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The Third Policeman nel contesto postcoloniale

2.3 The Third Policeman

2.3.4 The Third Policeman nel contesto postcoloniale

Il secondo romanzo di O’Brien è senza dubbio quello che più difficilmente può essere filtrato attraverso una lente postcoloniale. L’interesse dell’opera sembra essere espressamente indirizzato alla disamina di postulati scientifici che, per loro natura, conferiscono un’aura quasi surreale al testo. Risulta, perciò, complicato inserire il testo stesso in un discorso connesso con la realtà come quello che riguarda la situazione irlandese post-indipendenza. Tuttavia, partendo proprio dal nucleo più scientifico della vicenda, è possibile individuare alcune caratteristiche che evidenziano la necessità dell’autore di muovere una critica agli atteggiamenti di chiusura adottati dalla nazione. Inoltre, alcuni elementi presenti nell’opera richiamano allegoricamente la situazione dell’Irlanda postcoloniale, in particolare il difficile rapporto con gli ex colonizzatori.

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Già precedentemente è stato messo in luce come O’Brien rivisiti, in maniera quasi irriverente, alcune delle teorie più importanti del Novecento nel campo delle scienze. Lo stesso trattamento viene riservato a quelle proposte dal fantomatico scienziato De Selby, tra le quali la spassosa ipotesi di una terra a forma di salsiccia, così come l’improbabile convinzione di poter compiere un viaggio lunghissimo soltanto osservando all’interno della propria stanza una serie di cartoline di posti lontani. Esse vengono corredate da una nota palesemente ironica, volta a sminuirle fin dalla loro presentazione. L’improbabile validità di queste congetture e la totale fiducia riposta in loro dal narratore diventano senz’altro il veicolo per innescare una critica a chi credeva di possedere la verità assoluta, affidandosi a modelli considerati incontrovertibili. Lo stesso errore compiuto dai nuovi amministratori e uomini di cultura irlandesi, che trovavano nelle tradizioni del passato i valori universali di riferimento, rinnegando e tarpando sul nascere qualsiasi spinta di rinnovamento.

Lo stesso schema parodico di una tradizione ritenuta insufficiente a riprodurre la complessità del presente viene riproposto attraverso il personaggio di Martin Finnucane. La radice di questo cognome porta con sé nuovamente il richiamo all’eroe irlandese Finn, già presentato in At Swim-Two-Birds. Qui però l’uomo non ha niente a che fare con la leggendaria figura del mito, al contrario essa viene svilita, poichè associata ad un ladro e assassino. Egli ha inoltre una menomazione fisica piuttosto seria, avendo perso una gamba che lo ha privato, quindi, del giusto sostegno. Ciò porterebbe a pensare che O’Brien vedesse la tradizione come incapace, da sola, di sostenere il peso di un territorio in fermento e bisognoso di modernità. Inoltre, facendo riferimento al processo edipico della castrazione, potrebbe dare voce al complesso di colpa che affliggeva i letterati del tempo, inermi di fronte allo scempio al quale la nazione era stata condannata.

Il personaggio che, però, più di qualsiasi altro, incarna le istanze irlandesi è Mathers, che già nel riferimento onomastico alla figura materna può richiamare la madrepatria, ovvero l’Irlanda, colpita a morte da chi avrebbe invece dovuto proteggerla e agire nei suoi interessi, innanzitutto gli artisti, di cui il protagonista è proiezione. Egli, infatti, fa spesso riferimento ad una fountain-pen, un oggetto con evidente valenza metanarrativa, ma che esprime anche il grande amore del protagonista per la cultura. “A fountain-pen and writing materials” (TP, p.141) sono

tra l’altro le prime cose che il narratore richiede nell’Eternità, dove gli è concesso di ottenere tutto ciò che desidera. Ancor più decisivo risulta però essere il paragone tra la penna stilografica e la pompa di una bicicletta, descritta come “long and thin, […] like a large fountain-pen” (TP, p. 81). Questo accostamento parrebbe privo di particolari valenze, se non fosse che la pompa è proprio l’oggetto usato dal personaggio principale per assassinare il vecchio Mathers. Quest’ultimo viene ucciso metaforicamente da una penna e l’assassino commette il reato per la sua infatuazione nei confronti di un ideale estetico, la pubblicazione dell’opera completa di De Selby. Old Mathers rappresenterebbe pertanto la Vecchia Madre, l’Irlanda, e la colpa da lui subìta non sarebbe altro che il peccato di chi, attraverso la scrittura (simbolizzata dalla penna), sferra colpi mortali alla sua stessa patria.

La prima ipotesi potrebbe essere quella che vede O’Brien muovere in questo modo una critica feroce agli scrittori che anteponevano i propri biechi interessi a quelli della nazione. Essendo principalmente interessati ad entrare nelle grazie dell’Establishment irlandese che, come abbiamo visto, sponsorizzava atteggiamenti protezionisti soprattutto sotto il profilo culturale, essi avrebbero adeguato le loro opere, in modo da renderle innocue ed in linea con gli standard richiesti. Secondo l’artista, quindi, il loro peccato sarebbe stato proprio quello di aver tradito la patria, favorendone il ripiegamento all’interno dei propri confini, portando ad una recrudescenza dell’isolamento già subìto durante la colonizzazione.

Un’altra ipotesi, invece, porterebbe ad identificare lo stesso O’Brien col narratore che, ribellandosi a questa situazione di paralisi culturale, sferrerebbe sferzate mortali all’Irlanda. Tale circostanza potrebbe essere confermata dal modo in cui l’autore descrive Mathers. Quest’ultimo appare in uno stato di quasi totale paralisi: “He did not move or speak and might have been still dead save for the slight movement of his hand” (TP, p. 25). Non sembra difficile pensare che questa situazione fosse esattamente quella che minacciava l’Irlanda postcoloniale, costretta in una posizione di totale immobilità, incapace di muovere passi concreti verso nuovi e più vasti orizzonti. Particolarmente significativo, a tal proposito, risulta essere il riferimento al

cosiddetto “paradosso di Zenone”50, di cui nel romanzo viene proposta la versione del folle scienziato De Selby:

If one is resting at A, he explains, and desires to rest in a distant place B, one can only do so by resting for infinitely brief intervals in innumerable intermediate places […] points infinitely near each other yet sufficiently far apart to admit of the insertion between them of a series of other ‘inter-mediate’ places, between each of which must be imagined a chain of other resting-places – not, of course, strictly adjacent but arranged so as to admit of the application of this principle indefinitely. […] Two separate positions cannot obtain simultaneously of the same body. Thus motion is also an illusion (TP, p. 53).

Quest’idea che il movimento non sia altro che un concetto illusorio ben si addice alla visione di O’Brien sull’inerzia del suo Paese, che con la liberazione dall’oppressione inglese sembrava aver ricevuto una spinta propulsiva, ma invece era ripiombato in una condizione di stallo, provocata dalle scelte eccessivamente protezioniste degli organi amministrativi.

Un ulteriore dato caratteristico di Mathers, che ben si inserisce all’interno di una rilettura in termini postcoloniali del romanzo, è rappresentato dal fatto che l’anziano risponde sempre “no” agli interrogativi posti dal protagonista. L’insistenza sulla negazione è facilmente riconducibile al comportamento repressivo e inibitorio esercitato dall’Irlanda. Qui si tentava, in modo bigotto ed esasperatamente moralista, di tarpare le ali alle spinte illuminate di alcuni intellettuali del Paese, che avvertivano come un fardello soffocante le imposizioni della Chiesa, della società e della tradizione. L’omicidio di Mathers rappresenterebbe, pertanto, il modo dell’autore di opporsi a questo stato di cose. Infatti, a differenza di Joyce che riuscì ad affermare il proprio sì alla vita e alla creatività soltanto dopo aver lasciato definitivamente la terra natìa, O’Brien rifiutò sempre la strada dell’esilio. Egli preferì rimanere per affrontare direttamente i problemi che affliggevano il suo Paese, protetto solo dallo scudo di un’irriverente ironia.

In un’opera dove nulla sembra essere lasciato al caso, anche la scelta di creare un rapporto simbiotico tra il protagonista ed una bicicletta risponde ad uno scopo ben preciso. Questo veicolo era considerato un simbolo nazionale, a testimonianza

50 Il filosofo Zenone di Elea, nel V secolo a.C., propose una serie di paradossi per dimostrare

l’impossibilità del moto nonostante le apparenze della vita quotidiana. Nel terzo di questi, in particolare, egli illustra come una freccia, apparentemente in movimento, è, in realtà, immobile. In ogni istante, difatti, essa occuperà solo uno spazio pari a quello della sua lunghezza. Poiché il tempo in cui la freccia si muove è fatto di singoli istanti, essa sarà immobile in ognuno di essi.

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dell’ostinazione di questa società nell’opporsi al progresso, rimanendo ancorata ad una

forma mentis profondamente rurale. La relazione quasi amorosa tra l’uomo e la

bicicletta diventa metafora degli atteggiamenti nazionalisti ai limiti del fanatismo degli irlandesi, che credevano in tal modo di affermare la propria autonomia dalla dominazione inglese.

Esiste invece un filone della critica che ha visto in Mathers il riferimento ad un personaggio realmente esistito: il mago britannico MacGregor Mathers, una delle figure più influenti nel campo dell’Occultismo moderno.51 Questa prospettiva ribalta le supposizioni precedenti e rende questo personaggio non soltanto il simbolo di pratiche occulte dilaganti e pericolose per la tradizione religiosa della nuova Irlanda cattolica, ma anche un’incarnazione del nemico britannico. Nel primo caso, l’assassinio di Mathers richiamerebbe il tentativo del clero irlandese (rappresentato da Divney) di soffocare qualsiasi forma di culto ritenuta eretica. Se invece l’uomo fosse, nelle intenzioni di O’Brien, realmente rappresentante dell’Inghilterra, il suo omicidio non sarebbe altro che il risultato dei moti rivoluzionari, volti alla liberazione del territorio irlandese dall’egemonia inglese. Pertanto il fantasma dell’anziano che continua ad aleggiare nell’esistenza del narratore, potrebbe far pensare allo spettro di un’Inghilterra imperialista, sempre pronta a minacciare il popolo d’Irlanda. Alla fine del romanzo, egli riappare nei panni del poliziotto Fox, in particolare nel volto, quasi a voler indicare la presenza di una testa inglese in un corpo totalmente irlandese.52 In questo modo lo scrittore riproduce la realtà politica, che vede l’Irlanda del Nord ancora amministrativamente ed economicamente legata all’Inghilterra, anche dopo il raggiungimento dell’indipendenza.

L’intensità con cui O’Brien inserisce nel testo questi riferimenti alla situazione della nazione diventa specchio del suo modo di partecipare alla realtà dell’Irlanda del tempo. Egli accettò di rimanere presente sul territorio, senza mai abbandonarlo, proprio per essere osservatore diretto di ciò che stava accadendo e per tentare in qualche modo di redimerlo. Ci vorranno più di vent’anni prima che egli si avventuri

51 Cfr. MARY POWER,“The Figure of the Magician in The Third Policeman and The Hard Life”, Canadian Journal of Irish Studies, VIII, 1, 1982, pp. 55-63, qui p. 56.

52 I poliziotti sono chiaramente rappresentanti delle istanze irlandesi. Ciò viene manifestato già dai

loro nomi. Fox, infatti, era anche il soprannome di Charles Stewart Parnell, una delle figure più rilevanti della storia d’Irlanda, precursore delle battaglie per l’autonomia del Paese. MacCruiskeen, invece, ricorda chiaramente il titolo dell’editoriale Cruiskeen Lawn guidato da O’Brien.

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nella stesura di un nuovo romanzo, e lo farà ancora con lo sguardo rivolto indietro, verso una problematica che, alla fine degli anni Trenta, lo rendeva testimone di una situazione di crisi e di disagio.