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I L PROBLEMA L’ ART 152 L FALL NEL QUADRO DEI POSSIBILI CONFLITT

INTERORGANICI SOTTESI ALLA PRESENTAZIONE DI UNA PROPOSTA DI

CONCORDATO PREVENTIVO.

Si è detto come l’incidenza della procedura sulla struttura organizzativa delle società in concordato si è resa necessaria al fine di ricomporre in via giudiziale il conflitto intersoggettivo tra le ragioni del creditore proponente e l’interesse dei soci alla conservazione del proprio status anche a fronte di una possibile “traslazione espropriativa” dei propri diritti partecipativi144. L’osservazione di tale dialettica, estrema ed esterna rispetto alla compagine sociale, non si presta tuttavia ad esaurire tutti i possibili scenari di conflitto di interessi che possono celarsi dietro un intervento di ristrutturazione patrimoniale, finanziaria e organizzativa delle società in concordato. È stato infatti correttamente sottolineato al riguardo che, «quando la proposta di concordato presenta i caratteri di un vero e proprio piano di riorganizzazione della società in crisi o insolvente, gli interessi in gioco diventano molteplici (della società, dei soci, dei finanziatori, dei creditori, dei terzi interessati) e le forme della loro conciliazione si fanno assai complesse»145. Orbene, se ipotesi di conflitto risultano percepibili ictu oculi nel caso della presentazione di una proposta concorrente lato sensu “espropriativa”, considerazioni analoghe valgono, a ben vedere, anche qualora la proposta di concordato a contenuto “riorganizzativo” non provenga da un soggetto terzo, bensì dalla stessa società in concordato.

Per comprendere appieno tale eventualità, occorre prendere le mosse dalla lettura dell’art. 152 l. fall., nel testo risultante all’esito della riforma di cui al d.lgs. 5 del 2006. La norma, come noto, è collocata tra le poche disposizioni che la legge fallimentare dedica al regime applicabile alle società sottoposte a fallimento ed è preordinata ad adattare al contesto deliberativo societario le regole in punto di legittimazione attiva alla presentazione della proposta di concordato fallimentare, distribuendo i relativi poteri decisionali e di rappresentanza all’interno dell’organizzazione sociale. La citata previsione sancisce al riguardo che, nelle società di capitali, salva diversa disposizione

144 L’espressione è tratta da BENAZZO, Crisi d’impresa, soluzioni concordate e capitale sociale, cit., 246. 145 Così GUERRERA, Soluzioni concordatarie delle crisi e riorganizzazioni societarie, cit., 577.

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dell’atto costitutivo o dello statuto, la proposta e le condizioni del concordato, oltre a venir sottoscritte da coloro che hanno la rappresentanza sociale146, devono essere deliberate dall’organo gestorio147. La norma è peraltro richiamata anche dall’art. 161 l. fall., per cui il medesimo schema deliberativo risulta applicabile, per ciò che in questa sede più interessa, anche alla presentazione della domanda di concordato preventivo da parte delle società di capitali148.

146 La presentazione della domanda e della proposta di concordato da parte dell’organo cui legalmente o statutariamente spetta la rappresentanza sociale non vale di per sé a garantire che queste ultime possano dirsi ritualmente formulate, se non nel caso in cui rappresentanza sociale e potere di decisione coincidano e si appuntino in capo ad un unico soggetto o organo (come nel caso dell’amministratore unico o con poteri disgiuntivi). Viceversa, negli altri casi sarà necessaria la «previa conforme decisione o deliberazione da parte dell’organo competente, che integra l’atto gestorio sottostante alla spendita del nome della società»: così GUERRERA, Art. 152. Proposta di concordato, in Il nuovo diritto fallimentare, cit., 2202 ss. e in part. 2207. La possibile dissociazione tra potere di gestione e potere di rappresentanza apre scenari problematici nel caso in cui la presentazione della domanda di concordato non sia al contrario supportata dalla preventiva deliberazione o decisione dell’organo competente. Al riguardo, è possibile recuperare le conclusioni cui era giunta, durante la vigenza della disciplina ante riforma, una giurisprudenza prevalente, ancorché non unanime, la quale riteneva che la delibera di approvazione della domanda potesse intervenire anche successivamente, con effetto di ratifica ex tunc o, meglio, di integrazione del potere rappresentativo dell’organo; si riteneva cionondimeno necessario che la delibera intervenisse in un momento precedente all’ammissione della società alla procedura di concordato [v. sul punto le due decisioni rese dal Tribunale di Roma in relazione al «caso» Federconsorzi: Trib. Roma, 22 luglio 1991, in Fall., 1991, 1289, con nota di PANZANI, Alcune questioni in tema di ammissione al concordato

preventivo, e Trib. Roma, 5 ottobre 1992, in Fall., 1992, 1, 2867 ss., con nota di PANZANI, Quando le

dimensioni «fanno» giurisprudenza. V. pure, per la medesima soluzione, Trib. Ivrea, 21 febbraio 1995, in Fall., 1995, 969 ss.; Trib. Roma, 26 marzo 1998, in Le società, 1998, 10, 1192 ss., con nota di TASSI,

Omologazione della ratifica assembleare della proposta di concordato preventivo; contra, tuttavia, Trib. Ivrea, 10

gennaio 1994, in Giur. it., 1994, 1, 2, secondo il quale, in mancanza della preventiva delibera o decisione, la domanda della società avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, difettando un presupposto indispensabile per l’esame della stessa nel merito. Per tale soluzione restrittiva, v. pure, in dottrina, PACCHI, I concordati delle società, cit., 1527, secondo la quale «l’approvazione dell’iniziativa concorsuale da parte dell’organo competente è condizione di procedibilità per il tribunale fallimentare, che altrimenti non potrebbe pronunciarsi mancando uno dei requisiti formali del ricorso»]. La soluzione permissiva si lascia indubbiamente preferire, per ragioni di ordine sistematico (il raffronto con le regole generali in tema di rappresentanza di cui agli artt. 1398 e 1399 c.c.) e di ordine pratico. Sul punto v. GUERRERA,

Art. 152. Proposta di concordato, cit., 2207-2208, nonché PANZANI, Quando le dimensioni «fanno» giurisprudenza, in Fall., 1993, 4, 405 ss.

147 L’art. 152 adotta una diversa soluzione per le società di persone, nelle quali la proposta di concordato fallimentare (e preventivo) continua a dover essere deliberata dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale. Nelle società di capitali, invece, la proposta è deliberata dall’organo gestorio, la cui decisione o deliberazione, ai sensi del terzo comma dell’art. 152, deve in ogni caso risultare da verbale redatto da notaio e deve essere depositata e iscritta nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 2436 c.c. 148 La dottrina si è interrogata in merito alla possibile applicazione della norma anche al ricorso per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall., giungendo ad una conclusione affermativa in forza «dell’indubbia identità di ratio delle due soluzioni negoziate», la quale «depone nel senso dell’applicabilità in via analogica» in quanto in entrambe le situazioni (concordato fallimentare e preventivo) ricorre «lo stesso tipo di interesse a disciplinare sul piano societario il potere decisionale e rappresentativo inerente la proposta da sottoporre ai creditori» (corsivo nel testo): così GUERRERA, sub Art. 152. Proposta di concordato, cit., 2205-2206. Dello stesso avviso è CALANDRA BUONAURA, La gestione societaria dell’impresa in crisi, cit., 2597, secondo il quale la regola di competenza di cui all’art. 152 l. fall. «pare doversi estendere, a maggior ragione, all’approvazione degli accordi di

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Il predicato regime è frutto di una radicale revisione della disciplina previgente per effetto della riforma del 2006, la quale ha modificato in maniera sostanziale l’assetto previgente che viceversa voleva la proposta e le condizioni del concordato fallimentare e preventivo «approvate dall’assemblea straordinaria, salvo che tali poteri siano stati delegati agli amministratori». Ed invero, la nuova formulazione dell’art. 152 l. fall. inverte il rapporto tra regola ed eccezione, con una scelta che, come una attenta dottrina non ha mancato di sottolineare, «integra una innovazione normativa di notevole impatto, che altera l’assetto tradizionale dei poteri» in materia149. Le ragioni di un siffatto mutamento di paradigma non sono, per vero, difficili da individuare. Il legislatore del 2006 ha infatti inteso porre alla base dell’accesso ad una procedura di composizione negoziale della crisi d’impresa «decisioni societarie immediate e fluide», che rispondano a schemi «che privilegino efficienza e competenza gestionale»150. In quest’ottica si è scelto dunque di mantenere ferma la competenza assembleare con riguardo alle sole società di persone: scelta che peraltro si dimostra ampiamente condivisibile, sol che si consideri l’incidenza diretta della decisione circa l’accesso alla procedura di concordato sulla posizione giuridico-patrimoniale dei soci illimitatamente responsabili. Per contro, nelle società di capitali, la competenza è stata attribuita di

default all’organo gestorio, con possibilità di deroga a favore dell’assemblea attraverso

un’opportuna previsione statutaria151.

Se le finalità che hanno ispirato la riforma risultano immediatamente percepibili, più complesso risulta invece inquadrare la collocazione sistematica della regola di competenza delineata dall’art. 152 l. fall. e, in particolare, il suo rapporto con i criteri di riparto di competenza ivi delineato. Al riguardo, parte della dottrina ha ritenuto di poter far discendere la competenza dell’organo gestorio in subjecta materia dall’applicazione diretta dell’art. 2380-bis c.c., che nella società per azioni, come noto,

ristrutturazione e dei piani attestati ex art. 67, terzo comma, lett. d), nonché alla stessa istanza di fallimento in senso proprio».

149 Il virgolettato in GUERRERA, Art. 152. Proposta di concordato, cit., 2210.

150 Così PACCHI, I concordati delle società, cit., 1525. Fa riferimento ad un’esigenza di «snellimento e accelerazione del processo decisionale in materia», citando a sostegno anche la relazione introduttiva al d.lgs. 5 del 2006, GUERRERA, Art. 152. Proposta di concordato, cit., 2211.

151 Al punto che la dottrina ha definito il «deciso spostamento del baricentro decisionale delle s.p.a. verso l’organo amministrativo» come il «definitivo passaggio ad un regime di “managerialismo tecnocratico”»: cosìPOLI, Il ruolo del collegio sindacale nelle crisi d’impresa tra regole deontologiche, norme di sistema

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attribuisce la gestione dell’impresa sociale in via esclusiva agli amministratori152. È stato al riguardo sottolineato come, nel momento in cui la proposta di concordato fallimentare e preventivo si è colorata di potenzialità riorganizzative e conservative dell’unità dell’azienda, la domanda finalizzata all’accesso alla procedura concordataria abbia finito per assumere i tratti di un vero e proprio “momento gestionale”, che in quanto tale non può che essere riposto nelle mani di chi alla gestione dell’impresa sociale è preposto153.

Orbene, la tesi della quale si discute non pare del tutto condivisibile, e per una serie variegata di ragioni. Innanzitutto, già ad una prima e immediata lettura dell’art. 2380-

bis c.c. può desumersi come la competenza gestoria attribuita in via esclusiva agli

amministratori comprenda il compimento di quelle operazioni che si appalesano di volta in volta «necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale»: una formulazione, dunque, che ben difficilmente si presta a ricomprendere alcuni degli esiti cui pure la presentazione di una proposta di concordato può condurre, tra cui innanzitutto la liquidazione integrale del patrimonio sociale e la cessione dell’intera azienda, per i quali tra l’altro vale, in sede di liquidazione ordinaria, l’opposto principio del necessario intervento assembleare154. In secondo luogo, occorre pure considerare come, mentre l’art. 152 l. fall. trova applicazione per tutti i tipi societari capitalistici, l’art. 2380-bis c.c. sia al contrario norma immanente alla sola società per azioni, non trovando viceversa

152 Si esprimono in tal senso PACCHI, I concordati delle società, cit., 1525-1526, e GUERRERA, Art. 152. Proposta di concordato, cit., 2210-2211.

153 Si è fatto peraltro discendere da tale conclusione che un’eventuale clausola statutaria che deroghi alla disciplina legale, riservando la competenza all’assemblea straordinaria dei soci, non potrebbe spingersi sino a demandare all’assemblea medesima la decisione finale circa la presentazione della domanda di concordato. Una clausola di tale tenore infatti sarebbe certamente illegittima per violazione della norma, imperativa e inderogabile, che nella società per azioni attribuisce la gestione in via esclusiva agli amministratori. In quest’ottica, dunque, i soci potrebbero al limite riservarsi in via statutaria il diverso e più limitato potere di autorizzare gli amministratori a presentare la proposta, in applicazione della regola generale di cui all’art. 2364, primo comma, n. 5, c.c. Per tali considerazioni v. PACCHI, I concordati delle

società, cit., 1526. La tesi di cui si discute non appare per vero condivisibile, perché non condivisibile è,

come si dimostrerà nel testo, il presupposto dal quale essa muove, ovvero la riconducibilità della regola di competenza ex art. 152 l. fall. all’art. 2380-bis c.c.

154 L’art. 2487, primo comma, lett. c), c.c. prevede infatti che, in caso di liquidazione delle società di capitali, gli amministratori, contestualmente all’accertamento della causa di scioglimento, debbono convocare l’assemblea dei soci perché deliberi, tra l’altro, sui «criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione; i poteri dei liquidatori, con particolare riguardo alla cessione dell’azienda sociale, di rami di essa, ovvero anche di singoli beni o diritti, o blocchi di essi; gli atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del migliore realizzo». Per tali considerazioni v. CALANDRA BUONAURA, La gestione societaria dell’impresa in

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applicazione nella società a responsabilità limitata, per la quale vale, come noto, un criterio di riparto di competenze tra assemblea e organo gestorio profondamente diverso155. Infine, e in maniera ancor più tranchante, si deve sottolineare come, anche a voler ammettere, per la sola società per azioni, la riconducibilità della regola di competenza ex art. 152 l. fall. al principio di esclusiva spettanza della funzione gestoria in capo agli amministratori, risulterebbe quanto meno incoerente la previsione di una possibile deroga statutaria alla regola medesima, con conseguente attribuzione della competenza ai soci156.

Alla luce delle considerazioni sinora svolte, se dunque può escludersi una lettura dell’art. 152 l. fall. in termini di mera trasposizione nel contesto della crisi d’impresa delle regole ordinarie in punto di riparto di competenze tra assemblea e amministratori, non deve ciò nondimeno trascurarsi il significato precipuo della scelta operata dal legislatore. Ebbene, l’investitura dell’organo gestorio nel potere di optare per una soluzione negoziale della crisi, se da un lato – proprio perché statutariamente derogabile – compendia la consapevolezza del legislatore circa la rilevanza e la natura non esclusivamente gestionali dell’accesso ad una procedura concorsuale, dall’altro lato pare suscettibile di assumere una precisa valenza sistematica. Per comprenderne la portata, occorre considerare che, secondo l’opinione maggioritaria in dottrina, in contesti di crisi d’impresa i principi e le regole che indirizzano l’operato (e presiedono alla valutazione della responsabilità) dell’organo gestorio devono adattarsi in funzione della diversa graduazione degli interessi coinvolti, e, segnatamente, della prevalenza accordata in ottica ordinamentale alla protezione delle ragioni creditorie. In quest’ottica, la scelta legislativa di far rientrare «nel cono d’ombra dei doveri di corretta

155 V. ancora CALANDRA BUONAURA, La gestione societaria dell’impresa in crisi, cit., 2603.

156 Sul punto v.PRESTI, Concordato preventivo e nuovi modelli di regolazione della crisi, cit., 5, nonché POLI, Il ruolo del collegio sindacale nelle crisi d’impresa tra regole deontologiche, norme di sistema e prospettive de iure condendo,

cit., 1329-1330, a detta del quale «il carattere dichiaratamente dispositivo delle regole di governance degli artt. 152 e 161 l. fall. – in contrasto con la diversa natura del principio generale ricavabile dall’art. 2380-

bis – attesta, la consapevolezza del legislatore sulla rilevanza e sulla natura non esclusivamente gestoria

dell’accesso ad una procedura concorsuale, per il quale l’opzione managerialista è attenuata o, comunque, statutariamente reversibile». Di tenore analogo sono le considerazioni di SCIUTO,

«Adempimento» del concordato e programma societario, cit., 1335, a detta del quale l’idea che l’accesso ad una

procedura di concordato costituisca una «scelta di carattere intrinsecamente gestorio» è quanto meno opinabile non soltanto alla luce del «carattere tutto “storico”, e non certo logicamente necessitato, della scelta operata dal legislatore con l’art. 152, secondo comma, l. fall.», ma anche, e in maniera decisiva, alla luce del fatto che «è lo stesso legislatore che — nell’ammettere una diversa disposizione statutaria, e comunque prevedendo un’opposta regola nelle società di persone — imprime a quella motivazione una valenza che non può che apprezzarsi come del tutto relativa».

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gestione che presiedono ai comportamenti dell’organo amministrativo»157 anche la decisione circa l’accesso ad una procedura di composizione negoziale della crisi vale ad investire gli amministratori di precisi doveri di protezione nei confronti degli interessi del ceto creditorio, e ad indirizzare dunque la gestione sociale non già, come avviene nelle fasi fisiologiche della vita della società, esclusivamente verso il perseguimento dell’interesse sociale alla massimizzazione del valore della partecipazione e del risultato positivo dell’investimento, bensì verso soluzioni che consentano di contemperare un siffatto interesse con quello dei creditori (e del sistema in generale) ad evitare l’aggravamento del dissesto158.

In quest’ottica, dunque, pare potersi dire che, in contesti di crisi d’impresa (e in particolar modo nella fase anteriore alla sua compiuta manifestazione), l’operato degli amministratori sia stato esplicitamente indirizzato verso l’accesso ad una procedura concorsuale, in funzione della tutela delle ragioni creditorie. Una simile opzione pare allora sottendere conseguenze di non poco momento. Ed invero, se si considera che, dal punto di vista dell’organo gestorio, una scelta in direzione “concorsuale” sarà necessitata anche a prescindere da un’effettiva “condivisione di intenti” con la compagine sociale e il gruppo azionario di controllo, è agevole allora intuire come all’atto della presentazione, e della successiva esecuzione, di una proposta di concordato preventivo, l’organizzazione sociale possa dare luogo all’insorgere di un conflitto di interessi non dissimile da quello che scaturisce dall’innesto all’interno della procedura di una proposta concorrente di fonte eteronoma159. In entrambe le circostanze, infatti, la soluzione negoziale della crisi risulta preordinata alla tutela di interessi, quelli del ceto creditorio, che verosimilmente non coincidono con quelli

157 Il virgolettato in MEO, I soci e il risanamento. Riflessioni a margine dello Schema di legge-delega proposto dalla Commissione di riforma, in Giur. comm., 2016, 1, 286 ss.

158 Il tema dell’incidenza della crisi d’impresa sui principi che regolano l’agire e la responsabilità dell’organo gestorio è stato ampiamente indagato in dottrina. In questa sede ci si può limitare a rinviare a MAZZONI, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della prospettiva di continuità aziendale, in AA. VV., Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Torino, Giappichelli, 2010, 813 ss.; VICARI, I doveri degli organi sociali e dei revisori in situazioni di crisi d’impresa, in

Giur. comm., 2013, 1, 128 ss.; SACCHI, La responsabilità gestionale nella crisi dell’impresa societaria, in Giur. comm., 2014, 2, 304 ss.; ZOPPINI, Emersione della crisi e doveri degli amministratori, in Impresa e mercato. Studi dedicati a

Mario Libertini, vol. III, cit., 1167 ss.; BACCETTI, La gestione della società di capitali in crisi tra perdita della

continuità aziendale ed eccessivo indebitamento, in Riv. soc., 2016, 4, 568 ss.; DE SENSI, Adeguati assetti organizzativi

e continuità aziendale: profili di responsabilità gestoria, in Riv. soc., 2017, 2-3, 311 ss.

159 Un conflitto, allora, non già intersoggettivo, bensì «interorganico» [secondo la definizione di CARIELLO, I conflitti «interoganici» e «intraorganici” nelle società per azioni (prime considerazioni), in Il nuovo diritto

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immanenti la compagine sociale, e segnatamente con l’aspettativa alla conservazione di una partecipazione stabile e non diluita all’interno della struttura finanziaria della società in concordato. Ma v’è di più, atteso che un conflitto ancor più palese può palesarsi proprio nel momento in cui la proposta di concordato presentata dagli amministratori preveda, sul modello dell’art. 163, quinto comma, l. fall., operazioni straordinarie di ristrutturazione patrimoniale e finanziaria della società in crisi. In tali circostanze, infatti, viene a prodursi una analoga dissociazione soggettiva tra centri decisionali, e più precisamente tra il soggetto promotore, abilitato a programmare l’esecuzione di determinati interventi di ristrutturazione, e l’organo investito della competenza a darvi attuazione secondo le norme di diritto societario. Se infatti ciò è evidente nel caso della proposta concorrente, nella quale il conflitto è esterno alla struttura corporativa della società in concordato, una situazione analoga ricorre anche nell’ipotesi di proposta di concordato presentata dall’organo gestorio, in quanto – fatto salvo il caso della delega agli amministratori per il compimento delle operazioni sul capitale sociale – i due passaggi risultano all’evidenza dipendenti dall’intervento di due distinti organi sociali. Ciò, in definitiva, rende ancora una volta ineludibile individuare possibili criteri di composizione del conflitto di interessi e di competenze che siano rispettosi delle posizioni di tutti i soggetti coinvolti e dei rispettivi interessi.

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