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Gestione esclusiva degli amministratori nella S.r.l.

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

Consulenza Professionale alle Aziende

TESI DI LAUREA

Gestione esclusiva degli amministratori nella S.r.l.

Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Lucia Calvosa

Candidato: Alice Martorana

(2)

INDICE

INTRODUZIONE

1

CAPITOLO I

3

DALLA S.R.L. DEL 2003 ALLA S.R.L. DEL CCII

3

1.1 La S.r.l. del 2003 3

1.2 L’autonomia statutaria 4

1.3 Il problema delle lacune 9

1.4 La rilevanza centrale del socio 11

1.5 Alcune critiche 13

1.6 Il diritto societario della crisi 15

1.7 La predisposizione degli adeguati assetti organizzativi dell’impresa 19 1.7.1 L’obbligo di adeguatezza organizzativa per l’imprenditore individuale 20 1.7.2 L’obbligo di predisporre adeguati assetti organizzativi nell’impresa in forma

societaria 21

1.7.3 L’obbligo di predisporre adeguati assetti organizzativi in funzione della rilevazione dei segnali di crisi e di perdita della continuità aziendale 23 1.7.4 Le misure previste per la gestione e il superamento della crisi e per il recupero della

continuità aziendale 25

1.7.5 La Business Judgement Rule 27

1.7.6 L’obbligo di predisporre adeguati assetti organizzativi quale regola transtipica 28

1.8 La gestione esclusiva degli amministratori 29

1.8.1 Incostituzionalità della norma 31

1.8.2 L’interpretazione “riduzionista” 32

1.8.3 L’interpretazione funzionale 34

(3)

CAPITOLO II

39

LE COMPETENZE DECISORIE DELLA COLLETTIVITÀ DEI SOCI 39

2.1 Il modello legale di ripartizione di competenze tra soci e amministratori 39

2.1.1 Le materie di competenza degli amministratori 40

2.1.2 Le materie di competenza dei soci 41

2.2 L’attribuzione di competenze ai soci da parte dell’atto costitutivo 50 2.3 L’attribuzione ai soci di competenze da parte di uno o più amministratori o di tanti

soci che rappresentino un terzo del capitale sociale 52

2.4 Le deroghe al diritto di uno o più amministratori o di tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale di sottoporre argomenti all’approvazione dei soci 56

2.5 Il diritto dei soci di convocare l’assemblea 61

2.6 Il ruolo degli amministratori in presenza di competenze gestorie dei soci 64 2.7 Le decisioni dei soci alla luce del principio di esclusività della gestione in capo agli

amministratori 67

CAPITOLO III

73

I DIRITTI PARTICOLARI RELATIVI ALL’AMMINISTRAZIONE

73

3.1 Considerazioni generali 73

3.2 Ambito di applicazione soggettivo 76

3.3 Ambito di applicazione oggettivo 80

3.4 Il contenuto dei particolari diritti relativi all’amministrazione della società 84

3.5 La modifica dei particolari diritti 90

3.6 Il trasferimento dei particolari diritti 95

3.6.1 Configurabilità di categorie di quote 98

3.7 I particolari diritti relativi all’amministrazione della società alla luce del principio di

(4)

CAPITOLO IV

105

LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI PER ATTI DI GESTIONE

105

4.1 Ratio della norma 106

4.2 Presupposti applicativi 110

4.3 Socio gestore di fatto e amministratore di fatto 111

4.4 Il rapporto di solidarietà tra soci e amministratori 115

4.5 La condotta oggettiva 119

4.6 L’avverbio “intenzionalmente” 123

4.7 Applicabilità alla S.p.a. 126

4.8 La responsabilità dei soci alla luce del principio di esclusività della gestione in capo

agli amministratori 129

CONCLUSIONI

133

(5)

1

INTRODUZIONE

Il decreto legislativo n.14 del 12 Gennaio 2019, denominato “Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017 n.155”, non ha solamente operato una revisione dell’attuale diritto delle procedure concorsuali, ma ha anche introdotto specifiche previsioni destinate a modificare disposizioni del codice civile, relative a norme del diritto societario e del diritto dell’impresa, così creando un “ponte sistemico” tra il diritto della crisi, il diritto societario e il diritto dell’impresa. In particolare, l’articolo 377, rubricato “Assetti organizzativi societari”, ha modificato il primo comma dell’articolo 2475 c.c., prevedendo che «la gestione dell’impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all'articolo 2086,

secondo comma, e spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale».

È stato, in tal modo, esteso alla S.r.l. il principio di esclusiva spettanza della gestione agli amministratori, originariamente dettato per la S.p.a. dall’articolo 2380-bis.

L’introduzione della disposizione di cui all’articolo 2475 c.c. pone un problema di coordinamento e compatibilità con le norme della disciplina della S.r.l. che riconoscono ai soci la possibilità di ingerirsi nella gestione societaria: l’articolo 2479, comma 1 c.c., che consente di affidare competenze gestorie alla collettività dei soci; l’articolo 2468, comma 3 c.c., che prevede la possibilità di attribuire a singoli soci particolari diritti relativi all’amministrazione della società; l’articolo 2476, comma 7 c.c., che stabilisce che sono responsabili, solidalmente con gli amministratori, i soci che abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.

Tale intervento legislativo sembra porsi in posizione antitetica rispetto a quella assunta della riforma del 2003, nella quale il legislatore aveva inteso affrancare il modello della S.r.l. da quello della società azionaria, dotandola di una disciplina autonoma e flessibile, e aveva lasciato all’autonomia negoziale la possibilità di regolamentare i rapporti interorganici.

Il presente lavoro intende verificare l’impatto della nuova disposizione sul tessuto normativo previgente e analizzare la riformulazione del sistema di governo societario.

Al tal fine, nel primo capitolo si esaminano, dapprima, alcuni aspetti rilevanti della disciplina della S.r.l. del 2003, caratterizzata dal principio di autonomia negoziale e di centralità del socio; successivamente si analizza la regola di adeguatezza degli assetti organizzativi introdotta dall’articolo 2086, comma 2 c.c., che viene reiteratamente richiamata dalla disciplina dell’amministrazione di tutti i tipi societari; infine, si illustrano le interpretazioni del principio di esclusiva competenza gestoria degli amministratori di S.r.l. proposte dalla dottrina.

(6)

2 Nei capitoli successivi, si analizza la disciplina delle tre suddette norme, la cui portata deve essere riconsiderata alla luce della regola di spettanza esclusiva della gestione agli amministratori.

In particolare, il secondo capitolo ha ad oggetto la disamina della disposizione di cui all’articolo 2479, comma 1 c.c., norma cardine nella definizione del riparto di competenze tra soci e amministratori nella S.r.l.; il terzo capitolo esamina la disciplina dell’articolo 2468, comma 3 c.c., con riferimento ai particolari diritti relativi all’amministrazione della società; il quarto capitolo analizza la disposizione del penultimo comma dell’articolo 2476 c.c., che stabilisce la responsabilità dei soci, in solido con quella degli amministratori, per gli atti di mala gestio.

(7)

3

CAPITOLO I

DALLA S.R.L. DEL 2003 ALLA S.R.L. DEL CCII

1.1 La S.r.l. del 2003

La riforma del diritto societario, realizzata dal d. lgs. n.6 del 17 gennaio 2003, ha riconfigurato1 la disciplina della società a responsabilità limitata, con l’intento di affrancarla dal modello della S.p.a. e di rilanciarla nel panorama delle imprese italiane2.

L’intervento riformatore intendeva proporre un modello che si adattasse maggiormente alle imprese di medio/piccole dimensioni, in modo tale da ridurre il ricorso al modello della società per azioni-riservata alle imprese di grandi dimensioni-e, allo stesso tempo, limitare il campo delle società di persone, destinate alle imprese di piccolissime dimensioni3.

Nel codice del ’424 la S.r.l. era concepita come una “piccola società per azioni senza azioni”, dal momento che la sua disciplina era ispirata al modello della S.p.a. 5 e conteneva numerose norme di rinvio alle disposizione del tipo azionario6.

La dose di rinvii alle norme inderogabili della S.p.a. aveva trasferito al modello della S.r.l. «rigidità e oneri eccessivi rispetto al modello economico di riferimento»7. Infatti la s.r.l. è un modello pensato per le imprese di medio-piccole dimensioni, al quale è precluso il ricorso al mercato del capitale di rischio. La compagine sociale è costituita da un numero ristretto di soggetti che assumono la veste di soci imprenditori8, che sono coinvolti nella negoziazione delle regole statutarie, che partecipano alla gestione in maniera diretta o esercitando la propria

1CAGNASSO O., La “nuova” società a responsabilità limitata, in La società a responsabilità limitata, Tratto di

dir. comm. diretto da G. Cottino, Padova, 2007, p.4 parla di «frattura» rispetto alla disciplina precedente.

Contrariamente BENAZZO P., La " nuova " s.r.l . tra rivoluzione e continuità : il ruolo degli interpreti, in Riv. Soc., 2006, 4, p. 649 ritiene che la disciplina della S.r.l. post riforma del 2003 non rappresenti un’effettiva innovazione rispetto al modello del codice del ’42.

2 BENAZZO P., op. cit., p. 649.

3 NIGRO A., La società a responsabilità limitata nel nuovo diritto societario: profili generali, in La nuova

disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di Vittorio Santoro, Milano, 2003, p. 5; CAGNASSO O., op. cit., p.1

4 Per un excursus dell’evoluzione della disciplina della S.r.l. si rinvia a CAGNASSO O., op. cit., p.4 ss. 5 ZANARONE G., Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv. Soc., 2003, 1, p. 60. 6 NIGRO A., op. cit., p. 3.

7 Così si legge nella relazione illustrativa allo schema del disegno di legge predisposto dalla Commissione di studio

presieduta da A. Mirone (relazione Mirone). La dottrina ha, però, affermato che la S.r.l. del ’42 presentava margini di flessibilità maggiori rispetto a quella del modello azionario. Secondo tale dottrina la riconduzione della S.r.l. a sorella minore della S.p.a. è avvenuta per opera della giurisprudenza. Di questo parere ZANARONE G.,

Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv. Soc., 2003, 1, p. 64; BENAZZO P., L’organizzazione nella nuova s.r.l. fra modelli legali e statutari, in Società, 2003, 8, p. 2 (in banca dati Leggi

d’Italia).

8 Nella Relazione Mirone i «soci imprenditori» sono definiti come «soggetti che investono capitali propri in una

(8)

4 influenza, o che comunque sono interessati a vigilare sulla gestione9. Questi soci sono pienamente consapevoli delle proprie decisioni e, pertanto, perfettamente in grado di autotutelarsi10.

D’altra parte alla S.p.a., anche nella versione chiusa, è riconosciuta la possibilità di finanziarsi tramite il ricorso al mercato del capitale di rischio. Da ciò consegue la presenza, nella compagine sociale, di soci investitori, ovvero soggetti che non sono in grado di tutelarsi attraverso la partecipazione alla formazione delle clausole statutarie, né di capire le conseguenze pregiudizievoli delle stesse11. La tutela di questi soci è garantita dalla presenza di norma imperative.

Poiché la compagine associativa della S.r.l. è tendenzialmente estranea a quest’ultima categoria di soci, quei vincoli, che nella disciplina della S.p.a. sono pensati quale tutela imperativa dei soci risparmiatori, non hanno ragion d’esistere12.

La riforma del 2003 ha emancipato la S.r.l. dal modello della S.p.a., dotandola di una disciplina autonoma e flessibile, ispirata ai principi generali dettati dall’articolo 3 della legge delega 3 ottobre 2001, n. 36:

• autonomo e organico complesso di norme, modellato sul principio della rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali;

• ampia autonomia statutaria; • libertà di forme organizzative.

1.2 L’autonomia statutaria

Il corpus normativo dettato dalla riforma del 2003 si caratterizza per la presenza di norme derogabili, ovvero norme che trovano applicazione solo se lo statuto non dispone diversamente. In questo modo viene attribuita ai soci la possibilità di delineare la disciplina statutaria in relazione alle specifiche esigenze, creando all’occorrenza un modello più vicino a quello delle società di persone o, al contrario, più affine a quello azionario13.

9 CAGNASSO O., op. cit., p.14. 10 ZANARONE G., op. cit., p. 68. 11 ZANARONE G., op. cit., 1, p. 94.

12 ZANARONE G, op. cit., p. 68. L’autore ritiene che, poiché la compagine sociale della s.r.l. è costituita da soci

imprenditori, devono essere eliminati tutti quei vincoli che non siano finalizzati alla tutela dei terzi, in particolare dei creditori sociali. «Deve soprattutto, in particolare, eliminarsi dalla s.r.l. ogni obbligo di adozione della struttura corporativa, cioè di un sistema basato sulla procedimentalizzazione dei momenti deliberativi e sulla rigida ripartizione delle competenze fra diversi organi sociali.»

(9)

5 La s.r.l. si presenta come un modello organizzativo aperto, perché propenso ad assumere una varietà di configurazioni alternative14, che oscillano da una spiccatamente personalistica ad una spiccatamente capitalistica.Tra questi due poli estremi sono, poi, possibili una molteplicità di alternative di carattere intermedio15.

A tal proposito la dottrina16 ha parlato della S.r.l. come di un’ «etichetta», alla quale sono riconducibili una molteplicità di modelli organizzativi, attraverso un processo di destrutturazione dei codici organizzativi societari, la cui definizione è sottratta alla tassatività delle norme e rimessa alla libertà delle parti.

Il «carattere ibrido»17 della S.r.l. rende la scelta del modello alternativa sia rispetto ai modelli personalistici, sia rispetto a quelli capitalistici.

La S.r.l., infatti, può essere idealmente posta al centro dei tipi societari, quale modello intermedio tra le società di persone e le società di capitali.

Nonostante questo, il codice della S.r.l. non è mai totalmente sovrapponibile a quello di una S.p.a. o a quello di una s.n.c. Da un lato le partecipazioni della S.r.l. non possono costituire oggetto di offerta al pubblico, così precludendosi la possibilità di fare ricorso al capitale di rischio; dall’altro le regole relative al capitale sociale sono inderogabili, così che non è mai configurabile una responsabilità illimitata dei soci per le obbligazioni sociali18.

Da ciò consegue, che, nonostante sia possibile personalizzare la S.r.l., questa non può essere annoverata nell’ambito delle società di persone. Al contrario, deve essere ricondotta alla classe delle società di capitali19. Nella S.r.l., infatti, i soci godono del beneficio della responsabilità limitata, in quanto “per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo

patrimonio” (art. 2462, comma 1 c.c.).

14 ZANARONE G., op. cit., p. 90. l’autore parla di “figure atipiche” riferendosi alle società che, per via

statutaria, danno vita a modelli diversi da quello che ha ispirato la disciplina legale.

15BARALIS G., La nuova società a responsabilità limitata : « hic manebimus optime ». Spunti di riflessione sul problema delle lacune di disciplina, in Riv. Not., 5, p. 2 (in banca dati de Jure) secondo cui “…possono coesistere

più s.r.l.: connotate in senso capitalistico, in senso personalistico, in senso misto, ma anche connotate in senso marcatamente o debolmente capitalistico o personalistico”.

16 BENAZZO P., op. cit., p. 1,2 (in banca dati Leggi d’Italia). 17 Così CAGNASSO O., op. cit., p.42.

18 CAGNASSO O., Ambiti e limiti dell’autonomia concessa ai soci della “nuova” società a responsabilità limitata, in Società, 2003, 2, p. 370.

19 Classi e tipi di società dopo la riforma organica (guardando alla «nuova» società a responsabilità limitata), in

Riv. Dir. Civ., 2003, 5, p. 489 ss.; SPADA P., C’era una volta la società…, in Riv. Not., 2004, 1, p. 11; PALMIERI G., Principio di proporzionalità, diritti particolari dei soci e autonomia statutaria nella s.r.l., in Riv. Soc., 2012, 5, p. 6 (in banca dati De Jure)«… il tipo regolato negli art. 2462 ss. c.c. continua ad appartenere alla classe delle società di capitali, conservandone tutti i connotati caratteristici: limitazione del rischio, organizzazione corporativa attenuata, libera trasferibilità della partecipazione, rilevanza della disciplina del capitale reale».

(10)

6 La dottrina20 ha rilevato che l’autonomia statutaria può essere esercitata con tecniche differenti e per finalità diverse: i soci possono decidere di accentuare maggiormente il profilo personalistico del modello, al fine di valorizzare la persona del socio; o al contrario possono decidere di enfatizzarne la natura capitalistica; o addirittura avvalersi di un profilo tipico della società per azioni; i soci possono ampliare il contenuto di alcune fattispecie legali; nei casi in cui il legislatore ometta di disciplinare alcuni profili, spetta ai soci il compito di dettare regole volte a colmare tali lacune; i soci possono effettuare scelte statutarie volte a semplificare determinati procedimenti o introdurre maggiori specificazioni.

Gli ambiti di autonomia concessa ai soci possono essere apprezzati con riferimento alla regolamentazione della struttura organizzativa interna21 e al governo societario.

Ai soci è rimessa la possibilità di inserire clausole statutarie che connotino la gestione della società in senso personalistico22. È infatti possibile che tutti i soci ricoprano la carica di amministratori, venendosi in questo modo a cumulare in capo ai soggetti la figura di socio e la funzione di amministratore. L’atto costitutivo può adottare, in presenza di una pluralità di amministratori, i modelli di amministrazione congiuntiva e disgiuntiva, tipici delle società di persone.

In tema di riparto di competenze tra soci e amministratori, l’atto costitutivo può riservare ai primi la competenza a decidere tendenzialmente su qualsiasi materia, anche su quelle a contenuto gestorio. Può anche attribuire ai soci diritti particolari relativi all’amministrazione della società. Alla stregua dei modelli personalistici, l’atto costitutivo della S.r.l. può prevedere che il processo decisionale, sia con riferimento ai soci sia con riguardo all’organo amministrativo, avvenga attraverso modalità non collegiali, quali la consultazione scritta o il consenso espresso per iscritto.

Al contrario possono essere maggiormente accentuati i profili capitalistici della governance societaria, attraverso una più rigida ripartizione delle competenze tra gli organi, riservando in via esclusiva all’organo amministrativo la competenza della gestione; o ancora prevedendo che la modifica dei diritti particolari avvenga a maggioranza, piuttosto che all’unanimità; oppure imponendo che la formazione del consenso abbia luogo nel contesto assembleare.

20CAGNASSO O., op. cit., p. 370.

21 ZANARONE G., op. cit., p.93.

22 a riguardo CAMPOBASSO M., Il caso della s.r.l. a gestione personalistica. Innesto botanico o prodotto transgenico?, in Riv. Dir. Civ., 2012, 1, p. 10069. L’Autore consiglia prudenza nell’inserire previsioni tipiche

(11)

7 Il carattere derogatorio delle disposizioni che compongono la disciplina della S.r.l. impone che, nel caso in cui i soci non abbiano esercitato l’autonomia negoziale nella redazione delle clausole statutarie23, trovi applicazione il modello legale di tipo capitalistico-attenuato24.

Il modello proposto dal legislatore assume connotati tipici dell’organizzazione corporativa per uffici25. Infatti, in assenza di diversa disposizione dell’atto costitutivo:

• si assiste alla presenza di almeno due organi, l’assemblea dei soci e l’organo amministrativo;

• l’assemblea dei soci delibera a maggioranza e applica il metodo collegiale;

• in caso di pluralità di amministratori, questi compongono il consiglio di amministrazione.

Inoltre in presenza di determinate condizioni, si rende necessaria la presenza di un terzo organo con funzioni di controllo e di revisione contabile.

Nel modello legale residuale, il carattere capitalistico pare attenuato. Infatti, nonostante la presenza di uffici distinti, non si assiste ad una netta separazione delle competenze decisionali. Ai soci è attribuita una competenza concorrente con quella degli organi sociali, in particolare di quello amministrativo26. Inoltre gli amministratori o una minoranza qualificata di soci possono sottoporre alla decisione dei soci anche argomenti relative all’amministrazione della società27.

Nonostante la previsione di ampi spazi di autonomia nella predisposizione degli atti costitutivi, nella prassi si è registrata una forte tendenza all’utilizzo dello “statuto standard”, composto delle regole proposte dalla disciplina del codice civile28.

23 CAGNASSO O., op. cit., p.52.

24 ZANARONE G., op. cit., p. 72. Secondo l’Autore, il legislatore, nell’elaborazione del modello legale, avrebbe

dovuto scegliere tra tre diverse alternative: una basata sulla duplicazione del modello della società per azioni, con l’organo assembleare e quello amministrativo, ciascuno autonomo e indipendente dall’altro; un’altra di tipo capitalistico-attenuata, in cui pur prevedendo la compresenza dell’assemblea dei soci e dell’organo amministrativo, la prima riveste un ruolo preminente rispetto al secondo; un’altra ancora decisamente personalistica, in cui a tutti i soci spetta in via diretta il potere di amministrare.

25 ZANARONE G., op. cit., p. 80; BENAZZO P., op. cit., p. 4 (in banca dati Leggi d’Italia); BUONOCORE V.,

L’organizzazione interna della società a responsabilità limitata riformata, in Riv. Not., 2004, 3, p. 6 (in banca

dati De Jure); SPADA P., Classi e tipi di società dopo la riforma organica (guardando alla « nuova » società a

responsabilità limitata), in Riv. Dir. civ., 2003, 5, p. 496.

26 ZANARONE G., Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv. Soc., 2003, 1, p. 81; 27 SPADA P., op. cit., p. 497.

28 DI CATALDO V., Società a responsabilità limitata e autonomia statutaria. Un regalo poco utilizzato, o forse

(12)

8 L’avversione alla progettazione di atti costitutivi modulati in conformità alle necessità specifiche dei consociati, discende, prima di tutto, dall’esistenza di significativi costi di transazione nella redazione e nella gestione dello statuto “atipico”29.

Nella fase di redazione dell’atto costitutivo, i soci necessitano di un supporto professionale30. Infatti la predisposizione di un atto costitutivo di S.r.l., che intenda cogliere compiutamente le opportunità offerte dal modello, richiede una conoscenza approfondita del diritto societario31. Lo statuto standard è facilmente fruibile, in quanto immediatamente disponibile alla compagine societaria, che può quindi avvalersene senza sostenere costi significativi. Di contro, la redazione di un atto costitutivo non convenzionale richiede l’intervento di un professionista, che esige del tempo necessario ad indagare sulle particolari esigenze dei soggetti coinvolti nel progetto ed a raccogliere informazioni sulle caratteristiche dell’attività imprenditoriale che si intende predisporre.

I medesimi costi professionali tendono a presentarsi nuovamente in sede di modifica dell’atto costitutivo, ulteriormente aggravati dal fatto che gli interventi di adeguamento potrebbero risultare più complessi per la necessità di considerare le scelte operate al momento della predisposizione iniziale32.

Anche l’interpretazione dello statuto atipico è causa di significativi costi di transazione. Questi derivano dalla difficoltà di prevedere gli esiti che discendono dall’utilizzo dell’autonomia statutaria. Nel caso di conflitto tra soci, l’interpretazione di uno statuto non convenzionale non può fare affidamento su questioni già esaminate dalla dottrina e dalla giurisprudenza; diversamente da quanto avviene nell’interpretazione di uno statuto standard, nel quale è possibile avvalersi di precedenti prese di posizione33.

L’elevato livello dei costi di transazione34 giustifica la propensione delle società a responsabilità limitata a rinunciare a sfruttare compiutamente gli spazi di flessibilità statutaria e ad uniformarsi alle previsioni dell’atto costitutivo ideato dalla disciplina codicistica. D’altronde, il modello societario in parola è solitamente utilizzato nello svolgimento di progetti

29 DI CATALDO V., op. cit., p. 563 ss.

30 DE ANGELIS L., La s.r.l. cent’anni dopo: una società à la carte, in Le Società, 2018, 6,p. 686. Secondo

l’autore, più l’atto costitutivo viene “personalizzato”, più diventa difficile da gestire. L’intervento di tecnici esperti si rende necessario tanto nella fase di formazione del contratto sociale, quanto nella fase successiva della sua concreta applicazione.

31DE ANGELIS L., op. cit.,p. 686.

32 DI CATALDO V., op. cit., p. 563.

33DI CATALDO V., op. cit., p. 561.

34 DI CATALDO V., op. cit., p. 565 sostiene che i costi dei servizi professionali tailor-maid sono aumentati,

(13)

9 imprenditoriali di medio-piccole dimensioni35, nei quali i consociati, spesso legati da legami personali, non sono spronati alla ricerca di soluzioni sofisticate dei rapporti interni.

1.3 Il problema delle lacune

Nonostante l’intenzione di affrancamento dal modello azionario, la disciplina della S.r.l. non appare completamente esaustiva36.

In alcuni casi il legislatore non disciplina determinati profili, rimettendo all’autonomia privata il compito di regolarli. In tali circostanze, il mancato esercizio degli spazi di autonomia concessi ai soci lascia dei vuoti nella disciplina, la cui integrazione comporta un problema di non facile soluzione37.

Le lacune possono essere colmate tramite l’applicazione analogica delle norme del modello a cui il legislatore si è ispirato nell’elaborazione della disciplina legale38.

Il modello legale non è perfettamente riconducibile a quello azionario in senso stretto39, né totalmente sovrapponibile a quello personalistico, pertanto in prima battuta i vuoti normativi devono essere integrati attraverso l’applicazione analogica delle norme della stessa disciplina della S.r.l.40

Nel caso in cui, nel tessuto normativo della S.r.l., non sia possibile rinvenire delle norme dalle quali attingere, le fonti di integrazione delle lacune non vanno ricercate esclusivamente nella disciplina della società per azioni, ma anche in quella delle società di persone41.

35 DI CATALDO V., op. cit., p. 566. Per l’autore l’utilizzo degli spazi di autonomia statutaria è giustificato per

specifiche nicchie di società a responsabilità limitata: società destinate a gestire operazioni di grande impegno, le società inserite nei gruppi o costituite per gestire collaborazioni consortili o tipo joint venture tra gruppi diversi, le società con partecipazione pubblica.

36ZANARONE G., op. cit., p. 99. L’Autore osserva che il complesso normativo dedicato alla S.r.l. si compone di

soli 34 articoli, solo 4 in più dei precedenti, contro i 185 dedicati alla s.p.a. CAGNASSO O., op. cit., p.41. Secondo l’Autore, il legislatore ha delineato un tipo societario autonomo rispetto al modello della società per azioni, ma non lo ha dotato di norme sufficienti ad offrire una regolamentazione esaustiva. MONTAGNANI C., Il difficile

percorso della semplificazione: dai diritti dei soci, alla centralità dei soci senza diritti, in Riv. Dir. comm., 2012,

1, p. 3. «Penso, invece, ai problemi originati dall’ossessiva pretesa di affrancare il modello da quello, compiutamente normato, della società azionaria, senza, però, adeguatamente normare anch’esso».

37CAGNASSO O., op. cit., p. 370. BARALIS G., op. cit., p. 14 (in banca dati De Jure)

ritiene il problema delle lacune «uno dei più gravi problemi che dovranno essere affrontati dagli operatori».

38 ZANARONE G., op. cit., p. 81.

39 SPADA P., op. cit., p. 503. L’Autore ritiene che, poiché lo statuto legale configura la S.r.l. come una società

dotata di un’organizzazione di tipo capitalistico-corporativa, sia giusto integrare il diritto della S.r.l. con quello della s.p.a., anche quando non vi siano richiami espliciti.

40 ZANARONE G., op. cit., p. 82 «…le norme da applicare analogicamente andranno rinvenute in primo luogo

nella stessa disciplina della s.r.l. in quanto, se quest’ultima è totalmente o parzialmente pensata in funzione di un certo modello, appare ovvio, nel segno di una naturale autointegrazione, che anche gli aspetti da essa non espressamente investiti debbano trovare in essa la propria regola». Dello stesso parere CAGNASSO O., op. cit., p. 370. Anche BENAZZO P., La “nuova” s.r.l. .. op. cit., p. 18 (in banca dati De Jure).

41BENAZZO P., op. cit., p. 11 (in banca dati Leggi d’Italia). Secondo l’Autore la disciplina del modello azionario

non rappresenta più l’unica fonte dal quale attingere. Per alcuni profili, la scelta preferenziale deve ricadere sulla disciplina delle società di persone, perché così come queste, anche la S.r.l. si caratterizza come tipo societario

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10 Si deve fare riferimento al modello azionario per colmare le lacune delle regole sul capitale sociale, oppure della disciplina dell’assetto organizzativo capitalistico.

Per la regolamentazione di altri profili, invece, si deve preferire l’applicazione di disposizioni contenute nella disciplina delle società di persone: per esempio nella regolamentazione delle modalità di esercizio del diritto di recesso o delle modalità di decisione di esclusione del socio; oppure con riferimento all’estinzione del rapporto di amministrazione, nel caso in cui il socio era stato nominato dall’atto costitutivo senza limiti di tempo42.

L’estensione analogica delle disposizione del modello personalistico o di quello azionario deve avvenire in maniera circoscritta, con riferimento alla singola materia ritenuta insufficientemente regolata. Non è, quindi, possibile estendere alla S.r.l. l’intero regime normativo dell’uno o dell’altro tipo43.

Non è possibile estendere per analogia norme che trovano giustificazione in aspetti del tutto estranei alla disciplina generale della S.r.l.; al contrario si ritiene che possano essere oggetto di applicazione analogica le norme che integrino elementi condivisibili dalle diverse possibili configurazione della S.r.l., oppure che siano espressione di un principio generale dell’ordinamento societario, come il divieto del patto leonino.44

Il rinvio ad una specifica materia, anziché alla disciplina generale del tipo, è considerato più efficiente soprattutto in situazioni in cui l’istituto che presenta la lacuna da colmare sia più conforme al modello opposto rispetto a quello verso cui si è orientata la scelta statutaria: ad esempio in materia di esclusione, istituto tipico della disciplina dei modelli societari, si dovrebbe rinviare alla disciplina delle società di persone; in materia di verbale assembleare si dovrebbe richiamare la disciplina della S.p.a.45

Il problema delle lacune non può essere risolto attraverso l’adozione di una regola standard. Al contrario, è necessario procedere caso per caso, in conformità alla connotazione specifica che i soci hanno attribuito al modello. Così per colmare i vuoti della disciplina legale, o eventualmente di quelli lasciati dagli stessi soci in sede di redazione dell’atto costitutivo, si

privato, con un’adesionesselezionata, qualificata e attiva. L’autore ribadisce il parere in BENAZZO P., La " nuova

" s.r.l . tra rivoluzione e continuità… op. cit., p. 18 (in banca dati De Jure) «…il riferimento non potrebbe più

cadere, in modo automatico e acritico, sulla (sola) disciplina della s.p.a., cui comunque il legislatore fa riferimento sul presupposto che la s.r.l. sia ancora una società di capitali. La centralità della rilevanza del socio e dei rapporti personali intercorrenti tra i partecipanti all’iniziativa, il carattere “privato” del tipo per la selezione dei mezzi di raccolta del capitale, la presenza, infine, nella disciplina legale medesima di riferimenti a meccanicismi e principi non strettamente capitalistico-corporativi, legittimano, infatti, a parità di titolo, il ricorso anche a precetti propri dei modelli personalistici».

42 BENAZZO P., op. cit., p. 11 (in banca dati Leggi d’Italia).

43 ZANARONE G., op. cit., p. 83; BARALIS G., op. cit., p. 16(in banca dati De Jure). Secondo l’autore un rinvio

generale alla disciplina della s.p.a. o delle società di persone potrebbe anche essere pericoloso.

44 ZANARONE G., op. cit., p. 84.

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11 deve fare ricorso alla disciplina del modello più vicino a quello adottato dai soci. Pertanto è preferibile attingere dal modello azionario, nel caso in cui sia stato rafforzato il carattere capitalistico; è opportuno richiamare le norme dei modelli personalistici, nel caso in cui l’autonomia statutaria abbia accentuato l’aspetto personalistico della S.r.l.46

Per esempio nel caso in cui l’atto costitutivo preveda un modello di amministrazione congiuntivo o disgiuntiva, si esclude che la funzione amministrativa sia attribuibile a terzi; oppure nel caso in cui l’atto costitutivo abbia attribuito particolari diritti ai soci, se ne deve escludere la trasferibilità, soprattutto nel caso in cui il diritto particolare riguardi l’amministrazione della società47.

Infine, è necessario chiarire che l’applicazione analogica di regole del tipo azionario o di quello personalistico deve avvenire solo nel caso in cui si sia di fronte ad una lacuna in senso proprio, ovvero nel caso in cui il tessuto normativo della S.r.l. presenti un carenza, che deve essere colmata per garantire l’effettività della disciplina48.

Pertanto non si assiste ad una lacuna in senso proprio se è possibile colmare il vuoto attraverso regole desumibili dallo stesso regime normativo della S.r.l., così come non si parla di lacuna in senso proprio nel caso in cui sia possibile fare riferimento a principi e regole di portata generale.49

1.4 La rilevanza centrale del socio

Il principio della rilevanza centrale del socio costituisce la nota di fondo di tutta la disciplina della S.r.l.50.

Tale principio la distingue dalla S.p.a., modellata, invece, in conformità al principio della «rilevanza centrale dell’azione».

Nella S.p.a. non si ravvisa la presenza di elementi personalistici: la persona dell’azionista diviene indifferente e fungibile, così come fungibile è il contributo che questo apporta al capitale della società, tanto che si è detto che nella società per azioni i soci rappresentano solo “sacchi di denaro”51. Da ciò deriva che nella S.p.a. i diritti non sono riferiti alla persona del

46CAGNASSO O., op. cit., p.56. 47 SPADA P., op. cit., p. 505.

48BARALIS G., op. cit., p. 13 (in banca dati De Jure) parla di lacuna in senso tecnico come di “una carenza di

regole che «deve» essere colmata perché abbia effettività una certa disciplina”. L’Autore distingue la lacuna ideologica, ovvero “una disciplina che si ritiene «giusto» che si applichi ad altra fattispecie.

49 CAGNASSO O., op. cit., p.56.

50 PERRINO M., La " rilevanza del socio" nella s.r.l .: recesso , diritti particolari, esclusione, in Giur. Comm.,

2003, 6, p. 1 (in banca dati De Jure) .

51 D’ALESSANDRO F., Le società per azioni, p. 103, in AA.VV, Diritto Commerciale, IV edizione, 1993,

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12 socio, ma all’azione. Al contrario, nella S.r.l. l’intuitus personae assume una portata significativa. In virtù di questo, i diritti non attengono la partecipazione, ma la persona del socio. Mentre nel modello azionario l’azione rappresenta un prius rispetto al socio, nella s.r.l. il socio è un prius rispetto alla quota52.

I profili di rilevanza del socio possono essere apprezzati già sul piano della disciplina legale, ma è nell’esercizio dell’autonomia statutaria che essi vengono rafforzati53.

I due principi non devono essere posti in contrapposizione, ma devono essere interpretati in maniera unitaria. Infatti il principio di autonomia statutaria è rafforzato da quello di rilevanza del socio, dal momento che proprio i soci sono chiamati a delineare uno schema organizzativo societario che risponda alle loro specifiche esigenze54. Inoltre l’atto costitutivo può attribuire ai soci diritti particolari relativi all’amministrazione e alla partecipazione agli utili, considerati espressione della principio di centralità del socio55.

Il ruolo chiave del socio è apprezzabile con riferimento ai profili di governance56.

Sotto questo aspetto, il principio può essere analizzato guardando ai soci, in contrapposizione agli organi sociali57.

Con riferimento all’amministrazione della società, il legislatore attribuisce ai soci una competenza esclusiva sulle materie elencate dall’articolo 2479, c.2 c.c. n. 1)-5). Inoltre i soci godono di una competenza generale su tutte le materie che vengano loro riservate dall’atto costitutivo, nonché su quelle che vengano loro devolute da uno o più amministratori o da tanti soci che rappresentino un terzo del capitale sociale.

In virtù del binomio potere-responsabilità, il maggior peso decisionale dei soci trova un bilanciamento nella previsione dell’articolo 2476, comma 7 c.c. di una responsabilità dei soci che abbiano “intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società,

i soci o i terzi”.

La centralità del socio rileva anche in relazione alla funzione di controllo. Ai soci è riconosciuto un significativo potere di controllo sulla gestione della società, dal momento che i soci hanno diritto di ricevere dagli amministratori informazioni sullo svolgimento degli affari e hanno diritto di ispezionare i libri sociali e tutti i documenti relativi all’amministrazione, anche tramite il supporto di un professionista di fiducia. Tale potere di vigilanza permane in capo ai soci anche in presenza di un organo di controllo.

52 ZANARONE G, op. cit., p. 78

53 PERRINO M., op. cit, p. 6 (in banca dati De Jure).

54 BUTTURINI, Rilevanza centrale del socio e autonomia statutaria, in RDS, 2011, 4, p. 925. 55 PALMIERI G., op. cit., p. 4 (in banca dati De Jure).

56PERRINO M., op. cit., p. 7 (in banca dati De Jure) .

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13 Il principio di rilevanza centrale del socio può essere considerato con riferimento al socio uti

singulus, in contrapposizione alla collettività dei soci58. Vi sono casi in cui la collettività non può operare senza l’accordo del socio stesso: si pensi alla decisione di modifica dei diritti particolari relativi all’amministrazione o agli utili, per la quale è richiesta l’unanimità dei consensi; oppure a quella di soppressione del diritto d’opzione in sede di aumento del capitale, per la quale è necessario il consenso del suo titolare.

La centralità del socio si evidenzia anche nell’attribuzione di poteri che prescindono dalla percentuale di partecipazione al capitale sociale59: al singolo socio è attribuita la possibilità di impugnare una delibera assembleare, così come al singolo socio è riconosciuta la legittimazione attiva ad agire con azione di responsabilità sociale nei confronti degli amministratori, dei quali, ancora una volta il singolo socio, può richiedere la revoca giudiziale.

Alcuni diritti vengono attribuiti ad una minoranza qualificata di soci60: l’articolo 2479, comma 1 c.c. attribuisce a tanti soci che rappresentino un terzo del capitale il diritto di sottoporre argomenti alla decisione dei soci; a mente dell’articolo 2479, comma 4 c.c. il diritto di chiedere che la decisione sia assunta tramite procedimento assembleare spetta a tanti soci che rappresentino il terzo del capitale sociale; l’articolo 2476, comma 5 c.c. prevede che tanti soci che rappresentino un decimo del capitale sociale possano opporsi alla rinuncia o alla transazione per l’azione di responsabilità sociale.

In questi casi il principio di centralità del socio diventa funzionale a garantire la tutela dei soci di minoranza61.

1.5 Alcune critiche

Secondo la dottrina62 il legislatore della riforma del 2003 ha elaborato un modello di S.r.l. potenzialmente pericoloso, perché presenta un codice organizzativo anarchico.

58 ZANARONE G., op. cit., p. 77. La rilevanza del socio si manifesta in ipotesi in cui la collettività non può

decidere in difetto del suo accordo, come nel caso della modifica dei diritti particolari diritti relativi all’amministrazione o alla distribuzione degli utili, per la quale è prevista un’unanimità dei consensi.

59 PERRINO M., op. cit., p. 8(in banca dati De Jure). L’autore ritiene che, in alcuni casi, al singolo socio vengano

attribuite prerogative di portata maggiore rispetto alla disciplina delle società di persone. L’autore si riferisce alla legittimazione riconosciuta a ciascun socio all’azione sociale di responsabilità e al diritto di informazione e consultazione.

60 ZANARONE G., op. cit., p. 77. 61 BUTTURINI, op. cit., p. 930.

62 BENAZZO P., Competenze di soci e amministratori nelle s.r.l.: dall’assemblea fantasma all’anarchia? in

Società, 2004, 7, p.808 parla di « codice organizzativo a spinte endogene antagoniste”, cioè a dire quale modello naturalmente anarchico».

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14 Infatti la S.r.l. del ’42, di stampo capitalistico-corporativo, presentava tre organi separati, a ciascuno dei quali erano attribuite specifiche competenze, dalle quali derivavano precise responsabilità. Non era possibile una compenetrazione tra la qualità di socio e quella di amministrazione.

Nella S.r.l. del 2003, al contrario, ai soci viene riconosciuto un ruolo primario, sovraordinato rispetto agli organi sociali, in particolare rispetto all’organo amministrativo.

Sul piano legale, l’articolo 2463 c. 2, n.7 attribuisce ai soci il compito di dettare le regole di funzionamento della società; l’articolo 2475, comma 1 prevede, che in difetto di disposizione statutaria, l’amministrazione della società è affidata ad uno o più soci; l’articolo 2479, comma 2 contiene un elenco di materie che sono rimesse inderogabilmente alla competenza dei soci. Il ruolo dei soci trova ulteriore rafforzamento nell’atto costitutivo, che può ad essi attribuire diritti particolari in materia di amministrazione e di partecipazione agli utili. L’autonomia statutaria può riservare ai soci un potere decisionale su ogni materia, anche a contenuto gestorio. Inoltre, indipendentemente da un’esplicita previsione statutaria, i soci sono chiamati a pronunciarsi su argomenti che siano loro sottoposti da parte dei soci stessi o degli amministratori.

Il potenziamento dei soci determina necessariamente una compressione dei poteri decisionali dell’organo amministrativo, così ridotti al nucleo minimale delle materie elencate dall’articolo 2475, comma 563.

Un siffatto assetto, che vede da un lato l’assemblea (dei soci) amministratrice e dall’altro la scomparsa dell’organo amministrativo, potrebbe condurre a situazioni di inefficienza e di irregolare funzionamento.

Inoltre la posizione di dominio dei soci sembra consentire l’introduzione di clausole che prevedano l’unificazione della qualità di socio e del ruolo di amministratore in capo ad un unico soggetto, riproponendo quel nesso tipico delle società di persone tra socio e amministratore. Nella S.r.l., però, manca il contrappeso efficacemente previsto nei modelli personalistici, in cui alla possibilità di immistione del socio nella gestione si fa corrispondere la responsabilità patrimoniale illimitata e personale dello stesso.

63 CAMPOBASSO M., op. cit., p. 3 (in banca dati Leggi d’Italia). Secondo l’autore, per modificare le regole della

gestione, non basta prevedere che tutti gli amministratori siano soci; bisogna invece stabilire che determinate decisioni spettino ai soci in quanto soci. Bisogna quindi ridurre le competenze dell’organo amministrativo e rafforzare quelle della collettività dei soci. Unico limite di questa impostazione è rappresentato dal fatto che non è possibile eliminare del tutto l’organo amministrativo, al quale spetta la decisione sulle materie di cui all’art. 2475, comma 5.

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15 Con riferimento al principio di rilevanza centrale del socio, la valorizzazione del ruolo del socio opera soprattutto in tema di governance societaria.

Infatti, come già analizzato, al socio viene attribuito un potere di controllo sull’operato degli amministratori di portata significativa; il socio può esperire l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori; il socio può richiedere la revoca giudiziale degli amministratori. L’attribuzione di prerogative così importanti al socio discende da una fiducia, ritenuta eccessiva, nei confronti della capacità dello stesso di partecipare in maniera equilibrata alla

governance della società. Secondo la dottrina64, il legislatore non ha adeguatamente valutato le conseguenze destabilizzanti che possano discendere dall’introduzione di queste soluzioni, che non trovano posto neanche nella disciplina della società di persone.

Il legislatore sembra aver colto le critiche mosse dalla dottrina ed è recentemente intervenuto con disposizioni, che pare abbiano la finalità di ridimensionare il ruolo del socio nel governo societario e ristabilire regole più rigide di ripartizione delle competenze decisionali.

Questi interventi si inseriscono nel quadro della riforma delle procedure concorsuali, realizzata dal decreto legislativo n.14 del 12 Gennaio 2019, denominato “Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017 n.155”65.

L’innesto, nella disciplina della crisi, di norme finalizzate a modificare regole del diritto societario ha creato un ponte tra il diritto delle società e il diritto della crisi.

1.6 Il diritto societario della crisi

Il CCII non si limita ad operare una revisione dell’attuale diritto delle procedure concorsuali, ma introduce anche specifiche previsioni destinate a modificare disposizioni del codice civile, relative a norme del diritto societario e del diritto dell’impresa66.

64 PERRINO M., op. cit., p. 8 (in banca dati De Jure).

65 Il d. lgs n. 14 del 12 Gennaio 2019 si inserisce in un progetto di rinnovamento della disciplina della crisi

d’impresa, iniziato da più di 10 anni. Il Codice è suddiviso in quattro parti: -la prima (artt. 1-374) titolata «Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza»; -la seconda (artt. 375-384) contiene le «Modifiche al codice civile»;

-la terza (artt. 385-388) dedicata alle «Garanzie in favore degli acquirenti di immobili da costruire»; -la quarta (artt. 389-391) contenente le «Disposizioni finali e transitorie».

66 Le disposizioni di cui agli articoli 375-384 ricalcano i principi dettati dall’art. 14 della Legge Delega n. 155 del

19 ottobre 2017. Per una disamina dei passaggi che hanno condotto all’emanazione del Codice della Crisi e dell’insolvenza si rinvia a ROSSI A., La legge delega per la riforma delle discipline della crisi d’impresa: una

prima lettura, in Società, 2017, 12, p. 1375; DI CATALDO V., ROSSI S., Nuove regole generali per l’impresa nel nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, in RDS, 2018, 4, p. 746.

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16 Questo, che sembra uno degli interventi più apprezzati tra quelli operati dal Legislatore del CCII67, porta a conclusione un percorso di interventi legislativi che ha superato la dicotomia tra diritto commerciale dell’impresa in bonis e diritto commerciale dell’impresa in crisi.

Infatti, se per molto tempo l’approccio tradizionalmente adottato aveva considerato i due rami della disciplina come sistemi autonomi, si è via via realizzato un raccordo tra le regole dei due ordinamenti, che ha portato a coniare l’espressione di “diritto societario della crisi”68.

Con tale espressione si fa riferimento ad un complesso di norme del diritto societario che può trovare applicazione nella gestione delle società in stato di crisi ed eventualmente soggette a procedure concorsuali o a procedimenti di composizione dello stato di crisi69.

Il CCII ha ampliato la nozione di diritto societario della crisi, prevedendo l’introduzione nel diritto comune di norme finalizzate ad evitare e prevenire lo stato di crisi, attraverso il costante monitoraggio dell’andamento della società, al fine di garantirne l’equilibrio patrimoniale economico e finanziario70.

Il diritto fallimentare è nato come componente eccezionale del diritto societario, da esso autonomo e rispetto ad esso autosufficiente. La disciplina della crisi è stata a lungo considerata quale insieme di regole che derogano al diritto comune. L’applicazione di tali deroghe era giustificata dall’insorgere di una situazione anch’essa ritenuta eccezionale e diversa rispetto a quella dell’impresa nella fase fisiologica71.

La legge fallimentare del ’42 (Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942) poneva particolare attenzione all’imprenditore individuale, mentre, con riferimento alla disciplina delle società, regolava l’azione di responsabilità del curatore nei confronti di amministratori e sindaci e l’estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili72.

67 DI CATALDO V., ROSSI S., op. cit., p. 746.

68SACCHI R., Sul così detto diritto societario della crisi: una categoria concettuale inutile o dannosa?, in NLCC,

5, 2018, p. 1. Ritiene che il ricorso a tale categoria sia inutile o addirittura dannoso, pur auspicando un coordinamento tra il diritto societario e il diritto delle procedure concorsuali.

69 NIGRO A., Il “diritto societario della crisi”: nuovi orizzonti?, in La nuova disciplina delle procedure

concorsuali (in ricordo di Michele Sandulli), 2019, Torino, 2019, p. 492

70 Così l’espressione “diritto societario della crisi” era già stata definita da CAGNASSO O., Il diritto societario

della crisi fra passato e futuro, in Giur. Comm., 2017, 1, p.2 (in banca dati De Jure). L’Autore, inoltre, ritiene che

l’intreccio tra il diritto societario e il diritto fallimentare emerge anche sul piano interpretativo. Le norme del diritto fallimentare possono essere significative nell’interpretazione delle regole societarie, come nel caso della regola dei finanziamento dei soci; oppure fattispecie del diritto societarie nate nell’ottica dell’applicazione nella disciplina fallimentare, quali le due categorie della società occulta e della società apparente.

Allo stesso modo, le norme del diritto fallimentare devono essere interpretate alla luce del diritto societario: è il caso delle regole che disciplinano la responsabilità degli organi sociali, dei finanziamenti dei soci, dell’esercizio del potere di direzione e coordinamento. Sono norme societarie che spesso vengono in considerazione nel caso di fallimento o sottoposizione a procedure concorsuali della società.

71 DI CATALDO V., ROSSI S., op. cit., p. 747. 72 CAGNASSO O., op. cit., p. 4 (in banca dati De Jure).

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17 Con la riforma del diritto societario del 2003 e con quella delle procedure concorsuali del 2005-2007, si è creato un collegamento tra la disciplina delle società in bonis e quella della società in crisi73. Infatti il legislatore del 2003 ha dettato regole e istituti che hanno inciso sull’ordinamento fallimentare sia in via diretta, con l’introduzione di norme che influiscono sul diritto dell’impresa in crisi, sia in via mediata, con la previsione di regole dirette ad incidere sulla normativa fallimentare74.

Quanto ai primi basti pensare alla disciplina relativa agli obblighi degli amministratori di S.p.a., con l’introduzione del parametro di diligenza, dell’obbligo di agire in modo informato, del dovere di creare assetti organizzativi adeguati, del rispetto delle regola di corretta amministrazione; o ancora alla previsione della responsabilità dei soci nella disciplina del S.r.l. e nel caso di esercizio del potere di direzione e coordinamento.

Con riferimento alle seconde si pensi alla disciplina dei finanziamenti dei soci di S.r.l. o infragruppo, all’eliminazione del divieto di compiere operazioni straordinarie nel caso in cui la società fosse soggetta a procedure concorsuali, all’attribuzione al curatore della legittimazione attiva a promuovere l’azione di responsabilità nel caso in cui la capogruppo non abbia esercitato correttamente il potere di direzione e coordinamento75, all’esclusione della dichiarazione di fallimento dall’elenco delle cause di scioglimento delle società di capitali76.

Una volta recepite le novità legislative, la riforma delle procedure concorsuali del 2005 ha previsto disposizioni che risultano significative anche nell’ambito della normativa societaria. Ad esempio ha dettato norme relative ai patrimoni separati in ambito fallimentare, ha riformulato la disciplina del fallimento per estensione con riferimento agli ex soci e ai soci prima illimitatamente responsabili77, ha introdotto modifiche sull’assunzione della decisione in merito alla proposta di concordato preventivo, ha previsto disposizioni inerenti gli effetti sulla società della dichiarazione di fallimento78.

Gli interventi legislativi successivi hanno ulteriormente arricchito il diritto della crisi d’impresa, con la previsione di regole volte a intervenire sulla disciplina societaria, come la disattivazione degli obblighi relativi al capitale sociale, nel caso di una proposta di concordato o di una

73 NIGRO A., op. cit., p.493 . Secondo L’Autore il legislatore, pur effettuando interventi di importanza sistemica,

non ha pienamente colto l’occasione per creare un raccordo tra il diritto della crisi e il diritto societario.

74 CAGNASSO O., op. cit., p. 5 (in banca dati De Jure). 75 CAGNASSO O., op. cit., p. 5 (in banca dati De Jure). 76 NIGRO A., op. cit., p. 494.

77 CAGNASSO O., op. cit., p. 6 (in banca dati De Jure). 78 NIGRO A., op. cit., p. 494.

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18 domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti; o ancora la previsione di prededuzione dei finanziamenti dei soci e infragruppo, in deroga alla disciplina dell’articolo 2467 c.c.79

Il CCII ha ulteriormente rafforzato il collegamento tra i due rami del diritto commerciale, con la previsione, nell’ambito di un progetto di riforma della disciplina delle procedure concorsuali, di norme finalizzate a modificare disposizione del codice civile relative al diritto societario. Esso infatti racchiude disposizioni che regolano la società in bonis; norme applicabili alle società che, in presenza di fondati indizi di crisi, facciano ricorso alle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi; regole inerenti alle società in stato di crisi o di insolvenza e precetti relativi alle società sottoposte a procedure concorsuali80.

L’ultimo intervento legislativo, quindi, si pone in linea con quelli precedenti, nella misura in cui propone un coordinamento della disciplina della crisi con quella societaria. Ma rispetto ad essi fa un passo in avanti, con la previsione di regole declinate nel contesto della crisi, ma applicabili anche nelle fasi della nascita, dello sviluppo e della crescita dell’impresa81.

Infatti il CCII impone regole, con la finalità di prevenire e anticipare la crisi e mantenere la continuità aziendale, riferendole all’impresa, e non solamente a quella che assume la veste societaria. Così all’attenzione al diritto societario della crisi, si affianca una maggiore consapevolezza del diritto dell’impresa.

La deduzione è comprovata dalla previsione di una regola organizzativa inserita nell’ambito dell’ordinamento dell’impresa e richiamata dalla disciplina di tutti i tipi societari, dettata anche con la finalità di rilevare lo stato di crisi e la perdita della continuità aziendale.

In questo modo si realizza un “ponte sistemico” tra diritto della crisi, diritto societario e diritto dell’impresa82.

Al fine di valutare la portata del principio di esclusività della competenza gestoria degli amministratori nell’ambito della disciplina della S.r.l., è necessario analizzare la regola di

79 CAGNASSO O., op. cit., p. 6 (in banca dati De Jure); NIGRO A., op. cit., p. 494. 80 CAGNASSO O., op. cit., p. 6 (in banca dati De Jure)

81 BENAZZO P., Il codice della crisi di impresa e l'organizzazione dell'imprenditore ai fini dell'allerta: diritto

societario della crisi o crisi del diritto societario?, in Riv. Soc., 2019, 3-2, p. 275.

82 MONTALENTI P., Gestione dell’impresa, assetti organizzativi e procedure di allerta nella riforma Rodorf, in

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19 adeguatezza degli assetti organizzativi introdotta dall’articolo 2086, comma 2 c.c., che come un “mantra”83 è richiamata dalla disciplina dell’amministrazione di tutti i tipi societari.

1.7 La predisposizione degli adeguati assetti organizzativi dell’impresa

L’articolo 375 del D. lgs 14/2019 ha modificato l’articolo 2086 c.c., inserendo un secondo comma così formulato «L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale»

A seguito dell’introduzione del nuovo comma, è stata modificata la rubrica dell’articolo 2086 c.c., originariamente «Direzione e gerarchia nell’impresa», oggi denominata «Gestione dell’impresa».

Il secondo comma viene accostato al preesistente primo comma, a mente del quale «l’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori». Inizialmente, il primo comma dell’articolo in questione era considerato il manifesto ideologico del Legislatore del Codice Civile del ’42. In esso l’impresa era vista come un’unità produttiva dell’organizzazione dello Stato corporativo, del quale riproduceva la struttura gerarchica84. In seguito alla caduta del regime fascista, la disposizione dell’articolo 2086 c.c.85 era stata ascritta nell’ambito della regolazione del rapporto di lavoro, con la finalità di sancire la superiorità gerarchica dell’imprenditore nei confronti dei propri collaboratori86. Interpretata in questi termini, la norma appariva pleonastica rispetto al principio di subordinazione del collaboratore e del lavoratore dipendente nei confronti dell’imprenditore, sancito dal combinato disposto degli articoli 2094 c.c. e 2104 c.c. Di conseguenza si riteneva implicitamente abrogata87.

La disposizione, quindi, non presentava alcuna forza precettiva nell’ordinamento commerciale.

83 ABRIANI N., ROSSI A., Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazione del codice civile: prime

letture, in Le Società, 2019, 4, p. 395

84 SPOLIDORO M., Note critiche sulla “gestione dell'impresa” nel nuovo art. 2086 c.c. (con una postilla sul

ruolo dei soci), in Riv. Soc., 2019, 2-3, p. 254

85 Oggi diventato primo comma dell’articolo 2086 c.c.

86TRIMARCHI G. A.M., Codice della crisi: riflessioni sulle prime norme, in Notariato, 2019, 2, p. 116 87 SPOLIDORO M., op. cit., p. 258.

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20 Questo fino all’intervento del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, che, con l’introduzione del secondo comma dell’articolo 2086 c.c., ha imposto un obbligo di adeguatezza degli assetti organizzativi a tutte le imprese organizzate in forma societaria e collettiva.

Infatti, l’obbligo sancito dal novellato articolo 2086 c.c. deve essere osservato non soltanto da dall’impresa nella forma di società lucrative, cooperative e consortili, ma, più in generale, da tutti gli enti del terzo settore che esercitano un’attività d’impresa imputabile ad una collettività di persone. La dottrina88 ritiene che, al di là del dato letterale, l’obbligo gravi anche sulle imprese afferenti enti non collettivi, come le fondazioni.

1.7.1 L’obbligo di adeguatezza organizzativa per l’imprenditore individuale

Il novellato comma non estende l’obbligo di adeguatezza organizzativa all’imprenditore individuale. In origine, il decreto legislativo delegato contenuto nella Proposta della Commissione Rordorf, in attuazione delle Legge delega n. 19 del 2017, prevedeva che la norma operasse anche nei confronti dell’imprenditore individuale, ma il riferimento alla persona fisica si è perso nelle formulazioni successive.

Si potrebbe ritenere che l’elisione trovi giustificazione nell’intenzione del legislatore di evitare di appesantire eccessivamente di oneri gravosi imprese di grandezza ridotta89; oppure che la predisposizione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati presupponga un’articolazione strutturale più complessa, di cui difetta l’impresa individuale. In tal caso, non potrebbe considerarsi ragionevole la volontà di estendere l’imperativo di adeguatezza anche alle società di persone e alle società a responsabilità limitata, che spesso presentano dimensioni ridotte e, conseguentemente, una complessità strutturale minima90. Inoltre il riferimento alla natura e dimensioni dell’impresa induce a ritenere che gli imprenditori possano adottare standard organizzativi graduati differentemente, adattandoli, di volta in volta, alla caratteristiche dimensionali della propria impresa91.

L’articolo 3, comma 1 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, che impone all’imprenditore individuale di «adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte».

Apparentemente sembra che all’imprenditore individuale sia rivolto un precetto che richiama solamente la seconda parte del comma 2 dell’articolo 2086 c.c.92.

88 SPOLIDORO M., op. cit., p. 262. 89 SPOLIDORO M., op. cit., p. 260.

90 DI CATALDO V., ROSSI S., op. cit., p. 750; 91 SPOLIDORO M., op. cit., p. 261

(25)

21 Ma da una più attenta riflessione emerge che, se è vero che l’adozione di tali idonee misure debba avvenire in funzione della rilevazione tempestiva dello stato di crisi, è anche vero che al fine di perseguire efficacemente il suddetto scopo, la predisposizione delle stesse deve essere curata sin dal sorgere dell’impresa e revisionata in via sistematica e periodica.

Le “misure idonee” riecheggiano gli assetti adeguati di cui all’articolo 2086 c.c., così che anche la norma relativa all’imprenditore individuale può essere interpretata nel senso di ricomprendere, nell’obbligo di predisporre le strutture organizzative adeguate, anche l’impresa svolta individualmente.

1.7.2 L’obbligo di predisporre adeguati assetti organizzativi nell’impresa in forma societaria

Il precetto introdotto dall’articolo 2086, comma 2 c.c. racchiude due diversi obblighi:

1) La predisposizione di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’attività, anche in funzione di una tempestiva rilevazione della crisi e della perdita della continuità aziendale;

2) L’attivazione senza ritardo nell’adozione delle misure previste per la gestione e il superamento della crisi e per il recupero della continuità aziendale.

Con riferimento al primo, questo impone la predisposizione di una struttura organizzativa, amministrativa e contabile articolata diversamente in relazione alla crescente complessità dell’attività d’impresa, che si gradua da un minus nell’impresa individuale ad un maximus nella grande impresa azionaria.

Il dovere di adeguatezza degli assetti organizzativi comprende un complesso di norme che, da un lato definiscono l’organizzazione societaria e i processi decisionali, dall’altro identificano le funzioni aziendali, le procedure e i processi che danno esecuzione alle decisioni: l’assetto organizzativo attiene alla precisazione di funzioni, poteri e deleghe di firma; l’assetto amministrativo rappresenta l’insieme della procedure volte ad assicurare lo svolgimento delle varie attività aziendali; l’assetto contabile riguarda le modalità di rilevazione e rappresentazione dei fatti di gestione93.

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22 Con la previsione del suddetto obbligo, la norma attribuisce carattere generale a regole che la riforma del 2003 aveva dettato espressamente per la disciplina della società per azioni, ma che venivano adottate da parte dalla buona prassi aziendale94.

Già in seguito alla riforma del diritto societario del 2003, la dottrina riteneva che l’istituzione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili fosse correlata all’obbligo di agire in conformità ai principi di corretta amministrazione95; si riteneva, inoltre, che l’obbligo di adeguatezza degli assetti discendesse da quello di agire con la diligenza professionale imposto agli amministratori di S.p.a.96 e dall’obbligo di conservazione dell’integrità del capitale sociale97.

L’obbligo di predisporre adeguati assetti organizzativi commisurati alla natura e alle dimensione della società era contenuto nell’articolo 2381 c.c., secondo il quale il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni ad un organo esecutivo, composto da uno o più dei suoi componenti. L’organo delegato deve curare che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia consono alla natura e alle dimensioni dell’impresa; il consiglio di amministrazione in plenum è chiamato a valutarne l’adeguatezza sulla base delle informazioni ricevute.

Già prima dell’intervento del Codice della crisi98, la norma si riteneva applicabile alla S.r.l. . La dottrina99 riteneva che, esercitando la libertà organizzativa attribuitagli, l’atto costitutivo poteva prevedere che il consiglio di amministrazione delegasse le sue funzioni ad un organo esecutivo. In tal caso, il rapporto tra organo delegato e consiglio delegante doveva essere regolato mediante applicazione analogica dell’articolo 2381, c. 5 c.c.

La predisposizione di adeguati assetti organizzativi è un precetto che riguarda la governance di una società caratterizzata dal regime della responsabilità limitata, che quindi prescinde dai profili tipologici100.

Quindi il Codice della Crisi e dell’Insolvenza non introduce, sotto questo profilo, una novità assoluta, dato che già prima dell’intervento legislativo del 2019 era presente nell’ordinamento

94 DI CATALDO V., ROSSI S., op. cit., 4, p. 751; BENAZZO P., Il codice della crisi... op. cit., p.284;

TRIMARCHI G. A.M., Codice della crisi: riflessioni sulle prime norme, in Notariato, 2019, 2, p. 117; VERNA G., op. cit., p. 929.

95CAGNASSO O., Diritto societario e mercati finanziari, in NDS, 2018.

96 BENAZZO P., Il codice della crisi… op. cit., p. 284; NIGRO A., op. cit. , p. 501.

97ABRIANI N., ROSSI A., op. cit., p. 396.

98 A partire dal 16 marzo 2019, l’articolo 2381 c.c. si applica alla S.r.l. per espressa previsione dell’articolo 377

c.2 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, che modifica l’articolo 2475 c.c., aggiungendo all’ultimo comma che “si applica, in quanto compatibile, l’articolo 2381”.

99 SALAFIA V., La nuova s.r.l. tra autonomia statutaria e norme imperative, in Società, 2009, 4, p. 5 (in banca

dati Leggi d’Italia).

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