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P ROFILI SISTEMATICI DELLA NUOVA DISCIPLINA DELLE PROPOSTE CONCORRENTI I POSSIBILI INTERVENTI SUL CAPITALE SOCIALE E L ’ ART 185,

SESTO COMMA, L. FALL. NELL’OTTICA DELL’EMERSIONE DI UN «DIRITTO SOCIETARIO DELLA CRISI».

L’analisi in chiave teleologica della disciplina delle proposte concorrenti di concordato preventivo restituisce all’interprete uno scenario nel quale, come si è visto, l’ordinamento ha inteso elevare la competizione tra proposte a tratto caratterizzante la procedura concordataria, sul presupposto per cui l’emersione precoce della crisi e la sua ottimale composizione sono obiettivi che in tanto possono essere meglio raggiunti in quanto l’iniziativa dell’imprenditore sia adeguatamente sollecitata dal confronto con le dinamiche concorrenziali del mercato. In tale contesto, il legislatore del 2015 ha dunque concepito la legittimazione alternativa del terzo quale strumento di coazione

indiretta della volontà del debitore, il quale viene oggi incentivato a servirsi

tempestivamente di tutti i rimedi che l’ordinamento gli fornisce al fine di porre il proprio patrimonio e la propria impresa al riparo dalle iniziative satisfattive dei creditori. In caso di sua inerzia, infatti, potranno attivarsi quei meccanismi correttivi che, all’interno della procedura concordataria, consentono ai creditori medesimi di recuperare almeno in parte quei poteri conformativi nella definizione del programma di composizione della crisi non prontamente attivati dal debitore.

Collocati tali presupposti concettuali sullo sfondo, è possibile adesso passare ad analizzare l’aspetto che più di altri ha suscitato l’interesse della dottrina e della prassi applicativa. Si allude a quanto prevede il secondo periodo del quinto comma dell’art. 163 l. fall., il quale ammette che la proposta concorrente contempli l’intervento di terzi e, se il debitore è costituito nella forma della società per azioni o a responsabilità limitata, un’operazione societaria di aumento di capitale con limitazione o esclusione del diritto d’opzione. Tale disposizione deve peraltro necessariamente coordinarsi con quanto prevede l’art. 185, sesto comma, l. fall., il quale, nel disciplinare la fase esecutiva della procedura, ribadisce, in via generale, il dovere del debitore di dare puntuale attuazione anche alla proposta di concordato presentata da uno o più creditori, qualora essa venga approvata e omologata. Inoltre, la norma configura un particolare rimedio per il caso in cui il debitore non provveda autonomamente al compimento dei necessari

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atti esecutivi o ritardi in qualunque altro modo l’adempimento del concordato. In tali evenienze, infatti, si è previsto che, su denuncia del soggetto proponente o dietro sollecita segnalazione del commissario giudiziale, il tribunale possa attribuire a quest’ultimo tutti «i poteri necessari a provvedere in luogo del debitore», o ancora, qualora l’attività d’impresa sia esercitata in forma societaria e la proposta concorrente preveda un aumento di capitale, spingersi sino a revocare l’organo amministrativo e a nominare un amministratore giudiziario, attribuendogli contestualmente il potere di procedere alla convocazione dell’assemblea straordinaria dei soci e all’esercizio del diritto di voto nella stessa.

Orbene, l’assetto risultante dalla lettura combinata degli artt. 163 e 185 l. fall. si presta a costituire lo spunto per alcune prime considerazioni di carattere sistematico.

In primo luogo, l’aver inserito un’operazione sul capitale sociale tra i possibili contenuti del piano connesso ad una proposta concorrente vale quale ulteriore conferma della possibilità che il concordato preventivo delle società di capitali contempli una vasta gamma di interventi di ristrutturazione che incidano non soltanto sulla dotazione patrimoniale, ma finanche sulla struttura finanziaria e organizzativa delle società in concordato. Si tratta di una novità non certo legata all’ultima riforma, dal momento che già a partire dal 2005 il legislatore, nel codificare un principio di atipicità nella definizione del piano di concordato fallimentare e preventivo, aveva espressamente previsto che quest’ultimo potesse includere tanto modalità negoziate di liquidazione del patrimonio del debitore, quanto interventi più radicali di «riorganizzazione dell’attività [d’impresa] ed in particolare del suo finanziamento»47. Invero, l’art. 160 l. fall., per come novellato nel 2005, ammette espressamente che il piano di ristrutturazione dei debiti preveda, fra le varie operazioni astrattamente

47 Così FERRI jr., Ristrutturazione dei debiti e partecipazioni sociali, in Riv. dir. comm., 2006, 10-12, 747 ss. e in part. 752. Invero, l’introduzione di «una disciplina flessibile e variegata delle soluzioni concordate suggerisce a chi propone un concordato (preventivo e fallimentare) una serie di strumenti di diritto societario che, operando sulla struttura finanziaria ed organizzativa della società in crisi, possono essere di ausilio per realizzare l’interesse del mercato alla non dispersione dei valori aziendali ed imprenditoriali». Ciò che in tal modo si verifica nella procedura di concordato preventivo è, a ben vedere, un ampliamento di prospettiva che può essere definito «dal patrimonio alla struttura»: così PACCHI, I

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configurabili48, l’attribuzione ai creditori di azioni o quote della società in concordato49, siano esse già in circolazione ovvero di futura emissione all’esito di un aumento di capitale, operando in tal modo la soddisfazione dei crediti per il tramite della conversione del capitale di debito in capitale di rischio e il coinvolgimento dei creditori nel progetto imprenditoriale della società debitrice50. Di talché appare evidente come,

a monte, la riorganizzazione concordataria sia stata concepita già da tempo quale

fenomeno idoneo a coinvolgere anche le partecipazioni sociali, sul presupposto per cui, se riguardate nella prospettiva concordataria, queste ultime si prestino ad essere considerate, al pari di una posta attiva del patrimonio sociale, quale potenziale «oggetto della ristrutturazione» dei debiti e «strumento di soddisfazione» dei crediti51. In altri

48 Il piano di concordato preventivo, ai sensi dell’art. 160 l. fall., può invero prevedere «la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma», alcune delle quali sono esemplificate alle lett. a), b) e c): cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito; attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei. Non può dubitarsi «che si tratti di esemplificazioni e non di un elenco esaustivo», trovando tale assunto conferma nella «circostanza che la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti possono assumere, come dice la norma, “qualsiasi forma”, e dunque anche forme diverse da quelle descritte» (corsivo nel testo). V. al riguardo, per tutti, SANTONI, Contenuto

del piano di concordato preventivo e modalità di soddisfacimento dei creditori, in AA.VV., Le soluzioni concordate delle

crisi d’impresa, cit., 51 ss. e in part. 54.

49 Non v’è dubbio che le azioni e le quote, cui fa riferimento l’art. 160 l. fall. quale possibile oggetto di attribuzione satisfattiva ai creditori, non possono che essere le partecipazioni al capitale sociale della

stessa società in concordato, e non invece di partecipazioni al capitale di altre società da quest’ultima

detenute. Peraltro, che l’art. 160 l. fall. intenda riferirsi «alle “azioni” emesse (e non a quelle detenute) dalla stessa società è confermato dalla circostanza che «azioni e quote sono menzionate (appunto come possibili oggetti di attribuzione ai creditori) accanto ad una serie di strumenti finanziari emessi (o destinati ad esserlo) proprio dalla società» in concordato: così FERRI jr., Ristrutturazione dei debiti e

partecipazioni sociali, cit., 763, nonché ID., Assegnazione delle partecipazioni ai creditori e risoluzione del concordato

preventivo, in Corr. giur., 2015, 1, 80 ss. Sul tema della conversione del capitale di credito in capitale di

rischio e l’attribuzione ai creditori di partecipazioni v. FIMMANÒ, L’allocazione efficiente dell’impresa in crisi

mediante la trasformazione dei creditori in soci, in Riv. soc., 2010, 1, 57 ss., nonché D’ATTORRE, L’attribuzione

ai creditori di partecipazioni sociali tra par condicio creditorum e principio di eguaglianza tra soci, in Riv. soc., 2011,

5, 852 ss.

50 Di talché può dirsi che «quando la proposta di concordato non ha un contenuto puramente solutorio e/o liquidativo, ma presenta i caratteri di un vero e proprio piano di riorganizzazione della società in crisi o insolvente», la corporate reorganisation si presta a costituire «una sorta di “vendita virtuale” dell’impresa a favore di soggetti – a vario titolo e in vario grado – “interessati” dalla crisi o dalla insolvenza, che viene effettuata sulla base di una transazione sul “valore futuro” della società ristrutturata»: così GUERRERA- MALTONI, Concordati giudiziali e operazioni societarie di «riorganizzazione», in Riv. soc., 2008, 1, 17 ss. e in part. 21.

51 In quella vicenda peculiare costituita dalla «riorganizzazione complessiva del finanziamento dell’impresa», il ruolo della partecipazione sociale si presta invero ad essere inquadrato in maniera diversa a seconda che lo si riguardi «nella prospettiva, collettiva, della ristrutturazione dei debiti ovvero in quella, invece individuale, della soddisfazione dei crediti» (corsivo nel testo). Rilevando quindi la partecipazione sociale «come oggetto di ristrutturazione, ma anche, ed al contempo, come strumento di soddisfazione dei crediti»: così FERRI jr., Ristrutturazione dei debiti e partecipazioni sociali, cit., 762.

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termini, nel contesto della disciplina fallimentare esse costituiscono non già mera «espressione di una posizione “organizzativa”», quanto piuttosto «strumento rappresentativo di capitale “investito” nell’impresa»52, o ancora, strumento espressivo di valori, attuali o prospettici, che possono essere destinati al soddisfacimento dei creditori.

Senonché, una volta ammessa una siffatta idoneità del concordato preventivo ad incidere sulla struttura finanziaria delle società coinvolte, appare evidente come il richiamo testuale operato dall’art. 163 l. fall. al solo aumento di capitale con limitazione o esclusione del diritto d’opzione possa considerarsi quantomeno riduttivo. In effetti, e tenuto conto anche del summenzionato principio di atipicità nella definizione del piano di concordato preventivo, parte della dottrina è stata indotta ad interrogarsi sull’opportunità di ammettere che la proposta concorrente si avvalga anche di operazioni societarie straordinarie diverse dall’ipotesi tipica e legalmente individuata53. Fornire una risposta esaustiva a tale interrogativo esula dell’ambito di indagine del presente lavoro, giacché la soluzione del problema implicherebbe un vaglio di compatibilità in concreto tra la nuova disciplina concordataria e le variegate operazioni straordinarie (trasformazione, fusione e scissione) che possono astrattamente trovare accoglienza nel piano di concordato.Ciò nondimeno, si può semplicemente osservare come la soluzione permissiva appaia preferibile, in quanto essa può dirsi coerente con

52 Il virgolettato in FERRI jr., Ristrutturazione dei debiti e partecipazioni sociali, cit., 767. V. pure, sul punto, FERRI jr., Partecipazione sociale e garanzia patrimoniale, in ODCC, 2014, 2, 283 ss., ove si legge come la partecipazione sociale «si presti ad assumere, due ruoli, si direbbe due valori giuridici, tra loro ben distinti: da un lato, quello, per certi versi generico, di autonomo bene, di autonomo oggetto, cioè, di atti di scambio e, più in generale, di trasferimento, anche coattivo, e, dall’altro, quello, specifico, di forma, o strumento, di investimento, il cui valore esprime, ovviamente pro quota, quello del patrimonio sociale» (corsivo nel testo). Evidente è, alla base di tale ricostruzione del concetto di partecipazione sociale, il richiamo a quelle tesi che guardano alla società per azioni non già come ad «un soggetto-persona giuridica che esercita un’impresa», bensì come ad «un’organizzazione dell’esercizio, della responsabilità e del finanziamento d’impresa»: così FERRO LUZZI, Riflessioni sulla riforma; I: la società per azioni come

organizzazione del finanziamento di impresa, in Riv. dir. comm., 2005, 7-9, 673 ss. e in part. 713 (ove il

virgolettato), nonché FERRI jr., Insolvenza e crisi dell’impresa organizzata in forma societaria, in La riforma della

legge fallimentare. Atti del Convegno (Palermo, 18-19 giugno 2010), cit., 37 ss. e in part. 39: «per un verso, la

società rappresenta in realtà una disciplina, e cioè una forma di organizzazione, dell’impresa, e non anche il suo soggetto, e, per altro verso, l’insolvenza indica non già una impotenza del patrimonio, ma una vera e propria crisi dell’impresa, complessivamente ed oggettivamente considerata, ed in particolare una determinata disfunzione della sua organizzazione».

53 La questione implica all’evidenza la necessità di sciogliere l’alternativa, suscitata dalla lettura della norma, tra un’indicazione tassativa delle operazioni ammesse e viceversa un riferimento esemplificativo ad uno soltanto dei possibili contenuti della proposta: in altri termini, tra una loro indicazione tassativa ovvero meramente esemplificativa.

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il fondamento teleologico cui, come si è visto, è consacrata l’intera disciplina delle proposte concorrenti, vale a dire l’obiettivo di realizzare, per il tramite di un’operazione societaria in qualunque modo concepita, l’imputazione delle partecipazioni sociali esistenti a nuovi finanziatori, con conseguente mutamento del controllo sulla società in concordato. Si deve allora intendere la limitazione testuale al solo aumento di capitale con limitazione o esclusione del diritto d’opzione quale espressione dall’intentio

legis di disciplinare il solo «mezzo minimo necessario» ad operare il suddetto

trasferimento, e non già di escludere la compatibilità con la procedura di altre operazioni che un simile effetto sono parimenti preordinate a produrre54.

Inquadrati correttamente gli obiettivi cui può essere votata una proposta concorrente e gli strumenti di cui essa può avvalersi, si può allora arrivare a comprendere come l’aspetto più dirompente della riforma del 2015 consista a ben vedere nel dato per cui interventi di ristrutturazione che coinvolgano la struttura finanziaria delle società in concordato possono oggi trovare la loro fonte non già in una decisione degli organi sociali, come accade nella fase fisiologica della vita della società, ma in un programma concordatario predisposto da soggetti estranei alla compagine sociale55. In più, si tratta di interventi che, oltre a non venir programmati dagli organi sociali, sono poi destinati a trovare attuazione indipendentemente dalla volontà dei medesimi, e dunque, nelle società di capitali, dell’assemblea straordinaria dei soci o eventualmente dell’organo gestorio, al quale la competenza a deliberare le operazioni sul capitale sia stata statutariamente delegata.

54 Il virgolettato in PINTO, Concordato preventivo e organizzazione sociale, in Riv. soc., 2017, 1, 100 ss. e in part. 121-122. Per un’analisi compiuta del problema sia consentito rimandare a ABETE, Risanamento dell’impresa

e operazioni straordinarie: profili sostanziali, in Fall., 2017, 10, 1041 ss.; PAGNI, Operazioni straordinarie e procedure

preventive: profili processuali, ivi, 1053 ss.; LOVISATTI, Sul concordato tramite scissione (o fusione): tra disciplina

concorsuale e norme societarie, in Giur. comm., 2016, 6, 1265 ss.; MANZO, Operazioni societarie straordinarie in

esecuzione di concordato preventivo, in Notariato, 2015, 1, 61 ss. Per una disamina del problema prima della

riforma del 2015 v. PALMIERI, Operazioni straordinarie «corporative» e procedure concorsuali: note sistematiche e

applicative, in Fall., 2009, 9, 1092 ss. Sulla specifica operazione di fusione in ambito concordatario, v.

l’indagine monografica di DI MARTINO, Fusione e soluzioni concordate della crisi, Torino, Giappichelli, 2018.

55 Se infatti è vero che sin dalla riforma del 2005 era prevista la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti anche attraverso «l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito, è vero anche che, fino alla riforma del 2015, «si trattava di operazioni pur sempre riconducibili alla volontà del debitore […], il quale invece ora le subisce, a fronte dell’iniziativa dei creditori e dei terzi intervenuti con essi eventualmente operanti»: così VELLA, La contendibilità dell’azienda

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Il meccanismo di esecuzione giudiziale della proposta concorrente infatti, pur salvaguardando formalmente l’intervento dell’assemblea, trasferisce di fatto la competenza a deliberare l’operazione di aumento di capitale all’esterno della compagine sociale, attraverso la “sterilizzazione” del diritto di voto spettante ai soci e la sua surrogazione per il tramite dell’intervento di un amministratore giudiziario. Si tratta, per vero, di una soluzione della cui adeguatezza non può dubitarsi, in particolar modo sotto il profilo della tutela accordata dall’ordinamento all’interesse creditorio sotteso alla presentazione e alla pronta e corretta esecuzione di una proposta concorrente. Ciò vale per due ordini di ragioni. Innanzitutto, occorre sottolineare come l’inerzia degli organi sociali rispetto all’esecuzione di una proposta concorrente si presti ad essere sussunta entro la categoria dell’inadempimento di non scarsa importanza che, ai sensi dell’art. 186 l. fall., può dar luogo, su richiesta dei creditori, alla risoluzione del concordato omologato. In quest’ottica, allora, il rimedio in parola può essere considerato, nella prospettiva del creditore proponente, quale strumento alternativo e più vantaggioso rispetto all’istanza di risoluzione, il cui accoglimento, determinando verosimilmente la consecuzione del fallimento al concordato, aprirebbe scenari ancor più penalizzanti per le pretese creditorie56. In secondo luogo, occorre considerare che il creditore legittimato alla presentazione di una proposta concorrente si colloca all’evidenza in una posizione di alterità soggettiva rispetto agli organi sociali ai quali è invece demandata la deliberazione circa il compimento delle operazioni societarie contemplate nella proposta medesima. In altri termini, alla presentazione di una proposta concorrente si accompagna necessariamente una situazione qualificabile in termini di «dissociazione tra legittimazione attiva e responsabilità»57, o meglio, tra l’iniziativa per la regolazione della crisi e la responsabilità legata al compimento di quegli atti che costituiscono doveroso adempimento del programma concordatario omologato. In quest’ottica, ben si comprende come, in assenza degli opportuni

56 Si tratta di una prospettiva indubbiamente poco conveniente per il creditore proponente, che vedrebbe non soltanto frustrate le proprie aspettative a partecipare in prima persona alla ristrutturazione della società in crisi, ma anche penalizzate le prospettive di soddisfacimento, in tempi rapidi, delle proprie ragioni di credito. Eppure, in assenza di un rimedio che consenta di conseguire, seppur in via giudiziale e surrogatoria, il medesimo risultato che sarebbe assicurato dall’adempimento da parte del debitore, l’istanza di risoluzione del concordato costituirebbe l’unica soluzione concretamente a disposizione del ceto creditorio.

57 Il virgolettato VELLA, La contendibilità dell’azienda in crisi. Dal concordato in continuità alla proposta alternativa del terzo, cit., 25.

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correttivi, proprio siffatta dissociazione si presterebbe a dotare i soci di un vero e proprio potere di blocco rispetto all’esecuzione di una proposta dal contenuto pregiudizievole verso le loro ragioni. Senonché, se si guarda alla particolare configurazione assunta dal meccanismo previsto dall’art. 185 l. fall., appare chiaro come l’ordinamento abbia inteso contrastare il veto eventualmente frapposto dai soci attraverso uno strumento ben più radicale rispetto alla riaffermazione di un mero divieto di manovre ostruzionistiche, risultando viceversa regolamentato un vero e proprio rimedio in forma specifica, finalizzato a consentire al creditore proponente di ottenere in via giudiziale quel medesimo risultato che si sarebbe potuto conseguire, in via fisiologica, attraverso l’adempimento spontaneo da parte del debitore58.

Posta la questione in questi termini, può dirsi, in definitiva, come il trasferimento della competenza a deliberare l’aumento di capitale ad un soggetto che a ciò sia investito dagli organi della procedura costituisca condizione necessaria e sufficiente per consentire al creditore proponente di incidere ab externo sull’organizzazione sociale, invocando il rispetto di quel principio di stretta necessità che, ai sensi dell’art. 185 l. fall., governa l’esecuzione della proposta di concordato preventivo approvata e omologata. Una siffatta configurazione del rimedio implica sul piano sistematico l’insorgere di un’interferenza e uno scollamento tra regole di competenza, e in particolare tra le norme di diritto societario – che riservano tendenzialmente le decisioni in materia di variazione del capitale sociale all’assemblea straordinaria dei soci –, e le regole di diritto concorsuale, le quali, pur nel rispetto degli ordinari meccanismi societari, impattano su di essi da un punto di vista sostanziale, comprimendo il potere deliberativo dei soci59. Si è in presenza, come si può ben comprendere, di una novità

58 V. sul punto ABRIANI, Proposte concorrenti, operazioni straordinarie e dovere della società di adempiere agli obblighi concordatari, cit., 382. In quest’ottica, il rimedio individuato dall’art. 185, sesto comma, l. fall. costituisce

nient’altro che la traduzione normativa del principio per cui «societas ad pactum (concordatarium) precise cogi

debet».

59 È stato sottolineato in dottrina come il problema sotteso al rimedio di cui all’art. 185 l. fall. risiede «nella interferenza – e nel potenziale conflitto – fra le regole di diritto fallimentare sull’esecuzione del concordato omologato e le regole di diritto societario sul procedimento decisionale delle operazioni statutarie previste nel piano» (corsivo nel testo): così PINTO, Concordato preventivo e organizzazione sociale, cit., 105. Come altra dottrina ha rilevato, il conflitto in parola sottende, a monte, la possibile interferenza tra due «programmi» o «statuti»: il piano concordatario e il risultato cui esso si ripromette di condurre

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