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A LCUNE CONCLUSIONI L’ APPROCCIO DEL LEGISLATORE EUROPEO ALLA

C APITOLO TERZO

5. A LCUNE CONCLUSIONI L’ APPROCCIO DEL LEGISLATORE EUROPEO ALLA

RISTRUTTURAZIONE SOCIETARIA TRA BAIL-IN, BURDEN SHARING E

OBSTRUKTIONSVERBOT.

L’analisi dei possibili rimedi a tutela della posizione giuridica dei soci nell’ambito della ristrutturazione concordataria delle società in crisi merita di essere conclusa con alcune, brevi, “incursioni” in altri “ambiti” del diritto commerciale, dalle quali non sembra azzardato trarre alcune conferme della “sostenibilità” dei risultati cui si è approdati. In quest’ottica, allora, merita innanzitutto rievocare le soluzioni cui la dottrina e la giurisprudenza erano pervenute, già prima della riforma del diritto societario del 2003, in merito all’annosa e controversa questione circa l’applicabilità della disciplina della riduzione del capitale sociale per perdite anche nell’ipotesi di azzeramento ovvero di riduzione del medesimo a valori negativi275. In argomento, infatti, alla luce peraltro di un complessivo ripensamento della visione tradizionale delle situazioni giuridiche soggettive dell’azionista quali diritti soggettivi individuali, si era

274 Il virgolettato in DELLA TOMMASINA, S.r.l. con capitale simbolico e opportuni provvedimenti per la gestione dell’impresa in perdita, cit., 395, ma v. anche 396 e nt. 66, ove si legge che «l’informazione sull’effettiva

consistenza patrimoniale della società può dimostrarsi utile anche nella prospettiva dell’esercizio del diritto di opposizione all’omologazione del concordato ai sensi dell’art. 180 l. fall., che la dottrina più recente tende a riconoscere anche ai soci, specie se incisi da operazioni straordinarie di ristrutturazione finanziaria». V’è da dire inoltre, come, i medesimi fini pare altresì possibile valorizzare, ad abundantiam, la disciplina dei flussi informativi prescritti a favore dei soci a fronte dell’esclusione del diritto d’opzione in sede di aumento di capitale: sul punto v. VITALI, Profili di diritto societario delle «proposte concorrenti» nella

“nuova” disciplina del concordato preventivo, cit., 902 ss., il quale giunge persino ad ipotizzare che « ipotizzare che gli amministratori — al fine di illustrare ai soci l’operazione di aumento del capitale sociale, contenuta nel piano omologato presentato da un creditore, e il motivo dell’esclusione (o della limitazione) del diritto di opzione, possano includere nella propria relazione il contenuto del piano “concorrente” che dovrà necessariamente soffermarsi sui dettagli dell’operazione».

275 Sul tema è imprescindibile richiamare il contributo di NOBILI-SPOLIDORO, Riduzione del capitale per perdite, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo-Portale, vol. VI, Torino, UTET, 1993, 281 ss.

e in part. 381 ss. e 394 ss. per quanto riguarda la controversa questione delle maggioranze necessarie per l’approvazione della delibera di azzeramento e di ricostituzione del capitale sociale al di sopra del minimo legale. Un richiamo alla questione, ai fini che nell’economia del presente lavoro maggiormente interessano, è rinvenibile in BLANDINI-DE CICCO-LOCASCIO ALIBERTI, Socio e Società nella società per

azioni (in crisi): dal diritto di opzione al bail-in (con notazioni sulle ragioni di Mazzarò), cit., 773, ove si rimanda

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ammesso che la delibera di ricostituzione del capitale sociale ad una cifra almeno pari al minimo legale potesse essere approvata non già all’unanimità, bensì in applicazione dei quorum legali previsti in via ordinaria per la formazione della volontà assembleare secondo il principio maggioritario. In questa prospettiva, si era pertanto giunti a riconoscere all’assemblea il potere di disporre l’esclusione (e non già la sola limitazione) del diritto d’opzione dei precedenti azionisti: venendo così tuttavia ad ammettere che una delibera adottata con il consenso della sola maggioranza dei medesimi potesse disporre coattivamente dello status socii e pregiudicare in tal modo le relative possibilità di profittare degli eventuali plusvalori patrimoniali latenti e non contabilizzati di cui la partecipazione azionaria avrebbe potuto, in ipotesi, essere ancora espressiva. Orbene, il richiamo a siffatte conclusioni può consentire di affermare che, se è stato ammesso che, anche in presenza di una situazione di squilibrio patrimoniale che non integri i presupposti per l’accesso ad una procedura concorsuale, l’interesse della società può giustificare l’esclusione del diritto d’opzione dei vecchi soci e, dunque, l’imposizione a loro carico del “sacrificio massimo”, tradotto in termini di estromissione dalla medesima, a conclusioni analoghe pare allora possibile pervenire anche laddove la società sia coinvolta in una procedura di composizione negoziale della crisi: nel suo ambito, infatti, l’interesse dei creditori all’ottimale soddisfazione delle relative pretese – segnatamente per il tramite del trasferimento del controllo e della modificazione degli originari assetti proprietari – è tutelato con preferenza rispetto alle aspettative patrimoniali del socio.

Inoltre – e ampliando l’ambito dell’indagine sul piano comparatistico e contemporaneamente ad altri settori del diritto dell’impresa commerciale – non può che evidenziarsi come una soluzione che legittimi un radicale sacrificio delle pretese dominicali dei soci si ponga pienamente in linea tanto, come si è visto, con la disciplina concorsuale vigente negli ordinamenti stranieri più evoluti, quanto con i più recenti orientamenti del legislatore europeo. Al riguardo, infatti, è ineludibile richiamare, ancorché brevemente e ai soli fini che in questa sede interessano, la recente disciplina della risoluzione delle crisi bancarie276, recepita nell’ordinamento italiano con i decreti

276 La continuità tra la disciplina concordataria e la normativa europea in tema di risoluzione delle crisi bancarie è stata sottolineata, fra gli altri, da PORTALE, Dalla «pietra del vituperio» al «bail-in», in Riv. dir.

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legislativi 180 e 181 del 2015277, la quale ha introdotto, seppur all’interno del solo settore creditizio e finanziario, principi di assoluto rilievo nell’ottica di una possibile ricostruzione sistematica della posizione del socio nella ristrutturazione delle società in crisi. Ed invero, la normativa di fonte europea, nell’ottica di ridurre il ricorso a misure di sostegno finanziario erogate dallo Stato (cd. bail-out, o salvataggio esterno)278 ma allo stesso tempo di evitare la liquidazione e la fuoriuscita dal mercato di imprese strategiche nel settore creditizio, ha posto a fondamento della disciplina della risoluzione bancaria un principio di condivisione concorsuale delle perdite (cd. urden

sharing) a carico degli azionisti e dei creditori della banca in dissesto. Con la

conseguenza per cui, nell’ambito di una procedura di risoluzione oppure anche indipendentemente dalla sua formale apertura, l’Autorità di Vigilanza – in specie, la Banca d’Italia – è espressamente abilitata a disporre la copertura delle perdite mediante la diluzione ovvero l’annullamento delle partecipazioni al capitale della banca in crisi (art. 29, terzo comma, d.lgs. 180/2015): ciò peraltro senza che a tal fine sia necessario

277 La disciplina europea è contenuta nella Direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, relativa alla risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento: la cd. Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD). La normativa interna di recepimento è rappresentata dal d.lgs. 6 novembre 2015, n. 180, recante «Attuazione della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE), n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio», pubblicato in G. U. Serie Generale, n. 267 del 16 novembre 2015; nonché dal d.lgs. 16 novembre 2015, n. 181, recante «Modifiche del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 e del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, in attuazione della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE), n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio», pubblicato in G. U., Serie Generale, n. 267 del 16 novembre 2015. Tra i numerosi commenti alla disciplina interna v. INZITARI, BRRD, bail in, risoluzione della banca in dissesto,

condivisione concorsuale delle perdite (d.lgs. 180/2015), in Le proposte per una riforma della legge fallimentare. Un dibattito dedicato a Franco Bonelli, cit., 247 ss.; SANDEI, Il bail-in tra diritto dell’insolvenza e diritto dell’impresa, in Riv. dir. civ., 2017, 4, 880 ss.; CALANDRA BUONAURA, La disciplina del risanamento e della risoluzione delle

banche. Aspetti critici, in Orizzonti del diritto commerciale, 2017, 2; BLANDINI, How to overcome crisis (and oneself) without getting overcome: la fiducia e il bail-in dal punto di vista del creditore, ivi; GUIZZI, Il bail-in

nel nuovo sistema di risoluzione delle crisi bancarie. Quale lezione da Vienna?, in Corr. giur., 2015, 12, 1485 ss.;

PRESTI, Il bail-in, in Banca impresa società, 2015, 3, 339 ss.

278 Due sono infatti i principali inconvenienti insiti nei tentativi di salvataggio delle grandi banche attraverso il ricorso al bail-out: «in alcuni casi la loro dimensione economica è addirittura superiore di quella dello Stato nazionale in cui operano: e qui l’esempio facile […] è quello delle banche svizzere, che sviluppano un fatturato annuo superiore a quello del PIL della Confederazione elvetica. In secondo luogo, il carattere transfrontaliero di simili intermediari rende in qualche modo problematica la stessa identificazione dello Stato chiamato ad intervenire»: così SANTONI, La nuova disciplina della gestione della

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«ottenere il consenso da parte di qualsiasi soggetto pubblico o privato, inclusi gli azionisti o creditori dell’ente sottoposto a risoluzione» (art. 60, secondo comma, lett. a) d.lgs. 180/2015). Come si può ben comprendere, anche la disciplina del cd. bail-in (o salvataggio interno) – al pari di quella delle proposte concorrenti – si spinge sino a legittimare un radicale sacrificio dei diritti dei titolari di partecipazioni al capitale dell’impresa bancaria, per il tramite dell’intervento di matrice pubblicistica cui è affidata la tutela della stabilità complessiva del mercato finanziario e creditizio279. Ciò che tuttavia è interessante sottolineare è che, nella disciplina bancaria, la posizione giuridica degli azionisti e dei creditori è apertamente presidiata da un rimedio di carattere indennitario, la cui applicazione è subordinata al principio del no creditor worse off (NCWO). Ed invero, l’art. 88 del d.lgs. 180/2015 impone all’Autorità di Vigilanza, all’esito di una procedura di risoluzione, di determinare l’eventuale differenza tra il trattamento in concreto ricevuto dagli azionisti e dai creditori e quello che viceversa questi ultimi «avrebbero ricevuto se, nel momento in cui è stata accertata la sussistenza dei presupposti per l’avvio della risoluzione, l’ente sottoposto a risoluzione fosse stato liquidato secondo la liquidazione coatta amministrativa». Con la conseguenza per cui, ai sensi della disposizione successiva, il socio, al pari di ogni altro stakeholder che risulti pregiudicato all’esito della procedura di risoluzione, «ha diritto a ricevere, a titolo di indennizzo, esclusivamente una somma equivalente alla differenza determinata ai sensi dell’art. 88». Senonché, pur dovendosi considerare che tra tale rimedio e l’opposizione all’omologazione esperibile in sede endoconcorsuale sussistono alcune rilevanti differenze (prima fra tutte, la diversa modulazione dei relativi effetti derivanti dal loro

279È stato sottolineato in dottrina che «in caso di crisi bancaria, non vi è spazio per una generica tutela del risparmio o dei risparmiatori; questi ultimi possono essere legittimamente coinvolti nelle conseguenze del dissesto della banca a cui hanno deciso di affidare i propri fondi. La prevalenza degli interessi pubblici su quelli dei privati è dichiarata»: così SANTONI, La nuova disciplina della gestione della crisi

bancarie: da strumento di contrasto a generatore di sfiducia sistemica?, in Banca borsa tit. cred., 2016, 5, 619 ss. Non

sorprende inoltre come anche con riguardo alla disciplina del bail-in bancario siano state sollevate censure di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 42 Cost., del tutto analoghe a quelle relative alla disciplina delle proposte concorrenti di concordato preventivo. Ed invero, sottolinea l’esistenza di «un vero e proprio esproprio senza indennizzo e non motivato da un interesse generale, ma al dichiarato fine di soccorrere soggetti privati», da cui «il contrasto con l’art. 42 Cost.», a maggior ragione se «interpretato alla luce dell’art. 1 del Primo Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo», ROSSI P., Banking resolution e tutela del risparmio, tra bail-out e bail-in, in Amministrazione in

cammino. Rivista elettronica di diritto pubblico, di diritto dell’economia e di scienza dell’amministrazione a cura del Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche «Vittorio Bachelet», 14 settembre 2017, in part. 29 ss. Per la soluzione

opposta v. STANGHELLINI – ZORZI, Perché il bail-in è costituzionale, in www.lavoce.info, nonché STANGHELLINI, La gestione delle crisi bancarie. La tradizione italiana e le nuove regole europee, in Ricerche giuridiche, 2015, 4, 2, Pubblicazioni dell’Università Ca’ Foscari, Venezia.

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accoglimento, meramente obbligatori e ripristinatori nel primo caso, radicalmente demolitori nel secondo) ciò nondimeno è palese come in entrambi i contesti la posizione del socio risulti tutelata alla condizione (e nei limiti) della possibile sussistenza di una pretesa di carattere patrimoniale suscettibile di venir pregiudicata per effetto della soluzione procedimentalizzata della crisi280.

Infine, l’ultima e decisiva conferma della coerenza sul piano sistematico, ma altresì dell’ineludibilità in prospettiva de iure condendo di una soluzione quale quella delineata nel corso del presente lavoro viene dalla già menzionata Proposta di Direttiva della Commissione Europea in tema di procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti. In tale contesto, infatti, il legislatore europeo mostra innanzitutto piena consapevolezza circa la natura necessariamente globale di una procedura concorsuale che possa dirsi finalizzata in maniera precipua al risanamento dell’impresa in crisi, ragion per cui sceglie, innanzitutto a livello nominalistico, di includere tra i possibili interventi di ristrutturazione qualsiasi operazione che sia preordinata alla «modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale», ivi compreso «il capitale azionario» (art. 2, n. 2 della Proposta). Con la conseguenza per cui, ancora a livello definitorio, risultano inclusi tra le cd. «parti interessate» dalla procedura non già soltanto «i creditori o le classi di creditori», bensì anche «i detentori di strumenti di capitale sui cui […] interessi incide il piano di ristrutturazione» (art. 2, n. 3 della Proposta). Ma v’è di più, dal momento che, in punto di disciplina, la Proposta presta la massima attenzione alla posizione nell’ambito della ristrutturazione societaria dei detentori di strumenti di capitale, e ciò sulla scorta della consapevolezza per cui questi ultimi non possono, con un loro eventuale voto contrario, «impedire irragionevolmente l’adozione o l’attuazione di un piano di ristrutturazione che ripristinerebbe la sostenibilità economica dell’impresa» (art. 12, primo comma della Proposta). A tal fine, pertanto, il legislatore europeo, in aperta continuità con la soluzione adottata

280 Pur non potendosi dubitare della coerenza sistematica della soluzione adottata dal legislatore comunitario, non può tuttavia sottacersi come le norme sul bail-in siano quelle «di maggior impatto sulla stabilità sistemica», in quanto «rischiano di generare una profonda ed ingiustificata diffidenza nei confronti delle banche e del sistema bancario, quando adottate come strumenti per affrontare la fisiologica rimozione dal mercato delle banche inefficienti, che per dimensione non minacci l’intero sistema»: così SANTONI, La nuova disciplina della gestione della crisi bancarie: da strumento di contrasto a generatore

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nell’ordinamento tedesco, si spinge sino a raccomandare agli Stati membri l’adozione di soluzioni che prevedano il raggruppamento degli azionisti e degli altri detentori di strumenti di partecipazione al capitale in una o più classi, con attribuzione alle medesime del «diritto di voto in merito all’adozione del piano»: anche se ciò pur sempre con la possibilità che il loro eventuale dissenso venga superato giudizialmente attraverso un «meccanismo di ristrutturazione trasversale dei debiti» (o cross-class cram-

down, ai sensi degli artt. 11 e 12 della Proposta) il quale – al pari dell’Obstruktionsverbot

di matrice germanica o del cram-down di diritto anglosassone – dovrebbe basarsi proprio sull’accertamento che le modalità di distribuzione pattuite «rispetta[no] la regola della priorità assoluta» (Absolute Priority Rule), vale a dire l’ordine legale di graduazione dei crediti e delle pretese latu sensu finanziarie sul patrimonio del debitore.

In definitiva, ciò che emerge con chiarezza già da una prima lettura dell’articolato provvisorio della Proposta è che anche il legislatore europeo mostra piena consapevolezza delle problematiche e degli inconvenienti derivanti, in contesti di crisi, dalla permanenza in capo ai soci degli ordinari poteri deliberativi in ordine alle condizioni della ristrutturazione patrimoniale e finanziaria delle società. Per tale ragione, anche la Proposta di Direttiva raccomanda l’introduzione di soluzioni normative che – pur salvaguardando i diritti di voice della compagine sociale nella predisposizione di un piano di ristrutturazione che può impattare anche i propri interessi – ciò nondimeno garantiscano la possibilità di superare un loro eventuale dissenso illegittimo. Peraltro, e in linea con quanto sostenuto nel presente lavoro, tale deve ritenersi un voto contrario che sia motivato da ragioni diverse rispetto alla pretesa di salvaguardare aspettative attuali e concrete sui valori patrimoniali residui della società in crisi: ciò segnatamente laddove tale aspettativa sia passibile viceversa di venir pregiudicata all’esito dell’esecuzione di operazioni di risanamento traslativo: interventi che, peraltro, il legislatore europeo ha in altri contesti dimostrato di incentivare apertamente, come può agevolmente desumersi dalla prevista esenzione dall’obbligo di lanciare un’offerta pubblica di acquisto che si configura nel caso in cui il trasferimento del controllo sia diretto al «salvataggio di società in crisi»281. Senonché,

281 Tale esenzione è codificata nell’ordinamento italiano con l’art. 106, quinto comma, lett. a), TUF e con l’art. 49, primo comma, lett. b) Regolamento Emittenti. Sul punto v., in termini generali, MUCCIARELLI, Le offerte pubbliche di acquisto e di scambio, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Buonocore, vol. XI, Torino, Giappichelli, 2014, in part. 160 ss.; LENER, voce OPA (Offerta pubblica di

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ne risulta ampiamente confermata l’idea per cui, rispetto alle finalità di respiro meta- individuale e ordinamentale legate alla composizione della crisi d’impresa, la configurazione a favore dei soci di posizioni qualificate di interlocuzione e di reazione rispetto alle soluzioni procedimentalizzate in tanto può trovare fondamento e giustificazione in quanto la struttura finanziaria della società in crisi restituisca un rapporto «tra partecipazione al rischio e potere deliberativo»282 che deponga a favore della permanenza in capo ai medesimi di concrete aspettative patrimoniali e, di conseguenza, del mantenimento dei poteri necessari e sufficienti a consentirne una corretta allocazione tra tutti i soggetti interessati.

acquisto), in Dig. Disc. Priv., Sezione commerciale, Aggiornamento, Torino, UTET Giuridica, 2000, 520 ss. e

in part. 530-531; nonché, più da vicino, GUIZZI, Riorganizzazione della società in crisi, trasferimento del controllo

e disciplina del mercato societario, in Riv. dir. comm., 2012, 2, 263 ss. Riflette sul tema dell’esenzione

dall’obbligo di opa dopo l’introduzione dell’istituto delle proposte concorrenti RANIELI, Proposte di

concordato preventivo concorrenti, trasferimento del controllo ed esenzione dall’obbligo di opa per salvataggio «ostile», in Riv. dir. bancario, 2017, 3, 1 ss.

282 Il virgolettato in MEO, I soci e il risanamento. Riflessioni a margine dello Schema di legge-delega proposto dalla Commissione di riforma, cit., 296.

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C

ONCLUSIONI

Sintesi dei risultati dell’indagine e osservazioni complessive

Volendo tracciare alcune conclusioni che riassumano i risultati dell’indagine condotta nel presente contributo, può dirsi innanzitutto che un’analisi complessiva delle riforme che, a partire del 2005, hanno interessato l’istituto concordatario ha restituito un quadro normativo i cui tratti salienti possono essere individuati in almeno due, principali, linee di tendenza. Per un verso, infatti, già con la riforma del 2005 sono stati potenziati gli strumenti tecnici e le soluzioni operative cui è possibile far ricorso in sede di predisposizione del piano di concordato al fine di assicurare la soddisfazione dei crediti vantati verso l’impresa in crisi; soluzioni, pertanto, che attualmente possono comportare non soltanto la ristrutturazione dei debiti attraverso una loro falcidia o dilazione, bensì anche la riorganizzazione del capitale proprio, mediante la conversione dei crediti in partecipazioni sociali ovvero altre forme di attribuzione ai creditori di azioni, quote ovvero strumenti finanziari partecipativi. Per altro verso, gli ultimi interventi legislativi hanno attribuito altresì a soggetti terzi rispetto all’impresa in concordato la legittimazione a presentare una proposta di concordato preventivo concorrente, la quale, nell’ottica di una auspicabile riallocazione sul mercato di complessi produttivi ancora viables, può prevedere finanche operazioni sul capitale delle società in concordato preordinate alla sostituzione degli originari assetti proprietari e di governo; operazioni che, peraltro, possono trovare attuazione anche forzando gli ordinari procedimenti deliberativi endosocietari, attraverso l’attivazione di un rimedio giudiziale di carattere surrogatorio, quale quello predisposto dall’art. 185 l. fall., il quale è preordinato proprio a superare eventuali condotte ostruzionistiche poste in essere dagli

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