condivideva-no le perplessità manifestate dai giurati cittadini. Anche la deputazione parlamentare del Capo di Sopra appariva spaccata al suo interno: il go-vernatore, il consigliere del Tribunale dell'Inquisizione ed il rappre-sentante del Militare difendevano gli interessi della Corona, mentre l'arcivescovo ed il giurato capo respingevano, con differenti motivazio-ni, il progettato inasprimento fiscale. Dopo essersi consultati con il vi-ceré, i restanti membri della giunta, temendo l'insorgere di pericolose
«emozioni popolari», passarono all'azione e decapitarono sul nascere ogni resistenza arrestando il Casalabria ed ammonendo severamente l'Ansaldo nei confronti del quale, per le funzioni che ricopriva, si ri-
24 Per i riferimenti a questa impopolare contribuzione ed alle resistenze del Consi-glio civico cfr. ACA, Consejo de Aragón, leg. 1140, Cagliari 2 settembre 1627, lettera del vi-ceré a Filippo IV.
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tenne opportuno fare ricorso alle minacce rinunciando all'uso palese della forza 25.
Anche l'azione esercitata dal potere regio nei confronti degli eccle-siastici renitenti al pagamento del donativo fu rapida e decisa. L'arcive-scovo di Sassari venne indotto a modificare la propria condotta ed ot-tenne in cambio alcune grazie sovrane 26. L'opposizione dei prelati di Ampurias ed Oristano perdurò invece a lungo, perché essi fecero inter-venire a loro difesa la curia romana. La richiesta di protezione non con-seguì però gli effetti sperati. Il conte di Oliate, ambasciatore spagnolo presso la Corte pontificia, chiese ed ottenne dal papa l'autorizzazione ad effettuare un'esecuzione forzata sui beni degli episcopi renitenti 27. Alla lettera di diffida inviata dal vescovo di Castelsardo ai membri della de-putazione quest'ultima (autorizzata dal sovrano) rispose con un seque-stro dimostrativo che indusse i prelati a pagare il tributo dovuto 28.
4. L'efficienza e la rapidità d'azione dimostrata dalle due deputazioni nel-l'organizzare le procedure di raccolta del donativo e nel trovare giustifi-cazione alle violazioni delle leggi del Regno effettuate dal viceré per acce-lerare e semplificare la spedizione di consistenti quantità di cereali, l'as-senso alla vendita di beni della Corona già impegnati con precedenti con-tratti pubblici e l'invio fuori Regno di moneta argentea costituiscono un emblematico segno della loro subordinazione agli interessi della Corona.
I membri delle due giunte erano stati infatti proposti all'incarico tenendo conto quasi esclusivamente della loro fedeltà al sovrano e del sostegno da loro offerto alla politica dell'Olivares. Sulla lealtà del marchese di Vil-lasor, Prima voce dello Stamento militare, non potevano sussistere dub-bi di sorta poiché la casata a cui egli apparteneva si era schierata con la monarchia anche quando essa aveva violato i privilegi del Regno.
25 E viceré comunicò al sovrano che il tentativo ostruzionistico era stato inizialmente appoggiato dall'arcivescovo di Sassari. Cfr. ACA, Consejo de Aragón, leg. 1180, lettera vice-reale, 2 settembre 1626.
26 E sovrano concesse infatti il titolo di cavalierato aí nipoti Diego ed Andrea Passa-mar. Cfr. ACA, Consejo de Aragón, leg. 1141 cit.
27 Per l'opposizione dei vescovi si veda l'informativa spedita dal viceré al Consiglio d'Aragona in data 8 agosto e 13 settembre 1626, cfr. ACA, Consejo de Aragón, leg. 1180. Nel medesimo legajo abbiamo individuato una lettera inviata dal vescovo di Ampurias alla de-putazione in data 7 settembre 1628 nella quale egli diffidava la giunta dal procedere alle ventilate esecuzioni e la informava di avere spedito una supplica al sovrano per chiedere l'esenzione dal tributo.
28 ACA, Consejo de Aragón, leg. 1360, lettere dell'ambasciatore di Spagna a Filippo IV:
Roma, 12 ottobre 1626, 16 febbraio 1627, 16 ottobre 1627.
L'arcivescovo Machín (che in precedenza era stato Maestro genera-le dell'ordine mercedario ed autorevogenera-le predicatore di corte) offrendo personalmente 3000 ducati aveva già dimostrato il suo attaccamento agli interessi della monarchia; Melchiorre Pirella, commissario del San-to Uffizio, era staSan-to già beneficaSan-to dal sovrano con la concessione del ti-tolo di cavaliere e la promessa di una non lontana nobiltà ad alcuni suoi parenti.
Tra i membri della giunta il ruolo dei consiglieri finì dunque con l'essere del tutto marginale: troppi erano infatti i mezzi che il governo vi-ceregio era in grado di utilizzare per piegare la volontà del rappresentan-te municipale. Nel Capo di Sassari e Logudoro facevano parrappresentan-te della de-putaci (3 il nobile Enrico de Sena, governatore di Sassari (che sostituiva il viceré ma poteva essere da lui estromesso in qualsiasi momento); don Michele Comprat, amico del marchese di Bayona (dal quale sperava di ottenere numerosi vantaggi); Bernardo Luis Cotoner, consigliere del Tri-bunale dell'Inquisizione (che aspirava ad incarichi più prestigiosi e sape-va che essi dipendesape-vano dall'impegno con cui avrebbe appoggiato nell'i-sola i disegni della Corona). In tale contesto l'arcivescovo di Sassari Pas-samar e il primo consigliere Francesco Maria Ansaldo, pur tentando una velata resistenza, non erano in grado di opporsi alle decisioni viceregie.
Per l'azione esercitata da questi personaggi, sia nel Nord che nel Sud dell'isola, le deputazioni svolsero i compiti loro affidati con assoluta ade-renza agli interessi della Corona perseguendo solo marginalmente gli obiettivi indicati nelle petizioni presentate alle Corti del 1626.
Superate le resistenze emerse nei consigli di città e tra il clero, i due organi cercarono di organizzare anche la struttura amministrativa che avrebbe dovuto sovraintendere alla colletta. Come si è già accennato, al-cune suppliche presentate dagli Stamenti 29 chiedevano che per la noto-ria esosità degli ufficiali regi la raccolta e la custodia del denaro venisse sottratta alla Tesoreria del Regno. I membri delle due giunte, a cui era stata affidata la responsabilità della raccolta, avrebbero dovuto nominare degli ufficiali coadiutori sia per contabilizzare il denaro ricevuto sia per amministrare le uscite a favore del tercio. A tal fine, a Sassari ed a Caglia-ri le deputazioni fecero predisporre due robuste casseforti (con tre chia-vi affidate a tre differenti membri della Giunta) e nei mesi stabiliti per la colletta si impegnarono a presenziare al pagamento delle rate effettuato dai commissari del donativo, al loro contestuale versamento nella cassa-forte ed al rilascio delle ricevute. Le entrate ed i dati complessivi dove-
29 Parlamento, doc. 176, richieste 2 e 13.
vano essere infine trascritti nel libre mayor custodito nella cassa delle tre chiavi unitamente al denaro collettato 30.
La prima rata del donativo, pari ad 80.000 scudi, venne raccolta tra l'estate del 1627 e l'inverno del 1628 senza fare ricorso alle solite requi-sizioni. In base ai patti sottoscritti con la Corona il denaro doveva resta-re nelle mani delle deputazioni, che avresta-rebbero dovuto pagaresta-re il soldo dei militari del tercio servendosi di lettere di cambio. Per rendere più tempestivi í pagamenti ed uniformare le procedure del Regno di Sarde-gna a quelle adottate dagli altri Parlamenti il viceré Bayona convinse i due organi a versare il donativo nelle casse della Tesoreria generale della Corona cui affluivano le entrate provenienti da tutti i territori dell'impe-ro e a delegare ad essa il mantenimento dei soldati.
Tuttavia, poiché la principale condizione posta dagli Stamenti per pagare il tributo era quella di ottenere che negli altri dominii spagnoli venissero spediti prodotti agricoli e non moneta argentea, occorreva sot-toscrivere un asiento con un gruppo di mercanti impegnando contempo-raneamente le giunte del donativo a cedere ai titolari del contratto gli 80 mila scudi del servizio e questi ultimi a spendere in Sardegna gran parte dell'ingente somma nell'acquisto di grano e di bestiame che essi avreb-bero dovuto poi rivendere all'estero ". I titolari dell'asiento erano tenuti ad offrire in corrispettivo alla Corona una lettera di cambio di 80 mila scudi pagabili, pronta cassa, presso il Banco di San Giorgio di Genova.
Date le circostanze, l'operazione finanziaria si rivelò vantaggiosa per il Regno. Infatti il cambio della valuta fu abbastanza favorevole ed il Re-gno ottenne per ogni lira sarda tre lire genovesi 32. Nelle casse della Co-rona entrarono pertanto 328.000 lire genovesi anziché le 300.000 inizial-mente preventivate ". Anche la seconda rata del donativo venne riscossa
30 La contabilità sul donativo, compilata dalle due deputazioni nel quindicennio 1627-1642, è attualmente conservata presso l'Archivio di Stato di Cagliari, vedila in ASC, AAR, Donativi; b. 123, voll. B12, B13, B14, B15, B16, B17, B18, B19. Ad eccezione dei regi-stri B12 e B14, che costituiscono l'unica documentazione originale, i restanti furono compi-lati ex novo per ordine del giudice Castro durante la visita contabile da lui effettuata in Sar-degna tra il 1636 ed il 1642.
31 Sui criteri stabiliti dal Real Consiglio per la sottoscrizione dell'asiento e sulle offerte presentate da singoli mercanti e da gruppi di monopolisti: ACA, Consejo de Aragón, leg.
1140, lettera del viceré Bayona, 10 aprile 1628.
32 L'anno precedente, sulla base di questo parametro, era stato firmato il contratto ri-guardante la spedizione delle somme raccolte con le bolle per la Santa Crociata: ACA, Con-sejo de Aragón, leg. 1140, lettera del viceré al sovrano, Cagliari, 18 aprile 1626.
33 ACA, Consejo de Aragón, leg. 1140 cit., lettere del viceré in data 28 settembre, 21 e 23 novembre 1628. I meccanismi monetari e le transazioni commerciali adottate dal Regno
con facilità ed il viceré fu in grado, nel novembre 1628, di annunciare al sovrano che il denaro era disponibile e poteva essere inviato a Geno-va seguendo le stesse modalità dell'anno precedente.
5. Come è noto, la crisi finanziaria del 1627 — che costrinse la Corona a sottoscrivere ulteriori impegni per mantenere gli eserciti che combat-tevano nel Mantovano e nelle Fiandre — spinse verso il collasso le fi-nanze statali. Per sopperire alle necessità più urgenti Filippo IV fu co-stretto a rivolgersi nuovamente alle istituzioni dei singoli regni chieden-do un ulteriore soccorso straordinario. In tale contesto, nell'aprile 1628 la Corona invitò le città di Cagliari e di Sassari ad offrire 20.000 ducati prendendoli a censo da terzi e scontando con essi il debito dalle rate dal donativo della Unión non ancora pagate. Sei mesi più tardi l'esposi-zione finanziaria della Corona (impegnata su vari fronti di guerra) si ac-centuò ulteriormente tanto che il sovrano inviò alle medesime città un'ulteriore richiesta di aiuto per altri 30.000 ducati motivata con le spese straordinarie affrontate per sopperire alle necessità degli eserciti che combattevano in Germania e nel Monferrato 34.
Sebbene le trattative per la concessione del primo prestito fossero ancora in atto, le città si accordarono col viceré per soddisfare le ri-chieste di Filippo IV stipulando con alcuni mercanti un censo i cui in-teressi avrebbero dovuto essere pagati dalla Tesoreria reale ". L'abilità del Bayona, che per raggiungere i suoi fini fece leva su promesse di gra-zia e sul sentimento dell'onore e della fedeltà, spinse il Regno a soddi-sfare le crescenti esigenze della Corona. A garanzia dei censi sottoscrit-ti dalle città per complessivi 110.615 scudi (85.615 dei quali vennero posti a carico della città di Cagliari e 25.000 di quella di Sassari) furono però ceduti ad esse, in garanzia del credito, i redditi che la regia cassa traeva dalle dogane di Sassari, dalle peschiere di Cagliari e dai 2/3 del-le rendite dell'incontrada dí Parte Ocier, impoverendo ulteriormente le entrate regie.
Inoltre, nell'ambito dei soccorsi militari, invertendo le procedure
di Sardegna appaiono assai simili a quelle rilevate dall'Aymard in Sicilia, cfr. M. AYMARD, I genovesi e la Sicilia durante la guerra dei Trent'anni Il bilancio d'una lunga crisi finanziaria, in «Ri-vista Storica Italiana», XXXIV (1972), fasc. IV, p. 983 ss.
34 Cfr. ACC, Sezione Antica, Deliberazioni del Consiglio Generale, b. 39 ter, doc. 16, verbale del Consiglio civico di Cagliari in data 5 maggio 1628. Per ulteriori indicazioni si veda inoltre ASC, Real Patrimonio, p. 11, c. 37; p. 13, c. 6.
35 ACC, Sezione Antica, b. 39 ter cit. doc. 17. Per il contratto con i mercanti Nater, Moyran, Malonda, ecc. vedi inoltre ASC, Real Patrimonio, p. 13, cc. 6, 21, 26.
attuate l'anno precedente, la seconda rata del donativo dell'Ungo/ venne pagata parzialmente in natura. Nell'autunno del 1629 sí dispose infatti la colletta di 60.000 starelli di grano (per un valore complessivo di 69.000 scudi) che tramite i mercanti Gabella, Nater, Martí, Or& ed altri privati furono inviati, su navi genovesi, all'esercito stanziato nei pressi di Pavia ed alla città di Milano, dove la carestia e la pestilenza iniziavano a far sentire i loro devastanti effetti.
Come è noto, gli sforzi fatti da Filippo IV per contenere l'offensiva dei nemici si rivelarono insufficienti. La «lega difensiva» stretta dal Ri-chelieu e da Carlo Emanuele di Savoia il 20 marzo 1629, ponendo in di-scussione il predominio spagnolo in Italia, spinse il sovrano a ricercare l'aiuto delle milizie tedesche che avrebbero dovuto assicurare la vittoria alle armi imperiali 36.
Per venire incontro alle rinnovate esigenze militari il marchese di Bayona dovette impegnarsi a garantire l'invio di altri 100.000 ducati 37. A tal fine egli ricevette l'ordine di porre all'incanto le tonnare e diversi al-tri beni appartenenti al sovrano. Malgrado la resistenza degli arrendatori, alcune vendite relative a beni appartenenti al patrimonio regio furono perfezionate e fruttarono all'erario non meno di 80.000 ducati ".
Le drammatiche condizioni finanziarie in cui la Corona venne a tro-varsi tra il 1629 e il 1630 spinsero Filippo IV a chiedere al viceré di sot-toscrivere altri contratti pluriennali di asiento offrendo in garanzia del patto le entrate del donativo e quelle che la Tesoreria del Regno di Sar-degna avrebbe introitato dalle «sacche» dí esportazione.
Nel quindicennio 1624-1641 la monarchia, tra imposizioni fiscali e rendite, riuscì dunque a trarre dalla Sardegna una somma non inferiore a 3.400.000 di lire sarde, pari a 1.360.000 ducati.
Il pesante drenaggio fiscale a cui l'isola venne sottoposta nel quindi-cennio 1626-1641 ed il susseguirsi delle cattive annate agrarie detenni-
36 Sulla situazione italiana e sulle strategie politiche seguite dall'Olivares e dal Riche-lieu per assicurarsi il predominio nella penisola oltre al classico lavoro del n IIAZZA, Storia politica d'Italia. Preponderanza spagnola, 1559-1700, Milano, 1950, si veda ora l'esemplare ri-cerca di J. H. ELLIOT, Richelieu e Olivares, Torino, 1990, p. 81 ss.
" Per quest'ultima richiesta e la spedizione dei cereali fuori Regno cfr. ASC, AAR, Real Patrimonio, p. 12, cc. 78, 193, 202, 226, 236; p. 13, c. 42.
38 Sulla questione della vendita delle tonnare e della scrivania della Luogotenenza ge-nerale, che tra ricorsi, stime e controperizie si trascinò per diversi anni cfr. ASC, AAR, Real Patrimonio, p. 13, cc. 80, 166, 182-186, 189, 304, 305, 546-548, 660-661. Per ulteriori indica-zioni su queste vicende G. DONEDDU, Le tonnare in Sardegna (1500-1800), in «Società e Sto-ria», n. 21, 1983, pp. 285-329; U. PETRONIO, La proprietà dello stagno di Cabras, in Studi in onore di G. D 'Amelio cit.
narono così un'inversione del ciclo produttivo che avviò il Regno verso la stagnazione economica.
La crisi finì per incidere pesantemente anche sui guadagni degli spe-culatori. Sebbene avessero versato anticipatamente al sovrano le somme pattuite, essi riuscirono ad esportare realmente dall'isola un numero di starelli di grano inferiore del 30% rispetto a quello stabilito nei contratti di asiento, esponendo il gruppo finanziario (composto da Ordà, Nater, Mani, Moiran, Comprat e alcuni altri speculatori) a crescenti rischi.
L'incremento della pressione fiscale non avvantaggiò neppure la Co-rona, che fu costretta a destinare le cinque rate del donativo e gli altri tributi pagati dal Regno tra il 1631 e il 1641 alle necessità degli eserciti che combattevano nell'Italia settentrionale e a tentare di appianare i de-biti che aveva accumulato con i Fugger 39.
Il contributo offerto dall'isola andò tuttavia decrescendo. Se nel pri-mo quinquennio (1626-1631) l'esazione del donativo venne accompa-gnata da misure di giustizia fiscale che tesero a far pagare i contribuenti in rapporto al patrimonio posseduto nel decennio 1631-1641, le offerte a carattere volontario dei magnati del Regno si ridussero ed i ceti rurali ed urbani manifestarono una crescente riluttanza a pagare il donativo perché i loro redditi erano stati progressivamente falcidiati dal monopo-lio commerciale imposto dagli asientisti sull'intero sistema produttivo isolano e dal lievitare delle imposizioni fiscali sui prodotti di largo con-sumo (farina, vino, olio, ecc.).
Dalle verifiche effettuate nel 1641 dal giudice Francesco Castro sui libri contabili presentati dalle due deputazioni emersero infatti alcuni dati particolarmente significativi: i versamenti arretrati del donativo, re-lativi al decennio 1631-1641, risultarono nel Capo di Cagliari pari a 2,6 rate annuali ed in quello di Sassari raggiunsero le 4,7 rate 40. Anziché creare le condizioni per ridurre le eccessive sperequazioni fiscali, il do-nativo del 1626, per il modo in cui la Corona attuò la sua politica finan-ziaria, finì pertanto con il rafforzare anche in Sardegna gli aspetti dete-riori del fiscalismo spagnolo.
" Nel 1631 la monarchia destinò ai medesimi fini anche una rimessa del Regno di Si-cilia. Il Trasselli nel rilevare il deposito di 50 mila scudi siciliani presso il Banco di San Giorgio a favore dei Fugger definì però il fatto del tutto eccezionale; cfr. C. TRASSELLI, I ge-novesi e la Sicilia durante la Guerra dei Trent'anni. Finanza genovese e pagamenti esteri (1629-1643), in «Rivista Storica Italiana», LXXXIV (1972), cit., p. 984. Sul rapporto con i Fugger si sofferma ampiamente A. DOMINGUEZ ORTIZ, Politica y hacienda de Felipe IV cit., pp. 146-147.
40 Per le verifiche effettuate dal giudice Castro e dal visitatore Francisco Azcón cfr.
ACA, Consejo de Aragón, legg. 1173, 1137, 1360, 1233. Ulteriori indicazioni sono reperibili in ASC, AAR, Donativi, BI, B17, BI8, BI9 cit.
6.
La concessione dei titoli di cavalierato e nobiltà
1. L'approvazione nemine discrepante della politica di Unión de Armas e dell'oneroso donativo ad essa collegato è da attribuire alla convinzione, largamente diffusa tra i membri degli Stamenti, che il patto difensivo tra i regni della Corona e la gestione in comune delle forze marittime e mili-tari spagnole avrebbero consentito alla Sardegna di difendersi sia dalle scorrerie barbaresche sia dai tentativi di invasione simili a quello che gli inglesi avevano affettuato a Cadice. A queste motivazioni se ne affianca-rono tuttavia delle altre di natura privata, che indussero anche i delegati più restii a partecipare ad un Parlamento straordinario o ad inviarvi dei procuratori. Dall'analisi dei memoriali allegati alle richieste di grazia pre-sentate al sovrano si trae infatti la convinzione che molte delle suppliche dei delegati parlamentari siano state scritte dopo aver ricevuto dal viceré o dal reggente Blasco precise assicurazioni sul felice esito delle richieste.
Nelle Corti del 1626 la tendenza a largheggiare in promese di titoli fu uno dei tratti salienti della politica reale. Essa emerge con chiarezza dal-la corrispondenza intercorsa fra il presidente del Pardal-lamento ed il Con-siglio d'Aragona.
Il 27 maggio 1626 il marchese di Bayona, nell'informare il sovrano sull'avvenuta approvazione dell'ingente donativo, sottolineò il fatto che i membri degli Stamenti chiedevano in cambio di tale offerta solo gratifi-cazioni onorifiche'.
Le richieste di grazia e di titoli nobiliari che compaiono nella rela-zione inviata dal viceré sono 103. Esse risultano in numero quasi doppio rispetto ai delegati effettivamente presenti alle Corti e pari al 52% delle procure inviate 2. In effetti nel Parlamento del 1626 il sovrano concesse un numero di titoli non molto inferiore a quelli rilasciati in tutto il XVI secolo. Il fenomeno non deve però essere considerato come atipico: esso appare anzi in linea con quanto andava verificandosi in tutto l'Impero.
Come è noto, durante la guerra deí Trent'anni Filippo IV rilasciò un nu-
ACA, Consejo de Aragón, leg. 1140, relazione del viceré Bayona al sovrano, Cagliari 27 maggio 1626.
2 Dal conteggio abbiamo escluso i sei pretendenti al comando deí tercios e gli aspiran-ti alle 24 cariche di ufficiale che fanno ulteriormente lievitare la percentuale.
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mero così elevato di gratificazioni per ricompensare servizi civili e mili-tari o per incamerare risorse finanziarie da determinare una vera e pro-pria inflazione di titoli nobiliari.
Le fonti ci consentono anche di individuare quali siano stati gli stra-ti della società interessastra-ti ad ottenere quei riconoscimenstra-ti, considerastra-ti come indispensabile premessa alla propria ascesa sociale ed economica.
L'ascesa iniziava col cavalierato, che era richiesto dai figli cadetti di famiglie nobili, amministratori di feudi, soldati, miliziani, fratelli e nipoti di prelati e, soprattutto, commercianti, agiati possidenti, ufficiali regi 3.
Tab. 3. Titoli nobiliari richiesti e concessi nel Parlamento del 1626.
Richiedenti Cavalierato
richiesti concessi
Nobiltà richiesti concessi
Magistrati 1 1
Feudatari non nobili — 1 1
Reggitori di feudi 1 1
Parenti di ecclesiastici 2 2 2 2
Parenti di ecclesiastici 2 2 2 2