NELL’AmbITO