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I L RUOLO DELL ’ OPPOSIZIONE ALL ’ OMOLOGAZIONE NELL ’ OTTICA DI UN POSSIBILE RECUPERO DEI DIRITTI DI VOICE DEI SOCI

C APITOLO TERZO

4. I L RUOLO DELL ’ OPPOSIZIONE ALL ’ OMOLOGAZIONE NELL ’ OTTICA DI UN POSSIBILE RECUPERO DEI DIRITTI DI VOICE DEI SOCI

Le considerazioni svolte nel paragrafo precedente rispetto al ruolo dell’autorità giudiziaria possono senza dubbio essere replicate anche riguardo al giudizio di omologazione di cui all’art. 180 l. fall.: fase nella quale il Tribunale si pronuncia sulla proposta approvata dai creditori all’esito del voto con un decreto che, ai sensi dell’art. 181 l. fall., conclude l’iter procedurale e inaugura la successiva fase esecutiva.

Che il giudizio di omologazione costituisca peraltro un momento centrale della procedura di concordato preventivo è testimoniato dal fatto che, ai sensi dell’art. 184 l. fall., è solo il concordato omologato ad essere «obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese» del ricorso di cui all’art. 161 l. fall. In altri termini, la disciplina concorsuale, pur avendo rimesso all’esclusiva discrezionalità del ceto creditorio la scelta sul se approvare o meno un determinato tentativo di composizione della crisi, allo stesso tempo esclude che il risultato positivo della votazione possa costituire di per sé condizione necessaria e sufficiente per la conclusione della procedura di concordato preventivo256. Al contrario, nell’ottica di presidiare adeguatamente quelle esigenze di tutela della molteplicità delle posizioni e degli interessi coinvolti che, come detto, ispirano l’intervento dell’autorità giudiziaria nell’ambito della procedura concordataria, l’omologa del concordato approvato dai creditori rappresenta la condizione legale per la produzione degli effetti finali che l’ordinamento ricollega all’istituto concordatario (e segnatamente di quello esdebitativo) nonché per l’esecuzione degli interventi di ristrutturazione programmati

256 In altri termini, è evidente che, anche nel caso del giudizio di omologazione, il legislatore ha assegnato all’intervento dell’autorità giudiziaria un ruolo di garanzia circa la correttezza e la legittimità dell’intervento di ristrutturazione che può essere compreso nell’ottica della previsione di un «controllo su atti dei privati ritenuti dal legislatore importanti per i loro riflessi nell’ordine sociale». Di talché, ancora una volta, a fronte di una pur indubbia valorizzazione dell’autonomia negoziale del debitore nella predisposizione della strategia di composizione della crisi e del ceto creditorio nell’espressione del voto circa la convenienza economica di quest’ultima, il legislatore abbia preferito «negare forza conclusiva del processo» all’approvazione del concordato da parte dei creditori e «collegare invece tale conclusione al sopraggiungere di un provvedimento di controllo della legittimità della soluzione proposta, che si combina ab externo con la volontà dei paciscenti, fissata nell’accordo da omologare»»: così PAGNI,

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nel piano di concordato, sui quali si è appuntato il consenso dei creditori partecipanti alle operazioni di voto257.

Se dunque può dirsi che l’intervento del Tribunale nei due momenti cronologicamente successivi del giudizio di ammissione e di omologazione della proposta di concordato sia ispirato da finalità analoghe, ciò nondimeno i due passaggi presentano, a ben vedere, alcune, significative differenze. Innanzitutto, decisamente più ampie sono le possibilità di intervento nel giudizio di omologazione, nonché i poteri processuali che l’ordinamento accorda ai possibili “protagonisti” di questa fase: in particolare, il secondo comma dell’art. 180 l. fall. prevede che possano costituirsi in giudizio e, di conseguenza, presentare opposizione all’omologazione, non soltanto il debitore, il commissario giudiziale e gli eventuali creditori dissenzienti, ma altresì «qualsiasi interessato». Si tratta all’evidenza di una categoria soggettiva residuale, all’interno della quale possono farsi rientrare tutti i soggetti che «ritengono di trovare pregiudizio alle proprie ragioni nell’omologazione del concordato» e, pertanto, risultano portatori di un interesse qualificato, attuale e concreto, alla presentazione di una legittima opposizione258. Come si può ben comprendere, dunque, si tratta di una qualifica particolarmente ampia, i cui confini difficilmente si prestano ad essere circoscritti a priori, se non per quanto riguarda l’ipotesi dell’indubbia carenza di

257 Di «condizione di efficacia della soluzione negoziale della crisi d’impresa» parla apertamente PAGNI, sub Artt. 179-180-181. Mancata approvazione del concordato. Approvazione del concordato e giudizio di omologazione.

Chiusura della procedura, in Il nuovo diritto fallimentare, vol. II, cit., 2498 ss. e in part. 2518-2519, la quale

equipara l’omologa del concordato preventivo ad altrettante ipotesi di intervento dell’autorità giudiziaria in sede di volontaria giurisdizione, quali «il controllo del tribunale sugli atti costitutivi delle società», prima della riforma del 2000, e «l’omologazione dell’accordo che dà sostanza e fondamento alla separazione consensuale tra coniugi», in quanto si tratta di ipotesi in cui, «data la natura non strettamente individuale degli interessi in gioco, si consente una soluzione negoziata la cui efficacia viene tuttavia subordinata ad un provvedimento di controllo giudiziale sulla “regolarità” della soluzione proposta». 258 Il virgolettato in Cass. Civ., sez. I, 26 luglio 2012, n. 13284, in Corr. giur., 2013, 5, 655 ss., con nota di PELLEGRINELLI, La categoria «qualsiasi interessato» quale soggetto legittimato a proporre opposizione all’omologazione

del concordato preventivo: poteri del tribunale, cui adde, più recentemente, Cass. Civ., sez. I, 30 gennaio 2017,

n. 2227, in Fall., 2017, 6, 652 ss., con nota di RATTI, L’opposizione all’omologazione del creditore «irregolare»:

interesse, legittimazione e «cram down». V. pure sul punto BOGGIO, Opposizione all’omologazione dei creditori

«silenti» e trattamento dei «crediti contestati» nel piano e nella relazione ex art. 161 l. fall., in Fall., 2013, 5, 578 ss.

L’Autore rimarca correttamente come «non ogni interesse è idoneo a giustificare l’opposizione, ma solo quello che, in relazione al contenuto concreto della proposta approvata, sia stato illegittimamente pretermesso» [ivi, 579 e nt. 4]. Ne deriva dunque che «l’interesse al rigetto dell’opposizione diviene anche criterio di selezione delle censure ammissibili da parte dell’opponente», sulla scorta di principi analoghi a quelli che fungono da valutatori per la sussistenza dell’interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c. [interesse che, secondo la migliore dottrina processualcivilistica – v. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto

processuale civile, I, Napoli, Iovene, 1962, 167 – consiste nella pretesadi adire il giudice «per non subire un danno ingiusto nel proprio patrimonio giuridico»].

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legittimazione dei creditori espressamente consenzienti rispetto alla omologanda proposta259. Se, infatti, in relazione ad alcune categorie soggettive un interesse a presentare un’opposizione all’omologazione può dirsi sussistente in re ipsa, coerentemente con la relativa posizione sostanziale e processuale – si pensi al caso dei «creditori dissenzienti», cui la legittimazione è riconosciuta de plano dall’art. 180 l. fall.260 – nei casi viceversa non individuati espressamente dalla norma, l’interesse all’opposizione dovrà essere allegato e provato, nonché accertato caso per caso: e ciò segnatamente in relazione all’asserita ricorrenza di un pregiudizio sulla posizione giuridica dell’opponente che si produrrebbe per effetto dell’omologazione del concordato, ovvero, da una diversa prospettiva, di «una specifica utilità immediatamente conseguibile per effetto del diniego di omologazione e dipendente dalla disapplicazione del ‘‘trattamento’’ riservato all’opponente dalla proposta concordataria»261.

259 È affermazione costante in giurisprudenza che «la limitazione a partecipare in sede oppositiva al giudizio di omologazione è riferibile solo a coloro che hanno approvato» la proposta in votazione [così Cass. Civ., sez. I, 26 luglio 2012, n. 13284, cit.]. Al riguardo, prima della riforma del 2015 era questione controversa in dottrina e in giurisprudenza l’eventuale riconoscimento della legittimazione a presentare opposizione all’omologazione a favore dei creditori non già dissenzienti, bensì meramente astenuti. La questione peraltro si era complicata per effetto dell’intervento di riforma di cui al d.l. 83 del 2012 (cd. «Decreto Sviluppo»), il quale aveva introdotto, come noto, un meccanismo di silenzio-assenso, in forza del quale i creditori astenuti avrebbero dovuto in ogni caso essere considerati consenzienti rispetto alla proposta messa in votazione. Tale novità infatti poteva indubbiamente prestarsi ad essere letta quale codificazione di una ulteriore ipotesi di esclusione della legittimazione all’opposizione, destinata a colpire in maniera aprioristica tutti i creditori che non avevano manifestato il proprio voto. Senonché, «un’interpretazione costituzionalmente orientata» dell’art. 180 l. fall. aveva indotto la dottrina a operare le dovute distinzioni «in ragione della causa del silenzio». Concludendo dunque per l’esclusione della legittimazione soltanto con riguardo ai creditori che avessero «partecipato all’adunanza dei creditori senza sollevare rilievi e poi senza votare contro l’approvazione della proposta concordataria», ben potendo il loro silenzio quale volontà positiva rispetto alla proposta in votazione; e non invece con riguardo a quel creditori che non avessero partecipato all’adunanza o che in ogni caso non avessero «neppure la minima conoscenza della pendenza del procedimento»: così BOGGIO, Opposizione

all’omologazione dei creditori «silenti» e trattamento dei «crediti contestati» nel piano e nella relazione ex art. 161 l. fall.,

cit., 581, ma v. anche la giurisprudenza richiamata alla nota precedente.

260 Pare corretto infatti parlare, rispetto ai creditori dissenzienti, di un interesse ad agire attraverso l’opposizione all’omologazione sussistente in re ipsa, in quanto derivante «dal comportamento degli stessi tenuto nella fase anteriore all’adunanza dei creditori» [così PELLEGRINELLI, La categoria «qualsiasi

interessato» quale soggetto legittimato a proporre opposizione all’omologazione del concordato preventivo: poteri del tribunale, in Corr. giur., 2013, 5, 657 ss. e in part. 662, ma di «presunzione iuris e de jure di sussistenza

dell’interesse quanto al rilievo delle irregolarità procedurali» parla anche BOGGIO, Opposizione

all’omologazione dei creditori «silenti» e trattamento dei «crediti contestati» nel piano e nella relazione ex art. 161 l. fall.,

cit., 580]. Nello stesso ordine di idee v., in giurisprudenza, Trib. Roma, 4 ottobre 1991, in Fall., 1992, 7, 707, ove si afferma espressamente che «la qualifica di dissenziente, già acquisita dal creditore in sede di votazione, fa presumere infatti, per legge, la sussistenza di un interesse tutelabile».

261 Il virgolettato in BOGGIO, Opposizione all’omologazione dei creditori «silenti» e trattamento dei «crediti contestati» nel piano e nella relazione ex art. 161 l. fall., cit., 580.

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Inoltre, il principale tratto distintivo del giudizio di omologazione può essere a buon diritto individuato nel suo contenuto, o meglio nella peculiare intensità del controllo che il Tribunale è in tal sede abilitato a condurre laddove siano state avanzate opposizioni. Invero, il tenore letterale delle disposizioni che regolano il giudizio di opposizione sembra delineare un sindacato giudiziale che, nonostante l’interpretazione pur estensiva accolta dalla giurisprudenza di legittimità a partire dal 2013, sembra superare i limiti della mera fattibilità, giuridica ovvero economica, della proposta di concordato. Ed infatti, se è vero che, nel caso in cui non vengano presentate opposizioni, il Tribunale si limita a verificare «la regolarità della procedura e l’esito della votazione», nell’ipotesi contraria quest’ultimo è invece espressamente chiamato a sindacare la convenienza della proposta sotto il profilo della posizione giuridica e degli interessi economici del soggetto opponente. Al riguardo, infatti, l’art. 180, quarto comma, l. fall. prevede, come noto, che, qualora siano state proposte opposizioni da parte di creditori appartenenti ad una delle classi dissenzienti ovvero da parte di creditori dissenzienti che rappresentino almeno il venti per cento dei crediti ammessi al voto (opposizioni peraltro finalizzate a contestare proprio «la convenienza della proposta»), il Tribunale possa comunque procedere con l’omologazione del concordato «qualora ritenga che il credito [dell’opponente] possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili». Ebbene, la disposizione viene unanimemente interpretata quale fondamento normativo di un giudizio dai contenuti e dalla portata analoghi al cram-

down previsto nell’ordinamento statunitense, atteso che pure nella nostra disciplina

concorsuale si consente il superamento dell’eventuale dissenso frapposto da una parte qualificata del ceto creditorio in presenza di condizioni ben determinate262. Queste ultime possono essere a ben vedere compendiate nell’assenza di qualsiasi interesse economico che possa sorreggere un’opposizione, laddove segnatamente le prospettive di soddisfacimento delle pretese dell’opponente prospettabili in caso di esito liquidatorio – unica alternativa all’evidenza «concretamente praticabile» – non sarebbero in ogni caso più vantaggiose rispetto al trattamento concordatario.

262 Sul sindacato del Tribunale in sede di opposizione all’omologazione v., ex multis, TERRANOVA, Conflitti di interessi e giudizio di merito nelle soluzioni concordate della crisi d’impresa, in La riforma della legge fallimentare. Atti del Convegno (Palermo, 18-19 giugno 2010), cit., 163 ss.; CENSONI, Autonomia negoziale e

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Se quanto detto vale dunque ad inquadrare, in negativo, i presupposti in presenza dei quali il Tribunale è abilitato a superare le eventuali censure presentate dai soggetti a ciò legittimati, è evidente come, in un’ottica viceversa positiva, l’art. 180 l. fall. individui il fondamento di un’opposizione idonea come tale a precludere l’omologa nell’interesse dell’opponente a non risultare destinatario in sede concordataria di un trattamento

deteriore rispetto a quello cui avrebbe diritto in sede di liquidazione fallimentare, quando

troverebbero necessaria applicazione i criteri legali di riparto in senso verticale del patrimonio del debitore. Se così è, tuttavia, non possono non cogliersi le indubbie potenzialità che il rimedio dell’opposizione può offrire nell’ottica della tutela delle ragioni dei soci della società in concordato a fronte di proposte illegittimamente espropriative263. Ed invero, è palese innanzitutto come questi ultimi possano innanzitutto accedere al giudizio di omologazione in quanto soggetti «interessati» ai sensi del secondo comma dell’art. 180 l. fall. Ciò pare infatti argomentabile sulla base di due ordini di ragioni. In primo luogo, v’è da dire che – nonostante la qualificazione in termini residuali della relativa pretesa finanziaria sul patrimonio sociale – i soci possono pur sempre essere considerati, in astratto, quali soggetti portatori di un interesse qualificato alla mancata omologazione del concordato. Tale interesse, infatti, si sostanzia nella pretesa ad impedire l’imprimatur giudiziale di una soluzione concordataria che, per come concepita, determinerebbe l’appropriazione da parte dei creditori di valori superiori all’ammontare delle relative pretese; un interesse questo certamente idoneo a garantire la sussistenza dell’interesse ad agire richiesto ai fini della partecipazione al giudizio di omologazione e alla presentazione di un’opposizione ammissibile. In secondo luogo, possono dirsi a ben vedere destituite di fondamento nell’attuale contesto normativo quelle obiezioni avanzate da parte della giurisprudenza

263 Il riferimento all’opposizione all’omologazione quale strumento di tutela delle ragioni dei soci, esautorati dai processi decisionali societari ed endoconcordatari che concernono le modalità del risanamento, ma ciò nondimeno portatori in astratto di interessi patrimoniali ancora apprezzabili, è affermazione ricorrente in dottrina. V. sul punto le considerazioni, seppur riferite al giudizio di omologazione del concordato fallimentare in presenza di proposte «ostili» espropriative, di D’ATTORRE,

I concordati «ostili», cit., 257 ss., nonché le notazioni ante litteram di FERRI jr., La struttura finanziaria della

società in crisi, cit., 40 ss. Dopo l’introduzione dell’istituto delle proposte concorrenti, la dottrina che si è

schierata a favore dell’applicazione estensiva del rimedio reale di cui all’art. 185 l. fall., nonché, in maniera più radicale, al trasferimento delle competenze attuative in capo all’organo gestorio, ha individuato proprio nell’opposizione all’omologazione lo strumento di tutela delle aspettative patrimoniali dei soci: sul punto v. PINTO, Concordato preventivo e organizzazione sociale, cit., 130 ss.; PRESTI, Concordato preventivo e

nuovi modelli di regolazione della crisi, cit., 7; D’ATTORRE, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., 1171; BRIZZI, Proposte concorrenti nel concordato preventivo e governance dell’impresa in crisi, cit., 355 ss.

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– seppur durante la vigenza della disciplina precedente le riforme del 2005 e del 2007 (le quali comunque non hanno inciso in modo apprezzabile sul tema di cui si discute264) – a fronte della possibile inclusione degli azionisti tra i soggetti legittimati ai sensi dell’art. 180 l. fall. Al riguardo, infatti, alcune risalenti pronunce della Corte di Cassazione265 – pur confermando l’idea che «con l’espressione “qualunque interessato” la legge [avesse] inteso aprire le porte a tutte le possibili legittime opposizioni» e non soltanto a quelle provenienti dal ceto creditorio – avevano ciò nondimeno escluso che i soci potessero essere considerati titolari di una legittimazione individuale alla presentazione di un’opposizione: e ciò sul presupposto per cui questi ultimi avrebbero già manifestato una «volontà collettiva, costituente volontà della società che verrà espressa dagli amministratori con la proposta, secondo i termini dell’art. 152 l. fall.». Una volontà della compagine sociale la quale – in quanto espressa «secondo le regole della formazione della volontà collettiva, che vincola tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti» – avrebbe precluso tout court, in assenza della tempestiva impugnazione della rilevante delibera assembleare, ogni successiva contestazione in merito all’accordo successivamente raggiunto. Orbene, anche a voler sottacere gli inconvenienti sottesi ad una siffatta soluzione rispetto a quei «vizi e situazioni diversi da quelli propri del processo di formazione della volontà sociale», di cui gli azionisti potrebbero in ipotesi farsi portavoce266, è evidente come essa difficilmente possa essere replicata nell’attuale contesto normativo, in quanto verrebbe a mancare lo stesso presupposto logico sulla base del quale la Corte ha argomentato l’estromissione dei soci dal novero dei soggetti legittimati267. Ed invero, è quanto meno superfluo ricordare

264 Per un inquadramento in chiave diacronica della disciplina dell’opposizione all’omologazione v. FILOCAMO, sub Art. 180. Giudizio di omologazione, in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, II ed., a cura di Ferro, Padova, CEDAM, 2011, 2041 ss.

265 Si allude a Cass. Civ., sez. I, 5 maggio 1995, n. 4919, in Fall., 1996, 4, 323 ss., con nota di AMBROSINI, Diritto dell’azionista ad opporsi all’omologazione del concordato preventivo. La pronuncia di primo grado, che si

era espressa invece in favore della soluzione permissiva, è Trib. Roma, 19 aprile 1988, in Fall., 1989, 1, 63 ss., con nota di PLENTEDA, Questioni varie in tema di ammissione ed omologazione del concordato preventivo. 266 In virgolettato in LO CASCIO, Legittimazione dell’azionista ad opporsi all’omologazione del concordato preventivo delle società, in Giust. civ., 1995, 9, 2049 ss. e in part. 2050. L’azionista infatti potrebbe essere portatore, «a

prescindere dalla deliberazione societaria […] di un interesse ad ottenere una soluzione dell’insolvenza corretta e non fraudolenta, sicché il fatto che la deliberazione sia stata assunta formalmente e legittimamente non svolge alcun rilievo sulla proponibilità dell’opposizione all’omologazione del concordato».

267 Le contraddizioni insite nel ragionamento della Suprema Corte erano state già colte, all’epoca della formazione degli orientamenti di cui si discute, da LO CASCIO, Legittimazione dell’azionista ad opporsi

all’omologazione del concordato preventivo delle società, cit., 2051, a detta del quale «se gli amministratori fossero

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al riguardo che, in particolar modo nell’ipotesi della presentazione di una proposta concorrente – ma anche qualora la proposta sia stata confezionata dall’organo gestorio della società in concordato – l’accesso alla procedura di concordato preventivo prescinde dall’intervento di una delibera dell’assemblea dei soci cui far discendere efficacia vincolante anche per i soci dissenzienti e preclusiva di successive contestazioni in sede endoconcorsuale.

In definitiva, se può dirsi, come appurato, che una possibile esclusione del socio dal novero dei soggetti legittimati a presentare opposizione all’omologazione pare giustificabile in ultima istanza sulla base dell’assunto per cui «l’ordinamento, con riguardo a tutti i tipi di concordato, appresta un unico strumento “di reazione” (ovvero l’impugnativa della delibera assembleare che, ai sensi dell’art. 152 l. fall., approva la proposta concordataria»268), una soluzione viceversa permissiva pare allora necessaria e opportuna proprio alla luce del mutato criterio di riparto che distribuisce entro l’organizzazione sociale la competenza a deliberare l’accesso ad una procedura di composizione negoziale della crisi. Senonché, è tuttavia evidente come riconoscere la possibilità che i soci si avvalgano dell’opposizione all’omologazione implichi il necessario superamento del dato letterale dell’art. 180 l. fall., il quale, come detto, circoscrive il diritto di contestare (e la facoltà per il giudice di sindacare) la convenienza del concordato approvato in presenza di specifici presupposti: ovvero, ai sensi del quarto comma, nell’ipotesi in cui l’iniziativa sia assunta dai creditori appartenenti ad una classe dissenziente ovvero, in caso di concordato senza classi, di tanti creditori quanti siano titolari di almeno il venti per cento dei crediti ammessi al voto269.

senza alcuna preventiva deliberazione dei soci, mancherebbe la stessa premessa della manifestazione di una volontà decisionale del gruppo preclusiva di un interesse contrario del socio».

268 Il virgolettato in AMBROSINI, Diritto dell’azionista ad opporsi all’omologazione del concordato preventivo, in Fall., 1996, 4, 328 ss. e in part. 330.

269 Le perplessità legate al tenore letterale dell’art. 180, quarto comma, l. fall. sono state avanzate in

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