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Applicabilità alla S.p.a.

LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI PER ATTI DI GESTIONE

4.7 Applicabilità alla S.p.a.

Un aspetto rilevante, sotto il profilo sistemico ed applicativo, riguarda il problema della configurabilità di una responsabilità per danni del socio anche nella società per azioni.

In giurisprudenza Tribunale di Roma, 1 giugno 2016, secondo cui è sufficiente che il socio sia consapevole dell’antigiuridicità dell’atto e che, nonostante ciò, questi partecipi alla decisione finalizzata al successivo compimento dell’atto da parte degli amministratori. L’antigiuridicità si configura non solo quando l’atto deciso è contrario alle norme di legge o all’atto costitutivo della società; ma anche quando l’atto, di per sé lecito, è esercitato in modo abusivo, risultando privo di un vantaggio apprezzabile per la società e dannoso per gli altri soci, ovvero contrario ai doveri di correttezza e buona fede che i soci sono tenuti ad osservare.

565 MELI V., op. cit., p. 695; ZANARDO A., op. cit., p. 522, che al contrario ritiene che RODORF R., op. cit., p.

1187;.

566 SANTOSUOSSO D., op. cit., p. 531; MELI V., op. cit., p. 695 ritiene che la responsabilità per decisione adottate

in forma assembleare operi solamente quando il voto del socio sia stato determinante per l’adozione della decisione; ZANARDO A., op. cit., p. 522, non condivide questa impostazione, ritenendo che l’articolo 2476 non attribuisca alcuna rilevanza a circostanze qualificanti l’espressione del voto, come invece avviene in altre fattispecie, come quella del voto del socio in conflitto di interessi.

127 La dottrina, infatti, non essendo la previsione di cui all’articolo 2467, comma7 c.c. espressamente richiamata nella disciplina del modello azionario, si è interrogata circa la possibilità di attribuire alla norma valenza di carattere generale e di estenderne l’applicazione anche alla S.p.a.

Alcuni autori568 risolvono la questione in senso negativo, ritenendo che la scelta normativa di diversificare, sotto tale aspetto, la disciplina dei due tipi societari trovi giustificazione nelle differenze tra esse intercorrenti. In particolare, è stato sostenuto che la previsione di una regola che stabilisca la responsabilità dei soci per atti di gestione trae origine dalle caratteristiche del modello societario in cui la norma è dettata. Nella S.r.l., infatti, l’articolazione delle competenze gestorie risulta flessibile e largamente rimessa alla disponibilità delle parti, potendo i soci ulteriormente ampliare lo spazio di intervento nella gestione loro riconosciuto già per disposizione di legge.

Nella S.p.a., al contrario, i rapporti tra (assemblea dei) soci e organo amministrativo si articolano secondo una rigida separazione di competenze, in virtù del principio di spettanza esclusiva della gestione agli amministratori, dettato dall’articolo 2380-bis c.c., e della previsione di cui all’articolo 2364, comma 2, n.5 c.c., che limita i poteri gestori dell’assemblea alla delibera di autorizzazioni per argomenti previsti dallo statuto.

Secondo tale interpretazione, una norma che stabilisca la responsabilità dei soci per atti di gestione sarebbe del tutto pleonastica e ingiustificata: nella S.p.a., in cui la gestione è interamente affidata all’organo amministrativo, non si possono concretizzare situazioni riconducibili alla fattispecie del penultimo comma dell’art. 2476 c.c., perché non è ipotizzabile che ai soci o a gruppi di essi sia attribuito il potere di decidere atti di gestione. Inoltre, estendere alla società per azioni la norma in questione significherebbe negare la volontà di differenziazione dei due modelli societari che il legislatore del 2003 ha voluto perseguire. La medesima dottrina ritiene che il socio di S.p.a., che si ingerisca nell’amministrazione, sia chiamato a risponde non in virtù dell’applicazione della norma dettata dell’articolo 2476, comma 7 c.c. per le S.r.l., ma in base ai principi generali dell’ordinamento, che disciplinano la responsabilità connessa ad altre forme di partecipazione alla gestione: la responsabilità per la violazione del principio di neminem laedere; la responsabilità del socio tiranno; la responsabilità per l’induzione all’inadempimento, secondo la quale, se il socio esercita un’influenza sull’operato degli amministratori e tale influenza si pone in rapporto di efficienza

568 IRACE A., op. cit., p. 191; RORDORF R., op. cit., p. 1187; SANTOSUOSSO D., op. cit., p. 533;

128 causale rispetto all’atto illegittimo compiuto dagli amministratori, è considerato responsabile per aver indotto o favorito l’inadempimento569.

Altra parte della dottrina570 ritiene che la regola dettata dall’articolo 2476, comma 7 c.c. sia l’espressione di un principio di responsabilità di carattere generale e che, pertanto, sia applicabile per analogia alla S.p.a.

A sostegno della tesi è stato osservato che la disposizione in esame non regola solamente ipotesi nelle quali l’intervento dei soci nella gestione societaria sia legittimato da previsioni normative o statutarie; la norma, al contrario, trova applicazione ogni qualvolta i soci abbiano influenzato l’operato degli amministratori, prescindendo dalle scelte di struttura organizzativa interna adoperate.

Il principio dettato dall’articolo 2380-bis c.c., inoltre, limita l’attribuzione ai soci di formali poteri di amministrazioni, ma non esclude una responsabilità di questi ultimi nel caso in cui abbiano di fatto esercitato tali poteri. E poiché, come evidenziato, l’ingerenza dei soci nella gestione societaria può assumere caratteri diversi da quelli dell’amministratore di fatto, è necessario individuare una regola che stabilisca una responsabilità del socio di S.p.a., ponderata rispetto ai casi in cui la partecipazione alla sfera amministrativa sia limitata ad atti di natura occasionale571.

Alla luce di tali riflessioni, si deve ritenere che non esistono ragioni che giustifichino l’inapplicabilità della norma alla disciplina della S.p.a.: se gli azionisti, pur non assumendo la veste di amministratori di fatto, si ingeriscono nella gestione societaria, attraverso manifestazioni di volontà che sia in grado di orientare l’azione amministrativa, devono essere considerati responsabili al pari dei quotisti di S.r.l.

569 RODORF R., op. cit., p. 1188 fa risalire la responsabilità dell’azionista che si sia ingerito nella gestione allo

schema della responsabilità da induzione all’inadempimento, che prevede il concorso tra l’illecito contrattuale del soggetto che omette di fornire la prestazione dovuta o lo fornisca in maniera imperfetta e quello extracontrattuale di qualsiasi altro soggetto, terzo rispetto al rapporto obbligatorio, il cui comportamento abbia concorso a cagionare l’inadempimento. SANTOSUOSSO D., op. cit., p. 533, ritiene che l’azionista può essere chiamato a rispondere per altre forma di partecipazione alla gestione, quali la tirannia o la direzione il coordinamento, o quelle derivanti dall’applicazione del principio di neminem laedere. PATRIARCA S., op. cit., p. 1202 ritiene che l’ingerenza nell’amministrazione del socio di S.p.a. può essere sanzionata facendo ricorso alla figura del socio tiranno, applicando i principi giurisprudenziali in materia di amministratore di fatto o, con maggiori difficoltà, attraverso il suo coinvolgimento patrimoniale quale socio unico di fatto. LUCIANO A., op. cit., p.434 ritiene che la condotta dell’azionista sia sanzionabile solamente qualora arrivi ad integrare la fattispecie dell’amministratore di fatto; diversamente l’amministratore resta l’unico responsabile della gestione dell’impresa azionaria.

570 MELI V., op. cit., p. 684; TOMBARI U., op. cit., p. 724; RESCIGNO M., Soci e responsabilità…op. cit., p.

310; ROSSI S., op. cit., p. 1078.

129 Tale conclusione consente di equiparare572, sotto il profilo della responsabilità da gestione, la posizione dei soci di S.p.a. e dei soci di S.r.l. ed anche di evitare trattamenti differenziati, in circostanze in cui si manifestano eguali esigenze di intervento.

4.8 La responsabilità dei soci alla luce del principio di esclusività della gestione in