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I L PROBLEMA L’ ESIGENZA DI INDIVIDUARE SPAZI DI TUTELA PER I DETENTORI DELLE PARTECIPAZIONI SOCIALI NELLA RISTRUTTURAZIONE

C APITOLO TERZO

1. I L PROBLEMA L’ ESIGENZA DI INDIVIDUARE SPAZI DI TUTELA PER I DETENTORI DELLE PARTECIPAZIONI SOCIALI NELLA RISTRUTTURAZIONE

CONCORDATARIA DELLE SOCIETÀ DI CAPITALI IN CRISI.

L’indagine sin qui condotta ha consentito di evidenziare gli ultimi interventi del legislatore fallimentare abbiano offerto lo spunto per individuare nella riorganizzazione patrimoniale e finanziaria delle società in crisi il tratto che, nell’attuale contesto normativo, connota da un punto di vista procedurale e assiologico il “nuovo” concordato preventivo. Si è tuttavia parimenti osservato che, all’esito degli interventi di riforma, taluni dichiaratamente ispirati alla salvaguardia della continuità aziendale e alla circolazione del valore dell’impresa in crisi per il tramite della sua re-imputazione a favore di nuovi finanziatori, il bilanciamento tra gli interessi coinvolti abbia legittimato, in virtù di un primato accordato alle istanze di tutela degli interessi creditori, una profonda contrazione dei poteri accordati al debitore nella

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predisposizione del programma di composizione della crisi e, in ultima istanza, un complessivo indebolimento della tutela dei diritti di proprietà sull’impresa.

Questo è quanto emerge innanzitutto dall’estensione ai creditori della legittimazione a presentare una proposta concorrente di concordato preventivo. Per il tramite della novellazione degli artt. 163 e 185 l. fall., infatti, è stato esplicitamente ammesso che gli obiettivi cui in concreto la procedura concordataria è preordinata possano essere determinati anche da terzi estranei all’impresa in crisi e, in casi estremi, conseguiti persino contro la volontà dei soggetti cui quest’ultima è formalmente imputata, attraverso l’attivazione in via giudiziale di un rimedio di carattere lato sensu surrogatorio quale quello predisposto all’art. 185, sesto comma, l. fall. Ciò sul presupposto per cui, qualora gli organi sociali abbiamo omesso o non si siano dimostrati in grado di affrontare tempestivamente la crisi, avvalendosi di quei poteri di direzione dell’impresa che nella fase crepuscolare della vita della società l’ordinamento tuttora riconosce loro in via esclusiva, risulta allora plausibile che in questa fase (cd. secondo round) si assista ad una sorta di inversione dei “rapporti di forza” tra debitore e creditori. Inoltre, e nello stesso ordine di idee, si è visto come, attraverso l’attrazione della competenza a deliberare la proposta e il contenuto del concordato fallimentare e preventivo nel “cono d’ombra” dei poteri degli amministratori nei tipi societari capitalistici, il legislatore abbia inteso, in contesti di crisi, indirizzare le scelte gestorie verso la domanda di concordato preventivo: ovvero di una procedura cui oggi la società è peraltro facoltizzata ad accedere anche in presenza dei primi sintomi del dissesto e, dunque, pur in assenza dell’insolvenza conclamata. Di talché ne è risultata confermata l’idea per cui l’organo gestorio risulta investito di un vero e proprio dovere di protezione nei confronti dei creditori sociali219, il cui esatto adempimento passa non

219 Tali doveri di protezione, secondo la dottrina più avveduta, derivano non già dalla norma della fallimentare che sanziona penalmente la bancarotta semplice per aggravamento del dissesto dovuto al ritardo nel provocare la dichiarazione di fallimento (art. 217 l. fall.), bensì da quelle norme civilistiche che postulano l’esistenza di doveri di corretta gestione societaria e imprenditoriale (art. 2497 c.c.) e di obblighi di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale dalla cui violazione scaturisce, in caso di insufficienza patrimoniale, un’ipotesi di responsabilità contrattuale degli amministratori nei confronti dei creditori sociali (art. 2394 c.c.). Per un inquadramento dei termini del problema v. MAZZONI, La

responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della prospettiva di continuità aziendale, cit., 829 ss.;

BUTA, Tutela dei creditori e responsabilità gestoria all’approssimarsi dell’insolvenza: prime riflessioni, in Società, banche,

crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, cit., 2541 ss. e in part. 2565 ss.; STRAMPELLI, Capitale

sociale e struttura finanziaria della società in crisi, in Riv. soc., 2012, 4, 605 ss. e in part. 622 ss.; BACCETTI, La

gestione delle società di capitali in crisi tra perdita della continuità aziendale ed eccessivo indebitamento, in Riv. soc., 2016,

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soltanto attraverso modalità di gestione dell’impresa sociale che siano funzionali ad evitare l’aggravamento del dissesto, ma anche attraverso il tempestivo ricorso ad una soluzione procedimentalizzata della crisi, nella quale l’interesse creditorio trova una sua compiuta tutela con preferenza rispetto alle prerogative dei soci. Se si considera poi che, come si è evidenziato nel secondo capitolo del presente studio, la regola di competenza ex art. 152 l. fall. dovrebbe accompagnarsi all’ulteriore trasferimento in capo all’organo gestorio dei poteri necessari ad attuare gli interventi di ristrutturazione programmati, ne risulta allora come, nella prospettiva dei detentori di una partecipazione al capitale della società in crisi, sia stato complessivamente legittimato un affievolimento dei relativi diritti di voice quanto alle sorti e alle condizioni del proprio investimento. Come si è visto, infatti, il programma concordatario – anche laddove venga predisposto dagli stessi amministratori della società in crisi – può contemplare la programmazione e l’esecuzione di interventi che, in funzione dell’ottimale realizzo delle pretese creditorie, possono investire anche la struttura finanziaria e organizzativa della società in concordato: traducendosi in ultima istanza in una diluizione (o in un totale “azzeramento”) delle partecipazioni esistenti con conseguente trasferimento del controllo, e correlata imputazione del rischio, a favore di nuovi investitori. Si tratta peraltro di interventi che, anche qualora siano programmati dagli stessi amministratori della società in concordato, devono poter trovare attuazione indipendentemente dalla volontà dei soci: e ciò sul presupposto per cui – in linea con quanto indicato dal legislatore in tema di proposte concorrenti – questi ultimi non possono trovarsi nelle condizioni di poterne ostacolare il compimento attraverso un proprio parere contrario, pregiudicando in tal modo il successo del programma di ristrutturazione.

In definitiva, dunque, ciò che emerge da una lettura complessiva delle novità introdotte dalle recenti riforme è che in contesti di crisi d’impresa (e in particolar modo nell’ambito della sua ristrutturazione endoconcordataria) le partecipazioni sociali e le prerogative che si suole riconnettervi finiscono con il perdere il loro tradizionale carattere di “intangibilità” per diventare “fluide” ed espropriabili, prestandosi cioè a costituire il potenziale oggetto di una attribuzione satisfattiva ai creditori ovvero dell’imputazione a nuovi investitori, per il tramite di operazioni di aumento del capitale sociale a pagamento con esclusione o limitazione del diritto d’opzione. Si tratta peraltro di uno scenario che, come è emerso dall’analisi comparatistica, si è rivelato pienamente in linea con gli obiettivi dei moderni sistemi concorsuali e con le linee di tendenza

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manifestate da alcune importanti legislazioni straniere, nelle quali è stato recentemente ammesso che la ristrutturazione delle società insolventi possa coinvolgere anche le partecipazioni sociali ed attuarsi indipendentemente dal parere contrario degli

shareholders, il quale è passibile di cram-down qualora non sia motivato da ragioni

apprezzabili in termini di meritevolezza di tutela secondo i principi e i valori immanenti al diritto civile, societario e concorsuale.

Ebbene, collocandosi nella prospettiva dei titolari di quote di capitale – e nell’ottica di individuare le motivazioni che potrebbero giustificare una loro “reazione” rispetto alla soluzione concordataria – il primo dato da tenere in considerazione è che non sembra potersi attribuire rilievo alcuno alla mera pretesa a mantenere la qualità di socio220. Come si è visto, infatti, l’ordinamento ha da tempo ammesso che un trasferimento – ovvero un’ablazione delle quote di partecipazione al capitale di una società in crisi – possa costituire uno degli esiti legittimi della ristrutturazione concordataria: trovando così conferma l’idea per cui l’intangibilità della dimensione proprietaria sulla partecipazione sociale costituisca una categoria concettuale obsoleta, la cui conservazione si rivela intollerabile a maggior ragione in un contesto nel quale il capitale di rischio è nella quasi totalità dei casi azzerato e la proprietà e il controllo in senso economico dell’impresa risultano transitati nelle mani dei creditori. Inoltre, può aggiungersi come, a ben vedere, gli interessi in parola non possano consistere neppure nell’aspettativa circa il possibile recupero della redditività dell’impresa e dunque in un diritto alla percezione dei soli valori futuri e prospettici di cui la partecipazione sociale potrebbe certamente essere ancora espressiva. In argomento, infatti, attenta dottrina, anche sulla scorta di alcuni arresti della giurisprudenza straniera221, ha rimarcato che il

220 L’esistenza di un «diritto alla qualità di socio» all’interno del novero delle situazioni giuridiche soggettive spettanti all’azionista è stata sostenuta da una risalente dottrina. Imprescindibile è il richiamo a BUONOCORE, Le situazioni soggettive dell’azionista, Napoli, Morano, 1960, in part. 170 ss., su cui v. pure, più recentemente, AMATUCCI, La scuola di diritto commerciale di Alessandro Graziani e Le situazioni soggettive

dell’azionista di Enzo Buonocore, in Giur. comm., 2012, 2, 285 ss.; COSTI, Enzo Buonocore: un classico della dottrina

commercialistica, ivi, 308 ss.; LIBERTINI, Note di lettura: “Le situazioni soggettive dell’azionista” di Enzo Buonocore,

cinquant’anni dopo, ivi, 315 ss.; RIVOLTA, Vincenzo Buonocore e lo studio delle situazioni soggettive dell’azionista, ivi, 323 ss. Sottolineano come il percorso di riforma intrapreso in particolar modo in materia fallimentare abbia posto «la parola fine anche alla pure arguta e complessa tematica dei diritti individuali dell’azionista come diritti soggettivi, che si rivela oggi estranea al fenomeno della società per azioni», BLANDINI-DE CICCO-LOCASCIO ALIBERTI, Socio e Società nella società per azioni (in crisi): dal diritto di opzione al bail-in (con

notazioni sulle ragioni di Mazzarò), in RDS, 2016, 4, 749 ss. e in part. 755 ss.

221 Si allude a VATTERMOLI, Concordato con continuità aziendale, Absolute Priority Rule e New Value Exception, in Riv. dir. comm., 2014, 3, 341 ss.

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mantenimento della titolarità delle partecipazioni sociali in capo ai vecchi soci di una società insolvente può ammettersi soltanto in presenza dell’immissione da parte di questi ultimi di nuove risorse che ricostituiscano il capitale di rischio ormai azzerato222: atteso che, in caso contrario, la prosecuzione dell’attività d’impresa e il suo eventuale risanamento verrebbero all’evidenza finanziati dal capitale di debito fornito dai creditori. Senonché, se è certamente ammissibile che i soci vantino un interesse legittimo ad opporsi alla ristrutturazione concordataria, deve necessariamente concludersi nel senso che quest’ultimo può essere individuato non già in una pretesa rispetto a valori futuri e incerti, bensì in una aspettativa di carattere attuale e concreto, suscettibile di venir compromessa attraverso l’ablazione concordataria delle loro partecipazioni sociali. Ebbene, come segnalato nel primo capitolo del presente studio, la consistenza di tale interesse si presta ad essere apprezzata alla luce della situazione patrimoniale della società al momento dell’accesso alla procedura e compendiata in quelle aspettative di natura patrimoniale che i soci, in quanto residual claimants, potrebbero in ipotesi ancora vantare rispetto ad un eventuale valore residuo del patrimonio sociale al netto del pagamento integrale delle passività concordatarie. Si è visto, infatti, come non possa escludersi l’eventualità che quest’ultimo, pur in presenza dello stato di crisi in cui versa la società, ciò nondimeno presenti una consistenza tale da far residuare valori positivi suscettibili di venire attribuiti ai soci e che, viceversa, verrebbero distolti dalla sua naturale destinazione qualora all’esito dell’esecuzione del piano di concordato si perfezionasse con l’attribuzione delle partecipazioni sociali ai creditori.

Si tratta allora, come si può ben comprendere, di un’eventualità che – per quanto a dire il vero di improbabile verificazione nella prassi operativa – richiede purtuttavia la predisposizione – o, in una prospettiva de iure condito, l’individuazione – di rimedi che consentano di stigmatizzare e correggere l’illegittima espropriazione che verrebbe a prodursi per effetto dell’esecuzione del piano concordatario. Alla luce delle considerazioni sinora svolte, inoltre, dovrà trattarsi di rimedi che – proprio perché

222 La tesi è stata sostenuta in particolar modo da VATTERMOLI, Concordato con continuità aziendale, Absolute Priority Rule e New Value Exception, cit., 362 ss., il quale richiama la cd. New Value Exception o Doctrine teorizzata in alcune decisioni delle Corti statunitensi negli anni Trenta del secolo scorso [v. in part. Case v. Los Angeles Lumber Products Co., Ltd, in 308 U.S. 106 (1939)] e poi sottoposta al vaglio della Suprema Corte nel 1999 nel caso LaSalle [Bank of America National Trust and Saving Association v. 203 North

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suscettibili di “paralizzare” la procedura concordataria e indirizzarne verosimilmente il relativo corso verso la liquidazione fallimentare – in tanto potranno trovare accoglienza entro la disciplina applicabile in quanto essi presuppongano un riscontro positivo circa l’esistenza di effetti espropriativi a danno dei soci, o, in altri termini, che tali rimedi consentano a questi ultimi di ottenere nient’altro, e niente di più, della soddisfazione delle pretese eventualmente ancora configurabili alla luce della consistenza patrimoniale della società.

2. GLI ADEMPIMENTI PROCEDURALI E I POTERI ACCORDATI AL DEBITORE QUALI

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