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La denominazione scelta per la rubrica, Cruiskeen Lawn, dall’irlandese Cruiscín

Lán, fa riferimento ad una ballata popolare irlandese, dove si esaltavano le sensazioni

provocate dall’alcool. Non a caso il titolo viene spesso parafrasato con espressioni ben più comprensibili come “The full jug” o “The little brimming jug”, con riferimento ad un boccale pieno fino all’orlo. L’immagine del boccale è già di per sé piena di significati che incrociano sia il mondo irlandese sia la vita dell’autore. Da un lato, il boccale riveste, nel tempo, un ruolo fondamentale nella tradizione gastronomica locale, essendo il contenitore di due dei prodotti per eccellenza del territorio: la birra e il whiskey. D’altro canto, la dimensione alcolica dell’esistenza di O’Brien non può essere trascurata, poiché nell’alcool quest’ultimo trovò sempre un rifugio “sicuro” dalle frustrazioni di una vita e di una carriera spesso insoddisfacente. Inoltre, la fratellanza etilica con il direttore Smillye, che amava trascinarsi tutti i giorni al Palace Bar a tracannare Guinnes e whiskey, contribuì senz’altro ad unire i loro destini e a guidarli in un’avventura giornalistica capace di regalare ad entrambi grandi soddisfazioni.

Fig. 6: Brian O’Nolan all’interno del Dublin Palace Bar nel 1942.

La verve umoristica con la quale O’Brien inonda la rubrica sembra spesso essere paragonabile all’euforia provocata da una sbornia, quando tutte le inibizioni vengono superate e non si ha nessun timore di dare voce ai propri pensieri, anche quelli più scomodi. Lo scrittore non mostra nessuna remora nel dispensare insulti tali da far

tremare i potenti oppure nel proporre invenzioni tanto geniali quanto strampalate, la cui bizzarria trascende spesso i limiti della realtà.

Daniele Benati, che ha curato la postfazione della traduzione italiana di alcuni articoli mylesiani, sottolinea come il nome della rubrica sia in realtà una citazione tratta, tutt’altro che casualmente, da Ulysses di Joyce.1 Più precisamente, la perifrasi è un hapax presente proprio all’interno del dodicesimo capitolo dell’opera, “Cyclops”, significativamente ambientato in uno dei pub irlandesi tanto cari anche ad O’Brien, in cui un certo numero di dublinesi, visibilmente alticci, sottostanno al nazionalismo oltranzista del più dublinese e più ubriaco di tutti: un bruto dall’aspetto ciclopico, noto come “The Citizen”. L’intero capitolo è redatto nella parlata popolare irlandese e insiste su tutta una serie di cliché sull’Irlanda, col povero Bloom che difende strenuamente la sua idea di patria, opponendosi all’ultranazionalismo antisemita del “Citizen”.

Ovviamente, dato questo riferimento, non può non emergere immediatamente la ragione per cui O’Brien avesse deciso di riutilizzare l’espressione per la sua rubrica. Nei suoi articoli, infatti, egli si prende gioco di una certa concezione dell’Irishness, limitata e monoculare, che nascondeva l’assurdità di determinati atteggiamenti di protezionismo culturale. Ciò perché lo scrittore, esattamente come Joyce, amava visceralmente la sua terra, ma rinnegava il fanatismo dei nazionalisti irlandesi e soprattutto aberrava gli stessi irlandesi ottusi che non sapevano guardare aldilà della punta del loro naso. Entrambi auspicavano un’Irlanda aperta, di respiro europeo, che sapesse trovare nel confronto con la diversità una possibile occasione di crescita e di effettiva autonomia. Anche dal punto di vista stilistico, le realizzazioni giornalistiche di O’Brien richiamano in qualche modo il procedimento discorsivo, tipico dei dublinesi, messo in luce nel capitolo joyciano, dove si assiste ad una vera e propria alternanza tra un linguaggio triviale ed un’inaspettata magniloquenza, esattamente la stessa procedura adottata nelle cronache dublinesi registrate da Flann. In essa si mostravano una prosa e un linguaggio scurrili, che provocavano un certo svilimento del livello narrativo, alternato a repentini innalzamenti stilistici, dovuti magari a più o meno appropriate citazioni latine.

1 DANIELE BENATI,“Postfazione”, in FLANN O’BRIEN, Il boccale traboccante. Cronache dublinesi di Myles na Gopaleen, Giano Editore, Varese 2005, pp. 211-235, qui p. 220.

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Il fatto, invece, che si sottolinei la misura ormai colma del boccale, potrebbe essere giustificabile con l’intrinseca natura della rubrica, che intendeva presentare una molteplicità di temi e soggetti diversi, attraverso forme straordinariamente differenti ed articolate. Allo stesso tempo sarebbe plausibile anche identificare il boccale come metafora dell’Irlanda, ma di un’Irlanda ormai troppo piena di sé, satura fino all’orlo a causa di scelte politiche ed atteggiamenti sociali penalizzanti. Si doveva pertanto evitare il pericoloso traboccamento di questo recipiente ormai colmo, rappresentato dalle incalzanti tensioni sociali o dai sempre più frequenti esili volontari di chi, come Joyce, non si riconosceva più nel chiuso microcosmo irlandese. Per farlo era quindi necessario attingere a questo boccale, imparare a conoscerlo nei suoi sapori, anche nelle note più amare, per poter magari un giorno riuscire a godere veramente del suo contenuto, dissetandosi col gusto di una ritrovata libertà.

Per la redazione di questa colonna O’Brien decise di optare per una maschera, che fosse, sin dalla denominazione, profondamente radicata nella coscienza nazionale e quindi in grado di risvegliare nei lettori un certo tipo di entusiasmo, favorito dalla confidenza acquisita col personaggio. Il funzionario statale O’Nolan decise, quindi, di rigenerarsi come scrittore e giornalista adottando lo pseudonimo di Myles na Gopaleen. Questo nome era già piuttosto noto nell’ambiente poiché appartenuto ad un personaggio del romanzo di Gerald Griffin, The Collegians, molto diffuso nell’Ottocento e successivamente ripreso nella commedia, altrettanto nota, di Dion Boucicault, The Golden Bawn. I due autori avevano tentato, attraverso questa figura fittizia, di fornire una nuova immagine dell’irlandese tipo, che si emancipasse da quella offerta nel periodo vittoriano, dove la tendenza era sempre quella di ridicolizzare le istanze irlandesi. Carleton, per esempio, sottolinea come spesso gli irlandesi venissero ritratti in una luce grottesca, quasi in forma caricaturale:

It is well known that the character of an Irishman has been hitherto uniformly associated with the idea of something unusually ridiculous, and that scarcely anything in the shape of language was supposed to proceed from his lips but an absurd congeries of brogue and blunder. […] I do not remember an instance in which he acts upon the stage any other part than that of the buffoon of the piece. […] There the Irishman was drawn in every instance as the object of ridicule, and consequently of contempt.2

2 WILLIAM CARLETON,«Autobiographical Introduction», in Traits and Stories of the Irish Peasantry,

Routledge, London 1995, pp. i-xxiv, qui p. ii-iii.

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Venivano insomma rappresentati come dei buffoni, chiamati ad intrattenere e a sollazzare il pubblico britannico, che così trovava conferma dei propri pregiudizi verso il popolo d’Irlanda. Griffin e Boucicault avevano provato ad attenuare l’asprezza di questo stereotipo etnico, attraverso la figura di Myles. Questi viene proposto nel romanzo di Griffin come una figura semi-eroica, dai tratti fisici affini a quelli di una divinità, capace pertanto di sollecitare una certa reverenza. È un uomo geniale, un mercante di cavalli ma soprattutto “a good story-teller, who can make a simple incident into a strange and vivid story”.3

Già da questo primo quadro si può osservare quanto O’Brien avesse attinto a questo precedente per modellare il Myles protagonista della sua rubrica. Innanzitutto il legame con i cavalli viene ribadito nella volontà di tradurre il nome con l’espressione “Myles of the Ponies”, sottolineando come “the autonomy of the pony must not be subjugated by the imperialism of the horse”.4 In un’ottica postcoloniale, questa

sottolineatura può essere facilmente ricondotta al difficile percorso intrapreso dall’Irlanda per svincolarsi dall’influenza sociale e culturale inglese. Ovviamente non fu un percorso facile, poiché non era scontata la capacità o addirittura la volontà del popolo irlandese di rinunciare a delle strutture o a delle disposizioni mentali di stampo britannico, che comunque avevano contribuito in tutti quegli anni a forgiare una parte della loro identità. Dal canto suo, invece, O’Brien voleva sostenere ed incoraggiare i tentativi dell’Irlanda di liberarsi dall’ombra ingombrante della dominazione straniera. La genialità viene ampiamente dimostrata grazie alla sua partecipazione all’Ufficio Ricerche o all’Associazione degli Scrittori, Attori, Artisti e Musicisti irlandesi, in cui escogita tutta una serie di strampalate invenzioni, tra cui un sistema per nuotare nudi con un cappello a cilindro senza bagnarlo, oppure un inchiostro che ubriaca o ancora una marmellata elettrica. Tutte queste scoperte ben si addicono alla singolarità del personaggio, che nonostante mostri una certa indole pratica, volta a facilitare la vita quotidiana dei lettori della rubrica, propone poi idee difficilmente applicabili nella realtà. D’altronde, l’intento dello scrittore non era quello di creare un personaggio perfettamente in linea con la presunta ragionevolezza del mondo reale, ma piuttosto quello di dar vita ad una figura che potesse farsi portavoce della caleidoscopica varietà

3 ANNE CLISSMANN, op. cit., p. 192.

4 STEPHEN JONES, A Flann O’Brien Reader, The Viking Press, New York 1961, p. 162.

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del mondo stesso, adattandosi a qualsiasi circostanza rappresentata tra le colonne della rubrica. Ecco, quindi, affiorare un’altra delle caratteristiche attribuite a Myles da Griffin, ovvero la capacità di raccontare delle storie, di offrire in forma di racconto spaccati diversi della vita dublinese. Leggendo gli articoli di Cruiskeen Lawn non si ha l’impressione di fruire di un giornale, si ha invece l’impressione di sfogliare le pagine di un romanzo a puntate, in cui non si sa mai cosa aspettarsi e soprattutto quale sarà l’oggetto dell’attenzione dell’autore o magari il suo malcapitato bersaglio parodico.

La vis comica è senz’altro un lascito del personaggio di Myles proposto nell’opera teatrale di Boucicault. Quest’ultimo aveva decisamente privilegiato la dimensione umoristica del soggetto in questione, rendendolo molto più affine allo stereotipo dell’Irlandese tipo visto come una sorta di clown, la cui presenza nelle opere letterarie o teatrali aveva spesso come fine ultimo l’intrattenimento del pubblico inglese. Allo stesso tempo, però, Boucicault capovolge un po’ questo stereotipo conferendo al personaggio anche una dimensione eroica, ad esempio permettendogli di salvare una donna. In tal modo veniva nobilitata l’immagine tradizionale degli abitanti d’Irlanda, trasformati in individui coraggiosi, intelligenti e pieni di risorse. O’Brien si inserisce un po’ nella scia di questa operazione scegliendo di far intervenire il personaggio di Myles con tutto il suo bagaglio di umorismo, che però non è mai fine a se stesso, ma è in grado di rappresentare idee, critiche, considerazioni di ogni tipo. Lo humor adottato da Myles coinvolge l’intera rubrica, dando vita a una serie di momenti in cui il comico è declinato in tutte le sue possibili varianti. Egli parte dalla forma più immediata ed intellettualmente più semplice da recepire, ovvero l’umorismo, mostrando un’evidente propensione per il fantastico o l’assurdo, tipico delle sezioni di Cruiskeen Lawn dedicate alla Waama (Irish Writers, Actors, Artists, Musicians Association) o al Research Bureau, in cui vengono proposte iniziative al limite della ragione. Anche il grottesco rientra in questa categoria e gioca un ruolo importante soprattutto nella serie dedicata agli Scocciatori, “The Bores”, dove si offre una presentazione di questi uomini talmente pedanti da risultare ridicoli, oppure nella saccente “tuttologia” professata da “The Brother”. Leggermente più difficile da cogliere è l’ironia che si nasconde all’interno di particolari strutture verbali, in particolare giochi di parole, che costituiscono il fulcro degli articoli dedicati a “The

Plain People of Ireland” o “Keats and Chapman”. Molto più pungente e amaro è invece il riso che si nasconde dietro la satira di Myles, indirizzata in particolare a personaggi e fatti dell’epoca, che diventano bersaglio prediletto delle sue tirate polemiche. L’autore degli articoli prende spesso di mira uomini politici come De Valera, primo ministro e presidente della Repubblica d’Irlanda, che aveva acconsentito alla scissione in due stati del Paese e che Myles disprezzava per vari motivi.5 Anche i boriosi avventori del Gate Theatre, così come altre istituzioni teatrali quali il Gaiety o l’Abbey, insieme ad altre categorie di professionisti tra cui avvocati, medici, accademici, architetti rientrano tra i suoi obiettivi polemici. In ultima istanza, Myles si serve della parodia per veicolare ai suoi lettori l’idea che alcune espressioni universalmente accettate, così come alcuni luoghi comuni, la cui validità era data ormai per scontata, non fossero altro che assurdità. Veicolo prediletto di questa operazione parodica furono le sezioni The District Court e The Myles na Gopaleen Catechism of Cliché. La risata del fanfarone Myles trionfa, quindi, su ogni aspetto della vita dublinese, lasciando però sempre un retrogusto amaro dietro sé. In tempi duri come quelli in cui la rubrica viene redatta, quando si doveva fare quotidianamente i conti con la guerra e con la disperazione ad essa connessa, il riso sembrava essere l’unica speranza per sopravvivere. Per O’Brien, però, esso rappresentava piuttosto l’altra faccia di un’inconsolabile tristezza, tanto che nei panni di Myles arrivò ad affermare che l’umorismo non fosse altro che “lo sguattero della paura e del dolore” e che quindi “brevi momenti di sollievo da una insopportabile sofferenza sono tutto ciò che un individuo ha il diritto di aspettarsi”.6

Fin qui sono state illustrate le caratteristiche pertinenti alla persona di Myles, ma soprattutto alla sua attività giornalistica, che potevano essere state in qualche modo ricavate da O’Brien dai precedenti letterari di cui era stato protagonista. A questo punto, però, risulta altrettanto decisivo per la compilazione di un quadro esaustivo di questa figura, rilevare gli aspetti decisamente originali che O’Brien conferisce a questo

5 Questo aspetto dell’attività giornalistica di O’Brien permette di creare un parallelo con un’altra

figura emblematica del giornalismo, anche se americano. Il soggetto in questione è Ambrose Gwinnet Bierce, scrittore, giornalista e aforista tra i più caustici della realtà americana tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Bierce, precedendo le modalità adottate da O’Brien, riprodusse nei suoi articoli i fatti salienti della realtà americana con un sarcasmo pungente, diventando particolarmente quotato per i suoi attacchi a politici, uomini di malaffare e imprenditori. L'asprezza di questi suoi interventi parodici gli valsero addirittura il nomignolo di “bitter”, l’amaro.

6 Cit. in DANIELE BENATI, op. cit., p. 224.

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suo alter ego all’interno degli articoli della rubrica. Egli non si limita ad adottare questa maschera per firmare i pezzi giornalistici, ma costruisce un personaggio a tutti gli effetti, addirittura dotato di una biografia. Per rappresentarla completamente ai suoi lettori, egli utilizza una tecnica già consolidata agli albori del giornalismo moderno, ovvero la pubblicazione di una storia a puntate. In numeri diversi della testata venivano fornite informazioni sul vissuto di Myles, con la particolarità che queste risultavano essere assolutamente contrastanti tra loro e a volte addirittura impossibili, se valutate in un’ottica logica e razionale. Tutto ciò si spiega riflettendo sul fatto che evidentemente O’Brien non aveva mai avuto alcuna intenzione di creare un personaggio credibile. Ciò probabilmente perchè solo proponendo alcune assurde ed incoerenti notizie sulla vita di Myles, sarebbe sembrato plausibile attribuirgli la paternità delle idee strambe con le quali avrebbe colmato il boccale della sua rubrica. Il parossismo della sua biografia si sarebbe, quindi, riflesso nell’irrazionalità delle sue proposte e avrebbe contribuito a contornarlo di un alone di mistero.

Lo scrittore, tuttavia, sembra a volte eludere questo progetto conferendo a Myles una pseudo-sostanza reale attraverso un riferimento ben preciso al suo nucleo familiare composto dal padre, Sir Myles na Gopaleen, protagonista anche di una serie di articoli dedicati alla sua biografia, dalla madre Lady Gopaleen e dalla sorella Shookra na Gopaleen, che appone addirittura la sua firma su tre articoli pubblicati su Cruiskeen

Lawn, tra il 3 e il 5 dicembre 1956. Aldilà di questo, però, Myles sembra trascendere

qualsiasi limite della realtà, sia spaziale che temporale, a cominciare dalle vicende relative alla sua nascita. Il 16 giugno 1946 egli dichiara di essere nato a Montevideo nel 1646 e due anni dopo invece pone le sue origini prima a Parigi nel 1801 e poi a Londra nel 1864. La sua discendenza è nobile o umile a seconda delle evenienze, ad esempio nella capitale francese si presenta come il figlio di un illustre diplomatico, che occupa la carica di Primo Console. Non a caso questo era uno dei titoli di cui si era fregiato Napoleone Bonaparte a seguito della sua ascesa al potere in Francia. Già così emerge una delle caratteristiche di Myles, ovvero l’innata capacità camaleontica di adattarsi perfettamente ad ogni circostanza. Egli plasma se stesso, e di conseguenza la propria esistenza, in base alla questione che andrà ad affrontare nei suoi articoli. La sua è una personalità polimorfa, capace di assumere un’identità precisa a seconda dello stato d’animo o dell’obiettivo satirico in questione. Se, ad esempio, nell’articolo si

affrontano questioni relative alla musica, ecco che immediatamente lo ritroviamo allievo di Scarlatti e intrattenitore di Kreisler con dei virtuosistici assoli di violino. Quando invece l’argomento tocca l’ambito scientifico o filosofico, egli si dichiara assolutamente autorizzato ad esporre il proprio punto di vista, avendo formato, con la sua erudizione, personalità del calibro di Einstein o di altri illustri filosofi europei, tanto che Kierkegaard era arrivato a definirlo “the communicator of truth”. Per non parlare della sua totale legittimazione ad affrontare questioni letterarie, avvalorate dalle sue illustri frequentazioni: era stato infatti compagno di bevute del padre di Joyce e poteva vantarsi di avere una confidenza tale con il grande poeta latino Orazio, da chiamarlo addirittura zio.

Clissman riesce a cogliere perfettamente nel segno di questo personaggio, offrendone una descrizione sintetica ma assolutamente efficace:

Myles in Cruiskeen Lawn developed into a many-headed hydra, an indefinable character who changed his personality with each thing he satirised. He was a multiplicity of characters – at once a Dublin “gutty”, a famous journalist, an art critic, banker, archaeologist, inhabitant of Santry, aesthete, civil servant, social commentator, and anything else he wanted to be according to the dictates of his mood or as a likely subject for satire or parody presented itself.7

In effetti O’Brien non aveva mai accettato la visione monologica delle cose, egli stesso aveva in un certo senso moltiplicato la propria esistenza assumendo tutta una serie di maschere differenti ed adattando ognuna ai diversi momenti della sua vita e della sua carriera. Considerava un dono, un talento esclusivo dello scrittore, quello di riuscire ad adeguare la personalità, il modo di vedere ed interpretare il mondo in base alle necessità dell’espressione letteraria. Lo stesso accade con questo suo ennesimo alter ego che respira i profumi di vari secoli agendo sempre da protagonista. Myles si mostra uomo di grande esperienza in quasi tutti gli ambiti e non rimane mai nell’ombra, prendendo parte a moltissimi eventi storici e mostrandosi particolarmente attivo in politica. Afferma con orgoglio di aver aiutato il primo ministro francese Clemenceau a ristabilire l’ordine in Francia, ma anche di aver combattuto per la tutela delle minoranze nazionali durante la Grande Guerra. A suo dire, era stato anche coinvolto nel governo irlandese, incaricato di sorvegliare i territori che affacciavano sul Mare d’Irlanda, essendo questi facili bersagli di un eventuale attacco britannico.

7 ANNE CLISSMANN, op. cit., p. 192.

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Era stato anche costretto a richiamare più volte il ministro delle Filippine e ad aprire un’inchiesta sul regime politico adottato in Portogallo. Il suo operato era stato talmente apprezzato, che Myles era riuscito con fatica a declinare gli inviti pressanti a presentarsi come futuro presidente irlandese, soprattutto dopo aver giustamente consigliato al presidente americano Truman di non annettere la Russia agli Stati Uniti. In un certo senso, quindi, Myles agisce come uno statista che si muove sempre negli interessi dello Stato e che, grazie al suo peso politico, riesce a far attuare le sue