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I L CONTROLLO DEL T RIBUNALE IN SEDE DI AMMISSIONE DELLA PROPOSTA DI CONCORDATO TRA FATTIBILITÀ GIURIDICA E COMPATIBILITÀ CON NORME

C APITOLO TERZO

3. I L CONTROLLO DEL T RIBUNALE IN SEDE DI AMMISSIONE DELLA PROPOSTA DI CONCORDATO TRA FATTIBILITÀ GIURIDICA E COMPATIBILITÀ CON NORME

INDEROGABILI.

Nel tentativo di individuare soluzioni idonee a soddisfare in misura necessaria e

sufficiente l’interesse ad una piena ed effettiva valorizzazione patrimoniale degli assetts

concordatari, non resta adesso che rivolgere l’attenzione al ruolo svolto dall’autorità giudiziaria nell’ambito della procedura concordataria, analizzando innanzitutto il controllo condotto dal Tribunale in sede di ammissione della domanda di concordato preventivo. Come è noto, infatti, l’art. 163 l. fall. prevede che l’apertura della procedura sia condizionata ad un vaglio preventivo di ammissibilità del ricorso presentato dal debitore, da svolgersi testualmente alla luce dei requisiti previsti dagli artt. 160 e 161 l. fall. Ebbene, pur nel silenzio della legge, tale controllo deve ritenersi necessario anche a fronte della presentazione di una proposta concorrente e altresì in ipotesi ulteriori rispetto a quella prevista de plano dall’ultimo comma dell’art. 163 l. fall., vale a dire la verifica circa la «correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi» nell’eventualità in cui la proposta di fonte creditoria preveda un simile contenuto237.

237 Tale eventualità è stata peraltro fatta oggetto di un onere processuale a carico dei creditori che presentano una proposta concorrenti, i quali infatti, ai sensi dell’art. 163, sesto comma, l. fall., «hanno diritto di voto sulla medesima solo se collocati in una autonoma classe». La soluzione adottata dal legislatore, al fine indubbiamente di correggere le distorsioni che si verrebbero inevitabilmente a creare rispetto alle maggioranze necessarie per l’approvazione della proposta di concordato, è stata giudicata in dottrina in maniera tendenzialmente negativa. Si è detto, infatti, che in tal modo «ancora una volta, nel sistema è stato ripudiato un principio sacrosanto, quello del divieto di agire in conflitto di interessi, che nel nostro ordinamento stenta a decollare ovunque» [così FABIANI, Riflessioni sistematiche sulle addizioni

legislative in tema di crisi d’impresa, cit., 27], quando sarebbe stato preferibile elidere in maniera radicale il

voto del creditore proponente. Attenta dottrina ha peraltro sottolineato «l’esiziale disparità di trattamento che si verifica a carico del debitore» [così D’ATTORRE, Le proposte di concordato preventivo

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Diversamente opinando, infatti, laddove il concordato non preveda classi di creditori, si tratterebbe non già di escludere qualsiasi vaglio sulla proposta concorrente, bensì, accedendo alle diverse ricostruzioni operate in dottrina, o di rinviarlo ad un momento successivo, rappresentato verosimilmente dal solo giudizio di omologazione238, ovvero di investire di tale attribuzione un diverso organo della procedura, e segnatamente il giudice delegato: quest’ultimo infatti, sovraintendendo alle operazioni di voto, potrebbe decidere di non ammettervi una proposta inammissibile239. In entrambe le prospettive, tuttavia, verrebbero innanzitutto a prodursi significativi profili di dissimmetria tra la proposta presentata dal debitore e le proposte concorrenti, laddove al contrario non paiono sussistere ragioni per riservare un trattamento privilegiato in punto di disciplina processuale applicabile all’iniziativa creditoria: quest’ultima infatti si traduce pur sempre in una proposta di concordato soggetta a presupposti soggettivi e oggettivi di ammissibilità, passibili di verifica da parte dell’autorità giudiziaria. Inoltre, argomentando altrimenti si rischierebbe di portare all’esame del giudice delegato (ed alla votazione dei creditori) proposte che potrebbero essere in ipotesi manifestamente inammissibili, con frustrazione delle esigenze di economia processuale che, secondo la giurisprudenza, connotano in maniera pregnante la funzione economica dell’istituto concordatario240.

concorrenti, cit., 1177], dal momento che solo quest’ultimo, e non il creditore proponente, subisce quelle

ulteriori preclusioni al voto che, ai sensi dell’art. 177, ultimo comma, l. fall., colpiscono i creditori in qualsiasi modo collegati o controllati dal debitore. L’atteggiamento del legislatore si pone peraltro in linea in un consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude la configurabilità del conflitto di interessi nel sistema concordatario [per il quale v. Cass. Civ., sez. I, 10 febbraio 2011, n. 3274, in Fall., 2011, 403 ss.; in dottrina v. D’ATTORRE, Il conflitto d’interessi fra creditori nei concordati, in Giur. comm., 2010, 1, 392 ss.; CALANDRA BUONAURA, Disomogeneità di interessi dei creditori concordatari e valutazione di convenienza

del concordato, in Giur. comm., 2012, 1, 14 ss.; SACCHI, Il conflitto di interessi dei creditori nel concordato, in Società,

banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, vol. III, cit., 3131 ss.].

238 Tale posizione è sostenuta da GRIFFINI, Le proposte concorrenti di concordato preventivo, cit., 271-272, a detta del quale, «se la legge dice che il giudizio preliminare del tribunale deve aver luogo esclusivamente nell’ipotesi in cui la proposta concorrente preveda un concordato con classi e con riguardo al profilo della correttezza dei criteri di classificazione, ciò significa che esso non deve svolgersi con riguardo a profili di ammissibilità diversi e, a fortiori, nell’ipotesi in cui non sia previsto un concordato con classi». Ciò implica tuttavia che, «rinviando alla fase di omologazione (e non – si badi – eliminando) le verifiche di ammissibilità, il legislatore vuole che esse si svolgano solo se siano effettivamente necessarie (ossia solo se la proposta del debitore sia stata ‘‘battuta’’ e solo con riferimento alla proposta concorrente che sia risultata vittoriosa in esito alla votazione) e sempre in condizioni di cognizione piena».

239 Si esprime in tal senso FABIANI, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi d’impresa, cit., 29, a detta del quale l’indicazione testuale parrebbe escludere la necessità di un vaglio preliminare al di fuori dell’ipotesi in cui la proposta concorrente preveda la formazione di classi di creditori, e ciò «per evitare incidenti processuali progressivi».

240 La posizione sostenuta nel testo, la quale estende il controllo di ammissibilità anche alla proposta presentata dal ceto creditorio, si fonda come detto su un’interpretazione estensiva della lettera dell’art.

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Peraltro, l’esigenza di un esame preventivo di ammissibilità della proposta concorrente si dimostra ancor più pressante laddove specialmente si considerano le esigenze cui, secondo la migliore dottrina, è preordinato l’intervento dell’autorità giudiziaria nell’ambito delle diverse fasi della procedura concordataria. In argomento, infatti, può dirsi che la partecipazione di quest’ultima si giustifica in forza delle peculiarità di quel “contratto” tra debitore e creditori che è il concordato preventivo241: un “contratto”, più precisamente, «in cui il consenso si forma con una comunità involontaria di interessi […] costretta a esprimere la propria volontà attraverso meccanismi di maggioranza e non già nei modi che presiedono di norma alla stipula degli accordi», e in più, destinato a produrre effetti in via indiretta anche rispetto a soggetti che all’iter di formazione di tale volontà non hanno neppure partecipato242. In altri termini, la necessità della presenza del Tribunale può essere fatta dipendere proprio dall’esigenza di assicurare la regolarità della procedura rispetto alla posizione giuridica di tutti i soggetti coinvolti nel tentativo di ristrutturazione, e segnatamente rispetto agli interessi di quegli stakeholders che, all’interno della procedura medesima,

163, ultimo comma, l. fall., il quale prevede che qualora la proposta concorrente preveda la formazione di diverse classi di creditori, essa, prima di essere comunicata ai creditori, deve essere sottoposta al giudizio del Tribunale al fine di verificare la correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi. Si esprime nello stesso senso la dottrina prevalente: v. sul punto D’ATTORRE, Le proposte di concordato

preventivo concorrenti, cit., 1172, il quale argomenta nel senso che «la presentazione di una proposta

concorrente determina un inevitabile rallentamento ed “appesantimento” della procedura di concordato, che trova giustificazione solo se la proposta stessa supera il vaglio preventivo di ammissibilità da parte del Tribunale».

241 Sul punto v. PAGNI, Contratto e processo nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti: analogie e differenze, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da Buonocore-Bassi, vol. I, Padova, CEDAM,

2010, 558 ss., nonché DI MAJO, Il percorso «lungo» della fattibilità del piano proposto nel concordato, in Fall., 2013, 3, 291 ss. e in part. 292, a detta del quale «il giudice non può ridursi a ‘‘convitato di pietra’’ rispetto a quanto proposto e pianificato dal debitore», dovendo egli invece «farsi carico anche dell’interesse dei creditori non aderenti, visto che, per altro verso, il principio maggioritario è proprio, e solo, di strutture associative e societarie ma non già dei rapporti obbligatori che restano pur sempre individuali tra il debitore e i creditori». Il controllo del Tribunale quale contromisura rispetto all’efficacia obbligatoria «anomala e pericolosa» del concordato anche rispetto ai creditori di minoranza dissenzienti è ben sottolineata anche nella dottrina più risalente: v. CARNELUTTI, Sui poteri del tribunale in sede di omologazione

del concordato preventivo, in Riv. dir. proc., 1924, 1, 65, ma v. anche ASCARELLI, Sulla natura dell’attività del

giudice nell’omologazione del concordato, in Riv. dir. proc., 1928, 1, 228, a detta del quale il giudice non è

«chiamato a dichiarare della obbligatorietà nei confronti della minoranza, ma è chiamato a riconoscere, ispirandosi ad un pubblico interesse, l’esistenza di determinate condizioni perché questa obbligatorietà sia operativa così nei confronti della minoranza come in quelli della maggioranza».

242 Il virgolettato in PAGNI, Del controllo del tribunale sulla proposta di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521 (e sui rapporti tra concordato e fallimento), in Corr. giur., 2013, 5, 641 ss. e in part. 649. Un ruolo

dunque, quello del Tribunale, che, lungi dal riecheggiare «impostazioni ideologiche volte a privilegiare la dimensione pubblicistica rispetto a quella privatistica [ivi, 650], si rivela ancor più necessario se ci si pone nell’ottica di tutelare soggetti che non sono parte dell’«accordo» concordatario e che purtuttavia sono destinati a subirne gli effetti.

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possono essere considerati “soggetti deboli”. Se così è, allora, è evidente come tale necessità sia destinata a presentarsi a maggior ragione nel caso in cui vengano presentate proposte concorrenti, in quanto in tali evenienze l’“accordo” concordatario si perfezionerebbe indipendentemente dalla partecipazione del soggetto maggiormente interessato alla correttezza delle operazioni243: il debitore infatti risulterebbe concretamente estromesso, per utilizzare la terminologia contrattuale, tanto dal momento della proposta quanto da quello dell’accettazione del “negozio” concordatario244.

Ciò posto, non resta dunque che illustrare quali siano il contenuto e i limiti del sindacato svolto dal Tribunale in sede di ammissione, e di conseguenza appurare in che misura quest’ultimo si presti ad essere valorizzato nell’ottica che in questa sede maggiormente interessa. In via preliminare, pare opportuno precisare ad ogni buon conto che il tema ora in esame costituisce, come noto, uno degli aspetti della disciplina concordataria più controversi in dottrina e in giurisprudenza245, di cui pertanto non potrà che darsi soltanto sinteticamente conto in questa sede. In argomento, tuttavia, pare sufficiente limitarsi a richiamare quel costante orientamento della Corte di Cassazione, consolidatosi a partire da un noto arresto delle Sezioni Unite del 2013246,

243 Un riferimento all’importanza del ruolo del Tribunale alla luce delle considerazioni svolte nel testo è presente in BLANDINI-DE CICCO-LOCASCIO ALIBERTI, Socio e Società nella società per azioni (in crisi): dal

diritto di opzione al bail-in (con notazioni sulle ragioni di Mazzarò), cit., 767 ss., ove si legge che «nell’ipotesi

della presentazione di proposte concorrenti, non esiste più alcun accordo, contratto o transazione con i creditori, dal momento che la proposta non è proveniente dal debitore, e che è corretto parlare, invece, di un accordo tra creditore-proponente e creditori-altri», ma è «pur sempre vero che l’iter concordatario avviene sotto il vaglio ed il controllo del Tribunale, così come previsto nei concordati “ordinari”». 244 L’impatto dell’introduzione delle proposte concorrenti sul tema della qualificazione giuridica del concordato preventivo è stato ampiamente sottolineato in dottrina. Sul punto v., ex multis, D’ATTORRE,

Le proposte di concordato preventivo concorrenti, cit., 1163, a detta del quale «quando la proposta omologata

proviene dal creditore, non vi è più spazio per parlare del concordato preventivo in termini di mero accordo tra debitore e creditori, perché il debitore non è parte dell’accordo, né sotto il profilo della proposta (che proviene dal creditore-proponente), né sotto il profilo dell’accettazione (che proviene dai creditori)». Ciò dunque acuendo «l’imbarazzo nell’inquadrare il concordato preventivo in termini puramente contrattuali».

245 Di «nodo gordiano» della fattibilità parla a buon diritto VELLA, L’affinamento della giurisprudenza di legittimità dopo le Sezioni Unite sulla «causa concreta» del concordato: ha ancora senso la distinzione tra fattibilità giuridica ed economica?, in Fall., 2015, 4, 438 ss. La letteratura in tema di sindacato di fattibilità è, come

noto, estremamente ampia: v., ex multis, CENSONI, Autonomia negoziale e controllo giudiziale nel concordato

preventivo, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, cit., 493 ss.; AMBROSINI, Il controllo giudiziale sull’ammissibilità

della domanda di concordato preventivo e sulla formazione delle classi, ivi, 525 ss.; ID., Il problema della fattibilità del

piano nel concordato preventivo, in Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma «organica» al decreto «correttivo», a

cura di Ambrosini, Bologna, Zanichelli, 2008, 533 ss.

246 Si allude ovviamente a Cass. Civ., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in Giur. comm., 2013, 2, 333 ss., con nota di CENSONI, I limiti del controllo giudiziale sulla «fattibilità» del concordato preventivo. V. pure Cass. Civ., sez. I, 17 ottobre 2014, n. 22045, in Fall., 2015, 4, 435 ss., con nota di VELLA, L’affinamento della

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alla luce del quale può dirsi innanzitutto che il controllo giudiziale – oltre a scrutinare ovviamente aspetti formali, quali la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per l’ammissione alla procedura, la ritualità della presentazione del ricorso e la completezza della documentazione – non è da configurarsi, quanto agli aspetti sostanziali della domanda di concordato, quale “sindacato di secondo grado”, limitato cioè alla sola valutazione delle risultanze dell’attestazione redatta dal professionista nominato dal debitore circa la fattibilità del piano concordatario247. Al contrario, è affermazione costante in giurisprudenza che si tratti di un vaglio che, pur dovendo per vero investire in primo luogo la «correttezza delle argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte dal professionista», nonché la «coerenza complessiva delle conclusioni finali prospettate», può vertere altresì in maniera immediata e diretta sul contenuto del piano e sul suo rapporto strumentale con la proposta di ristrutturazione dei debiti e soddisfazione dei crediti indirizzata ai creditori248. Ma v’è di più, dal momento che, pur

tra fattibilità giuridica ed economica?; nonché Cass. Civ., sez. I, 9 giugno 2017, n. 14444, in Fall., 2018, 1, 62

ss., con nota di LIBERO NOCERA, Causa concreta e fattibilità del concordato preventivo: la persistenza del dubbio. Ulteriori commenti alla posizione della Suprema Corte in ALESSI, Autonomia privata nel concordato preventivo

e ruolo del tribunale, in Giur. comm., 2014, 2, 443 ss., cui adde, più recentemente, AMBROSINI, Il controllo

giudiziale su domanda e piano concordatari e i compiti dell'attestatore, in Giur. comm., 2017, 3, 387 ss.

247 È quanto emerge in maniera evidente da Cass. Civ., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, cit., allorquando si afferma che, pur potendo il professionista attestatore essere qualificato alla stregua di un ausiliario del giudice, ciò purtuttavia non implica che «il giudicante [non] possa discostarsi dal relativo giudizio», essendo «il compito di tutela della legalità del procedimento all’evidenza demandato al giudice per il ruolo istituzionale svolto». Non può sottacersi in realtà come, dopo la riforma del 2005, il legislatore abbia inteso veicolare alcuni aspetti del controllo circa i contenuti della proposta di concordato presentata dal debitore attraverso «l’attestazione esterna di un professionista, designato dal debitore, purché munito di un profilo di assoluta indipendenza (ex art. 67 comma 3, lett. d, l. fall.), e soggetto ad un severo presidio penale (art. 236-bis l. fall.); dunque una figura ibrida, a metà strada tra il consulente di parte e quello d’ufficio» [così VELLA, L’affinamento della giurisprudenza di legittimità dopo le

Sezioni Unite sulla «causa concreta» del concordato: ha ancora senso la distinzione tra fattibilità giuridica ed economica?,

cit., 441]. Ciò non impedisce tuttavia, secondo l’interpretazione della Suprema Corte, che il giudice conservi intatti i suoi poteri istituzionali di peritus peritorum, in particolar modo rispetto ad una documentazione, quella allegata al ricorso dal debitore, che «ha la primaria funzione di informare, oltre che i creditori, anche il giudice, non ha invece quella di rappresentare quasi una prova legale in ordine al requisito di fattibilità, così da postulare una competenza esclusiva di soggetti privati (quale l’esperto), immune da verifica dell’organo giurisdizionale»: così DI MAJO, Il percorso «lungo» della fattibilità del piano

proposto nel concordato, cit., 292. Più in generale, sul tema dei rapporti tra «tutela giurisdizionale e atti di

autonomia privata nell’ambito delle procedure concorsuali», e dunque sull’individuazione dell’ambito dei «poteri del giudice in riferimento alle attestazioni che, in base alla disciplina vigente, accompagnano gli accordi o le proposte di definizione stragiudiziale della crisi d’impresa» v. COSTANTINO, La gestione

della crisi d’impresa tra contratto e processo, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, cit., 207 ss.

248 Merita sottolineare come, una volta impostata correttamente la questione del rapporto tra sindacato indiretto sulla congruità dell’attestazione del professionista e sindacato diretto sulla proposta e sul piano, possa risultare sgombrato il campo dal timore di «un’eccessiva ingerenza sull’autonomia negoziale delle parti», in quanto «se l’attestazione di fattibilità è esaustiva, coerente, logicamente motivata e fondata (come dev’essere) su dati completi e veridici, è ben difficile che il tribunale possa pervenire aliunde ad un rilievo di inidoneità prima facie della proposta a soddisfare i crediti, nella misura e nei tempi previsti»:

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essendo fuori discussione che al giudice risulti preclusa qualsiasi valutazione circa gli aspetti di merito della proposta249, il cui apprezzamento resta demandato in via esclusiva al ceto creditorio250, deve comunque mettersi in conto che il Tribunale è abilitato a sindacare la «fattibilità in senso giuridico» della soluzione concordataria. In altri termini, può dirsi attualmente del tutto pacifico che, in punto di legittimità, «il tribunale possa sindacare qualsivoglia aspetto contra legem della proposta concordataria, in quanto tale controllo, come si legge in dottrina, «è pieno ed incondizionato, anche se non previsto espressamente da una norma, ma fondato sui principi generali

così, correttamente, VELLA, L’affinamento della giurisprudenza di legittimità dopo le Sezioni Unite sulla «causa

concreta» del concordato: ha ancora senso la distinzione tra fattibilità giuridica ed economica?, cit., 444.

249 Una certa apertura, tuttavia, rispetto al sindacato di «fattibilità economica» della proposta concordataria è rinvenibile in quella giurisprudenza della Corte di Cassazione che valorizza il concetto di «causa concreta» della procedura di concordato [individuata, secondo Cass. Civ., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, cit., «nel superamento della situazione di crisi dell’imprenditore (che comunque in tal modo così definisce la sua parentesi commerciale negativa), da una parte, e nel riconoscimento in favore dei creditori di una sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti […], dall’altra»], nell’ottica di dimostrare la manifesta inettitudine del piano di concordato a realizzare gli obiettivi delineati nella proposta [o meglio, di pervenire alla «rilevazione del dato, se emergente prima facie, da cui poter desumere l’inidoneità della proposta a soddisfare in qualche misura i diversi crediti rappresentati, nel rispetto dei termini di adempimento previsto: così ancora Cass. Civ., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, cit.]. In argomento v. DE SANTIS, Causa «in concreto» della proposta

di concordato preventivo e giudizio «permanente» di fattibilità del piano, in Fall., 2013, 3, 279 ss.,il quale sottolinea come la giurisprudenza delle Sezioni Unite abbia tracciato un percorso che presenta «le caratteristiche di un tipico sindacato “di merito”, che – per restare sul piano del diritto dei contratti – ingloba in sé una fase interpretativa ed una fase valutativa: l’interpretazione della proposta […] e la valutazione della legittimità della proposta e dell’idoneità a perseguire la sua causa in concreto». Di «dilatazione del controllo giudiziale sulla fattibilità del concordato» parla anche VELLA, L’affinamento della giurisprudenza

di legittimità dopo le Sezioni Unite sulla «causa concreta» del concordato: ha ancora senso la distinzione tra fattibilità giuridica ed economica?, cit., 440. La nozione di «causa in concreto» della soluzione concordataria è

richiamato dalla giurisprudenza in un’ottica dichiaratamente ispirata a quegli orientamenti dottrinali che, in tema di causa del contratto, hanno condotto al graduale superamento del concetto di «funzione economico-sociale» del negozio giuridico, per approdare all’idea della causa quale «funzione economico- individuale» del negozio medesimo [sul punto non può non rimandarsi a DI MAJO, voce Causa del negozio

giuridico, in Enc. giur., vol. VI, Roma, Treccani, 1988, nonché a NAVARRETTA, La causa e le prestazioni

isolate, Milano, Giuffrè, 2000].

250 È infatti affermazione costante in giurisprudenza che «la fattibilità non va confusa con la convenienza

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