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La tutela della partecipazione sociale nella ristrutturazione concordataria delle societa di capitali in crisi.

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U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

D

IPARTIMENTO DI

G

IURISPRUDENZA

C

ORSO DI

L

AUREA

M

AGISTRALE IN

G

IURISPRUDENZA

La tutela della partecipazione sociale

nella ristrutturazione concordataria

delle società di capitali in crisi

Candidato

Stefano Covino

Relatore

Ch.mo Prof. Francesco Barachini

(2)
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I

NDICE

PREMESSA 1

CAPITOLO PRIMO 3

LA LEGITTIMAZIONE DEI CREDITORI ALLA PRESENTAZIONE DI UNA PROPOSTA

CONCORRENTE DI CONCORDATO PREVENTIVO 3

1. Il ruolo del terzo nelle procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa. Dall’intervento ad adiuvandum al concordato fallimentare “ostile”. 3 2. Il ruolo del terzo nella procedura di concordato preventivo dopo la riforma del 2015. Per una lettura in chiave teleologica della disciplina delle proposte concorrenti.

15 3. Profili sistematici della nuova disciplina delle proposte concorrenti. I possibili interventi sul capitale sociale e l’art. 185, sesto comma, l. fall. nell’ottica dell’emersione

di un «diritto societario della crisi». 25

4. (segue) La supposta illegittimità costituzionale del nuovo istituto. Considerazioni sull’appartenenza dell’impresa in crisi e la corretta allocazione del suo valore. 33 5. Alcune conclusioni provvisorie. I possibili abusi (e i necessari correttivi) nell’ottica

della tutela della partecipazione sociale. 41

CAPITOLO SECONDO 44

L’INCIDENZA DEL CONCORDATO PREVENTIVO OMOLOGATO SULLE

PREROGATIVE DELIBERATIVE DEI SOCI 44

1. Dal principio di neutralità organizzativa delle procedure concorsuali all’art. 185 l. fall. Spunti per una possibile perimetrazione dei rapporti tra diritto societario e diritto

(4)

2. La composizione del conflitto di interessi sotteso alla corretta esecuzione della proposta di concordato preventivo “riorganizzativa”. Spunti in prospettiva comparata.

55 2.1 La soluzione tedesca dopo la riforma dell’Insolvenzordnung del 2011. Dal principio di neutralità organizzativa al modello dell’“assorbimento”. 55 2.2 La soluzione statunitense. La posizione dei soci nella procedura di

Reorganization di cui al Chapter 11 del Bankruptcy Code 1978 tra rispetto della Absolute Priority Rule e cram-down. 61 2.3 La soluzione spagnola. La mancata adozione delle delibere modificative del capitale sociale come fonte di responsabilità risarcitoria per i soci dissenzienti. 65 2.4 La soluzione francese. La surrogazione di un mandataire en justice nelle prerogative deliberative della società in concordato. 68 3. La soluzione italiana e la sua possibile applicazione estensiva. Per una “modificazione

qualitativa” delle regole di diritto societario comune sul procedimento assembleare. 71

4. Il problema. L’art. 152 l. fall. nel quadro dei possibili conflitti interorganici sottesi alla presentazione di una proposta di concordato preventivo. 73

5. Le possibili soluzioni. 79

5.1 Prima soluzione. L’integrazione della regola di competenza ex art. 152 l. fall. attraverso dell’adozione delle necessarie delibere assembleari (con possibili riflessi

sulla fattibilità giuridica del concordato). 79

5.2 Seconda soluzione. L’applicazione estensiva dell’art. 185, sesto comma, l. fall. anche alla proposta di concordato preventivo presentata dalla società

debitrice. 91

5.3 Terza soluzione. Il trasferimento in capo all’organo gestorio della competenza a deliberare le operazioni sul capitale e straordinarie di

riorganizzazione. 94

6. Postilla. La tenuta della soluzione proposta alla luce delle particolarità del tipo societario s.r.l. (con alcune considerazioni intorno al «diritto societario della crisi»).

(5)

CAPITOLO TERZO 107 I RIMEDI A FRONTE DEI POSSIBILI ABUSI A DANNO DELLA COMPAGINE SOCIALE NELLA RISTRUTTURAZIONE CONCORDATARIA DELLE SOCIETÀ IN CRISI 107

1. Il problema. L’esigenza di individuare spazi di tutela per i detentori delle partecipazioni sociali nella ristrutturazione concordataria delle società di capitali in

crisi. 107

2. Gli adempimenti procedurali e i poteri accordati al debitore quali possibili presidi della corretta valutazione della situazione patrimoniale della società in concordato.

112 3. Il controllo del Tribunale in sede di ammissione della proposta di concordato tra fattibilità giuridica e compatibilità con norme inderogabili. 120 4. Il ruolo dell’opposizione all’omologazione nell’ottica di un possibile recupero dei

diritti di voice dei soci. 129

5. Alcune conclusioni. L’approccio del legislatore europeo alla ristrutturazione societaria tra bail-in, burden sharing e Obstruktionsverbot. 139

CONCLUSIONI 146

BIBLIOGRAFIA 149

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1

P

REMESSA

Perimetrazione dell’ambito dell’indagine e ragioni della scelta del tema

L’introduzione, con l’entrata in vigore del d.l. 83 del 27 giugno 2015, dell’istituto delle proposte concorrenti di concordato preventivo offre lo spunto per riflettere su un tema classico del diritto societario, la tutela della partecipazione sociale, declinato tuttavia non già all’interno del suo ambito naturale di elezione, rappresentato, come noto, dallo studio della struttura finanziaria e organizzativa delle società di capitali nonché degli episodi che ne connotano in vario modo l’agire fisiologico, bensì alla luce delle assai diverse prospettive che si accompagnano al profilarsi della crisi d’impresa.

Ed invero, il tema della crisi e dell’insolvenza delle società di capitali, e dunque della posizione dei soci all’interno delle procedure concorsuali giudiziali e negoziate, presenta profili di indubbio interesse. Ciò vale non tanto, e non soltanto, in ragione del dato per cui quella societaria, e in particolar modo quella capitalistica, rappresenta la forma giuridica assunta più di frequente per l’esercizio dell’impresa commerciale, e che, di conseguenza, la crisi interessa in misura preponderante imprese organizzate secondo i profili tipologici della società per azioni e della società a responsabilità limitata. Gli aspetti di maggior interesse risiedono piuttosto nel mutato atteggiamento assunto nell’ultimo decennio dal legislatore fallimentare e nei numerosi momenti di sovrapposizione e di interferenza che si sono venuti a creare tra quelle norme di diritto societario comune che presiedono all’ordinario funzionamento dell’organizzazione sociale e le soluzioni di diritto concorsuale, che perseguono in misura assai più incisiva rispetto al passato finalità diverse dalla sistemazione della crisi d’impresa per il tramite della liquidazione del patrimonio del debitore, e segnatamente obiettivi di risanamento la cui realizzazione è affidata alla continuità aziendale.

Orbene, la riforma che, nel 2015, ha attribuito ai creditori la legittimazione a presentare proposte concorrenti di concordato preventivo non ha fatto altro che acuire le difficoltà dell’interprete nel ricostruire la disciplina applicabile al fenomeno

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societario in contesti di crisi d’impresa, il quale viene oggi a collocarsi al crocevia tra norme di diritto societario comune che attribuiscono consistenti porzioni di potere deliberativo alla compagine sociale, e norme di diritto concorsuale che tali competenze puntano ad erodere nell’ottica di confezionare strategie di composizione della crisi che siano quanto più vantaggiose nell’ottica delle ragioni creditorie. Ed invero, il peculiare rimedio in forma specifica che presidia la corretta e puntuale esecuzione da parte della società debitrice di una proposta di concordato di provenienza creditoria vale a mettere in luce un profondo arretramento delle prerogative deliberative dei soci anche rispetto a decisioni passibili di incidere in misura rilevante sulle condizioni del proprio investimento.

Ebbene, a fronte della peculiare gerarchia tra gli interessi coinvolti che indubbiamente connota l’approccio legislativo al fenomeno della crisi d’impresa, risulta allora imprescindibile interrogarsi sui margini di tutela che l’ordinamento accorda, in via esplicita ovvero indiretta, alla posizione giuridica dei detentori di partecipazioni al capitale di una società in crisi. Partecipazioni sociali, infatti, che, pur inserendosi all’interno di una struttura finanziaria caratterizzata talvolta da uno squilibrio irreversibile tra capitale proprio e capitale di debito, si prestano ciò nondimeno ad attribuire a favore del relativo titolare prerogative amministrative e aspettative patrimoniali, il cui sacrificio deve in ogni caso essere limitato a quanto strettamente necessario ad assicurare la ristrutturazione dell’esposizione debitoria della società in crisi.

Orbene, fatte queste premesse più “assiologiche” che metodologiche, è possibile adesso passare ad illustrare la struttura del lavoro. Ad un’analisi d’insieme delle principali novità introdotte con la riforma del 2015 sarà dedicato il primo capitolo dell’elaborato, all’esito del quale si cercheranno di cogliere gli aspetti più rilevanti dal punto di vista critico e sistematico della nuova disciplina delle proposte concorrenti di concordato preventivo. Nel secondo capitolo verrà affrontato il problema dell’applicabilità in via analogica della disciplina “esecutiva” delle proposte concorrenti anche al caso in cui la proposta di concordato venga presentata dagli organi della stessa società in crisi. Nel terzo capitolo del lavoro, infine, si tenterà di individuare i possibili presidi a tutela della posizione dei soci nell’ambito della ristrutturazione endoconcordataria delle società di capitali in crisi.

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3

C

APITOLO PRIMO

L

A LEGITTIMAZIONE DEI CREDITORI ALLA PRESENTAZIONE DI UNA PROPOSTA CONCORRENTE DI CONCORDATO PREVENTIVO

Profili di interesse sistematico

SOMMARIO. 1. Il ruolo del terzo nelle procedure di composizione negoziale della crisi d’impresa. Dall’intervento ad adiuvandum al concordato fallimentare “ostile”. – 2. Il ruolo del terzo nella procedura di concordato preventivo dopo la riforma del 2015. Per una lettura in chiave teleologica della disciplina delle proposte concorrenti. – 3. Profili sistematici della nuova disciplina delle proposte concorrenti. I possibili interventi sul capitale sociale e l’art. 185, sesto comma, l. fall. nell’ottica dell’emersione di un «diritto societario della crisi». – 4. (segue) La supposta illegittimità costituzionale del nuovo istituto. Considerazioni sull’appartenenza dell’impresa in crisi e la corretta allocazione del suo valore. – 5. Alcune conclusioni provvisorie. I possibili abusi (e i necessari correttivi) nell’ottica della tutela della partecipazione sociale.

1. IL RUOLO DEL TERZO NELLE PROCEDURE DI COMPOSIZIONE NEGOZIALE

DELLA CRISI D’IMPRESA. DALL’INTERVENTO AD ADIUVANDUM AL

CONCORDATO FALLIMENTARE “OSTILE”.

Per effetto dell’intervento di riforma della legge fallimentare di cui al d.l. 83 del 20151 è stato introdotta nella disciplina del concordato preventivo una legittimazione concorrente alla presentazione di una proposta di concordato preventivo da parte di

1 D.L. n. 83 del 27 giugno 2015, recante «Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria», pubblicato in G.U., Serie Generale n. 147 del 27 giugno 2015; convertito con l. 132 del 6 agosto 2015, pubblicata in G.U., Supplemento Ordinario n. 50 del 20 agosto 2015. Per i primi commenti alla «miniriforma» del 2015 v. AMBROSINI, Il nuovo concordato preventivo alla luce della «miniriforma» del 2015, in Dir. fall., 2015, 5, 359 ss.; BIANCA, La nuova disciplina del concordato preventivo e degli accordi di regolazione della crisi: accentuazione dei profili

negoziali, in Dir. fall., 2015, 6, 529 ss.; SOTGIU, Il nuovo concordato preventivo, in Riv. dir. proc., 2015, 6, 1514 ss.; FABIANI, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi d’impresa, in Nuove leggi civ. comm., 2016, 1, 10 ss.; GALANTI, Misure urgenti in tema di concordato preventivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, 3, 969 ss.; PISCITELLO, Il concordato preventivo tra modelli competitivi e ritorno al passato, in Corr. giur., 2016, 3, 301 ss.; BELTRAMI, Le recenti (ulteriori) modifiche al concordato preventivo nell’estate 2015, in www.ilcaso.it, Crisi d’Impresa e Fallimento, 2 marzo 2016.

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soggetti terzi. A tal fine, l’art. 163 l. fall. è stato novellato con l’introduzione di ulteriori quattro commi, dal quarto al settimo, i quali restituiscono all’interprete la disciplina, sostanziale e processuale, del nuovo istituto delle proposte concorrenti2. Queste ultime, alla luce del dato testuale del quarto comma dell’art. 163 l. fall., possono essere definite quali proposte di concordato preventivo, alternative a quella avanzata in via principale dal debitore ammesso alla procedura, le quali possono essere presentate a procedura già avviata da uno o più creditori che a ciò siano legittimati in forza del raggiungimento, individuale o collettivo, di una determinata soglia di partecipazione al passivo concordatario. Più precisamente, alla luce del quarto comma dell’art. 163 l. fall., tanti creditori quanti possano vantare la titolarità di una quota di crediti almeno pari al 10% di quelli risultanti dalla situazione patrimoniale depositata dal debitore3, si

2 Il nuovo istituto ha suscitato fin dalla sua introduzione un vivo interesse da parte della dottrina. Si riportano di seguito solo alcuni dei principali commenti: D’ATTORRE, Le proposte di concordato preventivo

concorrenti, in Fall., 2015, 11, 1163 ss.; BOZZA, Le proposte e le offerte concorrenti, in www.fallimentiesocietà.it, 2015; TEDESCHI, Proposte e offerte concorrenti di concordato preventivo, in Dir. fall., 2016, 6, 1389 ss. Per i profili di interesse societario sottesi alla riforma v.VITALI, Profili di diritto societario delle «proposte concorrenti» nella

«nuova» disciplina del concordato preventivo, in Riv. soc., 2016, 870 ss.

3 La previsione di una soglia minima, cd. «floor», quale requisito soggettivo per l’ammissibilità di una proposta concorrente risponde innanzitutto all’esigenza di garantire che la proposta medesima venga presentata da creditori che siano portatori, per così dire, di un interesse meritevole di protezione [v. sul punto VITALI, Profili di diritto societario delle «proposte concorrenti» nella «nuova» disciplina del concordato preventivo, cit., 877-878], e non già da concorrenti del debitore intenzionati a rilevare i complessi o ad eliminare dal mercato un proprio competitor oppure da meri «disturbatori» che intendono conseguire vantaggi indebiti. In secondo luogo, e in termini positivi, la limitazione soggettiva fa sì che la legittimazione spetti soltanto a quei creditori che, in quanto titolari di una quota significativa di crediti, sarebbero destinati a subire in termini più significativi gli effetti della crisi del debitore [v. D’ATTORRE, Le proposte di concordato preventivo

concorrenti, cit., 1165]. Prestandosi in tal modo la soglia del 10% ad essere letta quale «traslazione nel

contesto concorsuale del principio di corrispondenza fra rischio e potere, tradizionale nel diritto societario sostanziale» [così ABRIANI, Dalle proposte concorrenti alle domande concorrenti, in Crisi d’impresa e

insolvenza. Prospettive di riforma, diretto da Calvosa, Pisa, Pacini, 2017, 111 ss. e in part. 126-127 e nt. 34].

Non può sottacersi come tuttavia parte della dottrina abbia considerato «ingiustificatamente alta e penalizzante» la soglia del 10%, imponendo essa «di fatto agli operatori interessati di rivolgersi al ceto bancario per acquisire i crediti necessari al raggiungimento della soglia minima» [così D’ATTORRE, Le

proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., 1165 e in part. nt. 8]. Peraltro, uno degli aspetti più

controversi del presupposto soggettivo di cui si discute è costituito dalla possibile estensione della legittimazione non tanto a quei creditori che superino la soglia del 10% per effetto di acquisti successivi «alla presentazione della domanda di cui all’art. 161 l. fall.», come del resto già prevede lo stesso art. 163 l. fall., bensì, più radicalmente, a quei soggetti che diventano creditori solo al momento – e in funzione – della presentazione di una proposta concorrente. La soluzione affermativa appare preferibile [v. in questo senso PRESTI, Concordato preventivo: dal monopolio del debitore alle proposte concorrenti fino all’iniziativa di

terzi, in Le proposte per una riforma della legge fallimentare. Un dibattito dedicato a Franco Bonelli, a cura di

Arato-Domenichini, Milano, Giuffrè, 2017, 91 ss. e in part. 95-96 e nt. 6; VITALI, Profili di diritto societario delle

«proposte concorrenti» nella «nuova» disciplina del concordato preventivo, cit., 878-879; D’ATTORRE, Le proposte di

concordato preventivo concorrenti, cit., 1165; VELLA, La contendibilità dell’azienda in crisi. Dal concordato in continuità

alla proposta alternativa del terzo, in ilcaso.it, Crisi d’Impresa e Fallimento, 2 febbraio 2016, 22-23;

AMBROSINI, Il nuovo concordato preventivo alla luce della «miniriforma» del 2015, cit., 374. In senso contrario però v. RATTI, Art. 163, in AA.VV., La nuova riforma del diritto concorsuale. Commento operativo al d.l. n.

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vedono oggi riconosciuta la facoltà di presentare, almeno trenta giorni prima dell’adunanza dei creditori, una proposta di concordato concorrente che, attraverso il piano ad essa correlato, individui una differente modalità di composizione della crisi. A tal fine, lo stesso art. 163 l. fall. individua alcuni degli strumenti di cui la proposta concorrente può avvalersi, menzionando segnatamente l’intervento di un terzo ovvero, nel caso in cui il debitore eserciti l’attività di impresa attraverso le forme della società per azioni o della società a responsabilità limitata, un’operazione societaria di aumento di capitale con limitazione o esclusione del diritto d’opzione dei vecchi soci, al fine di consentire, in considerazione deli assetti originari di governo della compagine sociale, la sostituzione del gruppo di controllo ad opera di una nuova categoria di investitori e di gestori dell’impresa sociale.

In via di necessaria premessa rispetto all’analisi dei profili di maggior respiro sistematico della disciplina del nuovo istituto, nonché delle finalità che ne hanno sollecitato l’introduzione, non può non accennarsi al fatto che il riconoscimento a favore dei creditori di una legittimazione concorrente ai fini della presentazione di una proposta di concordato non costituisce per vero una novità assoluta nel panorama del diritto concorsuale italiano. Un precedente fondamentale in tal senso può infatti rinvenirsi con riguardo alla proposta di concordato fallimentare, per la cui presentazione l’iniziativa era stata assegnata, all’esito del precedente intervento di riforma del 20064, non già al solo fallito, come nel testo originario dell’art. 124 l. fall., ma anche ai creditori o ad un terzo. Pur esulandone una puntuale trattazione dall’ambito di indagine del presente lavoro, tale aspetto della disciplina del concordato fallimentare merita ciò nondimeno un, ancorché breve, preliminare approfondimento, in quanto esso si presta a fornire alcuni utili spunti di riflessione nell’ottica di una

dato letterale dell’art. 163 l. fall., in forza del quale la legittimazione spetta ad uno o più creditori, con esclusione quindi di coloro che diventano tali partendo da «un’originaria posizione di terzietà»], soprattutto se si considera che tra le finalità evidenziate nella relazione di accompagnamento al d.l. 83 del 2015 si allude anche alla creazione dei «presupposti per la nascita, anche in Italia, di un mercato del

distressed debt, già da tempo sviluppatosi in altri paesi (tra cui, in particolare, gli Stati Uniti d’America) in

modo da consentirne un significativo smobilizzo» [per una ricostruzione del fenomeno v. VIOLANTE,

La circolazione del credito distressed, Milano, Giuffrè, 2013].

4 Si allude al d.lgs. 5 del 9 gennaio 2006, recante «Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80», pubblicato in G.U., Supplemento Ordinario n. 13 del 16 gennaio 2006.

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possibile contestualizzazione sistematica del nuovo istituto delle proposte concorrenti di concordato preventivo.

Al riguardo, può innanzitutto dirsi come tanto la riforma del 2006, quanto quella del 2015 si segnalino per una netta apertura a favore dell’iniziativa da parte di soggetti diversi dall’imprenditore che versa in stato di crisi ma, ancor prima, per aver concepito il ruolo del terzo nell’ambito delle procedure di risanamento in maniera profondamente diversa rispetto al passato5. Al riguardo basti sottolineare che, in entrambe le tipologie di concordato, il testo originario della legge fallimentare non riconosceva alcun margine di manovra a soggetti diversi dall’imprenditore insolvente nel momento genetico dell’accesso alla procedura. Con particolare riferimento al concordato fallimentare, il legislatore del 1942 non aveva replicato la disposizione dell’art. 831 dell’abrogato codice di commercio, la quale riconosceva la legittimazione alla proposta, oltre che al debitore, anche al curatore, alla delegazione dei creditori nonché ai creditori che rappresentassero almeno un quarto del passivo fallimentare. Ciò, si badi, in piena coerenza con le logiche proprietarie allora dominanti e con l’idea che il concordato fallimentare costituisse nient’altro che una transazione collettiva tra il debitore e i propri creditori, finalizzata a consentire ai secondi di fruire di un’alternativa più vantaggiosa rispetto alla liquidazione fallimentare e al primo di riappropriarsi della gestione della propria impresa con cessazione dello spossessamento6. Ragionando in quest’ottica, ne era dunque risultata alimentata l’idea, ampiamente dominante in dottrina e confortata dall’interpretazione della giurisprudenza, secondo la quale la legittimazione alla presentazione della domanda di concordato dovesse competere

5 Per un’analisi diacronica del ruolo del terzo nelle procedure di concordato preventivo e fallimentare v. NARDECCHIA, Il terzo nel concordato, in Fall., 2017, 10, 1071 ss.

6 L’esaltazione delle logiche proprietarie trova espressione dunque in ciò che a ben vedere costituisce il proprium del concordato fallimentare e il principale incentivo dal punto di vista del fallito. Se infatti con

la dichiarazione di fallimento il legame dell’imprenditore con la sua impresa viene reciso, poiché al debitore viene sottratta la disponibilità del proprio patrimonio attraverso lo spossessamento, tale legame risulta riallacciato nel momento in cui il fallito sia in grado di proporre ai creditori un concordato fallimentare che gli consenta di riconquistare il dominio della sua impresa [v. sul punto FABIANI, La

proposta del terzo di concordato fallimentare, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di Di Marzio-Macario,

Milano, Giuffrè, 2010, 413 ss. e in part. 417]. Per le ricostruzioni tradizionali circa la natura giuridica del concordato fallimentare v., su tutti, FERRARA, voce Concordato fallimentare, in Enc. Dir., VIII, Milano, Giuffrè, 1961, 471. Al riguardo, può dirsi, in sintesi, come tradizionalmente il concordato fallimentare venisse definito quale «transazione collettiva con promessa di garanzia» tra il debitore e i suoi creditori, o, ancora, come «una promessa a favore dei creditori della massa e privilegiati, non per recare loro un beneficio, ma per evitare un pregiudizio, promessa avente ad oggetto la costituzione di garanzie per il loro soddisfacimento» [così FERRARA-BORGIOLI, Il fallimento, V ed., Milano, Giuffrè, 1989, 604].

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esclusivamente al fallito7 e, per conseguenza, che eventuali proposte concorrenti avanzate da terzi, ancorché più vantaggiose di quella formulata del debitore, dovessero essere dichiarate inammissibili8.

Esclusa dunque la legittimazione attiva alla presentazione della domanda di concordato, anche le residue possibilità di coinvolgimento di un terzo nell’ambito di una procedura già avviata risultavano fortemente compresse. Invero, per quanto concerne il concordato fallimentare, il testo ante riforma dell’art. 124 l. fall. consentiva l’intervento del terzo in funzione di mero garante rispetto al pagamento dei crediti, delle spese di procedura e del compenso del curatore, effetto questo che veniva garantito nella prassi attraverso l’impiego endoconcordatario dell’istituto civilistico della fideiussione. Per altro verso, gli artt. 124 e 137 l. fall. richiamavano implicitamente la figura dell’assuntore del concordato9, persona diversa rispetto al fallito, la quale si

7 V. SCHIAVON, Questioni varie in tema di concordato fallimentare, in Fall., 1993, 6, 653 ss.: «e non potrebbe essere diversamente perché l'attribuzione della legittimazione a proporre la domanda al solo fallito si spiega col fatto che il concordato, se adempiuto (eventualmente anche dall'assuntore), è poi suscettibile di comportare determinati effetti sostanziali incidenti proprio sulla sfera giuridica del debitore (il quale realizza la definitiva esdebitazione ex art. 135 anche per i crediti non insinuati ed ottiene la riabilitazione civile ex art. 143 n. 2); correlativamente, il mancato adempimento (eventualmente anche da parte dell'assuntore) comporta la riapertura del suo fallimento». V. pure, ex multis, PROVINCIALI, Trattato di

diritto fallimentare, Milano, Giuffrè, 1974, 1795; FERRARA, Il fallimento, Milano, Giuffrè, 1989, 624; BONSIGNORI, Del concordato, in Commentario Scialoja-Branca, artt. 118-145, Bologna, Zanichelli, 1977, 145. 8 V. l’emblematica decisione resa dal Tribunale di Roma con sentenza del 12 novembre 1992 [Trib. Roma, 12 novembre 1992, in Fall., 1993, 6, 653 ss., con nota di SCHIAVON, Questioni varie in tema di

concordato fallimentare], relativamente ad una procedura di concordato fallimentare nella quale ad

un’originaria proposta presentata da una società fallita (che, fra l’altro, prevedeva il pagamento dei crediti chirografari nella percentuale del 60%) se ne era poi sovrapposta un’altra, presentata da un terzo intervenuto nel corso del procedimento, la quale prevedeva, invece, il pagamento dei chirografari al 100%. Orbene, secondo i giudici capitolini, la proposta concorrente del terzo deve essere dichiarata inammissibile, sul presupposto per cui «la legge fallimentare, regolando un istituto suo proprio per la definizione della procedura, non fa alcun accenno alla legittimazione di terzi i quali, quindi, se intendono tacitare i creditori […] non possono sovrapporre all'istituto del concordato fallimentare […] elementi della disciplina generale civilistica piegando quello ad esigenze che il legislatore ha ritenuto di non prevedere e tutelare». In tale arresto la giurisprudenza afferma pertanto expressis verbis che nessun rilievo possono assumere quelle tesi che pur avevano arditamente sostenuto come una lettera conservativa dell’art. 124 l. fall. potesse essere superata, nell’ambito di una interpretazione logico-evolutiva, attraverso il richiamo a quelle norme civilistiche, a loro volta espressione di principi generali (v. gli artt. 1180 e 1272), che prevedono la possibilità che un debito venga pagato da un terzo anche contro la volontà del debitore [per tale posizione, favorevole al riconoscimento della legittimazione concorrente del terzo, v. PAJARDI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, Giuffrè, 1986, 558, nonché SATTA, Diritto fallimentare, III ed., Padova, CEDAM, 1996, 395]. Se si accede all’interpretazione restrittiva accolta dalla giurisprudenza, appare evidente come al terzo che fosse interessato ad investire nell’azienda non rimanesse all’epoca altra soluzione se non quella di tentare di accordarsi con il fallito, detentore del monopolio dell’iniziativa, oppure presentare un’offerta al curatore per acquistare l’azienda o suoi rami [così PACCHI, Il concordato

fallimentare, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia-Panzani, vol. II, Torino, UTET,

2009, 1370 ss. e in part. 1373].

9 Per la ricostruzione della disciplina dell’assunzione del concordato fallimentare v., per tutti, DI CATALDO, Il concordato fallimentare con assunzione, Milano, Giuffrè, 1976; TERRANOVA, L’assuntore di

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obbliga in via principale ad adempiere gli obblighi derivanti dal concordato medesimo, in forza di un patto di accollo, cumulativo o liberatorio, compensato dalla cessione all’assuntore dell’attivo fallimentare ed eventualmente anche delle azioni revocatorie già proposte dal curatore.

Volgendo poi l’attenzione al concordato preventivo, e considerati i due schemi tipici previsti prima della riforma del 2005 dall’art. 160 l. fall.10, vale a dire il concordato con garanzia e il concordato per cessione dei beni, è evidente come il primo modello ben si prestasse all’intervento di un terzo in qualità di garante rispetto al pagamento della percentuale concordataria. A ciò tuttavia deve aggiungersi come, pure nell’ambito del concordato per cessione, la prassi applicativa avesse individuato ulteriori forme di intervento del terzo, strutturalmente e funzionalmente diverse rispetto allo schema della garanzia personale. Basti pensare alle ipotesi in cui il piano concordatario incentrato sulla cessione dell’azienda ai creditori fosse assistito da un patto ad hoc di affitto dell’azienda medesima, accompagnato a sua volta da una promessa irrevocabile di acquisto condizionata all’omologazione del concordato.

Tale breve disamina della situazione precedente la riforma vale ugualmente a tratteggiare con sufficiente chiarezza un quadro normativo nel quale la legge fallimentare consentiva l’intervento del terzo nella procedura concordataria entro limiti molto angusti, ma soprattutto entro un orizzonte funzionale ben preciso. Volendo utilizzare al raguardo categorie processualcivilistiche, può ben dirsi come, prima della riforma, il terzo potesse accedere alla procedura come mero interventore adesivo ad

adiuvandum. Esaurendosi cioè il suo contributo alla procedura in un ruolo di mero

supporto alle ragioni del debitore, attraverso l’offerta ai creditori di una garanzia specifica, aggiuntiva rispetto alla garanzia generica, costituita dal patrimonio del

concordato fallimentare, Milano, Giuffrè, 1976; DI SABATO,L’assuntore del concordato fallimentare, Napoli,

Jovene, 1960.

10 Per la nuova fisionomia assunta dal concordato preventivo e delle altre soluzioni negoziali della crisi d’impresa dopo la riforma di cui al cd. «decreto competitività» (d.l. n. 35 del 14 marzo 2005, recante «Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale», pubblicato in G.U., Serie Generale n. 62 del 16 marzo 2005; convertito con la l. 14 maggio 2005 n. 80, pubblicata in G.U. Supplemento Ordinario n. 91, relativo alla G.U. n. 111 del 14 maggio 2005) v., ex

multis, MOSCO, Concordato preventivo e piani negoziali per il risanamento dell’impresa, in Banca borsa tit. cred., 2009, 4, 373 ss.; CENSONI, Il «nuovo» concordato preventivo, in Giur. comm., 2005, 5, 723 ss.; FERRO, I nuovi strumenti

di regolazione negoziale dell’insolvenza e la tutela giudiziaria delle intese fra debitore e creditori: storia italiana della timidezza competitiva, in Fall., 2005, 5, 587 ss.

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debitore, che resta tendenzialmente deputata in via principale all’adempimento delle obbligazioni concordatarie.

Ebbene, se si guarda alle novità introdotte con la riforma del 2006, è evidente come il desunto assetto normativo sia profondamente mutato e sia destinato a mutare ulteriormente dopo la novella del 2015. In entrambe le circostanze, invero, il legislatore ha inteso ampliare in maniera evidente i margini entro i quali un soggetto diverso dal fallito può accedere alla procedura, giungendo finanche ad ammettere un intervento del terzo animato, in definitiva, da logiche non tanto (e non soltanto) collaborative, ma anche contrappositive (e persino concorrenziali) rispetto all’iniziativa del debitore11. Al riguardo, deve infatti rammentarsi che il testo novellato dell’art. 124 l. fall. non soltanto, come detto, estende la legittimazione attiva alla presentazione della proposta ad uno o più creditori ovvero ad un terzo12, ma in più, e in maniera assai più radicale, limita l’iniziativa del fallito, nonché di eventuali società partecipate o controllate, entro precise coordinate temporali, stabilendo a tal fine un termine iniziale – il decorso di un anno dalla dichiarazione di fallimento – ed uno finale – non oltre due anni dalla data di emissione del decreto che rende esecutivo lo stato passivo13. Di talché risulta

11 V. sul punto NARDECCHIA, Il terzo nel concordato, cit., 1074, secondo il quale, se prima della riforma «non vi era spazio per l’intervento ostile del terzo in contrapposizione e non quindi in condivisione con la posizione del debitore», la situazione muta radicalmente con la riforma del 2006.

12 Sullo sfondo dell’avvenuto riconoscimento ai creditori e ai terzi della facoltà di presentare la proposta di concordato fallimentare si staglia la questione circa la legittimazione attiva del curatore. Il tema è particolarmente dibattuto in dottrina, complici peraltro anche la scarsa chiarezza delle norme e un palese difetto di coordinamento tra le disposizioni degli artt. 124 e 129 l. fall. (art. 124 l. fall. che, all’esito dell’intervento del d.lgs. 169 del 2007, decreto correttivo e integrativo della riforma del 2006, ha visto espunto il curatore dal novero dei soggetti legittimati; art. 129, secondo comma, l. fall. che, al contrario, continua, anche dopo l’intervento correttivo, a far riferimento alla proposta di concordato «presentata dal curatore»). Tanto la soluzione affermativa quanto quella negativa sono state parimenti sostenute in dottrina: v., per l’insuperabilità del dato letterale dell’art. 124 l. fall. (che non menziona il curatore tra i soggetti legittimati), CAVALAGLIO, sub Art. 129. Giudizio di omologazione, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, vol. II, Bologna, Zanichelli, 2007, 2015 ss. e in part. 2021; per la soluzione permissiva v. STANGHELLINI, sub Art. 124. Proposta di concordato, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., 1946 ss. Per un’analisi complessiva del problema si rimanda a PACCHI, Il concordato fallimentare, cit., 1394 ss., nonché, per il ruolo del curatore nell’ambito della procedura, v. LO CASCIO, Il curatore nel

concordato fallimentare, in Fall., 2007, 9, 1098 ss.

13 Per una possibile ratio dei termini v. STANGHELLINI, sub Art. 124. Proposta di concordato, cit., 1950. Il «vantaggio competitivo» attribuito al terzo rispetto al fallito, sotto il profilo dei tempi di presentazione della proposta, può essere spiegato sotto due punti di vista. Per un verso, giova considerare come al fallito sia attribuita la legittimazione esclusiva ad accedere alla procedura di concordato non appena emergano i primi sintomi della crisi d’impresa, ancorché non ancora sfociata nell’insolvenza vera e propria. Peraltro, nella situazione di oggettivo svantaggio temporale in cui versa il fallito può intravedersi «un modo per pareggiare i vantaggi informativi di cui il fallito dispone», posto che «un terzo estraneo si trova in condizioni di asimmetria informativa rispetto al fallito» [v. FABIANI, La proposta del terzo di

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evidente come il legislatore abbia voluto individuare una finestra temporale – circoscritta al primo anno successivo alla dichiarazione di fallimento – entro la quale, risultando i creditori gli unici soggetti legittimati a presentare la proposta di concordato fallimentare, il fallito può trovarsi esposto ad iniziative a fronte delle quali questi non abbia alcun potere conformativo o quantomeno di veto. In definitiva, può allora dirsi come il legislatore abbia inteso dare spazio anche alla categoria dei concordati cd. “ostili”14, intendendosi come tali quei concordati proposti da un terzo indipendentemente da (e finanche contro) la volontà del fallito, il quale potrebbe dunque ben trovarsi ad essere portatore di un interesse contrario alla loro omologazione15.

Sulla scorta delle considerazioni sinora svolte, è possibile procedere ad individuare gli spunti di riflessione suscitati dalla lettura di quella che è stata da taluno definita come la vera e propria «norma manifesto» di una legge fallimentare riformata all’insegna della «privatizzazione» e della «de-giurisdizionalizzazione»16. Al riguardo, possono sicuramente farsi due ordini di considerazioni.

concordato fallimentare, cit., 425]. Sul punto v. anche PELLEGRINO, La rilevanza degli elementi soggettivi nel nuovo

concordato fallimentare e preventivo, in Dir. fall., 2009, 3-4.

14 È opportuno precisare come l’ostilità alla quale si fa riferimento in questa sede deve essere fatta consistere nella contrapposizione tra gli interessi del terzo proponente e quello del fallito, del cui patrimonio si dispone attraverso la proposta di concordato fallimentare. Diverse sono tuttavia le occasioni di contrapposizione che possono venire ad esistenza nella dialettica tra i molteplici interessi coinvolti nella procedura. È di tutta evidenza infatti come una proposta di concordato fallimentare possa essere astrattamente vantaggiosa per alcuni soggetti, in primis per il fallito, e contemporaneamente svantaggiosa – o, meglio, «ostile» – per altri [v. D’ATTORRE, I concordati «ostili», Milano, Giuffrè, 2012, 1 ss.]. A fronte delle diverse fattispecie di conflitto prospettabili, e, si badi, ipotizzabili anche all’interno della stessa categoria di soggetti, diversi sono i rimedi che l’ordinamento predispone a tutela degli interessi coinvolti.

15 Perché possa parlarsi di un concordato «ostile», l’alterità soggettiva del soggetto proponente rispetto al fallito costituisce condizione necessaria ma non sufficiente, dovendosi infatti verificare la sussistenza di un interesse opposito del fallito, derivante dalle condizioni per sé sfavorevoli contenute nella proposta. Tale secondo connotato del concordato ostile, che può essere definito «oggettivo», difetta invece in quelle ipotesi in cui il soggetto proponente, benché non coincidente con il fallito, è terzo soltanto dal punto di vista formale, essendo esso legato dal punto di vista sostanziale allo stesso fallito ovvero a soggetti a lui riconducibili. In alcuni casi infatti, per ragioni tanto fisiologiche quanto patologiche, il fallito può avere interesse a non comparire all’esterno quale soggetto proponente il concordato, preferendo celarsi dietro lo schermo di un diverso soggetto giuridico, con il quale ha però stipulato un preventivo accordo «para-concordatario» che preveda comunque un beneficio derivante dall’esecuzione del concordato. Per tali riflessioni v. D’ATTORRE, I concordati «ostili», cit., 1-2.

16 Il virgolettato in FABIANI, La proposta del terzo di concordato fallimentare, cit., 414. Per i tratti salienti e un’interpretazione complessiva della riforma fallimentare del biennio 2005-2006 v., ex multis, PORTALE,

La legge fallimentare rinnovata: note introduttive, in Banca borsa tit. cred., 2007, 1, 368 ss.; D’ALESSANDRO,La

crisi delle procedure concorsuali e le linee della riforma: profili generali, in Giust. civ., 2006, 329 ss.; SCHLESINGER,

L’entrata in vigore della riforma fallimentare completata, in Corr. giur., 2006, 9, 1189 ss.; JORIO,Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa tra «privatizzazione» e tutela giudiziaria,in Fall., 2005, 11, 1453 ss.; FORTUNATO,

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Per un verso, con l’apertura a proposte presentate da soggetti diversi dall’imprenditore fallito, il legislatore ha inteso riconsiderare in radice lo stesso orizzonte di senso entro cui viene a collocarsi il “nuovo” concordato fallimentare. Quest’ultimo, infatti, per effetto della riforma, si è venuto a colorare di potenzialità ulteriori rispetto al mero beneficio della cessazione anticipata del fallimento, prestandosi ad essere inquadrato a tutti gli effetti – e a dispetto della sua collocazione topografica nell’articolato della legge fallimentare – tra le soluzioni negoziate della crisi d’impresa17. In altri termini, tanto l’ampliamento della platea dei soggetti legittimati, quanto l’ulteriore novità introdotta dalla riforma, costituita dal riconoscimento di un principio di tendenziale atipicità nella definizione della proposta e del piano, possono essere letti quali elementi idonei a connotare il “nuovo” concordato fallimentare quale vero e proprio strumento di riorganizzazione dell’impresa in crisi18. Un istituto, dunque, che viene a coinvolgere tutti i soggetti a vario titolo interessati dall’insolvenza dell’imprenditore fallito, i quali oggi, diversamente dal passato, possono profittare non soltanto della maggiore convenienza economica di una soluzione liquidatoria negoziata rispetto all’ordinario epilogo fallimentare, ma anche delle opportunità di guadagno scaturenti dalla possibilità di rilevare l’impresa in crisi e di finanziarne il salvataggio,

L’incerta riforma della legge fallimentare, in Corr. giur., 2005, 5, 597 ss. Sul tema di de-giurisdizionalizzazione

delle procedure concorsuali v. le interessanti notazioni, anche in ottica storico-evolutiva, di LIBERO NOCERA, Autonomia privata e insolvenza: l’evoluzione delle soluzioni negoziali dai codici ottocenteschi al contratto sulla

crisi d’impresa, in Dir. fall., 2014, 3-4, 401 ss., ove si legge come «alla c.d. «de-giurisdizionalizzazione»

corrisponde la valorizzazione dell’autonomia negoziale ed in particolar modo del contratto appunto quale strumento privilegiato di regolazione delle relazioni commerciali durante il dissesto» [406], sul presupposto per cui la giurisdizione costituisca «un fattore anti-competitivo [nonché] una delle maggiori cause di rallentamento e del costo elevato della procedura, oltre [che un] ostacolo ai tentativi di risanamento delle imprese» [405]. V. pure sul punto MACARIO, Insolvenza, crisi d’impresa e autonomia

contrattuale. Appunti per una ricostruzione sistematica delle tutele, in Riv. soc., 2008, 1, 102 ss.

17 Parla di «vera e propria mutazione genetica dei concordati che vangano proposto a chiusura di una procedura di liquidazione» STANGHELLINI, sub Art. 124. Proposta di concordato, cit., 1948. V. sul punto anche GUERRERA, Il «nuovo» concordato fallimentare, in AA.VV., Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa, Torino, Giappichelli, 2007, 127 ss.; NISIVOCCIA, Il nuovo concordato fallimentare, in Riv. dir. proc., 2007, 969 ss.; FABIANI, La proposta del terzo di concordato fallimentare, cit., 422, secondo il quale il nuovo concordato fallimentare può essere a buon diritto inscritto «nel palinsesto degli accordi rivolti a gestire la crisi d’impresa». V. anche DI MARZIO, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, Milano, Giuffrè, 2011, 9 ss., il quale colloca il concordato nell’ambito degli strumenti di soluzione negoziale della crisi d’impresa, operando una ricostruzione sistematica di nuovo e più ampio respiro.

18 V. GUERRERA, Il «nuovo» concordato fallimentare, cit., 134. Il nuovo concordato fallimentare si presta dunque ad essere riguardato contemporaneamente come a) «modalità di regolamentazione alternativa dell’insolvenza, secondo il contenuto della proposta e del “piano”»; b) «strumento idoneo a determinare

l’eliminazione successiva dello stato di insolvenza per effetto della stessa regolamentazione concordataria»; c)

«modalità di cessazione anticipata – se del caso, anche repentina – del processo di fallimento, che è destinato a rimanere soppiantato dalla sistemazione concordataria del dissesto e che prelude al rientro in bonis» (corsivo nel testo): così ancora GUERRERA, Il «nuovo» concordato fallimentare, cit., 130.

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investendo negli eventuali valori aziendali residui, come pure nei flussi di cassa futuri o meramente sperati19. Si comprende allora come si tratti di una novità di assoluto rilievo, in quanto essa si fa espressione, in definitiva, di una più ampia transizione dalla tradizionale visione proprietaria «ad una visione del fenomeno “crisi d’impresa” in cui si vuole assumere la centralità dell’impresa come risorsa sulla quale il mercato è chiamato, per l’ultimo tentativo, a provare ad investire con una proposta regolativa nella quale il valore imprenditoriale sia posto in risalto»20.

Per altro verso, inoltre, nel differenziare i presupposti e i limiti legati all’iniziativa dei vari soggetti legittimati ai sensi dell’art. 124 l. fall., il legislatore ha inteso apertamente delineare una precisa gerarchia assiologica tra gli interessi coinvolti21. Se, infatti, da un lato, la legittimazione del fallito, pur essendo stata formalmente

19 L’obiettivo perseguito dunque del legislatore del 2006, anche attraverso la flessibilizzazione del contenuto del piano di concordato, è evidentemente quello di consentire ai creditori di decidere non soltanto, come in passato, sulle modalità e sulla convenienza complessiva dell’operazione, ma anche sull’assunzione di un rischio ulteriore, legato ad un nuovo investimento nell’impresa e nell’azienda in crisi, qualora tale «outil industriel» [PACCHI, Il concordato fallimentare, cit., 1391] rappresenti in concreto un bene sul quale potrebbero sussistere un interesse ad investire. Si assiste in questo modo alla creazione di un vero e proprio «mercato delle imprese in crisi», alimentato dall’idea per cui «i fallimenti (e quindi i valori residui quali azienda e attività) sono […] beni sui quali può essere conveniente contrattare, speculare e, perché no, lucrare» [così PACCHI, Il concordato fallimentare, cit., 1384, ma v. pure FABIANI, La

proposta del terzo di concordato fallimentare, cit., 418, secondo il quale il concordato fallimentare «si può

trasformare in un nuovo strumento di circolazione della ricchezza (o, se non si vuole enfatizzare la situazione – visto che si parla pur sempre una impresa decotta –, un modo per rimettere in circolazione le risorse residue dell’impresa)»].

20 Il virgolettato in FABIANI, La proposta del terzo di concordato fallimentare, cit., 417. In dottrina peraltro è stato sottolineato al riguardo come, alla luce delle recenti riforme e in particolare dopo l’introduzione dell’art. 186-bis l. fall., che come noto disciplina la fattispecie concordataria «con continuità aziendale», la disciplina concorsuale si sia evoluta «da un sistema imperniato sul soggetto (l’imprenditore insolvente) e su una visione statica dei rapporti (i debiti e la loro garanzia patrimoniale) ad un sistema imperniato sull’attività (l’impresa) e su una visione dinamica delle sue relazioni (il ripristino del ciclo produttivo e dei flussi finanziari)»: così TERRANOVA, Salvaguardia dei valori organizzativi e costi delle procedure concorsuali, in Società, banche e crisi d'impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, vol. III, Torino, UTET, 2014, 2771 ss. Per i presupposti storici e culturali di tale mutamento di paradigma, v. PACCHI, Dalla meritevolezza

dell’imprenditore alla meritevolezza del complesso aziendale, Milano, Giuffrè, 1989, nonché RONDINONE, Il mito

della conservazione dell’impresa in crisi e le ragioni della commercialità, Milano, Giuffrè, 2012. 21 Per tali considerazioni v., per tutti, PACCHI, Il concordato fallimentare, cit., 1390 ss.

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conservata22, risulta essere collocata in posizione residuale23, dall’altro l’iniziativa dei creditori e del terzo è stata esplicitamente incentivata, anche attraverso una diversa e più vantaggiosa modulazione del contenuto della proposta che essi sono legittimati a presentare. Invero, in forza dell’art. 124 l. fall., ai creditori proponenti è riconosciuta non soltanto, sul versante passivo, la facoltà di limitare gli impegni assunti con il concordato rispetto ad alcune categorie di creditori, lasciando impregiudicata la responsabilità del fallito per i debiti esclusi; ma è stato altresì previsto, sul versante attivo, che la proposta presentata dai creditori e dal terzo (diversamente da quella presentata dal debitore) possa prevedere la cessione, oltre che dei beni compresi nell'attivo fallimentare, anche delle azioni «di pertinenza della massa»24. L’accesso alla procedura concordataria, dunque, può oggi consentire al creditore proponente non soltanto una valorizzazione più rapida e vantaggiosa delle proprie ragioni di credito, potendo egli profittare, immediatamente, di un’azienda unitaria ancora espressiva di valore, e non, a distanza di anni, di un mero coagulo di beni disgregato all’esito della liquidazione fallimentare, ma anche (e soprattutto) di rimpinguare il patrimonio del debitore in crisi, attraverso l’utile esperimento delle azioni revocatorie: possibilità che,

22 Si esprime a favore di tale scelta D’ALESSANDRO, Il «nuovo» concordato fallimentare, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, cit., 397 ss. e in part. 400-401, secondo il quale per un vero l’estensione della

legittimazione ha rappresentato una «novità da salutare con incondizionato favore», in quanto in passato l’esclusiva a carico del fallito rischiava di tradursi in un «pedaggio» a carico dei creditori, «pratica tanto più odiosa in quanto in questo modo il debitore, che aveva già arrecato danno ai creditori con la propria insolvenza, li danneggiava una seconda volta con questa speculazione». Per l’altro, secondo l’Autore è stato opportuno che «non ci sia spinti fino al punto di negare al fallito ogni legittimazione», sbocco che infatti rischierebbe di penalizzare in primis i creditori, in quanto il debitore è spesso l’unico soggetto in grado di «estrarre dal patrimonio fallimentare, grazie alle sue conoscenze specifiche e alla sua superiore e meno costosa libertà di movimento, un valore maggiore di quello che ne potrebbe ricavare la massa». 23 Chiaro indice del declassamento della posizione dell’imprenditore fallito è il rilievo per cui la proposta di concordato preventivo presentata da taluni dei creditori ovvero dal curatore nell’interesse della massa non richiede il consenso del debitore o degli organi della società debitrice. Di talché risulta evidente come l’interesse al quale la legge accorda la prevalenza è quello dei creditori, ai quali è in ultima istanza demandata la formulazione del proprio assenso alla proposta, in un’ottica di vera e propria «autogestione dell’insolvenza» [GUERRERA, Il «nuovo» concordato fallimentare, cit., 139].

24 Ciò, si badi, non già a condizione che, come in passato, l’azione fosse già stata proposta dal curatore, ma che la cessione medesima venga autorizzata dal giudice delegato. Sul tema della cessione delle azioni di massa v. TERRANOVA, La cessione delle azioni nelle procedure concorsuali, in Impresa e mercato. Studi dedicati a

Mario Libertini, a cura di Di Cataldo-Meli, vol. III, Crisi d’impresa. Scritti vari, Milano, Giuffrè, 2015, 1555

ss.; LATELLA, La cessione delle azioni «di pertinenza della massa» nel sistema di realizzazione concorsuale dell’attivo, in Dir. fall., 2014, 1, 24 ss.; TRISORIO LIUZZI, Concordato fallimentare e cessione delle azioni di massa, in

Autonomia negoziale e crisi d’impresa, cit., 465 ss.; VATTERMOLI, La «cessione» delle revocatorie, in Giur. comm., 2009, 1, 448 ss.

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a ben vedere, rappresenta il principale vantaggio comparativo a favore del terzo proponente25.

Alla luce di tali considerazioni risulta chiaro, in definitiva, come, nel nuovo assetto normativo, l’iniziativa del terzo sia stata apertamente incentivata, trovando così conferma che, in ottica assiologica, l’interesse del fallito all’eventuale riacquisizione del proprio patrimonio debba reputarsi posposto rispetto all’interesse dei creditori all’ottimale soddisfazione delle proprie ragioni, anche attraverso la conservazione e la circolazione sul mercato di organismi produttivi ancora vitali26.

25 V. sul punto FABIANI,La proposta del terzo di concordato fallimentare, cit., 419.

26 Per la centralità dell’interesse dei creditori al miglior soddisfacimento delle proprie pretese v., dopo la riforma del 2006, DI MARZIO, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, cit., in part. 24 ss., ove si legge come «nel cd. “diritto ordinario della crisi d’impresa” la tutela è indirizzata al credito verso l’imprenditore insolvente: nel senso che tutti gli altri interessi coinvolti nell’attività non trovano protezione autonoma ma sempre condizionata alla tutela dell’interesse – perciò primario – dei creditori» (corsivo nel testo). Secondo l’Autore, tale assetto valoriale, che è desumibile da «potere indeterminato riconosciuto ai creditori oppure al comitato dei creditori» quanto alle «principali decisioni sulla modalità gestoria della crisi» [sul punto si vedano anche le riflessioni di GIANNELLI, Competenze gestorie del comitato dei creditori e

competenze «residuali» degli organi sociali, in La riforma della legge fallimentare. Atti del Convegno (Palermo, 18-19 giugno 2010), a cura di Fortunato-Giannelli-Guerrera-Perrino, Milano, Giuffrè, 2011, 101 ss.] non viene

a mutare neppure nel momento in cui, nella riflessione dottrinale e nella prassi applicativa, «accanto alla necessità di salvaguardare l’interesse dei creditori si evidenziano altre necessità, soprattutto quella di salvaguardare i livelli occupazionali», oppure «quella di conservare l’impresa, sostituendo magari l’imprenditore incapace alla sua guida». Per la prevalenza della tutela del credito nel concordato fallimentare v. GUERRERA, Il «nuovo» concordato fallimentare, cit., 139, il quale sottolinea come «la transazione collettiva predisposta con il concordato fallimentare, sebbene “aperta” alla regolamentazione di interessi molteplici ed eterogenei – sia interni, sia esterni all’impresa – e suscettibile di essere impiegata per finalità conservative e di “risanamento”, si impernia su un interesse e una volontà fondamentali: quelli dei creditori concorsuali, al cui soddisfacimento la regolamentazione concordataria essenzialmente mira». Un interesse, quello dei creditori, che risulta essere in primo piano e non può essere né compresso né vanificato neppure quello «alla conservazione dell’azienda, che pure taglia trasversalmente tutte le procedure concorsuali» [PACCHI, Il concordato fallimentare, cit., 1391]. Né pare che tale impostazione sia destinata a mutare dopo l’introduzione, con la riforma del 2012, del concordato con continuità aziendale, nel quale l’interesse dei creditori al miglior soddisfacimento pare addirittura aver assunto il rango di «clausola generale» per il concordato preventivo [v. PATTI, Il miglior soddisfacimento

dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo?, in Fall., 2013, 9, 1099 ss.]. Per alcune riflessioni

circa il rapporto tra l’interesse ordinamentale alla conservazione dei complessi produttivi e dei livelli occupazionali attraverso la continuazione dell’attività d’impresa e l’interesse, tipicamente privatistico, dei creditori al soddisfacimento delle proprie pretese v., anche in rapporto alle finalità pubblicistiche tipiche della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi (di cui al d.lgs. 270 del 1999), STANGHELLINI, Il concordato con continuità aziendale, in Società, banche e crisi d'impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, vol. III, cit., 3201 ss.; VATTERMOLI, Concordato con continuità aziendale, Absolute Priority Rule e New Value Exception, in Riv. dir. comm., 2014, 3, 341 ss.; FIMMANÒ, Contratti d’impresa in corso di esecuzione e concordato preventivo in continuità, in Dir. fall., 2014, 2, 216 ss.; PACCHI, La

liquidazione dell’attivo con particolare riferimento all’azienda, in Dir. fall., 2016, 1, 1 ss. Più dubitativa la posizione

di MAFFEI ALBERTI, Alcune osservazioni sulla crisi dell’impresa e sulla conservazione dell’attività, in Nuove leggi civ.

comm., 2014, 2, 293 ss., secondo il quale, ricorrendo sovente al concetto di «miglior soddisfacimento dei

creditori», il legislatore rischia non soltanto di trascurare gli «interessi collettivi alla continuazione dell’attività», ma anche di «individuare un minor danno (il danno derivante dalla continuazione come minore rispetto al danno derivante dalla liquidazione) che in realtà non soddisfa i creditori né quanto

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2. IL RUOLO DEL TERZO NELLA PROCEDURA DI CONCORDATO PREVENTIVO DOPO LA RIFORMA DEL 2015. PER UNA LETTURA IN CHIAVE TELEOLOGICA

DELLA DISCIPLINA DELLE PROPOSTE CONCORRENTI.

Rivolgendo ora nuovamente l’attenzione alla disciplina delle proposte concorrenti di concordato preventivo, può dirsi innanzitutto come l’avvenuto riconoscimento in capo ai creditori della legittimazione concorrente alla presentazione della proposta possa essere a buon diritto qualificato come la novità più rilevante dell’ultima “miniriforma” della legge fallimentare27. Dal punto di vista sistematico, infatti, il nuovo istituto si segnala per il superamento del tradizionale monopolio accordato al debitore in ordine alla definizione delle condizioni alle quali subordinare, nell’ambito di un concordato preventivo, la composizione della crisi della propria impresa. L’attuale formulazione dell’art. 163 l. fall. ammette invero per la prima volta che, all’interno della procedura avviata per iniziativa del debitore, possa innestarsi l’intervento di soggetti estranei all’impresa in concordato, ai quali l’ordinamento oggi attribuisce la facoltà di “mettere mano” al programma di ristrutturazione predisposto in via originaria dal debitore (ed eventualmente anche di stravolgerlo), qualora all’esito del voto e del controllo giudiziale si palesi la maggiore convenienza della soluzione di fonte eteronoma.

Inoltre, e ancora in via preliminare, occorre segnalare che, rispetto al precedente costituito dalla proposta di concordato fallimentare, il legislatore del 2015, nel configurare una legittimazione alternativa in capo ai creditori, non si è limitato ad un’automatica trasposizione all’interno della procedura di concordato preventivo di meccanismi già sperimentati. La novellazione dell’art. 163 l. fall. ha infatti richiesto opportuni adattamenti, motivati in ultima istanza dalle differenze sostanziali che intercorrono tra le due tipologie di concordato. Al riguardo, occorre rimarcare come il concordato fallimentare, nonostante la sua nuova fisionomia funzionale, costituisce

all’entità né quanto al tempo del soddisfacimento», non essendo esso in grado «di evitare l’effetto a catena provocato dall’insolvenza di una impresa, che può determinare l’insolvenza di altre imprese creditrici della prima».

27 V. AMBROSINI, Il nuovo concordato preventivo alla luce della «miniriforma» del 2015, cit., 373, secondo il quale «la novità più significativa in materia di concordato preventivo è rappresentata, con tutta probabilità, dall’introduzione di un istituto fino a oggi sconosciuto dal nostro diritto concorsuale: le proposte concorrenti».

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pur sempre uno strumento di conclusione anticipata di una procedura globale, quella fallimentare, che vede, quale suo presupposto, l’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza e, quale sua immediata conseguenza, lo spossessamento dell’imprenditore fallito. Ebbene, tale constatazione vale da sola a compendiare una situazione nella quale il fallito ha già perso il diritto di disporre della propria impresa e si è assistito al subentro degli organi della procedura nella gestione di un complesso di beni ormai avviato, fatte salve eventuali (e comunque contingenti) parentesi conservative, alla liquidazione fallimentare. In quest’ottica, dunque, ben si comprende come, una volta venute meno le pretese del fallito alla conservazione del proprio patrimonio, risulti coerente riconoscere a chiunque vi abbia interesse la legittimazione a proporre il concordato fallimentare28; fermo restando tuttavia che, come si vedrà meglio oltre con precipuo riguardo alle proposte concorrenti di concordato preventivo, devono ciò nondimeno riconoscersi anche in tale contesto spazi di tutela per le ragioni del fallito29, e ciò segnatamente nei casi in cui eventuali proposte “ostili” presentate dal ceto creditorio siano concepite in modo tale da produrre effetti sostanzialmente “espropriativi”30.

28 PACCHI, Il concordato fallimentare, cit., 1388-1389. L’idea è, in altri termini, quella per cui l’intervento autoritativo da parte del terzo legittimato a presentare la proposta di concordato fallimentare in tanto costituisce una legittima «ablazione, un esproprio delle prerogative e dei diritti del debitore» in quanto si collochi «in presenza di un’ormai conclamata incapacità di adempiere, quindi di uno stato patologico giunto alla fase acuta e presumibilmente irreversibile» [così D’ALESSANDRO, La crisi dell’impresa tra

diagnosi precoci e accanimenti terapeutici, in Giur. comm., 2001, 1, 411 ss. e in part. 416].

29 Da una lettura coordinata delle norme della legge fallimentare, e in particolare degli artt. 26, 36, 90, comma 2, 102, 116, comma 3, 119, comma 2, l. fall., risulta come al fallito l’ordinamento attribuisca una serie di poteri informativi, nonché il diritto di interloquire con gli organi della procedura, al fine di veder tutelato il proprio interesse alla corretta gestione della procedura fallimentare. Un interesse, quello del fallito, che ridonda sul piano della corretta formazione dello stato passivo e della migliore realizzazione dell’attivo [v. D’ATTORRE, Il fallito quale soggetto debole: il caso dei concordati ostili, Paper presentato in occasione del III convegno annuale di «Orizzonti del diritto commerciale» – Università degli Studi di Roma Tre – 10/11 febbraio 2012, 7 ss.].

30 Può individuarsi nella situazione appena descritta, spesso accompagnata, sul piano patrimoniale, da una prevalenza dell’attivo rispetto al passivo fallimentare, una prima ipotesi di concordato «ostile» o con pregiudizio per le ragioni del fallito [v. sul punto l’accurata analisi compiuta da D’ATTORRE, I concordati

«ostili», cit., 4 ss. e in part. 125 ss.]. La giurisprudenza che si è pronunciata sul tema ha affermato che, se

è vero che con il fallimento il debitore perde il diritto di disporre ed amministrare i propri beni, per altro verso «l’ingerenza sul potere di disposizione del fallito deve essere limitata entro limiti di ragionevolezza», deponendo in tal senso tanto l’art. 42 Cost., che sancisce il divieto di espropriazione senza indennizzo, quanto le norme della legge fallimentare (art. 108 l. fall.) e del codice di procedura civile (art. 586 c.p.c.), che consentono la sospensione della vendita nel caso in cui il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto [così Cass. Civ., sez. I, 22 marzo 2010, n. 6904, in Foro it., 2010, 1, 2747 ss., con nota di FABIANI, Eccessi di protezione degli interessi del fallito e mancata attenzione ai principi della

riforma fallimentare; in Fall., 2010, 8, 940 ss., con nota di FINARDI, La ripartizione dei poteri degli organi del

concordato fallimentare dopo la riforma]. Altra ipotesi ricorrente, e oggetto di particolare interesse da parte

della dottrina e della giurisprudenza [v. in termini generali, per l’ipotesi di proposte plurime, PANZANI,

(22)

17

Se dunque può dirsi che, nel concordato fallimentare, sia l’insolvenza dell’imprenditore fallito a giustificare la più radicale posposizione dei suoi interessi rispetto a quelli dei creditori, considerazioni analoghe non valgono tout court per il concordato preventivo, il cui presupposto oggettivo, il meno grave stato di crisi, che potrebbe anche non coincidere con quello di insolvenza31, non è stato ritenuto dal legislatore parimenti idoneo a giustificare la soluzione più radicale dell’attribuzione di

tra più domande di concordato fallimentare, in Dir. fall., 2010, 1, 199 ss.; CAIAFA, Le nuove disposizioni in materia

di proposta di concordato fallimentare, in Dir. fall., 2010, 1, 211 ss.; PIZZIGATI, La pluralità di proposte di concordato

fallimentare, in Ricerche giuridiche, 2013, 2, Pubblicazioni dell’Università Ca’ Foscari, Venezia], è il caso della

concorrenza di due proposte, l’una presentata dal fallito, l’altra da un terzo, entrambe interamente o, quantomeno, ugualmente satisfattive delle pretese creditorie. In tali circostanze la giurisprudenza ha chiarito che deve considerarsi abusivo il voto contrario espresso dai creditori rispetto alla proposta del fallito, qualora non vi sia un motivo legittimo per accordare prevalenza alla proposta proveniente dal terzo [così Cass. Civ., sez. I, 12 febbraio 2010, n. 3327, in Foro it., 2010, 1, 2754 ss., con nota di FABIANI,

Eccessi di protezione degli interessi del fallito e mancata attenzione ai principi della riforma fallimentare; in Giur. comm.,

2011, 538 ss., con nota di FOLLADORI, Sulla prevalenza della proposta di concordato del fallito; in Corr. giur., 2011, 2, 221 ss., con nota di DI MAJO, L’interesse del fallito e i diritti fondamentali; in Riv. dir. proc., 2011, 706 ss., con nota di MARINUCCI, Proposte di concordato fallimentare integralmente satisfattive dei creditori avanzate l’una

da un terzo e l’altra dal fallito. Per una soluzione analoga si veda anche Cass. Civ., sez. VI, ord. 22 febbraio

2012, n. 2673, in Fall., 2012, 8, 947 ss., con nota redazionale di FINARDI, L’omologa del concordato nel caso

di conflitto di proposte]. È di immediata evidenza infatti come in tali circostanze si ponga un problema

generale di tutela dei diritti fondamentali nell’ambito della procedura concordataria [v. DI MAJO,

L’interesse del fallito e i diritti fondamentali, in Corr. giur., 2011, 2, 227 ss.], che non può essere risolto in via

apriorista facendo leva sul favor che il legislatore del 2006 ha espresso per la proposta di concordato fallimentare presentata dal terzo [per questa obiezione v. FABIANI, Eccessi di protezione degli interessi del

fallito e mancata attenzione ai principi della riforma fallimentare, in Foro it., 2010, 1, 2755 ss.; nonché MARINUCCI,

Proposte di concordato fallimentare integralmente satisfattive dei creditori avanzate l’una da un terzo e l’altra dal fallito,

in Riv. dir. proc., 2011, 709 ss.]. Nel caso infatti in cui entrambe le proposte siano ugualmente satisfattive, risultandone diversi soltanto i contenuti procedurali ma sostanzialmente equivalente l’effetto economico, la scelta da assumere durante la procedura riveste carattere neutro nella prospettiva della tutela del credito, degradando quindi l’interesse dei creditori e facendo risorgere quello del fallito ad evitare un ingiustificato spostamento di ricchezza [v. D’ATTORRE, Il fallito quale soggetto debole: il caso dei

concordati ostili, cit., 14, nonché ID., I concordati «ostili», cit., 238]. Posta in questi termini la questione, il voto espresso dai creditori a favore della proposta del terzo, senza un giustificato motivo, costituisce un caso di vero e proprio abuso dello strumento concordatario [v. BOTTAI, Il concordato con pregiudizio del

fallito: è abuso del diritto?, in Fall., 2012, 1, 59 ss.]. Rispetto alla tesi che assegna la prevalenza alla proposta

del fallito pertinente, anche se non insuperabile, risulta essere l’obiezione in forza della quale l’attribuzione al tribunale del potere-dovere di omologare la proposta del fallito finirebbe con lo snaturare la stessa natura dell’istituto concordatario, consentendo l’omologazione di un concordato che tale non è, perché non è stato approvato dal ceto creditorio [per questa obiezione v. MARINUCCI, Proposte

di concordato fallimentare integralmente satisfattive dei creditori avanzate l’una da un terzo e l’altra dal fallito, cit., 716].

Tuttavia, tali perplessità vengono meno sol che si consideri abusivo, e quindi illegittimo, il voto contrario espresso dai creditori: ne risulterebbe applicabile la regola, ormai collaudata in ambito societario, che consente di ritenere approvata la delibera assembleare qualora i voti contrari vengano annullati per conflitto di interessi [v. D’ATTORRE, Il fallito quale soggetto debole: il caso dei concordati ostili, cit., 13-14; per il problema dell’impugnabilità della delibera negativa v., ex multis, PORTALE, «Minoranze di blocco» e abuso del

voto nell’esperienza europea: dalla tutela risarcitoria al «gouvernement des juges», in Europa e dir. priv., 1999, 163 ss.;

CIAN, La deliberazione negativa dell’assemblea nella società per azioni, Torino, Giappichelli, 2003; PISANI MASSAMORMILE, Minoranze, abusi e rimedi, Torino, Giappichelli, 2004, 171 ss.; PINTO, Il problema

dell’impugnazione della delibera negativa nella giurisprudenza delle imprese, in Riv. dir. civ., 2016, 3, 901 ss.]. 31 Sulla distinzione tra stato di crisi e stato di insolvenza v., ex multis, TERRANOVA, Stato di crisi, stato d’insolvenza, incapienza patrimoniale, in AA.VV., Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa, cit., 15 ss.

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