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L’avverbio “intenzionalmente”

LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI PER ATTI DI GESTIONE

4.6 L’avverbio “intenzionalmente”

Perché si configuri la responsabilità ex art 2476, comma 7 c.c., non è sufficiente che i soci abbiano deciso o autorizzato un atto dannoso, ma è necessario anche che la loro condotta si connoti in termini di intenzionalità.

Uno degli aspetti più discussi in dottrina riguarda l’interpretazione del significato dell’avverbio “intenzionalmente”, che come è stato osservato549, rappresenta un aspetto di notevole rilevanza ai fini dell’individuazione dell’ampiezza della responsabilità in questione.

Muovendo dalla lettera della norma, è possibile osservare che il termine “intenzionalmente” è posto in posizione antecedente rispetto ai participi «deciso» e «autorizzato». Alcuni550 hanno, pertanto, ritenuto che l’intenzionalità sia riferita alla condotta autorizzatoria o decisoria del socio. Tuttavia, riconducendo l’intenzionalità alla decisione o autorizzazione, l’avverbio assume una valenza pleonastica, dal momento che l’azione del decidere o dell’autorizzare è sempre di per sé intenzionale. E allora, perché il socio sia ritenuto responsabile non è sufficiente una sua mera conoscenza o approvazione degli atti, ma è necessario che abbia consapevolmente partecipato alla scelta e condiviso l’operato degli amministratori551.

Pertanto, anche in ragione del rapporto di solidarietà con gli amministratori, la posizione dei soci viene sostanzialmente equiparata a quella degli amministratori. I soci gestori sono tenuti al medesimo standard di diligenza e professionalità che compete agli amministratori e quindi, perché si configuri una responsabilità risarcitoria in capo a primi, è necessario che si realizzino i medesimi presupposti richiesti per la responsabilità dei secondi: il compimento di atti dannosi e la violazione degli obblighi previsti dalla legge e dall’atto costitutivo per chi amministra e, in particolare, della negligenza della decisione o autorizzazione dell’atto.

I rischi connessi alla prospettata linea interpretativa sono rappresentati dalla possibilità che gli amministratori, al fine di aumentare il numero di soggetti tenuti al risarcimento del danno,

549 MELI V., op. cit., p. 687.

550 RESCIGNO M., Eterogestione e responsabilità… op. cit., p. 333; RESCIGNO M., Soci e responsabilità… op.

cit., p. 307; DI AMATO S, op. cit., p. 305; PATRIARCA S., op. cit., p. 1199.

551 RESCIGNO M., Soci e responsabilità… op. cit., p. 307; TOMBARI U., op. cit., p. 724. Secondo AMBROSINI

124 coinvolgano in maniera opportunistica i soci nelle scelte gestorie per il tramite della provocatio

ad populum; inoltre, il pericolo di essere coinvolti in una responsabilità per decisioni, per le

quali non si sono ricevute sufficienti informazioni, potrebbe disincentivare l’avvicinamento al tipo S.r.l. dei soggetti meri investitori, interessati prevalente ad un aspetto finanziario dell’investimento, ma non direttamente e continuativamente partecipe alla gestione552.

Altri553 hanno preferito un’interpretazione che leghi l’avverbio, non già alla condotta di autorizzazione o decisione, ma all’atto dannoso. Secondo tale logica, il socio sarebbe chiamato a rispondere solamente in situazioni nelle quali sia in capo ad esso riscontrabile un vero e proprio animus nocendi: per essere considerato responsabile, il socio deve aver deciso o autorizzato un atto con l’intenzione di provocare un pregiudizio alla società, i soci o i terzi. Ciò anche in ragione del tenore letterale della norma che parla di “atto dannoso” e non di atto “che cagiona il danno”, quasi a voler significare che l’atto debba sin dall’origine essere diretto a suscitare un danno554.

Il riferimento dell’intenzionalità all’evento dannoso consentirebbe di escludere da responsabilità i soci che abbiano concorso alla decisione in maniera disinformata o distratta, per non aver ricevuto le informazioni necessarie sulle caratteristiche dell’atto gestionale e dei suoi effetti555. Permetterebbe, inoltre, di distinguere la posizione dei soci da quella degli amministratori, i primi chiamati a rispondere solo per dolo, i secondo in presenza di colpa grave, distinzione giustificata dalla diversità dei ruoli che essi svolgono556. I soci, infatti, non sono soggetti ai medesimi obblighi di diligenza e professionalità gravanti sugli amministratori e, pertanto, non possono essere sanzionati per imprudenza, imperizia o superficialità nel decidere o autorizzare l’atto557.

Tuttavia, è stato osservato558 che l’accoglimento di una siffatta interpretazione determinerebbe un restringimento eccessivo del campo di azione della norma, che troverebbe applicazione limitatamente ad atti emulativi o irragionevoli; o ai casi in cui il socio versi in uno stato di

552 PICCININI G., op. cit., p. 457; ZANARONE G., op. cit., p. 1131.

553 IRACE A., op. cit., p. 190;PICCININI G., op. cit., p. 457;AMBROSINI S., op. cit., p. 1604; ZANARONE G.,

op. cit., p. 1131; SANGIOVANNI V., op. cit., p. 17; SEPE O., op. cit., p. 440.

554 Come osserva PICCININI G., op. cit., p. 458.

555 ZANARONE G., op. cit., p. 1133; SANTOSUOSSO D., op. cit., p. 531.

556 SANGIOVANNI V., op. cit., p. 17. Secondo l’Autore, estendere ai soci la responsabilità per colpa avrebbe

l’effetto di equiparare la loro posizione a quella degli amministratori. Un’interpretazione del genere contrasterebbe con il caposaldo della disciplina della s.r.l., rappresentato dalla responsabilità limita dei soci; mentre la disposizione di cui all’articolo 2476, comma 7 c.c. vuole sanzionare casi particolari di responsabilità dei soci, che abbiano dolosamente cagionato danni avvalendosi degli amministratori.

557 ZANARDO A, op. cit., p. 17; MELI V., op. cit., p. 690 e 693; PECORARO C., 1465/II.

558 RESCIGNO M., Soci e responsabilità… op. cit., p. 307; DI AMATO, op. cit., p. 305; LENER R., TUCCI A.,

125 conflitto di interessi, perseguendo il proprio interesse a danno di quello della società; oppure quando strumentalizzi il diritto di decidere al fine di trarre un’utilità personale, a scapito di quella degli altri soci o dei terzi. Verrebbe, inoltre, esclusa la responsabilità dei soci per colpa grave, creando un responsabilità a titolo esclusivo di dolo559, ed eccessivamente aggravato l’onere probatorio di chi esperisce l’azione di responsabilità, divenendo difficile dare dimostrazione della volontà di nuocere attraverso un impulso agli atti degli amministratori560.

Una diversa soluzione prospettata è quella di leggere nell’avverbio “intenzionalmente” non tanto la volontà di causare il danno, ma la consapevolezza della contrarietà dell’atto a norme di legge, dell’atto costitutivo e dei principi di amministrazione, nonché delle sue possibili conseguenza dannose561. All’interno di tale corrente esegetica, si riscontra, poi, chi ritiene che lo stato soggettivo debba essere riferito ad entrambi gli elementi, con la conseguenza che il socio è chiamato rispondere per mala gestio se consapevole sin dall’origine sia dell’illegittimità dell’atto, sia delle possibili conseguenze pregiudizievoli che da esso possano discendere562; chi guarda alla consapevolezza delle conseguenze negative dell’atto deciso o autorizzato563; chi ritiene che la responsabilità del socio discenda dalla consapevolezza dell’antigiuridicità dell’atto dell’indotto564, considerando sufficiente che lo stato soggettivo sia riferito

559 ZANARONE G., op. cit., p. 1133. Contro questa critica l’Autore ribatte affermando che «la responsabilità dei

soci è concepita dal penultimo comma dell’articolo 2476 c.c. come solidale con quella degli amministratori, il che significa che un momento di intervento di questi ultimi nel processo decisorio dei primi, sia pure nelle forme talora della mera attività esecutiva, appare indefettibile, con la conseguenza che dell’eventuale decisione colposa dei soci risponderanno comunque gli amministratori per avervi dato colposamente attuazione».

560 Tribunale di Roma, 1 giugno 2016, secondo cui tale interpretazione restringerebbe eccessivamente l’ambito di

applicazione della norma al solo caso in cui il socio avesse agito a titolo di dolo specifico, ossia con specifica coscienza e volontà di recare danno alla società, agli soci o a i terzi, e richiederebbe all’attore un onere della prova molto gravoso.

561 ZANARDO A., op. cit., p. 522; CAGNASSO O., L’ “attività preparatoria” della gestione affidata ai soci di

s.r.l. e l’attribuzione della relativa responsabilità… op. cit., pp. 373; RODORF R., op. cit., p. 1187. In

giurisprudenza Tribunale di Salerno, 9 marzo 2010, assume una posizione incerta, ritenendo che il requisito dell’intenzionalità possa essere letto nel senso dell’intenzione dei soci di cagionare un danno alla società o ai terzi, mediante l’induzione dell’amministratore all’inadempimento dei suoi doveri; ovvero come consapevolezza dei soci della contrarietà dell’atto a norme di legge o dell’atto costitutivo, o ai principi di corretta amministrazione, nonché delle sue possibili conseguenze dannose. Tribunale di Torino, 12 aprile 2012 ritiene che l’intenzionalità deve essere interpretata quale consapevolezza dell’antigiuridicità dell’atto e accettazione del rischio che da tale condotta possano derivare danni alla società , ai soci e ai terzi.

562 ZANARDO A., op. cit., p. 522; ROSSI S., op. cit., p. 1069 ritiene che l’intenzionalità si sostanzia nella

consapevolezza e piena informazione delle caratteristiche dell’atto e dei suoi potenziali effetti e in una volontà di conferma di tutto ciò che il compimento dell’atto comporta.

563 ABRIANI N., op. cit., p. 380; LENER R., TUCCI A., op. cit., p. 293; SANTOSUOSSO D., op. cit., p. 531,

secondo il quale l’intenzionalità va riferita alla consapevolezza del socio di recare, con il compimento dell’atto decisionale o autorizzatorio, un danno alla società.

564 MELI V., op. cit., p. 694, il quale ritiene che l’antigiuridicità dell’atto può discendere dal contrasto a norme di

legge, ma anche dal complesso di circostanze che fanno sì che l’amministratore, ponendo in essere l’atto; RODORF R., op. cit., p. 1187. L’Autore ritiene che in tal modo il socio viene posto al riparo da una responsabilità troppo dilata, in quanto non gli viene imposto il medesimo onere di informazione e di diligenza richiesto agli amministratori. Al tempo stesso, però, si riesce a perseguire uno scopo di deterrenza sotteso alla norma, scoraggiando comportamenti moralmente azzardati.

126 all’inadempimento degli amministratori in sé considerato e non alla consapevolezza delle possibili conseguenze dannose che da esso possano derivare.

Il requisito dell’intenzionalità così interpretato diviene significativo nel caso in cui le decisioni siano state assunte in sede assembleare565 perché consente di distinguere, all’interno dell’unica volontà del corpo sociale, i soci che hanno espresso voto favorevole da quelli, assenti, astenuti o contrari, che ne sono rimasti estranei e che, pertanto, non possono essere coinvolti nella responsabilità dei primi. Permette, inoltre, di esentare da responsabilità i soci male informati o distratti, che abbiano espresso il loro voto non consapevoli dei possibili effetti dannosi della decisione assunta566.

E infine, poiché la responsabilità del socio discende dall’aver orientato l’agire degli amministratori verso il compimento di un atto dannoso, l’intenzionalità richiede la sussistenza di una relazione consapevole e intenzionale tra volontà del socio e atto gestorio. In questi termini il requisito dell’intenzionalità può essere inteso quale intento consapevole dei soci di orientare l’azione degli amministratori verso l’esecuzione dell’atto illecito. Questo aspetto assume rilevanza specialmente qualora l’influenza sull’operato degli amministratori sia avvenuta in maniera informale, rendendosi necessario accertare se, attraverso il suo intervento, il socio abbia voluto indurre gli amministratori a compiere l’atto dannoso o se, invece, si sia limitato a esprimere mere considerazioni o valutazioni generali, che sono state interpretate dall’amministratore quali impulso al compimento dell’atto567.