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Caratterizzazione chimico-fisica dell’interfase tra polimeri semiconduttori ed elettroliti salini per applicazioni energetiche e in campo biologico

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Academic year: 2021

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POLITECNICO DI MILANO

Facoltà di Ingegneria dei Sistemi

Corso di Laurea in Ingegneria Fisica

Caratterizzazione chimico-fisica

dell’interfase tra polimeri semiconduttori

ed elettroliti salini per applicazioni

energetiche e in campo biologico.

Relatore: Chiar.mo Prof. Guglielmo LANZANI

Correlatore: Dott.ssa Maria Rosa ANTOGNAZZA

Tesi di laurea magistrale di:

Sebastiano BELLANI

Matricola 701116

Anno Accademico 2010 – 2011

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Sommario

Il mio lavoro di tesi ha riguardato la realizzazione e la caratterizzazione chimico-fisica, spettroscopica ed elettrica di un fotorivelatore ibrido, in fase solido/liquida, caratterizzato dalla interfaccia tra un polimero semiconduttore coniugato e una soluzione elettrolitica salina.

Il dispositivo è racchiuso tra un contatto anodico di ossido di indio e stagno (ITO) ed un controelettrodo metallico di platino. Il materiale attivo è costituito da una eterogiunzione tra un materiale polimerico elettron-donore a base di tiofene (rr-P3HT) ed un materiale elettron-accettore (un derivato solubile del fullerene); il blend adottato costituisce ad oggi uno dei materiali più largamente studiati per la realizzazione di celle solari polimeriche convenzionali. Tale sistema consiste quindi in una cella elettrochimica con l’elettrodo di lavoro di ITO sensitivizzato da un materiale fotoattivo.

Mentre la fase solida del dispositivo (ITO/polimero) è del tutto convenzionale, ampiamente diffusa e ben caratterizzata, l’interfase polimero/elettrolita rappresenta un forte elemento di novità, finora solo parzialmente esplorato, che influisce fortemente sulle proprietà della cella elettrochimica, modificando in maniera sostanziale i processi chimico/fisico/elettrici in gioco. Un ulteriore elemento di novità del sistema è la contemporanea presenza di due meccanismi di conduzione della carica, sia di tipo elettronico (nella parte solida, caratteristico di qualsiasi dispositivo optolettronico), sia di tipo ionico (nella parte liquida, e tipico dei sistemi biologici): l’interfaccia solido/liquido si configura quindi come il confine tra i due regimi.

La caratterizzazione del dispositivo realizzato è interessante anche dal punto di vista delle sue possibili applicazioni, precedentamente dimostrate all’interno del gruppo di ricerca, sia in campo biologico, come fotorecettore artificiale, sia nel campo delle celle a combustibile, grazie a interessanti fenomeni di produzione di idrogeno alla superficie del polimero stesso.

Per la caratterizzazione ottica dei dispositivi realizzati sono state utilizzate le seguenti tecniche sperimentali: spettroscopia di assorbimento, spettroscopia di fotocorrente, spettroscopia di assorbimento fotoindotto (CW-PA), spettroscopia a modulazione di carica (CMS) ed elettroassorbimento (EA).

Per descrivere i processi elettrochimici di ossido-riduzione aventi luogo all’interfaccia polimero/soluzione elettrolitica sono state eseguite misure di pH della soluzione elettrolitica durante il funzionamento del sistema in regime fotovoltaico.

Lo studio è stato completato da misure di impedenza elettrochimica in diversi regimi di lavoro (frequenze dell’eccitazione elettrica e tensioni di lavoro), che hanno consentito di caratterizzare e quantificare i fenomeni di trasferimento elettronico e di formazione di un doppio strato di carica all’interfaccia solido/liquido, oltre a fornire utili indicazioni sui processi di degradazione ossidativa del sistema.

L’insieme delle informazioni raccolte ha consentito di delineare un quadro accurato dei fenomeni chimico-fisici che hanno luogo nel dispositivo ibrido realizzato, e di porre quindi le basi per l’ottimizzazione e l’ingegnerizzazione del sistema, a seconda dell’applicazione di interesse, sia in campo biologico, per la fotostimolazione di cellule neurali, sia in campo energetico, per la generazione di idrogeno.

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Summary

My thesis work concerns the construction and the chemical-physical, spectroscopic and electrical characterization of a hybrid photodetector, in solid/liquid phase, characterized by the interface between a conjugated polymer semiconductor and an electolyte solution of ionic salt.

The device is enclosed in an anodic contact of indium tin oxide (ITO) and a counter metallic electrode of platinum.

The active material consists of a heterojunction between a thiophene based electron donor type polymeric material (rr-P3HT) and electron accepting type material (a soluble fullerene derivative). The adopted blend is now one of the most widely studied materials for the construction of conventional polymer solar cells. This system thus consists in an electrochemical cell with the ITO working electrode sensitivized by a photoactive material.

While the solid phase of the device (ITO/polymer) is entirely conventional, widely used and well characterized, the interphase polymer/electrolyte is an innovative element, so far only partially explored, which strongly affects the properties of the electrochemical cell, by changing substantially the chemical/physical/electrical processes which take place. Another new element of the system is the simultaneous presence of two conduction mechanisms of the charge, both electronic (in the solid part, characteristic of any optoelectronic device) and ionic (in the liquid, and typical of biological systems): the interface solid/liquid is then configured as the border between the two regimes.

The characterization of the developed device is also interesting from the point of view of its possible applications, already shown within the research group, both in biology, such as artificial photodetector, and in the field of fuel cells, due to interesting phenomena of hydrogen production in the surface of the polymer itself.

The following experimental techniques have been adopted for the optical characterization of the device: absorption spectroscopy, photocurrent spectroscopy, photoinduced absorption spectroscopy, charge modulation and electroabsorption spectroscopy.

pH measurements were performed in the electrolyte solution during operation of the system in the photovoltaic regime in order to describe the electrochemical oxidation-reduction processes taking place at the interface polymer/electrolyte solution.

The study was completed by electrochemical impedance measurements in different regimes of work (electrical excitation frequencies and voltages of work), which allowed to characterize and quantify the phenomena of electron transfer and the formation of a double layer of charge in the solid/liquid interface, as well as providing useful information on the processes of oxidative degradation of the system.

All of the information collected allowed to draw an accurate picture of the chemical and physical phenomena that take place in the hybrid device created, and to put the foundations for the engineering and optimization of the system, depending on the application of interest, both in biology, for photostimulation of neural cells, and in the energy field, for the generation of hydrogen.

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Indice

Introduzione

pag. 7

CAPITOLO 1: Sistemi coniugati e fotodiodi organici

pag. 9

1. Sistemi coniugati e fotorivelatori organici 1.1 Cenni di fisica moleclare

1.2 Atomo di carbonio e ibridazione 1.3 Materiali organici e sistemi coniugati 1.4 La distorsione di Peierls

1.5 Gap elettronica e gap ottica 1.6 Eccitoni e polaroni

1.7 Fotodiodi organici standard 1.7.1 Principio di funzionamento 1.7.2 Circuito equivalente 1.7.3 Cifre di merito 1.7.4 Geometrie 1.7.5 Architetture multistrato 1.8 Fotorivelatori ibridi

1.9 Applicazioni dei sistemi ibridi solido-liquido

CAPITOLO 2: Teoria della cinetica dell’interfaccia semiconduttore/soluzione

elettrolitica e del trasporto diffusivo

pag. 32

1. Modello di Gerischer 2. Cinetica elettrochimica

2.1 Sovratensione di elettrodo sotto corrente 2.2 Sovratensione di attivazione

3. Trasporto di massa

3.1 Cenni di teoria generale 3.2 Diffusione

3.3 Condizioni iniziali e di contorno in problemi elettrochimici 3.4 Cenni di diffusione anomala (subdiffusione)

4. Doppio strato elettrico all’interfaccia semiconduttore/elettrolita 4.1 Introduzione al modello fisico

4.2 Adsorbimento di ioni su elettrodi di semiconduttore 4.3 Lo strato di carica di un semiconduttore

4.4 Capacità differenziale negli strati all’interfaccia elettrolita/semiconduttore

4.5 Derivazione completa dell’equazione di Mott-Schottky per uno strato di svuotamento di un semiconduttore n

4.6 Considerazioni complessive sulle regioni del doppio strato 4.7 Metodi per la determinazione del potenziale di flat-band

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5

CAPITOLO 3: Strumentazione e tecniche di misura

pag. 65

1. Realizzazione dei dispositivi 1.1 Etching chimico

1.2 Pulizia del substrato

1.3 Preparazione delle soluzioni polimeriche 1.4 Spin Coating

1.5 Evaporazione

1.6 Preparazione della soluzone elettrolitica 1.7 Realizzazione del controelettrodo 1.8 Realizzazione dei contatti

2. Tecniche di caratterizzazione, set-up sperimentali e strumentazione 2.1 Spettroscopia di assorbimento

2.2 Spettroscopia di fotocorrente

2.2.1 Set-up di misura dello spettro di fotocorrente

2.2.2 Strumentazione di misura dello spettro di fotocorrente 2.3 Spettroscopia di assorbimento fotoindotto

2.3.1 Set-up di misura dello spettro di assorbimento fotoindotto 2.3.2 Modello fisico per l’analisi dell’asorbimento fotoindotto 2.4 Spettroscopia di modulazioni di carica

2.4.1 Set-up di misura dello spettro CMS 2.4.2 Modello fisico per l’analisi CMS 2.5 Misure di pH della soluzione elettrolitica

2.6 Spettroscopia di impedenza elettrochimica (EIS) 2.6.1 Introduzione ai circuiti in corrente alternata

2.6.2 Modello fisico per l’analisi di impedenza elettrochimica 2.6.3 Modellizzazione interpretativa dei dati EIS

2.6.4 Analisi dei dati EIS

2.6.5 Elementi in circuiti equivalenti

2.6.6 Calcolo dell’impedenza del ramo faradaico

CAPITOLO 4: Presentazione e discussione dei risultati sperimentali

pag. 117

1. Misure di spettroscopia di assorbimento 1.1 Spettri di assorbimento

1.2 Analisi degli spettri di assorbimento 2. Misure di spettroscopia di fotocorrente

2.1. Spettri di fotocorrente e risposte spettrali

2.2 Analisi degli spettri di fotocorrente e delle risposte spettrali 3. Misure di Ph

4. Misure di spettroscopia di assorbimento fotoindotto 4.1 Spettri di assorbimento fotoindotto

4.2 Analisi degli spettri di assorbimento fotoindotto

5. Misure di spettroscopia di modulazione di carica (CMS) ed elettroassobimento (EA) 5.1 Studi su fotodiodo standard

5.2 Studi su fotocella elettrochimica

6. Misure di spettroscopia di impedenza elettrochimica 6.1 ITO/Acqua Milli-Q/ITO

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6 6.3 ITO/Acqua Milli-Q/Pt

6.4 ITO+P3HT-PCBM (1:1)/Acqua Milli-Q/ITO+P3HT-PCBM (1:1) 6.5 ITO+P3HT-PCBM (1:1)/Acqua Milli-Q/Pt

6.6 ITO+P3HT-PCBM (1:1)+PLL/Acqua Milli-Q/Pt 6.7 Pt/0,2 M NaCl/Pt

6.8 ITO/0,2 M NaCl/ITO 6.9 ITO/0,2 M NaCl/Pt ITO

6.10 ITO+P3HT-PCBM(1:1)/0,2 M NaCl/ITO-P3HT-PCBM (1:1) 6.11 ITO+P3HT-PCBM (1:1)/0,2 M NaCl/Pt

6.12 ITO+P3HT-PCBM (1:1)+PLL/0,2 M NaCl/Pt 6.13 Conclusioni

CAPITOLO 5: Conclusioni e prospettive future

pag. 173

APPENICE A: Teoria di Marcus del trasferimento elettronico e modello di

Butler-Volmer

pag. 175

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Introduzione

Il lavoro qui presentato ha riguardato la realizzazione e la caratterizzazione chimico-fisica, spettroscopica ed elettrica di un fotorivelatore ibrido, in fase solido/liquida, caratterizzato dalla interfaccia tra un polimero semiconduttore coniugato e una soluzione elettrolitica salina.

Il dispositivo è racchiuso tra un contatto anodico di ossido di indio e stagno (ITO) ed un controelettrodo metallico di platino. In breve, possiamo definire tale sistema come una fotocella elettrochimica. Il materiale attivo è costituito da una eterogiunzione tra un materiale polimerico elettron-donore a base di tiofene (rr-P3HT) ed un materiale elettron-accettore (PCBM, un derivato solubile del fullerene); il blend adottato costituisce ad oggi uno dei materiali più largamente studiati per la realizzazione di celle solari polimeriche di terza generazione. La fase solida del dispositivo (ITO/blend polimerico) è del tutto convenzionale, ampiamente diffusa e ben caratterizzata. La novità del lavoro consiste nella introduzione dell’elettrolita, che influisce fortemente sulle proprietà del fotorivelatore, modificando in maniera sostanziale i processi chimico/fisici/elettrici in gioco. Lo studio dell’interfase polimero/elettrolita, in particolare, appare interessante perchè essa può essere considerata come il confine fisico tra meccanismi di conduzione della carica elettrica di tipo elettronico (propri di tutto il campo dell’elettronica e dell’optoelettronica, sia organica sia inorganica), e meccanismi di conduzione ionica (caratteristici di qualsiasi sistema biologico). A tale interfase si verificano fenomeni di accumulo di carica, di trasferimento di elettroni e/o lacune (e quindi reazioni di ossido-riduzione), di migrazione di ioni dall’elettrolita verso il polimero.

Dal punto di vista delle possibili applicazioni, il sistema considerato riveste un duplice interesse, in campo biologico ed in campo energetico.

Nel primo caso, studi precedenti all’interno del gruppo di ricerca hanno dimostrato che il medesimo blend polimerico caratterizzato in questa tesi può essere interfacciato a delle colture neurali e mediare otticamente l’eccitazione dei neuroni stessi (altrimenti del tutto ‘ciechi’ alla radiazione visibile). In altre parole, il blend polimerico può essere assimilato ad una sorta di fotorecettore artificiale. Il meccanismo alla base del processo di fotostimolazione è la creazione di un doppio strati di carica localizzato alle interfacce polimero/mezzo di coltura biologica e mezzo di coltura/membrana neurale. La caratterizzazione di tali strati di carica costituisce quindi un prerequisito indispensabile per l’ottimizzazione dell’accoppiamento tra il polimero e il neurone, e l’ingegnerizzazione del processo di fotostimolazione.

Per quanto riguarda l’applicazione in campo energetico, la cella elettrochimica presa in esame potrebbe garantire una contemporanea conversione dell’energia solare sotto forma di due tipi di energia diverse: elettrica, come nel caso delle celle fotovoltaiche standard, tramite la generazione di fotocorrente, e chimica, come per le celle a combustibile, tramite la produzione di idrogeno con un processo di water splitting, alle due interfacce polimero/elettrolita ed elettrolita/controelettrodo. I vantaggi di tale approccio, se questo si dimostrasse valido e percorribile, sono molteplici, perchè idealmente consentirebbe di estrarre energia completamente ‘pulita’, sfruttando semplicemente la luce solare e l’acqua di mare. In questo caso, la piena comprensione e caratterizzazione dei fenomeni di trasferimento elettronico all’interfaccia, dei processi degradativi e ossidativi agli elettrodi e di diffusione ionica hanno evidentemente un ruolo chiave nella futura ottimizzazione dell’efficienza elettrochimica della cella.

Durante questo lavoro di tesi ho acquisito delle competenze nella preparazione di fotorivelatori convenzionali e ibridi, nella realizzazione di film polimerici con varie tecniche, nella deposizione di metalli per evaporazione termica e sputtering.

La parte cruciale del lavoro si è focalizzata sulla attività di caratterizzazione del dispositivo ibrido e dell’interfaccia solido/liquida che lo caratterizza. Allo scopo sono state adottate molteplici tecniche

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sperimentali. In particolare, ho eseguito misure di assorbimento, di fotocorrente, di assorbimento fotoindotto (PA), di spettroscopia a modulazione di carica (CMS), di pH e di spettroscopia di impedenza elettrochimica (EIS).

Complessivamente, la collezione di tutte le tecniche sopra citate ci ha permesso di delineare un quadro accurato dei fenomeni chimico-fisici di interfaccia, e in particolare dei processi di accumulo di carica, di trasferimento elettronico, di diffusione ionica e di degradazione ossidativa.

La dissertazione del lavoro è organizzata come segue:

• Capitolo 1: introduzione ai sistemi organici coniugati, con particolare attenzione alla fisica dei polimeri, ai principi di funzionamento di fotodiodi organici standard e ibridi, e cenni alle loro applicazioni;

• Capitolo 2: trattazione teorica dell’interfaccia elettrolita/semiconduttore. In letteratura sono stati sviluppati dei modelli teorici per il solo caso dei semiconduttori inorganici, mentre il caso dei semiconduttori organici non è stato finora affrontato. Nel corso della trattazione saranno via via evidenziati i limiti di applicabilità dei modelli esistenti al caso specifico.

• Capitolo 3: descrizione degli strumenti e delle metodologie utilizzate nella realizzazione e nella caratterizzazione dei dispositivi analizzati;

• Capitolo 4: presentazione e discussione dei risultati sperimentali; • Capitolo 5: conclusioni e possibili sviluppi futuri.

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Capitolo 1

1. Sistemi coniugati e forivelatori organici

1.1 Cenni di fisica molecolare

Una soddisfacente descrizione delle molecole deve rendere ragione delle cause che promuovono l’aggregazione degli atomi e delle leggi che la regolano, così come delle caratteristiche geometriche delle molecole e della natura ed intensità dei legami. L’applicazione alle molecole della meccanica quantistica e dei concetti sviluppati per gli atomi ha in effetti consentito la realizzazione di questi obiettivi, permettendo altresì di prevedere e studiare nuovi fenomeni quali la risonanza, il legame da delocalizzazione o l’ibridazione, concetti fondamentali per lo studio di molecole organiche.

L’equazione di Schrödinger per la molecola contiene, in linea di principio, tutte le informazioni necessarie; poiché è tuttavia impossibile una soluzione analitica di tale equazione, si perviene ai risultati desiderati attraverso ipotesi semplificatrici e approssimazioni di carattere fisico. La più importante approssimazione riposa sulla disparità della massa, e quindi di velocità, dei nuclei e degli elettroni. Ciò fa sì che nel tempo in cui i nuclei variano apprezzabilmente la loro posizione relativa, ogni elettrone, muovendosi molto più velocemente, possa occupare molte volte la serie di posizioni che costituiscono quella che si può chiamare “orbita” molecolare. Di conseguenza, nel descrivere la struttura elettronica si possono considerare i nuclei fissi; d’altra parte i moti vibrazionali e rotazionali di quest’ultimi si possono ritenere, in prima approssimazione, indipendenti dal moto degli elettroni. Questo è il contenuto fisico alla base dell’approssimazione di Born-Oppenheimer.

Senza prendere in considerazione l’interazione spin-orbita e le interazioni iperfini, l’Hamiltoniana per una molecola composta di N nuclei e n elettroni si esprime come:

       1.1

dove:   ∑

 

 energia cinetica degli elettroni

  ∑    energia cinetica dei nuclei

  ∑ ∑   

  attrazione nuclei  elettrone

  ∑ 

"

#$ repulsione elettroni  elettroni

 ∑(#)'(')* /,()  repulsione nuclei

La funzione d'onda Ψtot(x,R), soluzione dell'equazione di Schrödinger

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è una complicata funzione di tutte le variabili elettroniche e nucleari (e dei loro spin); abbiamo indicato con x la totalità delle variabili elettroniche (x = x1,y1,z1,…,xn,yn,zn) e con R quella delle variabili nucleari (R = X1,Y1,Z1,…,Xn,Yn,Zn), mentre con Ĥ l’operatore Hamiltoniano, definibile secondo le usuali regole di meccanica quantistica.

Si definisce Hamiltoniano elettronico Ĥel l'operatore Hamiltoniano Ĥ privato del termine di energia cinetica nucleare:

Ĥ2     1.3

Supponiamo di poter risolvere la relativa equazione di Schrödinger:

Ĥ2.234; 67  12367.234; 67 1.4

Osserviamo bene questa equazione: Ĥel, operatore hamiltoniano elettronico, non contiene operatori

differenziali implicanti le coordinate nucleari, le quali appaiono come dei parametri che possiamo fissare a nostra discrezione; diciamo che la funzione d'onda Ψel(x;R) (chiamata funzione d'onda

elettronica) e l'energia Eel(R) (chiamata energia elettronica) sono funzioni parametriche delle sole

coordinate nucleari. Nella funzione d'onda elettronica separiamo con un punto e virgola i due insiemi di coordinate, le coordinate dinamiche degli elettroni e le coordinate parametriche dei nuclei. Al cambiare della geometria nucleare (R) cambieranno sia Eel che Ψel. La risoluzione dell’equazione del problema elettronico fornisce in genere una pluralità di soluzioni per una data geometria nucleare: l'energia più bassa e la relativa funzione d'onda definiscono lo stato fondamentale elettronico della molecola a quella geometria mentre le altre energie e funzioni d'onda si riferiscono a stati elettronicamente eccitati della molecola. Una volta ottenuta l'energia Eel(R), possiamo studiare il suo andamento al variare della geometria nucleare: eventuali punti di minimo di Eel(R) costituiscono geometrie di equilibrio per la molecola. La posizione di una molecola viene specificata dando 3N valori alle coordinate nucleari; ma la geometria interna è individuata a meno di tre traslazioni e di tre rotazioni. Pertanto il numero di parametri necessario per specificare la geometria di una generica molecola non lineare è dato da 3N-6 (3N-5 per una molecola lineare). Quindi l'energia elettronica per una molecola triatomica non lineare è funzione di 3 coordinate, per una tetraatomica di 6 coordinate, etc. In una molecola poliatomica possono esistere più minimi relativi per Eel(R) e ciascun minimo individua un isomero.

Ottenute l'energia elettronica Eel(R) e la funzione d'onda elettronica Ψel(x;R), Born e Oppenheimer arguiscono che la funzione d'onda totale (soluzione dell'equazione di Schrödinger con l'Hamiltoniano Ĥ) può essere approssimata come

./0/34, 67  .234; 679367 1.5

dove la χn(R) è funzione delle sole coordinate nucleari. Questo è possibile perché, come già detto, secondo Born e Oppenheimer, la funzione elettronica Ψel(x;R) è a variazione molto lenta rispetto alle coordinate nucleari e le sue derivate rispetto a queste possono essere trascurate.

Tralasciando maggiori dettagli matematici, per i quali si rimanda alla letteratura[12], si perviene anche all’equazione del problema nucleare, che assume la forma seguente:

:367  3367  123677;9367  102 9367 1.6

Il termine (Vnn(R)+Eel(R)) può infine essere visto come un potenziale efficace per il problema nucleare, e tale interpretazione apre la strada ad approssimazioni armoniche di facile soluzione. Risolvendo il problema elettronico e quello nucleare è dunque possibile giungere alla soluzione totale del problema molecolare, vista come 1.5.

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L’approssimazione di Born-Oppenheimer viene anche comunemente chiamata approssimazione adiabatica. Nella trattazione matematica completa possono sorgere termini “non adiabatici” derivanti dal moto dei nuclei, i quali portano ad importanti effetti derivanti dall’interazione tra gli elettroni e il campo elastico (interazione elettrone-fonone). Tra questi si annoverano l’effetto Jahn-Teller per la materia allo stato solido e l’analoga distorsione di Peierls in sistemi molecolari finiti[14].

Il problema elettronico di quasi la totalità delle molecole viene approcciato attraverso il cosiddetto metodo MO=LCAO, che prevede la costruzione degli orbitali molecolari a partire dagli orbitali dei singoli atomi costituenti la molecola a partire da considerazioni di simmetria. In prima approssimazione la teoria orbitale molecolare può essere considerata basata su due principi. Il primo afferma che contribuiscono agli orbitali molecolari soltanto gli orbitali atomici con la stessa simmetria, essendo nullo il contributo di sovrapposizione di orbitali con simmetria diversa. Il secondo afferma che contribuiscono agli orbitali molecolari solamente gli orbitali atomici con energie non troppo differenti. Tali principi hanno una derivazione nella teoria della fisica dello stato solido.

Per certi problemi molecolari è conveniente, per questioni di simmetria della molecola, costruire gli orbitali molecolari attraverso la combinazione di orbitali atomici opportunamente adattati, detti SALC, ottenuti combinando orbitali atomici dello stesso atomo. In tal modo si riesce ad ottenere una simmetria a livello locale, dalla quale segue facilmente quella a livello molecolare.

Un metodo iterativo approssimato per il calcolo degli orbitali molecolari consiste nel metodo di Hartree-Fock, il quale per superare il problema a più corpi, dato dall’avere molti elettroni interagenti tra loro, introduce il cosiddetto potenziale di Hartree-Fock, Vhf(i), che rende conto del potenziale medio risentito dall’iesimo elettrone per effetto degli altri elettroni. Ovviamente Vhf(i) dipende a sua volta dalle funzioni d’onda degli altri elettroni. Ricorrendo al metodo MO=LCAO si ottengono le cosiddette equazioni di Roothan-Hall la cui risoluzione richiede un approccio risolutivo del problema di tipo iterativo, fatto attraverso l’uso di calcolatori numerici, che fornisce una soluzione autoconsistente[13].

Un altro metodo approssimativo, più semplice dal punto di vista del calcolo matematico, di risoluzione del problema elettronico di una molecola consiste nella cosiddetta teoria di Huckel, la quale venne introdotta per lo studio dei sistemi organici π-coniugati. Tale teoria rappresenta il livello più semplice con cui trattare il problema quantistico elettronico molecolare a più corpi per mezzo di un Hamiltoniano efficace di particella singola Ĥeff, dipendente solamente dalle coordinate di un elettrone alla volta, grazie all’introduzione di un “campo medio”. In altre parole si suppone che gli elettroni non interagiscano direttamente tra loro, ma si muovano in un campo medio uguale per tutti il cui valore costituisce un parametro per il problema. In tal modo, a differenza del metodo Hartree-Fock, le equazioni agli autovalori per gli elettroni vengono disaccoppiate, così da permettere un calcolo mediante semplice algebra lineare dei livelli energetici e degli orbitali molecolari a seguito di semplificazioni fisiche e l’introduzione di parametri del problema. L’applicazione di tale metodo a sistemi coniugati organici è rimandata ai paragrafi successivi.

1.2 Atomo di carbonio e ibridazione

Il carbonio è l'elemento chimico della tavola periodica degli elementi che ha come simbolo C e come numero atomico 6. È un elemento non metallico, tetravalente.

La sua configurazione elettronica è la seguente: 1s22s22p2. Gli elettroni costituenti la shell esterna sono quattro: 2s22p2, ma la loro distribuzione negli orbitali subisce una modifica mediante il processo di ibridazione, spiegabile quantisticamente mediante l’approccio SALC.

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• sp3: genera 4 orbitali ottenuti per combinazione lineare degli orbitali 2s, 2px, 2py, 2pz;

• sp2: genera 3 orbitali ottenuti per combinazione lineare degli orbitali 2s, 2px, 2py, lasciando

inalterato l’orbitale 2pz;

• sp: genera due orbitali per combinazione lineare degli orbitali 2s e 2px.

Il meccanismo di ibridazione sp2 (nella trattazione che segue le altre due ibridazioni non interessano) genera i seguenti orbitali:

.<  =1/33@  √2CD7

.  =1/33@  =1/2CD =3/2CE7

.F  =1/33@  =1/2CD =3/2CE7

L’orbitale 2pz rimane invariato, e costituisce l’elemento chiave nei sistemi coniugati. Da un punto

di vista geometrico gli orbitali ibridi sp2 sono complanari e trigonali, ovvero orientati ad angoli di 120° l’uno rispetto all’altro.

Figura.1.1 A sinistra: Rappresentazione degli orbitali atomici dell’atomo di carbonio nello stato fondamentale. A destra: Rappresentazione delle tre possibili forme di ibridazione del carbonio.

1.3 Materiali organici e sistemi coniugati

Un composto organico è un membro di una vasta classe di composti chimici le cui molecole contengono carbonio. L'aggettivo "organico" ha origini storiche: anticamente si pensava infatti che le sostanze estratte da tessuti provenienti da organismi viventi, vegetali o animali, possedessero proprietà peculiari derivanti proprio dalla loro origine "organica" e che quindi non potessero essere sintetizzate o che i loro equivalenti sintetici fossero diversi per la mancanza di queste particolari proprietà. La sintesi in laboratorio dell'urea e la constatazione che l'urea sintetica ha le medesime proprietà chimico-fisiche di quella estratta dall'urina fecero cadere questo assunto e portarono alla definizione di "composto organico" attualmente in uso.

Quando due o più atomi di carbonio si legano chimicamente tra loro si forma una molecola organica, i cui orbitali molecolari possono essere calcolati a partire dagli orbitali atomici di partenza. Di conseguenza è possibile stabilire anche i livelli energetici della molecola con le teorie

(13)

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sopra descritte. Se i carboni sono ibridizzati sp2 (cosa che si verifica sempre nei sistemi coniugati), possono formare tra loro due tipi di legame: un legame a più alta energia di interazione, ottenuto dalla sovrapposizione di due orbitali ibridi sp2 e quindi posto sul loro stesso piano, o un legame con interazione più debole, ottenuto dalla sovrapposizione dei due orbitali 2pz. Per questioni di

simmetria non possono essere formati legami per sovrapposizione di un orbitale ibrido sp2 e di uno 2pz. Il legame maggiormente legante viene in genere indicato come “σ”, poiché, se guardato dalla

congiungente i due nuclei, presenta caratteristiche molto simili a quelle dell’orbitale atomico s. Infatti il legame σ ha simmetria cilindrica rispetto all’asse che congiunge i due nuclei e dunque momento angolare nullo rispetto ad esso. Al contrario il legame più debole è perpendicolare al segmento che congiunge i due nuclei e il suo momento di dipolo rispetto a questo asse è 1. Visto dalla congiungente i due nuclei esso può dunque essere paragonato ad un orbitale p, e quindi si indica con la lettera greca “π”.

I legami σ e π comportano energie di legame molto diverse; in particolare il legame σ, che è situato sul piano degli orbitali ibridi, implica un’interazione tra i singoli atomi molto più forte di quella data dal legame π. Infatti la densità di carica nel legame σ è localizzata tra i due nuclei ed ha quindi una maggiore azione schermante, mentre gli elettroni dell’orbitale π si trovano più lontani dai nuclei ed interagiscono più debolmente con essi.

Se due atomi di carbonio formano un solo legame esso è sempre un legame σ; se invece sono legati da un doppio legame si tratta di un legame σ e di uno π.

La molecola di etilene (C2H4, Fig.1.2) costituisce il più semplice esempio di molecola organica. I

due atomi di carbonio che la compongo sono ibridizzati sp2 e formano tra di loro un doppio legame covalente. Come specificato in precedenza un legame è di tipo σ e l’altro di tipo π.

I livelli energetici della molecola di etilene possono essere calcolati, in prima approssimazione, a partire dai livelli energetici atomici tramite il metodo LCAO, stimando dunque i livelli energetici molecolari a partire dalla combinazione lineare dei livelli energetici atomici. Per una molecola biatomica come l’etilene si ottengono quindi due orbitali molecolari per ogni orbitale atomico coinvolto nella formazione del legame. Riferendosi ai livelli energetici si parla di “splitting” del livello energetico atomico nella formazione della molecola.

Nell’esempio dell’etilene si può facilmente vedere (Fig 1.3) come dalla sovrapposizione dei due orbitali ibridi sp2 abbiano origine due orbitali molecolari di tipo σ, mentre la combinazione dei due orbitali 2pz genera due orbitali molecolari di tipo π. I due orbitali molecolari di ciascun tipo sono molto distanti in energia. L’orbitale ad energia maggiore viene contraddistinto da un asterisco (σ* e π*) e prende il nome di orbitale antilegante. Gli orbitali σ e π invece sono detti leganti o orbitali di

legame. Matematicamente gli orbitali di legame derivano dalla sovrapposizione simmetrica degli

orbitali atomici di partenza, mentre gli orbitali antileganti da quella asimmetrica. La sovrapposizione simmetrica localizza la carica molto in vicinanza dei nuclei rispetto alla sovrapposizione antisimmetrica, e per questo motivo gli orbitali di legame sono situati ad energie minori rispetto a quelli di antilegame. La differenza tra orbitali leganti e

antileganti è che un elettrone che si trovi in un orbitale di legame favorisce la stabilità della molecola, mentre un elettrone presente in un orbitale antilegante crea instabilità nella molecola stessa. Nella molecola di etilene sono popolati i livelli degli orbitali σ e π, ciascuno da una coppia di elettroni con spin opposto. Tra i livelli energetici molecolari popolati quello a più alta energia viene chiamato HOMO (Highest Occupied Molecular Orbital) e nel caso dell’etilene si tratta dell’orbitale π. Il livello successivo si indica con la sigla LUMO (Lowest Unoccupied Molecular Orbital) e per l’etilene è π*. Tramite eccitazione ottica è possibile promuovere gli elettroni del livello HOMO al livello LUMO, con la condizione che l’energia fornita agli elettroni per mezzo dei fotoni sia almeno pari alla gap di energia tra π e π*, cioè la gap elettronica.

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14

Figura 1.2 Struttura di Lewis della molecola di etilene

Figura 1.3 Rappresentazione dei livelli energetici in seguito a formazione del legame tra due atomi di carbonio.

Per “sistema coniugato” si intende una macromolecola o una catena polimerica (o un insieme di catene) caratterizzato dall’alternanza di legami singoli (σ) e doppi (σ e π).

Se immaginiamo, ad esempio, di iterare la struttura chimica dell’etilene n volte, otteniamo una catena polimerica di poliacetilene (Fig. 1.4), che costituisce il più semplice esempio di sistema coniugato.

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15

Nel poliacetilene ciascun atomo di carbonio, ibridizzato sp2, forma 3 legami covalenti con i tre atomi di carbonio primi vicini (un legame singolo σ e un legame doppio σ e π) e un legame covalente di tipo σ con un atomo di idrogeno. La densità elettronica è localizzata sul piano degli orbitali relativa ai legami ibridi sp2 ed è concentrata lungo la congiungente i nuclei degli atomi coinvolti nei legami. In analogia con quanto visto per l’etilene, agli orbitali σ corrispondono i livelli energetici molecolari ad energia minore.

La popolazione degli orbitali π risulta invece localizzata nello spazio al di sopra e al di sotto del piano molecolare (Fig. 1.5). Gli elettroni che popolano gli orbitali π sono delocalizzati sull’intera catena polimerica e sono in grado di muoversi con relativa facilità su di essa[4], [5]. Gli orbitali π costituiscono gli orbitali di frontiera di ogni sistema coniugato. Poiché ad essi corrispondono i livelli energetici molecolari più elevati, sono responsabili delle proprietà opto-elettroniche del sistema stesso.

Si è visto nell’esempio della molecola di etilene che per una molecola biatomica ciascun livello energetico atomico dà origine a due livelli energetici molecolari. Questo concetto può essere esteso alla presenza di n atomi. Risulta dunque che per una catena contenente n atomi di carbonio ciascun livello energetico è soggetto a splitting in n livelli molecolari.

Se il numero n di atomi è sufficientemente grande, e al limite tende ad infinito, allora anche il numero dei livelli energetici per la molecola cresce e diminuisce la loro separazione in energia fino a formare un continuo, cioè delle bande energetiche. Particolarmente interessanti sono le bande corrispondenti a quei livelli che per una singola molecola sono indicati come HOMO (π) e LUMO (π*); la loro distanza in energia determina la gap elettronica del sistema coniugato. La distanza tra le bande diminuisce, cioè la gap si chiude, al crescere di n (Fig 1.6). Per una catena polimerica molto lunga n può essere trattato come tendente all’infinito, e quindi la catena di poliacetilene risulta avere gap nulla. Poiché ciascun atomo di carbonio mette in compartecipazione un orbitale 2pz popolato da un solo elettrone, la banda della catena polimerica è popolata fino a metà e quindi il

poliacetilene risulta essere un metallo.

Tuttavia è possibile verificare sperimentalmente che il poliacetilene non si comporta come un metallo bensì come un semiconduttore. Ciò significa che in realtà la gap non può essere nulla ed è infatti possibile misurare che è ampia circa 1.9 eV.

Quanto detto finora quindi, pur essendo sostanzialmente corretto, ha portato ad una conclusione errata. Questo perché per descrivere correttamente la catena polimerica è necessario tener conto del fatto che in realtà i legami singoli e i legami doppi tra gli atomi di carbonio non sono energeticamente equivalenti. Si può verificare che, tenendo conto della Distorsione di Peierls, è possibile ottenere risultati teorici in buon accordo con i risultati sperimentali.

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16

Figura 1.6 A: Dispersione E(k) prima della distorsione, si può notare il comportamento metallico del sistema. B: Grafico della dispersione ottenuto tenendo conto della distorsione di Peierls.

1.4 La distorsione di Peierls

Consideriamo una singola catena di poliacetilene. Essa costituisce un sistema monodimensionale (1D). Le considerazioni fatte finora ipotizzano che gli atomi di carbonio che compongono la catena siano tutti equispaziati; in questo modo si ottiene una struttura periodica che può essere per certi aspetti trattata come qualsiasi altro solido cristallino. Possiamo indicare con a la distanza tra un atomo e il successivo (Fig. 1.6A), ovvero il periodo della catena[3]. In realtà è possibile calcolare e verificare sperimentalmente che nello stato fondamentale la catena è stabile in una configurazione in cui sono presenti legami di lunghezze alternativamente diverse (Fig. 1.7 B). In questo modo viene minimizzata l’energia del sistema. Questa distorsione rispetto alla catena equispaziata prende il nome di Distorsione di Peierls[6]. In questa configurazione ogni carbonio si trova ad una certa distanza dal primo vicino a cui è legato tramite un legame singolo e ad una distanza minore dal carbonio al quale, invece, è legato da un legame doppio. Per il poliacetilene queste distanze di legame sono di circa 1.44 Å e 1.36 Å rispettivamente. Ciò significa che il passo reticolare della catena non è più uguale ad a, ma vale 2a. L’unità fondamentale di una struttura con atomi equispaziati sarebbe (CH), mentre nel caso della catena di periodo 2a diventa (CH=CH); per questo motivo il fenomeno prende il nome di “dimerizzazione”. E in ultima analisi la dimerizzazione del polimero determina l’aprirsi della gap elettronica del materiale e le proprietà di conduzione del polimero.

1.5 Gap Elettronica e Gap Ottica

I semiconduttori organici presentano importanti differenze rispetto a quelli inorganici: ciò determina l’impossibilità di adottare il classico modello a bande per la descrizione dei processi di conduzione di carica. In particolare nei polimeri si distingue tra gap ottica e gap elettronica (∆EHOMO-LUMO). La prima rappresenta l’energia che è necessario fornire affinché si formi una

coppia legata elettrone-lacuna, ovvero un eccitone, mentre la seconda è la distanza HOMO-LUMO e rappresenta l’energia necessaria per la formazione di cariche libere. Ovviamente la gap ottica risulta minore di quella elettronica (Fig. 1.7). Inoltre i solidi molecolari sono generalmente caratterizzati da un alto grado di disordine e questo fa si che siano presenti dei livelli energetici tra HOMO e LUMO, ovvero all’interno della gap del semiconduttore. Per questo motivo non è

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17

propriamente corretto parlare di bande energetiche per un semiconduttore organico. Nel seguito vengono sviluppati questi concetti in maniera più approfondita.

Figura 1.7 Rappresentazione dei livelli energetici per un semiconduttore organico. EX rappresenta l’energia di legame

dell’eccitone.

1.6 Eccitoni e polaroni

In letteratura è possibile trovare svariate accezioni del termine ‘eccitone’; genericamente parlando, possiamo comunque definire l’eccitone come uno stato eccitato molecolare, rappresentato da un sistema elettrone-lacuna legato da una interazione di tipo coulombiano, che può diffondere, con processi di hopping, da una catena all’altra o all’interno della stessa catena.

La specie eccitonica dominante nei dispositivi organici è il cosiddetto eccitone di Frenkel, cioè una coppia elettrone-lacuna legata (energia di legame di circa 0.5-1 eV), che è generalmente localizzata, ad un certo istante, su una singola molecola. Il raggio medio di un eccitone di Frenkel è dell’ordine di 1 nm. In cristalli molecolari molto ordinati o in polimeri allineati, si possono formare anche eccitoni charge-transfer. Tali eccitoni, a loro volta mobili all’interno del materiale, sono costituiti da coppie elettrone-lacuna in cui le due cariche sono poste su molecole o catene adiacenti. A causa del loro maggior diametro, essi hanno un legame molto più debole degli eccitoni di Frenkel (circa 10-100 meV). Un terzo tipo di eccitone è l’eccitone di Wannier, per il quale la delocalizzazione dell’elettrone rispetto alla catena contenente la buca è molto ampia. La localizzazione di un eccitone dipende da fattori quali lo schermaggio elettrico del materiale, la polarizzabilità delle sue molecole e la loro vicinanza. In figura 1.8 è riportata una rappresentazione pittoresca di tali tre tipi di eccitoni.

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18

Nei fotodiodi, gli eccitoni devono essere dissociati per creare corrente prima di una eventuale loro ricombinazione. Bisogna dunque superare la barriera di potenziale costituita dalla loro energia di legame. All’interno del materiale polimerico attivo di un fotodiodo è presente un campo interno, dovuto alla differenza tra le funzioni lavoro degli elettrodi, che porta ad una probabilità di dissociazione dell’eccitone non nulla anche in assenza di campo elettrico esterno applicato (polarizzazione del diodo).

La probabilità di dissociazione dell’eccitone aumenta al crescere della temperatura e dell’energia di eccitazione. Infatti nel primo caso è più facile che l’eccitone acquisisca l’energia necessaria a rompere il legame tra i due portatori che lo costituiscono (l’energia di legame di un eccitone è solitamente compresa tra 0,2 eV e 1 eV, mentre l’energia termica a temperatura ambiente è 25 meV). Nell’altro caso è la delocalizzazione dei livelli alti in energia a consentire una rapida dissociazione.

La dissociazione dell’eccitone dà luogo alla formazione di due polaroni, dove con polarone si intende l’insieme della carica e della distorsione che questa provoca alla struttura del materiale (si producono cambiamenti a livello della struttura fisica della molecola e degli stati elettronici a causa della presenza di una carica elettrica in movimento).

La generazione di carica, oltre che per dissociazione di eccitoni fotogenerati, può avvenire termicamente in modo diretto o per iniezione di corrente. Il primo modo è poco efficiente poiché i materiali organici in questione hanno un gap di circa 2 eV e, trascurando fenomeni di drogaggio, il livello di Fermi sta circa a 1 eV dalle bande di conduzione e di valenza. Il secondo modo consiste nell’iniezione di cariche attraverso gli elettrodi. Perché ciò avvenga è necessario che superino la barriera di potenziale che si crea all’interfaccia tra l’elettrodo e il materiale organico, la quale dipende dalla funzione lavoro del metallo e dai livelli HOMO e LUMO del semiconduttore. La modalità di attraversamento della barriera avviene in due modalità:

-field emission model; -Shottky model.

La prima modalità descrive un processo di tunneling dei portatori dipendente dal campo elettrico a cui sono sottoposti (la probabilità di tunneling aumenta col crescere del campo elettrico). Questo processo è predominante a basse temperature. Con l’aumentare della temperatura diventa predominante la seconda modalità, che consiste nel superamento della barriera grazie all’acquisizione di energia termica.

1.7 Fotodiodi organici standard

In questo paragrafo vengono introdotti i fotodiodi organici standard, descrivendone il principio di funzionamento, la struttura e le principali cifre di merito. Essi infatti costituiscono un utile riferimento per la struttura non-convenzionale rappresentata dai fotorivelatori ‘ibridi’ (paragrafo 1.8), oggetto del lavoro di caratterizzazione svolto in questa tesi, in cui il catodo metallico viene sostituito da un elettrolita liquido. Anche se tale struttura presenta interessanti proprietà di azione fotovoltaica, e può essere caratterizzata sfruttando gli stessi parametri tradizionalmente utilizzati per i fotodiodi e le celle fotovoltaiche, non si può a rigore parlare di ‘fotodiodo’, e ci riferiremo ad essa con il più appropriato termine di ‘cella elettrochimica’. Nel corso della trattazione verranno via via evidenziate analogie e differenze rispetto ai dispositivi standard in termini di principi fisici alla base del funzionamento, realizzazione del dispositivo, proprietà chimico-fisiche, meccanismi di trasporto di carica, parametri di merito, etc.

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19 1.7.1 Principio di funzionamento[1], [8], [11]

Per fotodiodo si intende un dispositivo in grado di convertire luce, ovvero un segnale ottico, in un segnale elettrico. Nel caso di un fotodiodo organico tale processo avviene attraverso quattro passi (Fig 1.10):

• assorbimento fotonico per la creazione di uno stato eccitato, ovvero un eccitone; • diffusione dell’eccitone;

• separazione dell’eccitone;

• raccolta delle cariche agli elettrodi.

Un esempio di struttura di un fotodiodo è rappresentato nella figura che segue, in cui sono rappresentati quattro dispositivi.

Figura 1.9. Schema 3D di un tipico dispositivo

Il substrato può essere semplicemente vetro. L’anodo è rappresentato da uno strato di ossido di indio e stagno (Indium Tin Oxide, ITO), mentre il catodo consiste in uno strato di circa 80 nm di alluminio depositato attraverso un processo di evaporazione termica. Il polimero (o il blend di polimeri) rappresenta il materiale fotoattivo del dispositivo, ovvero corrisponde alla zona in cui il fotone viene assorbito per generare un eccitone. Gli strati di poly(3,4-ethylenedioxythiophene) (PEDOT) e di fluoruro di litio (LiF) favoriscono il trasporto dei portatori di carica nel loro cammino verso l’anodo o il catodo (rispettivamente), aumentando l’efficienza quantica esterna (EQE) del fotodiodo. Lo spessore dello strato di LiF deve essere dell’ordine di 1,5nm, con effetti deleteri in caso di superamento di tale ordine di grandezza, a causa delle proprietà isolanti di tale materiale. I meccanismi alla base del miglioramento dell’EQE sono:

• la diminuzione della funzione lavoro dell’alluminio, con conseguente diminuzione della barriera con il LUMO del materiale attivo;

• dissociazione del LiF e conseguente drogaggio del materiale attivo;

• protezione del materiale attivo dagli atomi di alluminio durante il processo di deposizione; • formazione di un dipolo all’interfaccia.

Il PEDOT è un polimero coniugato idrosolubile, conduttore di lacune. È efficace nel diminuire la barriera di potenziale tra ITO e polimero.

Fotoeccitazione

Qualsiasi sia la struttura del fotodiodo organico, le formazione dell’eccitone avviene sempre nello stesso modo. Quando un fotone (con energia almeno pari alla gap ottica del polimero) incide sul dispositivo dalla parte dell’elettrodo trasparente (ITO) esso penetra nel dispositivo fino a raggiungere il materiale attivo. Qui il fotone può cedere la sua energia ad un elettrone dell’HOMO promuovendolo ad un livello energetico più alto, e si forma così un eccitone di Frenkel (Fig. 1.10).

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20

L’eccitone che si forma è una quasi-particella neutra, caratterizzata da un’energia di legame di circa 1 eV.

Figura 1.10 Schema di funzionamento di un fotodiodo organico a doppio strato con interfaccia materiale attivo trasporto di elettroni. I processi fisici che portano alla generazione della fotocorrente sono: 1) Assorbimento dei fotoniincidenti nel materiale

attivo e formazione degli eccitoni; 2) Diffusione degli eccitoni fino alle interfacce polimero-polimero o polimero-elettrodo; 3) Trasporto di carica; 4) Raccolta delle cariche agli elettrodi.

Generazione di carica

Come accennato in precedenza, nei materiali organici si generano prevalentemente eccitoni di Frenkel, ovvero localizzati su di una singola molecola o catena polimerica. Se l’elettrone eccitato, però, riesce a spostarsi su una delle molecole (o catene) adiacenti, allora si generano due stati di carica di segno opposto (lacuna da una parte ed elettrone dall’altra) che innalzano la conducibilità del materiale. Un eccitone può compiere degli spostamenti su distanze dell’ordine di 2÷3 volte la sua lunghezza di diffusione, cioè, per la maggior parte dei materiali organici, entro i primi 15÷20 nm. Se quindi un eccitone si forma nel bulk (considerando fotodiodi a singolo strato) a distanze maggiori di 20 nm circa dell’interfaccia polimero/elettrodo, esso ricombina senza apportare contributo alla formazione di cariche libere nel dispositivo. I fenomeni che conducono alla dissociazione di carica nei materiali organici sono:

• Dissociazione della carica dovuta a meccanismi intrinseci, cioè dissociazione da uno stato di singoletto ad elevata energia;

• Dissociazione dovuta a meccanismi estrinseci, quali presenza di trappole, accoppiamento locale delle catene o impurezze.

In entrambi i casi, perché la dissociazione abbia luogo, la molecola sulla quale si è formato l’eccitone deve ionizzarsi trasferendo l’elettrone su di un’altra molecola tra quelle vicine. In pratica l’eccitone modifica la propria energia di legame e diventa un eccitone di charge-transfer. Questo processo pende il nome di autoionizzazione[2]. Quando l’eccitone si forma, l’elettrone viene promosso in energia: si dice che è un elettrone “caldo”. Questo elettrone è caratterizzato da un’energia cinetica molto elevata, una parte della quale è in eccesso e viene persa in tempi brevissimi a seguito dell’eccitazione. In questo modo l’eccitone si assesta ad una distanza rth dalla

lacuna, detta distanza di termalizzazione. Nei semiconduttori organici rth ha

generalmente valori molto piccoli e quindi c’è alta probabilità che avvenga ricombinazione tra le cariche legate. Se rth avesse valori elevati potrebbe essere sufficiente l’energia termica per causare la dissociazione dell’eccitone. E’ possibile stimare un valore di rth, che viene indicato con rc, che

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21

segni il confine tra le situazioni di “vicino” e “lontano” per le due cariche. Tale valore può essere ricavato uguagliando l’energia di interazione coulombiana all’energia termica kT, e risulta:

,G  * /4IJK 1.7

rc è detto raggio di cattura coulombiano.

Poiché i valori tipici della costante dielettrica ε per i materiali organici sono abbastanza piccoli, i valori di rc necessari a garantire l’autoionizzazione spontanea sono alti e difficilmente ottenibili. Tuttavia è possibile agire su un polimero in tre modi per migliorarne l’autoionizzazione:

• si può aumentare l’energia dei fotoni incidenti sul materiale in modo da creare elettroni con un’energia cinetica maggiore, che si traduca in una lunghezza di termalizzazione alta;

• oppure si può applicare un campo elettrico esterno che favorisca la separazione delle cariche. Tale campo si sovrappone a quello interno di built-in dovuto all’allineamento dei livelli di Fermi dell’ITO e dell’alluminio con diverse funzioni lavoro;

• si può realizzare lo strato attivo con opportune architetture donore/accettore in seguito discusse.

Trasporto di carica

I fenomeni di trasporto delle cariche sono determinati dalle proprietà degli strati organici, cioè dalle mobilità degli elettroni e delle lacune e dai processi di ricombinazione all’interno dei materiali attivi.

Il meccanismo di trasporto dominante è costituito da processi di hopping, ovvero di passaggio attraverso salti termicamente attivati tra molecole adiacenti. Tale processo prende anche il nome di Tunneling termicamente assistito e la probabilità di hopping segue la seguente legge:

C L *4C MOPNQ R *4C3ST7 1.8

dove il primo termine rappresenta l’interazione con un fonone, e il secondo la probabilità di tunneling attraverso la barriera larga L.

Soltanto in un cristallo ideale a temperatura bassa diventa non trascurabile un trasporto di tipo coerente tipico di stati delocalizzati. Nel caso dei polimeri le proprietà di trasporto sono una combinazione fra processi di hopping sulla singola catena polimerica e fra catene adiacenti. La possibilità di hopping è dovuta alla parziale sovrapposizione degli orbitali I tra molecole o catene polimeriche adiacenti. La mobilità ottenibile è molto più bassa di quella caratteristica dei semiconduttori inorganici, che generalmente varia da 102 a 104 cm2V-1s-1. In materiali organici dotati di struttura cristallina, dove le cariche saltano fra molecole adiacenti molto vicine e molto ordinate, si possono ottenere mobilità a temperatura ambiente di circa 1 cm2V-1s-1. Apparentemente questo è il limite superiore ottenibile limitato dal moto termico fra le molecole vicine. In sistemi molecolari più disordinati e nei polimeri le mobilità sono circa 10-3, 10-5 volte questo valore limite.

Per aumentare la mobilità si possono utilizzare tecniche di crescita che favoriscano l’allineamento delle catene polimeriche. In genere la mobilità è anche funzione del campo elettrico (come in tutti i materiali in cui la mobilità è limitata da meccanismi di hopping). Ciò perché la barriera energetica per il salto da una posizione all’altra diminuisce in presenza del campo elettrico. Generalmente si ha:

U317  UV*4C3W√17 1.9

dove E è il campo elettrico; µ0 e δ sono parametri che dipendono dal materiale e dalla temperatura. La bassa mobilità implica una bassa conducibilità elettrica, σ = neµ, dove n è la densità di carica ed

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e è la carica elettronica. Conducibilità tipiche in materiali organici sono σ X 10-6 S/cm. Una bassa

mobilità porta a una velocità molto bassa delle cariche: v = Μe X 10 cm/s, assumendo un campo elettrico E = 100 V/cm, tipico di molti dispositivi.

Nel materiale attivo, a causa dell’allineamento dei livelli di Fermi dell’ITO e dell’alluminio con diverse funzioni lavoro, si genera un campo interno o di built-in, il quale favorisce la formazione di portatori a partire dall’eccitone anche in assenza di campo elettrico esterno.

Dopo la dissociazione eccitonica, l’elettrone viene attirato verso il catodo (elettrodo con funzione lavoro bassa) se il dispositivo non è polarizzato o è polarizzato in inversa. Il primo caso corrisponde alla situazione tipica delle celle fotovoltaiche, in cui si vuole convertire energia luminosa in energia elettrica. Lavorando in regime di polarizzazione inversa si aumenta la probabilità di dissociazione degli eccitoni, ed è quindi possibile sfruttare il dispositivo come fotorivelatore.

1.7.2 Circuito equivalente

Lo schema elettrico di un fotodiodo organico è rappresentato in figura 1.11[7]. Si può vedere che il circuito è molto semplice e consiste in una resistenza costante R0 (in parallelo), una resistenza dipendente dall’intensità della luce incidente Rshunt (Ф) (in serie), un diodo (che modellizza il comportamento del sistema sotto tensione inversa applicata), una capacità C e un generatore di corrente I(Ф) anch’esso dipendente dall’intensità incidente. In generale ciascuno di questi componenti dipende fortemente dalle caratteristiche di fabbricazione del dispositivo, dalla qualità dei materiali impiegati e dalle dimensioni del fotodiodo.

I valori di R0 variano tra 100 Ω e 1 kΩ; una volta determinato il valore di R0 per un dato fotodiodo esso è costante. I(Ф) rappresenta la corrente che fluisce nel dispositivo in seguito alla fotoeccitazione, e perciò dipende da tutti processi fisici interni al dispositivo, quali generazione degli eccitoni, loro dissociazione e trasporto delle cariche. A livello macroscopico i maggiori parametri di influenza per I(Ф) sono l’intensità incidente e l’ampiezza dell’area illuminata. La resistenza Rshunt dipende dalla luce incidente nel senso che diminuisce all’aumentare dell’intensità, ovvero le cariche che fluiscono verso gli elettrodi incontrano una resistenza effettiva minore se l’intensità incidente è maggiore (a causa di effetti di saturazione riguardanti eventuali meccanismi trappola). Essa è anche soggetta a variazioni dovute a fattori ambientali, come, ad esempio, la temperatura. La capacità C del dispositivo dipende sia dalla costante dielettrica degli strati posti tra gli elettrodi, sia dall’area del dispositivo.

La corrente totale che fluisce nel dispositivo può essere scritta come somma di tre contributi:

Y/0/  YZ0Z37 – Y2\]\^37 – Y_0/037 1.10

Idiode(V) esprime la relazione tensione-corrente per un diodo. Se c’è contatto ohmico tra gli elettrodi

Idiode si può scrivere come: YZ0Z37 `aJ JVUV*

b

c 1.11

dove V è la tensione esterna applicata, εrε0 la costante dielettrica del mezzo, µ0 la costante magnetica del vuoto e d lo spessore del dispositivo.

La corrente in uscita dal dispositivo è data dalla semplice relazione:

Y_0/0 S3d7 R Ф 1.12

dove α(λ) è la responsività del fotodiodo misurata in AW-1. La responsività è fortemente influenzata

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23

Infine la corrente di leakage si può esprimere semplicemente con la legge di Ohm utilizzando la resistenza di shunt:

f\g  Y2\]\^37 R 6g_h/3Ф7 1.13

Il valore di Rshunt(Ф) si può esprimere mediante una legge empirica:

6g_h/3Ф7 iRj< 6\D R 31  kФV.`7m< 1.14

con W e L larghezza e lunghezza del fotodiodo rispettivamente, Rmax valore di Rshunt di buio, Ф intensità della luce ed m gradiente della relazione intensità-resistenza, che per valori alti di intensità risultapraticamente lineare.

Osserviamo che il minimo della corrente di leakage è ottenuto per tensione di bias nulla. Tuttavia nei dispositivi reali la Vbias ha un valore di almeno qualche Volt, e questo provoca una diminuzione della sensibilità complessiva del sistema.

Figura 1.11 Circuito elettrico equivalente di un fotodiodo organico.

1.7.3 Cifre di merito

Coefficiente di assorbimento

In generale, ogni volta che un’onda elettromagnetica incide su di un piano di discontinuità tra due mezzi viene in parte trasmessa al mezzo 2 ed in parte riflessa indietro nel mezzo 1. Sotto l’ipotesi di incidenza a 0° la frazione di onda riflessa Ir/I0 è data dal coefficiente di riflessione di Fresnel:

6  3nm 7

3no 7 1.15

I fotodiodi organici hanno molteplici strati e quindi la luce incidente incontra numerose superfici di discontinuità (vetro-ITO, ITO-PEDOT:PSS, ecc…) e subisce altrettante riflessioni parziali.

Nel complesso solo una parte dei fotoni incidenti raggiungerà effettivamente il materiale attivo. Inoltre la radiazione incidente sullo strato attivo sarà soggetta alla legge di Lambert-Beer, che è una legge esponenziale che esprime la quantità di luce non assorbita nel polimero in funzione della distanza dal piano di incidenza:

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24

Y3p7  YV*m(3q7r 1.16

dove z è la distanza dal piano di incidenza, I0 è l’intensità di luce incidente sul materiale attivo e α(λ) è il coefficiente di assorbimento del materiale attivo. Si può inoltre definire il parametro “lunghezza di diffusione” come

pZ  1/ S 1.17

che dice a quale distanza l’intensità della luce si è ridotta di un fattore 1/e.

Si noti che è determinante per il coefficiente di assorbimento di un materiale la dipendenza dalla lunghezza d’onda incidente.

Per garantire un buon funzionamento del dispositivo è di particolare interesse che il coefficiente di assorbimento abbia un valore il più possibile elevato. Nei materiali organici questo requisito è soddisfatto, infatti i valori tipici di α(λ) nel visibile arrivano a superare 105 cm-1. Ciò comporta che la radiazione sia quasi totalmente assorbita entro i primi 100 nm di spessore, un ordine di grandezza normalmente ottenuto con le tecniche di deposizione a disposizione.

Efficienza quantica esterna e responsività spettrale

Come precedentemente accennato, l’efficienza totale del dispositivo dipende criticamente dalle efficienze di tutti i singoli processi fisici aventi luogo all’interno del dispositivo. Ciò significa che il comportamento di un fotodiodo, in generale, è molto lontano da quello che sarebbe il suo comportamento ideale, ovvero non esistono fotodiodi che inviino realmente al circuito esterno un elettrone per ogni fotone incidente su di essi. Per descrivere il comportamento di un fotodiodo reale si utilizza solitamente il parametro efficienza quantica esterna (EQE), definita appunto come rapporto tra il numero di cariche che fluiscono nel circuito esterno e il numero di fotoni incidenti sul dispositivo per unità di tempo. L’EQE è dunque una quantità adimensionale e spesso viene espressa in percentuale (EQE%). In formule si ha:

1s1 u/_vt/  w3d7/Ф3d7 1.18

dove I è la corrente totale che fluisce nel circuito esterno, e è l’unità fondamentale di carica, P la potenza luminosa incidente sul dispositivo, hν l’energia del fotone, n(λ) è numero di cariche elettriche raccolte nel circuito esterno e Ф(λ) è il numero di fotoni assorbiti ad una determinata lunghezza d’onda.

E’ possibile esprimere l’EQE in termini di efficienze dei processi interni al dispositivo tenendo in conto quelli che sono i principali contributi, ovvero: l’efficienza di assorbimento del materiale attivo, che indichiamo con A, l’efficienza di dissociazione dell’eccitone, ηed, e l’efficienza di raccolta delle cariche agli elettrodi, Q. Risulta allora:

1s1  x R yZ R s 1.19

Il prodotto ηed * Q è definito come efficienza quantica interna, ηint.

L’efficienza Q dipende soprattutto dal contatto tra gli elettrodi e dal materiale attivo stesso, mentre l’efficienza di assorbimento A è funzione di molteplici variabili quali: matching tra spettro di assorbimento del materiale e spettro incidente, coefficiente di assorbimento del materiale, spessore dello strato attivo e riflessioni multiple interne al dispositivo dovute ai vari stati presenti nel fotodiodo (strati organici ed elettrodi). ηed è un parametro fortemente dipendente dalle caratteristiche intrinseche del fotodiodo, quali tipo e spessore del materiale attivo, campo elettrico intrinseco interno alla struttura, ecc.

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25

La responsività spettrale è un parametro che descrive quanta corrente fluisce nel circuito esterno per unità di potenza luminosa incidente. Il simbolo con cui indichiamo la responsività è SR(λ), dove è sottolineata la forte dipendenza della responsività dalla lunghezza d’onda. SR(λ) ed EQE sono in realtà due parametri simili e sono legati dalla relazione:

1s1  z63d7 _Gq 1.20

Infine è importante ricordare che non necessariamente i picchi dello spettro di assorbimento di un materiale attivo coincidono con quelli delle risposte spettrali di fotocorrente dei fotodiodi. In particolare, la risposta spettrale di un fotorivelatore può essere prevalentemente di tipo:

• simbatico; • antibatico.

Nel primo caso gli spettri di fotocorrente sono simili, in termini delle lunghezze d’onda di picco e di larghezza di riga, agli spettri di assorbimento del materiale polimerico attivo.

Si parla invece di risposta antibatica quando il picco di fotocorrente del materiale corrisponde a zone spettrali dove l’assorbimento ottico del materiale è minore.

Filling factor

In questo lavoro di tesi si porrà l’accento su fotodiodi organici operanti in regime fotovoltaico, ovvero in assenza di tensione esterna applicata. Tuttavia per completezza si descrive qui brevemente il parametro filling factor (FF), che come si vedrà dipende fortemente dalla tensione esterna applicata.

A tensione esterna applicata uguale a zero, corrisponde una corrente puramente fotoindotta, detta

corrente di corto circuito. Isc dipende soprattutto dalla mobilità delle cariche nel polimero e dalla

morfologia dello strato attivo. Applicando una tensione diretta si genera nel dispositivo una seconda corrente, detta corrente d’iniezione, e dovuta, appunto, al campo esterno. Le due correnti sono opposte, e tendono ad annullarsi al crescere della tensione diretta applicata. Il valore di tensione tale per cui la corrente d’iniezione e quella di cortocircuito si annullano, facendo sì che di fatto non scorra corrente nel fotodiodo, prende il nome di tensione di circuito aperto, e si indica con Voc. Per ciascun fotodiodo, Voc dipende fortemente dalla distanza HOMO-LUMO del materiale attivo ed in maniera più blanda dalle working function degli elettrodi. Il filling factor dà il rapporto tra il massimo della potenza elettrica realmente ottenibile nel fotodiodo e la potenza massima ideale (non ottenibile). In formule risulta:

{{  3Y\D\D7 3Y0GgG7m< 1.21

FF è un numero compreso tra 0 e 1, e valori più alti attestano una migliore qualità del dispositivo. Il FF viene spesso utilizzato per caratterizzare le celle solari; le migliori celle solari commerciali

hanno valori di FF di circa 0,7. 1.7.4 Geometrie

Nella figura 1.12 sono riportate due diverse geometrie di realizzazione dei dispositivi.

La geometria verticale è caratterizzata da una elevata capacità, ma la realizzazione è a basso costo e permette di avere un campo elettrico costante nel polimero. Per la relativa semplicità in termini di realizzazione, abbiamo creato dispositivi con tale geometria.

La geometria orizzontale è più costosa e dà luogo ad un campo elettrico non uniforme, ma ha il pregio di avere bassa capacità e la possibilità di avere il cammino ottico della luce disaccoppiato da

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26

quello elettrico delle cariche. Grazie a tale proprietà è possibile ottimizzare lo spessore verticale del polimero per ottenere un elevato assorbimento ottico, e la distanza tra gli elettrodi per avere una buona raccolta delle cariche fotogenerate.

Figura 1.12. a) Geometria verticale. b) Geometria orizzontale

1.7.5 Architetture multistrato Eterogiunzione a doppio strato

L’architettura a doppia eterogiunzione consiste nell’utilizzo di uno strato di materiale attivo (Donore) e di uno strato di elettron accettore, in contatto rispettivamente con gli elettrodi di ITO e di alluminio. Il [6,6]-phenyl C61 butyric acid methyl ester(PCBM), versione solubile del più noto fullerene C60, è uno degli elettron accettori più largamente utilizzati. Tale materiale permette il miglioramento della EQE attraverso l’ottimizzazione del processo di separazione dell’eccitone. Il procedimento si basa sulla creazione di un interfaccia Donore/Accettore dove il Donore è il materiale attivo mentre l’Accettore è il PCBM. Il processo coinvolge i livelli HOMO e LUMO di entrambi. I livelli di HOMO e LUMO dell’accettore devono essere più bassi in energia rispetto a quelli della specie Donore. In questo modo è favorito il trasferimento dell’elettrone, appartenente alla coppia elettrone-lacuna, dal materiale attivo al PCBM: i due portatori di carica sono in questo modo fisicamente separati poiché si trovano su molecole diverse, e ciò diminuisce efficacemente la probabilità di una loro ricombinazione.

Il dispositivo così realizzato mostra un miglior matching dei livelli energetici (Fig. 1.13), il quale si evidenzia con un miglior comportamento rettificante del diodo.

Figura1.13. Rappresentazione schematica dei livelli Donore/Accettore in unaarchitettura a doppio strato. Da notare il miglior matching dei livelli energetici con le interfacce degli elettrodi. Le bande sono graficate prima della formazione dell’interfaccia

Figura

Figura 1.3 Rappresentazione dei livelli energetici in seguito a formazione del legame tra due atomi di carbonio
Figura 1.8 Rappresentazione pittorica degli eccitoni caratterizzati da diverse energie di legame
Figura 1.16 Modellizzazione del funzionamento di un fotodiodo organico ibrido ITO/rr-P3HT:PCBM (1:1)/NaCl (o acqua Milli- Milli-Q)/Pt
Figura 2.7 Le diverse zone di una curva di sovratensione anodica-catodica: (I) zona di equilibrio (o di riposo) a corrente nulla; (II)  zona catodica logaritmica, con aumento finale della sovratensione (verso una sovratensione di concentrazione); III zona
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