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Analisi del mercato dell'arte etnica africana: andamento delle vendite in asta : caso studio Sotheby's

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale

(ordinamento ex D.M. 270/2004)

in Economia e Gestione delle Arti e

delle Attività Culturali

Tesi di Laurea

ANALISI DEL MERCATO

DELL’ARTE ETNICA AFRICANA:

ANDAMENTO DELLE VENDITE IN

ASTA.

CASO STUDIO SOTHEBY’S

Relatore

Ch.ma Prof.ssa Loriana Pelizzon

Correlatore

Ch.ma Prof.ssa Maria Luisa Ciminelli

Laureanda

Chiara Vezzoni

Matricola 822656

Anno Accademico

2013/2014

 

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INDICE

Introduzione p. 5

PARTE I

L’ARTE ETNICA AFRICANA

CAPITOLO 1

Colonialismo europeo p. 11

CAPITOLO 2

Che cosa si intende con arte etnica africana? p. 18

2.1 La definizione dell’arte etnica p. 18

2.2 L’arte etnica del continente africano p. 22

2.3 Arte africana: un’arte funzionale p. 33

2.4 Chi è l’autore? Problemi di attribuzione p. 38

CAPITOLO 3

Tipologie, forme e stili delle opere d’arte africana – Analisi degli elementi che costituiscono le categorie maggiormente poste in vendita nella aste analizzate

nel caso studio p. 41

3.1 Brevi considerazioni sull’arte dei diversi gruppi etnici p. 41

3.2 I materiali p. 50

3.3 La scultura p. 53

3.3.1 Le figure umane e le figure antenato p. 55

3.4 Le maschere p. 57

3.5 I copricapi p. 60

3.6 Le armi p. 61

3.7 Beni afferenti alla tipologia “Varie” p. 63

3.7.1 Gli altari cerimoniali e le statuette-amuleti p. 63

(3)

3.7.3 I pettini p. 65

3.7.4 I bracciali ed altri ornamenti p. 66

3.7.5 Contenitori, coppe e recipienti p. 67

3.8 Gli strumenti musicali p. 67

3.9 Il colore p. 68

CAPITOLO 4

L’arte etnica e le avanguardie del ‘900 p. 71

4.1 Brevi considerazioni sul primitivismo p. 71

4.2 Influenza dell’arte etnica africana nel continente europeo p. 74

4.3 La consacrazione dell’arte primitiva p. 81

PARTE II

ANALISI IN TERMINI ECONOMICI DELLA RECENTE

SITUAZIONE DELL’ARTE ETNICA AFRICANA:

UN CASO STUDIO

CAPITOLO 5

Terminologia e definizioni fondamentali dell’economia dell’arte p. 86

5.1 Che cos’è l’economia dell’arte? p. 86

5.2 Ciclo di vita di un’opera d’arte p. 92

5.3 Operatori del mondo dell’arte p. 95

CAPITOLO 6

Il mercato dell’arte p. 101

6.1 Breve analisi delle tipologie di classificazione

del mercato dell’arte p. 103

(4)

CAPITOLO 7

Quali variabili influenzano l’attuale mercato dell’arte?

Studiare l’arte secondo i principi del marketing mix p. 111

7.1 La determinazione del prezzo delle opere d’arte p. 113

CAPITOLO 8

Il sistema delle aste delle opere d’arte p. 120

8.1 Le aste tradizionali p. 120

8.2 Le aste online p. 133

CAPITOLO 9

Il mercato dell’arte etnica africana p. 140

9.1 Il pedigree di un’opera d’arte p. 148

CAPITOLO 10

Analisi delle vendite in asta delle opere d’arte etnica africana p. 151 CAPITOLO 11

Analisi del caso studio. Sotheby’s p. 163

11.1 Analisi della seduta dell’asta 16/05/08 p. 165

11.2 Analisi della seduta dell’asta 7/06/08 p. 166

11.3 Analisi della seduta dell’asta 14/11/08 p. 168

11.4 Analisi della seduta dell’asta 4/12/08 p. 169

11.5 Analisi della seduta dell’asta 15/05/09 I parte p. 170

11.6 Analisi della seduta dell’asta 15/05/09 II parte p. 172

11.7 Analisi della seduta dell’asta 17/06/09 I parte p. 174

11.8 Analisi della seduta dell’asta 17/06/09 II parte p. 175

11.9 Analisi della seduta dell’asta 3/12/09 p. 176

11.10 Analisi della seduta dell’asta 14/05/10 I parte p. 178

11.11 Analisi della seduta dell’asta 14/05/10 II parte p. 179

11.12 Analisi della seduta dell’asta 16/06/10 p. 180

(5)

11.14 Analisi della seduta dell’asta 30/11/10 II parte p. 183

11.15 Analisi della seduta dell’asta 13/05/11 I parte p. 185

11.16 Analisi della seduta dell’asta 13/05/11 II parte p. 186

11.17 Analisi della seduta dell’asta 15/06/11 I parte p. 188

11.18 Analisi della seduta dell’asta 15/06/11 II parte p. 189

11.19 Analisi della seduta dell’asta 14/12/11 p. 191

11.20 Analisi della seduta dell’asta 11/05/12 I parte p. 192

11.21 Analisi della seduta dell’asta 11/05/12 II parte p. 193

11.22 Analisi della seduta dell’asta 12/06/12 p. 195

11.23 Analisi della seduta dell’asta 12/12/12 p. 196

11.24 Analisi della seduta dell’asta 16/05/13 p. 198

11.25 Analisi della seduta dell’asta 18/06/13 I parte p. 199

11.26 Analisi della seduta dell’asta 18/06/13 II parte p. 200

11.27 Analisi della seduta dell’asta 15/11/13 p. 202

11.28 Analisi della seduta dell’asta 11/12/13 p. 203

11.29 Analisi dei risultati ottenuti p. 204

CAPITOLO 12

Effetto «Quai Branly» p. 212

12.1 Analisi degli effetti di mercato dopo la costituzione

del Musée du quai Branly p. 219

Conclusioni p. 223

Appendice p. 225

Bibliografia p. 284

(6)

INTRODUZIONE

Analisi del mercato dell’arte etnica africana: andamento delle vendite in asta. Caso studio Sotheby’s. Tale titolo racchiude in sé un lavoro che tocca due facce della

stessa medaglia: l’arte etnica africana. La prima è rappresentata dall’analisi di ciò che è considerato come arte dell’Africa Nera mentre, la seconda studia quanto gli oggetti di tale arte siano stati presentati e venduti nelle sedute d’asta della famosa casa d’aste Sotheby’s.

Quest’idea di tesi è il frutto di più interessi derivati da più attività svolte durante il percorso universitario. Prima fra tutti è risultata essere formativa l’esperienza di stage avuta nel Museo Diocesano di Vicenza che mi ha permesso di venire a contatto, da vicino e per la prima volta, con le opere d’arte etnica in particolar modo quelle africane. È forse grazie a quest’esperienza che ho imparato ad apprezzare maggiormente le diverse sfaccettature culturali proprie del continente africano. Per quanto concerne, invece, la seconda parte di tesi essa è forse il risultato della mia seconda esperienza di stage avuta in un centro espositivo dell’artigianato artistico vicentino -ViArt- poiché mi ha permesso di capire il valore di sia culturale che economico insito nelle diverse opere d’arte.

Altrettanto istruttivo si è dimostrato essere il corso in Pratiche curatoriali e arti contemporanee che ho frequentato durante quest’anno accademico che mi ha permesso di conoscere un aspetto importante dell’arte: le vendite in asta. Illuminante, durante questo corso, fu l’intervento di Filippo Lotti, Managing

Director e banditore d’asta, di Sotheby’s Milano che, dimostrando grande

passione sia per l’arte che per il suo lavoro, mi ha fatto capire che è effettivamente possibile riunire sotto una stessa sfera due aspetti tanto diversi: la cultura e l’economia.

Così, con questa volontà, nasce il mio progetto di tesi che ha lo scopo di analizzare per quanto concerne lo stesso argomento, l’arte etnica africana, entrambi questi due ambiti. Il percorso seguito si è articolato principalmente in due parti. La prima parte, L’arte etnica africana, in generale ha lo scopo di dare

(7)

più nozioni su ciò che si intende quando si parla di arte etnica ed analizza gli elementi che costituiscono le categorie maggiormente poste in vendita nelle aste analizzate nel caso studio, Sotheby’s.

Nell’affrontare il concetto di arte etnica africana si è partiti dall’elemento storico, per capire prima di tutto come e quando le popolazioni europee fossero entrate in contatto con oggetti etnografici.

Il percorso poi si snoda spiegando in primis che tipo di beni sono considerati come facenti parte dell’etichetta arte etnica per cercare di dare una definizione omogenea e coerente. Da qui, il focus si concentra verso l’arte etnica del continente africano poiché è proprio l’arte delle diverse etnie d’Africa a costituire l’oggetto di studio principale della presente tesi.

Ciò che è utile porre in evidenza è la fondamentale differenza dal punto di vista funzionale degli oggetti etnografici: nel parlare di arte etnica africana occorre sottolineare che la produzione di oggetti è particolarmente legata non solo alla religione ma anche a funzioni sociali. Ciò che dunque emerge è una netta differenza per quanto riguarda la concezione dell’arte africana che quindi non è sinonimo di storia dell’arte del continente africano ma piuttosto essa chiarisce la funzione di tali opere d’arte.

È forse in Chi è l’autore? Problemi di attribuzione che meglio emerge una differenza in termini di artisti: nel mondo occidentale acquista molta importanza l’autore dell’opera d’arte mentre, per gli oggetti di arte etnica esso non è particolarmente rilevante anzi, è quasi sempre sconosciuto.

Un ultimo capitolo della prima parte è stato dedicato all’analisi delle tipologie degli oggetti battuti in asta. Tale testo si presenta come elaborato e ricco di informazioni dal momento che intende dapprima esaminare i diversi gruppi etnici poiché le differenze tra etnie si rispecchiano nei manufatti da esse prodotti. In seguito, sono stati analizzati i diversi materiali che vengono utilizzati nella realizzazione di tali oggetti poiché anch’essi dipendono dalla tradizione dell’etnia di provenienza. Questi due primi paragrafi sono stati necessari per il mio percorso di tesi poiché rispecchiano le caratteristiche dei beni analizzati nel caso studio, infatti, essi (etnia e provenienza) sono due indicatori utilizzati per

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analizzare l’andamento delle aste Sotheby’s. Sono state in seguito descritte le categorie di oggetti che compaiono maggiormente in asta poiché rispetto all’arte occidentale presentano una connotazione diversa.

La seconda parte -Analisi in termini economici della recente situazione dell’arte etnica

africana: un caso studio- indaga l’andamento delle vendite in asta delle opere

afferenti al territorio africano per un periodo compreso tra gli anni 2008 e 2013 e, in aggiunta, cerca di porre in essere una proiezione futura sull’andamento di vendita di tali beni. Lo studio sostenuto per stendere tale parte di elaborato si è snodato facendo principalmente riferimento al fenomeno del collezionismo, dove la più corposa parte della domanda di beni d’arte è data dal collezionismo privato derivante da soggetti privati o famiglie, dal collezionismo di banche, fondazioni ed imprese, ovvero il collezionismo istituzionale ed, infine, dal collezionismo pubblico derivante dallo Stato e da altri soggetti come gli enti locali.

Nell’affrontare l’analisi è stato definito inizialmente il mercato in cui vengono scambiati oggetti d’arte etnica fornendo un quadro generale della sua struttura complessiva. È stato anche necessario dedicare un paragrafo ad un elemento importante in termini di arte etnica africana: il pedigree. Esso rappresenta una sorta di certificazione apposta dal mondo occidentale per ovviare alle carenze informative causate dalla natura stessa dell’oggetto d’arte etnica.

Il percorso si è poi soffermato nel capitolo Terminologia e definizioni fondamentali

dell’economia dell’arte in cui sono fornite alcune nozioni di base che mi hanno

permesso di avere una visione globale circa il mercato dell’arte: i suoi attori e le sue varianti. A partire dalla definizione di economia dell’arte, dall’identificazione degli operatori che in essa operano, al collezionismo, all’introduzione di elementi di marketing e dei fattori di determinazione del prezzo, siamo giunti a descrivere il mercato dell’arte etnica africana.

Dopo aver analizzato, anche se in modo sommario, il sistema delle aste di opere d’arte il progetto di tesi si è sviluppato ponendo in essere l’analisi delle diverse sedute d’asta che si sono succedute nella casa d’aste Sotheby’s nel periodo compreso tra il 2008 ed il 2013. L’elaborazione dei dati è stata effettuata

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mediante un insieme di analisi; il primo elemento ad essere stato studiato è il database, ovvero l’archivio dati disponibile online che mi ha dato la possibilità di creare tabelle contenenti le specifiche in relazione ai diversi lotti posti in asta. Sono stati in seguito selezionati solo i lotti di arte africana, che risultavano essere stati venduti solo nelle sedi della casa d’aste di Parigi e New York; da qui è sorta anche l’esigenza di uniformare la valuta riportata in euro. I dati estrapolati sono stati organizzati in tabelle suddivise ognuna per diversi criteri come, ad esempio, categorie di oggetti, prezzi di aggiudicazione, etnia… Queste stesse tabelle hanno rappresentato il punto di partenza dell’analisi vera e propria poiché sono state funzionali per la realizzazione dei grafici che illustrano l’andamento delle aste nelle diverse sedute d’asta.

Un’ultima analisi relativa all’andamento dei prezzi nell’attuale mercato dell’arte etnica africana è stata posta in relazione alla recente costituzione del Musée du quai Branly per capire se essa possa aver avuto degli effetti speculativi sui prezzi di mercato di tali opere d’arte.

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PARTE I

L’ARTE ETNICA AFRICANA

«Distrutti ad opera del colonialismo i motivi essenziali per cui un’opera d’arte veniva creata, determinatosi un trauma psicologico nei popoli appartenenti alle civiltà africane, cosa resta ora dell’antica sensibilità? Su quali linee e con quali ispirazioni potrà svilupparsi l’arte africana?»1

La storia dell’arte del continente africano è stata da sempre molto complessa ed il colonialismo europeo ha poi contribuito ad aggravare tale situazione. Come dice Frank Willet: «Quando si scrive sull’arte africana tradizionale generalmente si adopera il tempo presente, senza ripetere continuamente che in realtà ci si riferisce a un’epoca cronologica precisa. Si è così formata l’idea che l’arte africana non abbia mai conosciuto mutamenti fino all’impatto relativamente

recente di influssi esterni quali l’islamismo, il commercio e le missioni europee».2

È opportuno dire che le opere prodotte in questo continente hanno destato da

sempre molto interesse, curiosità e ammirazione nelle genti europee3 che con il

trascorrere del tempo hanno portato allo sviluppo di un sistema museale e di collezioni private. Quando un’opera d’arte africana viene spostata dal suo contesto d’origine per essere esposta in una sede museale ne riconosciamo spesso la vita occidentale ma, al contempo, la maggior parte delle volte siamo portati, noi visitatori, ad ignorare un insieme di elementi come, ad esempio, quelli legati alla sua realizzazione o anche solo più semplicemente ne ignoriamo l’autore. È dunque ovvio che tale mancanza crea inevitabilmente dei vuoti a livello sia culturale che informativo poiché, per quanto riguarda le opere d’arte africana che tradizionalmente vengono tramandate per via orale, colui o coloro                                                                                                                

1  Cfr, B. De Rachewiltz, Incontro con l’arte africana, Milano, Aldo Martello editore, 1959, p.12   2  Cfr, F. Willet, Arte africana, Torino, Einaudi, 1971, p.129  

3  M. L. Ciminelli, D’incanto in incanto. Storia del colonialismo di arte primitiva in occidente, Bologna,

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che ne detengono la memoria ad oggi sono scomparsi. In più, non è da sottovalutare il fatto che, le notizie giunte sino al mondo occidentale sono arrivate principalmente attraverso la parola delle popolazioni native con un’aggravante: esse sono state redatte da chi ha ottenuto tali nozioni con il possibile rischio che chi le ha acquisite le abbia riportate dopo aver introdotto, anche inconsciamente, schemi interpretativi derivanti dalla propria cultura d’origine. Il colonialismo culturale è quindi stato definito presente anche nel momento in cui molti etnologi hanno affermato che le opere d’arte africana non avevano una categoria corrispondente all’occidentale definizione di opera d’arte tale per cui i parametri che sono stati presi in considerazione per definirle tali

sono etnocentrici.4

Rilevanti in questo elaborato saranno anche i mutamenti di definizione in merito all’arte africana in quanto essa è stata assunta, in un primo momento, come arte

primitiva e poi come art nègre, arte tribale ed infine arte africana.

Ad oggi, è comunque opportuno sottolineare che, l’apporto in termini di informazione derivante dalle società africane è modesto ed in più esso è aggravato soprattutto dal fatto che anche l’attuale Africa vive in una situazione politico-economica drammatica e, per quanto concerne il materiale artistico, è fatto certo che gran parte delle opere d’arte tradizionali africane hanno ormai da tempo abbandonato il loro continente d’origine. Nel tentativo di porre un freno a questo fenomeno, nel 1970, si è tenuta la Convenzione UNESCO concernente le misure da adottare per interdire ed impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali. La direttiva ha stabilito il divieto, non assoluto, di trasferimento della proprietà, di importazione ed esportazione dei beni culturali; ha stabilito che l’esportazione del bene culturale deve essere accompagnata da un’autorizzazione e che eventuali beni rubati esposti in un

museo devo essere posti sotto sequestro.5

                                                                                                               

4 I. Bargna, Arte africana, l’arte e il sacro, Milano, Jaca book, 1998  

5  Convention on the Means of Prohibiting and Preventing the illecit import, export and transfer of ownership of cultural property 1970, http://portal.unesco.org  

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1. COLONIALISMO EUROPEO

«Nel 1800, l’Africa interna è ancora in gran parte sconosciuta al resto del mondo. Un secolo dopo il continente è già sotto il dominio delle grandi potenze coloniali. In quell’arco di tempo esploratori, missionari e avventurieri si addentrarono nelle regioni centrali, alla ricerca di fiumi, laghi, montagne. Scoprono animali e piante mai visti prima, redigono classificazioni, disegnano mappe. E stringono rapporti con gli africani […] aprendo la strada all’imperialismo europeo»6

La scarsa conoscenza europea delle società africane fu a lungo dovuta ai contatti quasi elusivamente costieri, cui per secoli si limitarono le relazioni fra questi due continenti. Un approfondimento d’importante rilevanza correlato a queste conoscenze si ottenne poi in due differenti modi: da un lato le esplorazioni geografiche a partire dall’Ottocento e dall’altro la penetrazione coloniale nelle regioni interne avviata all’inizio del diciannovesimo secolo.

È possibile dunque affermare che nel corso del diciannovesimo secolo le grandi potenze europee si spartirono l’intero continente africano e, dunque, tra il 1815 ed il 1915 le colonie d’Europa nel territorio africano passarono dal trentacinque all’ottantacinque per cento. Gli europei poterono così entrare in contatto con gli oggetti etnografici. In un primo momento questi oggetti vennero diffusi come

curiosità, o curios,7 più o meno esotiche da offrire al vasto pubblico che

partecipava alla grandi esposizioni universali,8 per fare un esempio, i grandi

villaggi indigeni allestiti a Parigi nel 1889 e, in questi stessi anni, gli oggetti

                                                                                                               

6  Cfr, A. Hugon, L’Africa, esploratori nel continente nero, Milano, Electa/galli, 1994, p.8   7  M. L. Ciminelli, op.cit., p.21  

8 Le esposizioni universali è il nome che identifica il gran numero di esposizioni tenutesi fin dalla metà del diciannovesimo secolo. Nei decenni successivi, tale denominazione venne associata indiscriminatamente a qualsiasi tipo di esposizione a carattere internazionale. In tempi recenti, invece, l’aggettivo universale viene utilizzato nel caso in cui vengano organizzati, ad esempio, Expo di categoria superiore ovviamente in contrasto con le esposizioni definite internazionali caratterizzate da più piccole dimensioni.

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etnografici vennero acquistati dai grandi collezionisti per musei, specifiche sedi espositive e case private.

«Le modalità di collezione, i testi e l’allestimento in varie sedi dei lavori creativi non occidentali definivano dei sistemi di autenticità che producevano, e più spesso imponevano, i significati all’interno degli ordini inclusivi dell’ideologia occidentale. Questo insieme di rappresentazioni, fossero esse raccolte etnografiche, pubblicazioni a stampa o padiglioni espositivi, costituivano degli

stili di autorità, all’interno dei quali si consumava l’esito dell’opera “primitiva”».9

La storia del colonialismo europeo in Africa, fu dunque una vicenda dai risvolti complessi: le popolazioni africane hanno rappresentato e rappresentano ancor oggi una società diversa, per quanto riguarda gli aspetti politico-economici e socio-culturali, rispetto all’odierno continente europeo.

Nei primi anni del ventesimo secolo, quando gli oggetti etnografici cominciarono ad essere percepiti come manufatti ad alto contenuto artistico, Parigi divenne il punto di incontro per la diffusione di idee e di una moltitudine di attività che conferirono all’arte africana un ruolo di primaria importanza nella formazione della sensibilità occidentale. Nella capitale francese l’arte africana fu all’inizio molto più influente di quella oceanica, in parte a causa della sua maggiore plasticità in termini di scultura ed in parte a causa dei grandi possedimenti coloniali francesi nel continente africano.

Come ha sottolineato J. B. Donne in Africa Art and Paris Studios 1905–1920 contenuto in Art in Society a cura di M. Greenlhagh e V. Megaw, New York 1978, pp. 105–120, quasi tutta l’arte Primitiva raccolta dai vari artisti parigini in questo periodo proveniva da territori francesi. Nel corso dei secoli, una grande varietà di oggetti tribali era entrata a far parte delle grandi collezioni parigine ed il loro numero era poi aumentato in seguito a due particolari eventi: il fervore del colonialismo francese e gli studi scientifici concomitanti a partire dal 1880.

È necessario comunque evidenziare che solo pochi degli oggetti che giunsero antecedentemente alla seconda metà del diciannovesimo secolo trovarono una                                                                                                                

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loro sistemazione nelle collezioni pubbliche. Delle raccolte di meraviglie10 francesi

istituite nel periodo rinascimentale nessun segno sembrerebbe sopravvivere; questi oggetti, collezionati da principi ed armatori per contenere gli strani idoli erano stati portati dall’Africa che in quegli anni era spesso stata descritta come

“terra da sempre conosciuta per produrre cose nuove e mostruose”.11

Nel 1850, fu costituito il Musée Naval del Louvre che, secondo l’inventario redatto nel 1956, conteneva quasi cinquecento oggetti etnografici spediti dalle compagnie situate oltremare che operavano sotto la protezione della marina di guerra francese. Questa istituzione conteneva un’ampia varietà di beni tra cui, soprattutto armi, copricapi, oggetti di pelle, attrezzi agricoli e strumenti musicali. Alcuni anni dopo, nel 1874, E. T. Hamy che era un assistente al Museum d’Histoire Naturelle ideò un piano «Per portare tutti insieme in un solo museo gli

oggetti tribali disseminati ovunque nei vari istituti e musei di stato».12

Seguì poi, nel 1878, l’apertura del Musée Etnographique Des Missions Scientifiques, il 23 Gennaio, che si tradusse nel primo risultato degli sforzi di Hamy per convincere il Ministero dell’Istruzione Pubblica del bisogno di dotare la città di Parigi di un’istituzione scientifica che si occupasse esclusivamente di radunare e classificare gli esemplari più rilevanti e rappresentativi che mostravano l’evoluzione delle tecniche dell’umanità. E così fu che gli oggetti etnografici, dopo esser stati frettolosamente radunati, furono esposti per sei settimane in tre stanze al secondo piano del Palais de l’industrie situato negli Champs Elysée anche se, essendo questa una collezione costituita prevalentemente da manufatti di civiltà asiatiche, fu allestita separatamente una sezione interamente dedicata sia all’Africa che all’Oceania.

                                                                                                               

10  Il termine raccolte di meraviglie è possibile associarlo alle Wunderkammer che è un’espressione

appartenente alla lingua tedesca. Si identificano in tal senso particolari ambienti in cui i vari collezionisti raccoglievano gli oggetti che reputavano strani o straordinari. Questi ambienti divennero noti e molti frequenti negli anni compresi tra il sedicesimo ed il diciottesimo secolo.

11  M. L. Ciminelli, op.cit., p.19  

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Evidente fu il successo di questo museo tanto che il direttore delle scienze e delle lettere, il Barone di Watteville, aprì un Salone di viaggi e di spedizioni

scientifiche all’Exposition Universelle del 1878.

Quasi contemporaneamente, fu allestita nell’ala destra del Trocadéro una mostra di oggetti etnografici di popoli non europei, le popolazioni appena citate erano quelle appartenenti al continente sia africano che americano.

In seguito, nel settembre del 1879, nell’atrio del parigino Teatro du Châtelet fu allestito per pochi mesi il Musée Africain che presentava molti manufatti fino ad includere nella sua collezione oggetti appartenenti alle regioni dell’Africa centrale, orientale e meridionale.

Il Ministero della Pubblica Istruzione si rivolse a Edouard Charton, editore di Le Tour du Monde e Charles Maunoir, segretario generale della Société de Géographie di Parigi, per ottenere la loro partecipazione alla commissione che aveva il compito di trovare dei locali dove depositare le collezioni radunate fin dal 1878 e, quindi, di aprire al pubblico, nelle sale del Trocadéro, il Musée d’Ethnographie stesso il 12 Aprile 1882.

In generale, è possibile notare come la dispersione degli oggetti, alla fine delle temporanee esposizioni che si succedevano, venne soprattutto a vantaggio del Museum d’Histoire Naturelle, delle Società Geografiche di Parigi e Roma e del Musée d’Ethnographie del Trocadéro.

Nel mese di marzo del 1887, fu messa all’asta, dopo quasi trent’anni di raccolta, la collezione privata di Bertin, un gioielliere parigino e tra gli acquirenti figurarono anche Emile Heymann che avrebbe poi aperto, nel 1896, un negozio di oggetti d’arte tribale in Rue de Rennes e il principe Ronald Bonaparte, futuro presidente del comitato esecutivo della Société de Geographie, la cui generosità rese possibile al Musée d’Ethnographie del Trocadéro di aumentare la sua collezione di arte oceanica.

In seguito, l’Exposition Universelle dell’anno 1889, ancora più di quella precedente, doveva dimostrare il desiderio dei suoi organizzatori di divulgare l’idea coloniale; così, il ministro della pubblica istruzione nel grande atrio del Palais des Arts Liberaux mise in evidenza l’importanza delle prime spedizioni

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“scientifiche” che erano state organizzate nel territorio africano sotto il suo patrocinio.

In generale, è possibile notare come nell’Europa occidentale fu riconosciuta la presenza di una grande arte in Africa attraverso vari elementi tra cui la perfetta padronanza tecnica di materiali rari, preziosi e durevoli, unita al talento degli artigiani. A testimonianza di ciò sono presenti numerosi scritti scientifici che già entro il 1900 offrono una descrizione di tale arte senza contare che, contemporaneamente, si cominciò ad avvertire una discreta competitività tra molti musei, etnografici e non, per ottenere gli esemplari più caratteristici di quest’arte. Non secondario, anzi quasi decisivo, fu il ruolo svolto dai mercanti nella diffusione di tali opere; ad esempio, basta solamente consultare i cataloghi delle aste, pubblicate da W. D. Webstern, per esserne pienamente convinti: nei trentun volumi pubblicati tra il 1895 ed il 1901 sono descritti ed illustrati non meno di 546 oggetti provenienti dal regno del Benin.

Relativamente poca documentazione pone in evidenza l’attenzione rivolta all’arte etnica da parte degli artisti moderni europei e da quelli che gravitano attorno a loro tra i primi anni novanta del Novecento ed il 1905, l’anno che in genere viene considerato come l’inizio dell’interesse dell’avanguardia per l’art nègre.

Per quanto riguarda il periodo a cavallo del secolo 1897 ed il 1903, l’assenza di dati reali verificati non può tuttavia giustificare l’ipotesi che il riconoscimento di tale da parte degli artisti moderni sia stato il risultato di un improvviso e casuale incontro. Fu, nel 1905, l’artista Maurice de Vlaminck il primo a riconoscere il

valore dell’art nègre;13 non v’è dubbio che Picasso vide alcuni pezzi di quest’arte

tra l’autunno del 1906 e la primavera dell’anno seguente, ma solo nel giugno del 1907 egli dimostrò un reale interesse per l’arte tribale. Nonostante tutto, non si dovrebbe sottovalutare l’importanza dell’esperienza vissuta da Picasso nella visita al Tròcadero risalente al 1907; senza contraddire quanto già riportato è necessario sottolineare che questa visita rivelò a Picasso un significato ed una dimensione dell’arte primitiva che fino a quel momento aveva ignorato.                                                                                                                

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Nell’anno 1907 la sala dedicata all’arte africana del Tròcadero era simile ad un magazzino sovraffollato e in tale sede i vari oggetti erano posizionati in modo non ordinato ma, anzi, molto casuale.

Dal 16 maggio 1913 al 15 giugno 1913 alle Gallerie Levesque ebbe luogo la prima mostra nella quale erano esposte le collezioni di Charles Vignier, mostra in cui la scultura africana fu esplicitamente definita come tale. Alla fine degli anni venti del novecento, essendo Vignier amico di George Henry Rivière, fu in grado di dare un grande apporto alla riorganizzazione della Sociètè des Amis du Musèe d’Ethnographie du Tròcadero. Nel catalogo afferente alla mostra tenutasi alle Galeries Levesque venivano ascritti all’art nègre tutti i circa venti oggetti africani

ed un feticcio di legno annerito della nuova Guinea.14

Fondamentale diviene poi il ruolo giocato da Paul Guillaume, che durante il periodo delle due guerre mondiali divenne un prestigioso mercante e collezionista di arte africana; infatti Guillaume, essendo molto interessato ai prodotti culturali tradizionali africani, contribuì alla separazione tra la concezione etnografica e museografica del suo tempo.

È dunque il termine art nègre, un’espressione attraverso il quale, nel corso del tempo, si è tradotto ciò che per tanti anni è stato assunto dalle genti occidentali come l’estraneo o il diverso e ciò è testimoniato dal fatto che entrambe i termini fondano le loro radici in occidente. È dunque opportuno dire che questa tipologia d’arte è stata consacrata nel ventesimo secolo in Europa, sotto l’impulso dato dalle avanguardie artistiche del ‘900. Infatti, è possibile ancora dire che, per quanto concerne l’arte africana, essa è una realtà che si è istituita in tempi successivi rispetto agli oggetti che essa incorpora, per questo motivo viene definita come artificiale e, d’altro canto, è assoggettata anche da un altro aggettivo quale interculturale poiché tale arte assume in una delle sue condizioni di esistenza l’interesse che l’occidente stesso ha avuto nei suoi confronti, ovvero

essa «Trova nella ricezione occidentale una delle sue condizioni di esistenza».15

                                                                                                               

14  Art Nègre, http://www.universalis.fr/encyclopedie/art-negre   15  Cfr, I. Bargna, Arte africana, cit., p.8  

(18)

Concludendo, è possibile porre in evidenza come l’estensione e la successiva definizione di arte africana sono variate con il passare del tempo e ciò ha fatto emergere, di volta in volta, l’inclusione ed esclusione di diverse aree geografiche, oggetti e culture differenti. Ad esempio, le scale in legno fino ad una decina di anni fa non erano comprese all’interno della categoria degli oggetti d’arte ma oggi ne fanno parte. A testimonianza di quanto detto è utile fare riferimento anche a ciò che afferma Ivan Bargna: «La grande esposizione londinese Africa

’95: the Art of a Continent ha manifestato in modo evidente le tensioni fra i diversi

paradigmi che attualmente danno forma all’arte africana: arte egizia, islamica e subsahariana (non senza resistenze) hanno trovato posto nello stesso contenitore, sciogliendo vecchie alleanze geopolitiche e allacciandone di nuove, mentre le opere del XX secolo, che più avrebbero mostrato l’influenza euro-americana all’interno delle arti africane, non sono state ammesse (malgrado le richieste) ma

ospitate in manifestazioni parallele e di contorno».16

                                                                                                               

(19)

2. CHE COSA SI INTENDE CON ARTE ETNICA AFRICANA?

2.1 DEFINIZIONE DELL’ARTE ETNICA

«Il concetto di diversità culturale, che la moderna antropologia culturale ha introdotto nello studio delle scienze sociali e delle manifestazioni dell’ingegno popolare, può ben applicarsi nell’approccio all’arte africana, intesa come forma non di cultura “inferiore” ma diversamente strutturata. Anche l’apparente semplicità non è vista come povertà creativa, ma come una cifra stilistica di qualità che la concezione moderna dell’arte ha individuato come valore». 17

Qualità comune a tutta l’arte etnologica è l’affinità alle differenti sfere culturali che hanno il compito di disciplinare l’insieme di attività sia sociali che rituali di un determinato gruppo o di una determinata etnia. È dunque l’arte etnologica di forte valore sociale poiché essa è insita in credenze, valori e nel patrimonio delle

differenti etnie.18 Quando si parla di arte etnica si fa riferimento ad un insieme di

opere che non sono troppo conosciute neanche dallo stesso mondo dell’arte e, a tal proposito, è necessario esemplificare ciò che si intende quando si parla di opera d’arte etnica. Con opera d’arte, in generale, si fa riferimento a qualunque tipo di manufatto che viene considerato come un’eccellente prodotto dell’attività umana, ovvero con tale termine si individua tutto un insieme di beni che sono stati acquistati da musei, o collezionati da molti altri individui poiché considerati come espressioni della cultura materiale di un particolare uso rituale di un popolo. Nonostante ciò, sono considerate opere d’arte anche tutti quei beni che sono caratterizzati da particolari elementi quali: un rilievo estetico oppure, una particolare attenzione formale se presi in considerazione nei loro territori di appartenenza mentre, negli altri Paesi assumono valenza come elementi di arredo, ornamenti od elementi destinati alla celebrazione del culto.

                                                                                                               

17  Cfr, T. Sicoli, L’Africa dentro di noi, http://www.africarte.it/editoriale/008toninosicoli.htm   18  E. Cossa, Arte africana, Art dossier, Milano, Giunti, 1989  

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All’opera d’arte etnica talvolta viene associato un altro aggettivo: tradizionale; esso definisce l’insieme delle opere che non state create espressamente per il mercato dell’arte ma che invece sono state realizzate per usi rituali, estetici e politici delle società africane del passato. È dunque questo termine preso in considerazione per indicare tutta un’intera tipologia di opere che non sono assoggettate ad una definita e più appropriata categoria, anche se, è necessario tenere sempre in considerazione che in tale terminologia risiedono un insieme di

caratteri legati tanto all’ambiguità quanto alla generalità della stessa.19

Invece, per meglio spiegare ciò che si intende con l’ultimo aggettivo preso in questa sede in considerazione, ci si riferisce al fatto che il termine etnico sta ad indicare: «Un discorso più complesso perché ci troviamo oggi in una fase culturale in cui la rapida estensione, a livello planetario, del modello culturale dell’Occidente capitalistico ha prodotto la progressiva, e per molti versi definitiva, omologazione delle culture indigene alla forma di sottoinsiemi regionali, più o meno grandi, di un unico orizzonte culturale, i cui elementi distintivi vengono incessantemente diffusi e sostenuti dai moderni sistemi di

comunicazione di massa».20

È utile porre in evidenza come la maggior parte delle opere che si trovano nei musei rappresentano l’espressione di un’arte che ad oggi non è più totalmente esistente. Sebbene queste considerazioni portino a guardare a tali beni come opere d’arte etnica tutti gli oggetti che qui troveremo sono stati riportati prendendo in considerazione il fatto che «I significati ed i valori di cui sono portatrici le opere che potremmo chiamare “tradizionali” […] possono differire, anche sostanzialmente, da quelli che contraddistinguono le realizzazioni più

recenti».21

Spesso all’arte etnica è stata associata la dicitura di arte primitiva e, come affermano Maurizio Biordi e Guido Candela: «Con arte primitiva s’intende l’arte delle società che mancano di un linguaggio scritto. Tuttavia questo termine                                                                                                                

19  E. Bassani, Arte africana, Milano, Skira, 2012  

20  Cfr, G.Candela e M.Biordi, L’arte etnica tra cultura e mercato, Ginevra-Milano, Skira, 2007, p.49   21  Ivi, p.50  

(21)

richiama un’espressione culturale rozza e ridotte capacità tecniche, limitazioni

che quest’arte certamente non possiede».22 L’arte etnica è quindi da sempre stata

presa in considerazione anche attraverso un altro insieme di termini non appropriati alle sue caratteristiche come, ad esempio, l’esotico; ancora, l’arte etnica è stata altresì definita come l’arte extraeuropea, non occidentale, etnologica e tribale. Per definizione, dunque, in anni passati veniva indicata con la generale etichetta arte primitiva quella moltitudine di espressioni artistiche delle popolazioni caratterizzate dall’assenza di un linguaggio scritto; è utile in questo senso far notare che, come già detto in precedenza, il termine primitivo rimanda ad un’idea negativa ed arretrata tanto che ad oggi si preferisce associare a questa tipologia d’arte l’etichetta arte primaria.

Fra i popoli caratterizzati dall’assenza di linguaggio scritto che hanno maggiormente stimolato l’interesse occidentale si riscontrano tutte quelle popolazioni afferenti ai territori del Perù Antico, del Messico, dei nativi sia dell’America che dell’Australia, della Polinesia, Melanesia e Micronesia, ovvero particolari zone del continente Oceanico ed, infine, quelle dell’Africa sub-sahariana. In generale, è possibile dire che le opere d’arte etnica vanno valutate secondo una moltitudine di criteri quali la forma, la funzione, il valore, il significato ed, infine, il contesto. Per quanto concerne la forma è utile dire che l’occhio occidentale è portato ad indagare l’opera d’arte proposta secondo l’uso, ovvero secondo la funzione associata all’opera stessa. In questo senso si fa dunque riferimento ad un duplice elemento: una descrizione figurativa ed una descrizione linguistica. Tali opere sono oggetti che “servono a qualcosa” e molto spesso la loro funzionalità è espressa dalla forma che gli è stata data, quindi, essendo spesso la qualità dei materiali utilizzati nella costruzione di tali beni molto buona, questo fattore permette agli occidentali di classificare tale oggetto come opera d’arte. Sovente accade dunque che il giudizio espresso dal mondo occidentale sia errato poiché, quando ci si rapporta con questa tipologia di opere, ci si scontra immediatamente con la loro intrinseca multifunzionalità,                                                                                                                

(22)

ovvero con un carattere proprio di queste opere che si traduce in una complicata sovrapposizione funzionale. Quest’incertezza è dunque aggravata anche dal fatto che un’opera d’arte può esprimere una funzionalità diversa da quella per cui è stata costituita.

Per quanto concerne il significato, invece, s’identifica con tale termine il contenuto che l’opera stessa vuole trasmettere. Anche in questo caso ciò che forma il significato dipende da più fattori quali, distinguendoli in macro-classi, gli elementi concreti e quelli astratti. Quando si pensa agli elementi concreti si fa riferimento, ad esempio, ai materiali che costituiscono l’opera stessa mentre, prendendo in considerazione gli elementi astratti si fa riferimento alle tecniche di realizzazione del manufatto, all’estetica, all’elemento sia sociale che economico ed, infine all’elemento storico. Mentre, per quanto riguarda il fattore valore, esso definisce l’importanza che viene associata ad un particolare oggetto; il valore può essere assoggettato a diverse determinanti quali, ad esempio, il valore simbolico, strumentale, monetario, giuridico, affettivo o identitario. È utile dunque in questa sede specificare che «Una maschera mantiene, per così dire, “in potenza” i significati e i valori che possedeva nell’atto della sua realizzazione e possiede anche i significati e i valori che le sono stati assegnati nel corso del tempo, ad esempio, in virtù del suo essere stata, di volta in volta: merce (significato) venduta per una certa quantità di franchi francesi (valore economico) nella bottega di un antiquario parigino; raffinata e preziosa (significato ideologico ed economico) opera d’arte (significato) appesa alle pareti della casa di un artista surrealista; documento (significato) di una cultura esposto nella sala di un museo antropologico come pretesto (significato) per presentare meglio possibile (valore)

il tema del mascheramento».23 In base dunque a quanto affermato è opportuno

dire che, facendo riferimento al fattore contesto, quando l’opera d’arte viene presa e spostata dal suo “habitat” naturale per essere posta, ad esempio, all’interno di una determinata sede museale essa assume un significato ed al contempo un valore diverso.

                                                                                                               

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2.2 L’ARTE ETNICA DEL CONTINENTE AFRICANO

«Quando rientro a casa, e mi siedo al caminetto per meditare e fumare, le nove statue negre che mi circondano costituiscono la lezione di umiltà che ogni pittore d’oggi dovrebbe ripetersi: ciò che abbiamo dichiarato per secoli inferiore alla nostra cultura possiede più fascino, più verità e più arte delle nostre misere immagini sacre. Picasso ha tentato di capirlo: copiò una statua negra; fu il solo quadro suo che accettò come opera d’arte; d’altronde gli diedi in cambio un teschio di cavallo, per la sua fantasia di classicità mal digerita»24

L’arte africana è una tipologia d’arte che potremmo identificare come di

concetto, o arte concettuale,25 poiché i beni afferenti al territorio africano non

sono concepiti con lo scopo di aderire a modelli naturali prefissati ma essi vengono realizzati per rispondere alle necessità sia intellettuali che simboliche di una determinata comunità. Ciò che ne risulta sono beni caratterizzati da un complesso sistema di concetti e forme perciò ad essi viene associata anche la definizione di “concetti significanti”. Per avvalorare tale definizione è necessario porre attenzione a ciò che dice Frank Willet in merito all’arte africana, infatti, egli afferma: «[…] In Africa non esiste l’arte per l’arte e tutta l’arte africana è religiosa. Quando i critici parlano dell’arte per l’arte vogliono dire che l’artista fa un’opera valida per se stessa, senza un secondo fine di istruire o di edificare, un’opera nella quale l’artista si preoccupa esclusivamente di risolvere problemi

artistici di composizione, colore o forma».26 Proprio di fondamentale importanza

risulta essere tale affermazione per spiegare l’arte del continente africano poiché il risultato, ovvero i beni d’arte etnica africana, assolvono a fini sia sociali che religiosi e ciò è testimoniato anche dal fatto che anche solo nel momento in cui

                                                                                                               

24  Cfr, G. Mandel, Ultima lezione: Arte dell’Africa nera,

http://www.antropologiaartesacra.it/scritti20%in%20PDF/GABRIELEMANDELArteAfricana_Ulti maLezioneBrera.pdf  

25  E. Cossa, Arte africana, Art dossier, op. cit, p.20   26  Cfr, F. Willet, Arte africana, cit., p.94-95  

(24)

viene realizzato un manufatto l’attività scultorea stessa è accompagnata da riti.27

In Africa non esiste dunque l’arte per l’arte poiché ogni bene che viene creato assolve a finalità proprie di una determinata comunità.

In generale, nell’analizzare l’arte africana, è utile partire dall’assunto che l’apprezzamento da parte del mondo occidentale in riferimento a tale arte è cambiato con il passare del tempo. Per quanto concerne i sistemi espositivi e le tipologie di opere esposte è necessario sottolineare che è stato registrato un forte cambiamento, o meglio una forte evoluzione, che si è con il passare del tempo tradotta nel mutamento che ha trasformato queste istituzioni, i musei etnografici, in veri e propri musei d’arte in cui le opere contenute sono state elevate a testimonianza della creatività umana; tale ambiguità, ovvero arte-etnografia, sembra però non essere stata superata nel caso del moderno Musée du quai Branly di Parigi in cui le opere, soprattutto nella sala espositiva permanente, non sono apprezzabili nella loro unicità di opere d’arte poiché il numero di manufatti presentati è elevato, anche se ciò verrà meglio spiegato nei capitoli successivi di

questo elaborato.28

In generale, è dunque possibile affermare che sia la vita delle opere d’arte africana che la storia di codesto continente si sono svolte all’esterno dell’Africa per poi finire con l’appartenerle. Ad oggi, infatti, si parla di opere d’arte etnica africana soprattutto grazie all’arrivo nelle terre occidentali di determinati oggetti ed è appunto così che i manufatti sono arrivati nelle nostre terre destando talvolta curiosità o talvolta disprezzo, così come è avvenuto inizialmente nel caso dei feticci; tali beni sono divenuti poi oggetti di documentazione prima classificati come oggetti naturalistici e poi come etnografici.

Quando si fa riferimento all’arte etnica africana le aree stilistico-culturali prese in considerazione sono quelle che comprendono il territorio dell’Africa Nera. In generale, è possibile affermare che le ricerche e le conseguenti scoperte paleontologiche hanno definito che nel territorio africano la presenza dell’uomo è stata registrata in tutte le epoche. In questo senso, è utile porre in evidenza che                                                                                                                

27  Ibidem  

(25)

fino all’epoca precoloniale le popolazioni africane, costituite da molti individui divisi in altrettanti gruppi etnici, erano caratterizzate da diversi tratti culturali e che quindi solo dopo la conquista europea queste sono state forzatamente raggruppate nei moderni Stati che costituiscono l’attuale continente africano. È dunque vero che l’attuale Africa presenta al suo interno un insieme di genti che in anni passati disponevano di uno specifico nome, di una linguistica propria così come propria e diversa era l’eredità che tra loro si tramandavano.

Dal punto di vista storico-cronologico e nonostante una grande vastità è possibile individuare, anche se in modo convenzionale, tre raggruppamenti

culturali: l’arte rupestre,29 l’arte archeologica e l’arte tribale. Per quanto concerne

l’arte rupestre essa è individuabile nelle zone comprese tra il deserto del Sahara e la zona del Sudafrica e della Tanzania. La popolazione stanziata in questa macro-zona è quella degli antenati degli attuali Bosciamani, ovvero, il popolo che aveva realizzato una moltitudine di graffiti, un insieme di pitture raffiguranti la fauna che in fasi arcaiche avevano cacciato gli abitanti di tale area e le figure umane. In una seguente fase, quella pastorale, l’arte rupestre era invece stata caratterizzata da un forte elemento naturalistico abbandonato in seguito per la realizzazione di altre opere segnate da dinamismo e un accentuato cromatismo.

Per quanto riguarda la fase dell’arte archeologica, invece, essa è sempre stata caratterizzata da elementi aulici e si è sviluppata nei territori compresi tra il golfo di Guinea ed il Sahara meridionale. Tale arte è stata caratterizzata dall’utilizzo di alcuni particolari materiali come il bronzo, il metallo e la pietra.

Infine, per quanto concerne l’arte tribale essa è storicamente conosciuta anche come Arte Nera, anche se, agli inizi del Novecento veniva indicata anche come Arte Negra ed essa, oltre a presentare in particolar modo la scultura lignea, era presente in tutti quei territori afferenti all’area meridionale del deserto del Sahara. Tale arte risale ai secoli compresi tra il diciannovesimo ed il ventesimo                                                                                                                

29  Con il termine arte rupestre si identifica quell’insieme di incisioni e pitture eseguite su pareti

rocciose risalenti all’epoca storica o preistorica. In generale è possibile affermare che tale arte è presente in moltissime regioni del mondo, anche se, è fatto noto che l’arte rupestre del continente africano ha dato un grandissimo apporto all’intero mondo poiché le sue incisioni hanno permesso di scorgere l’evoluzione dell’essere umano dall’età più arcaica all’epoca storica.  

(26)

ed è dunque possibile affermare che essa sia stata quella che maggiormente ha

incuriosito e, come vedremo influenzato, le genti del mondo occidentale.30

È dunque l’arte etnica, in particolar modo quella afferente al territorio africano, un’arte che generalmente presenta un insieme sia di valenze simboliche che valenze legate all’ambito religioso ed essa è un’arte caratterizzata dall’anonimato poiché la personalità che produce questi beni, di norma l’artista-artigiano, li realizza secondo particolari tradizioni legate agli usi ed ai costumi della sua comunità di appartenenza; è dunque evidente che, a differenza del mondo occidentale, per l’arte etnica africana non è importante sottolineare chi è l’artista dell’opera ma risulta di fondamentale importanza l’opera stessa. L’arte in questo territorio dunque non prevede distinzioni sia a livello concettuale che a livello istituzionale poiché non ci sono né artisti né opere d’arte.

Dopo aver analizzato un insieme variegato di beni afferenti all’arte africana è possibile dire che, generalmente, ci si trova di fronte ad oggetti che inglobano in un unico manufatto più elementi: quelli superficiali, quali l’estetica, e al contempo i valori funzionali che comprendono, ad esempio, l’uso di codesti beni per i riti sia religiosi che sociali.

Il continente africano ha visto contrapporsi nel tempo due differenti visioni: la prima che vedeva lo schieramento di tutti quegli individui che sostenevano che “se un’opera d’arte è bella, è bella e basta” mentre, la seconda concezione assumeva che è necessario indagare ogni principio che si trova alla base di ogni singolo oggetto facendo altresì riferimento alle dinamiche culturali di ogni gruppo etnico entro il quale un determinato manufatto è stato creato. Entrambe le visioni permettono di evidenziare uno dei punti di forza di un oggetto d’arte etnica, ovvero la complessità dei punti di vista dai quali quest’arte può essere vista, interpretata e capita.

L’antropologia culturale,31 soprattutto grazie all’opera di Franz Boas,32 si è

sviluppata all’inizio del ventesimo secolo negli Stati Uniti come una branca delle                                                                                                                

30  G.Candela e M.Biordi, L’arte etnica tra cultura e mercato, cit.  

31   L’antropologia culturale, nata intorno alla seconda metà dell’Ottocento, scaturisce

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scienze antropologiche. Lo stesso Tylor,33 nel 1871, aveva indicato come cultura34

«Un insieme complesso che include tutte le capacità e abitudini che l’uomo acquisisce come membro di una società, a fianco di conoscenze, credenze,

diritto, morale e costumi, c’è un posto anche per l’arte».35 Una delle

caratteristiche fondamentali di quest’antropologia deriva dal fatto che essa presenta il mondo come composto da un insieme di culture tra le quali non è possibile stabilire una gerarchia. In generale, è possibile dire che quando l’arte è stata studiata dagli antropologi essa è stata da loro definita come fortemente collegata ai popoli ed alle culture di cui è parte; è l’arte stata dunque assunta come un variegato insieme di oggetti e di immagini cui viene associato in genere un valore simbolico, comunicativo ed estetico. Nonostante ciò, l’aspetto dell’arte che è stato maggiormente preso in considerazione è rappresentato dal ruolo che l’arte stessa ha svolto in merito alle società tradizionali tramite due diverse valenze: da un lato essa ha favorito l’integrazione psicologica delle diverse società e dall’altro ha consentito la trasmissione dei saperi, da un soggetto ad un altro, attraverso l’uso di varie immagini e di una moltitudine di oggetti.

L’antropologia culturale, quindi, si basa sul relativismo culturale, secondo cui ogni cultura ha valorizzato, nel corso del tempo, un determinato tipo di segni distintivi e tratti culturali; il relativismo culturale si riferisce dunque al fatto che ogni cultura è unica e differente e, quindi, non sussiste un sistema per definire quali culture sono superiori od inferiori alle altre, ovvero non esiste un sistema

gerarchico.36

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                popoli extra-europei, per poi estendere il suo ambito di studio anche a tutti gli individui di altri Paesi, o meglio, a tutti gli esseri umani; l’ambito d’azione dell’antropologia culturale è, in generale, la vita sociale vissuta da tutti gli individui stanziati in un determinato territorio ed aventi determinate tradizioni, usi e costumi ed, infine, valori.

32  Franz Boas è un antropologo di origine tedesca ed è considerato uno dei pionieri della

moderna antropologia.  

33  Edward Burnett Tylor è un antropologo nato a Londra nel 1832 e morto nel 1917.  

34  Nel famoso saggio Primitive Culture Tylor definisce il concetto di cultura intesa sia come

soggetto storico dell’evoluzione umana e sia come patrimonio collettivo di un definito gruppo come, ad esmpio, una determinata etnia.  

35  Cfr, I. Bargna, (a cura di), Arte, Annuario di Antropologia, XI (13), Milano, Ledizioni, 2011, p.7   36  C. Marta, Relazioni interetniche. Prospettive antropologiche, Napoli, Guida editori, 2005  

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La comprensione delle opere di arte etnica richiede, da parte di chi le osserva, una grande apertura mentale che consenta agli spettatori occidentali di associare l’esperienza estetica con l’informazione nell’ambito etnografico. In generale, è

utile far riferimento a quanto detto da Ivan Bargna:37 «All’etnologo però non

potremmo chiedere di darci una presa diretta su una realtà vivente, di reinserire l’opera nel suo contesto originario come se niente fosse accaduto, di ridare al nostro occhio una verginità che non ha mai avuto, di vedere attraverso la maschera con gli occhi dell’indigeno. L’etnologo infatti non è colui che può restituirci le altre culture nella propria purezza: l’andare sul posto non fa di lui un indigeno e se lo facesse, se lo rendesse in tutto e per tutto eguale agli Africani su cui ci vuol informare, finiremmo per perderlo. Passando dall’altra parte, non getterebbe fra noi e loro alcun ponte, ma lascerebbe immutata la situazione di

partenza».38 Per quanto concerne, quindi, la figura dell’antropologo egli non

potrà non essere influenzato dalla sua stessa cultura e, la comprensione della nuova realtà lo porterà inevitabilmente a studiarla attraverso termini di comparazione. In questo senso, un ruolo di fondamentale importanza è occupato

da un altro elemento: l’etno-estetica.39 Tale materia è una branca dell’etnologia il

cui scopo principale è il riconoscimento e la successiva ricostruzione dell’estetica dell’arte etnica, in particolar modo, essa mira all’individuazione ed allo studio delle differenze, soprattutto a livello formale, dell’arte etnica rispetto all’estetica del mondo occidentale. Da molti anni è però cambiata la situazione in merito all’antropologia dell’arte, in quanto, essa non è più stata assunta come lo studio dell’arte etnica o tribale e meno ancora in riferimento all’arte primitiva e, come afferma Ivan Bargna: «Negli ultimi venti anni lo sguardo si è così spostato da una visione dell’arte come fattore funzionale al mantenimento dell’equilibrio sociale,                                                                                                                

37  Ivan Bargna è nato a Como e si è laureato in filosofia all’Università di Milano. Ha frequentato

con continuità l’arte africana fin dalla giovane età. È un ricercatore all’Università Bicocca di Milano ed in questa sede insegna Antropologia estetica e Storia dell’antropologia. Egli è poi insegnante di Antropologia culturale all’Università Bocconi di Milano e di Antropologia Visuale alla Nuova Accademia di Belle Arti a Milano. Nel corso dei suoi studi si è dedicato in particolar modo all’estetica e al simbolismo delle sculture Igbo e Yoruba.  

38  Cfr, I. Bargna, Arte Africana, L’arte e il sacro, Milano, Jaca Book, 1998, p.11 39  I. Bargna, Arte africana, cit.  

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a un’altra che vede nell’arte lo strumento e l’arena di dissidi e conflitti politici, di rivendicazioni sociali e culturali. Allo studio delle “società tradizionali” è subentrato quello delle società tardo moderne e postcoloniali attraversate dai flussi della globalizzazione e da nuove forme di costruzione della località, di

transnazionalità e cosmopolitismo discrepante».40

Le arti africane erano state classificate come “primitive” e questa definizione implicava due elementi: in primo luogo la concezione della relazione tra le differenti società che permetteva di qualificarne alcune come primitive, mentre le altre come evolute; in questa prima classificazione si stava facendo riferimento alla teoria evoluzionistica della società. In secondo luogo, si faceva riferimento ad una concezione della relazione tra l’arte e la società che la produceva che consentiva, a sua volta, di trasferire l’aggettivo “primitivo”, da una società alla sua arte; questo secondo elemento fa dunque riferimento al fatto che una società,

producendo la sua arte, ne trasmetteva anche le sue caratteristiche.41

Con arte primitiva, dunque, si fa riferimento a tutte le forme d’arte delle società che non contemplano il linguaggio scritto ma, di generazione in generazione, le

tradizioni vengono tramandate in via orale.42 Con arte primitiva africana si fa

riferimento anche alla tendenza del mondo occidentale, o meglio alla sua arte moderna, di prendere spunto da questi anonimi artisti ed alla sua capacità di

rifarsi alle forme ed agli altri stili espressivi del continente africano.43

Paul Gauguin fu uno dei pittori che, in anni passati, maggiormente si avvicinò a questo mondo, riconoscendone nella cultura non solo una semplice forma espressiva ma anche uno stile di vita definito da egli stesso “felice ed equilibrato”; Gauguin, infatti, annunciò nel 1890 al pittore Emile Bernard l’intenzione di voler andare a vivere a Tahiti «Come un uomo che si ritira dal                                                                                                                

40  Cfr, I. Bargna, (a cura di), Arte, Annuario di Antropologia, XI (13), cit., p.8   41  A. Kuper, Società primitive, Enciclopedia delle scienze sociali,

www.treccani.it/enciclopedia/societa-primitive_(Enciclopedia_delle_scienze_sociali)#  

42  E. Franchi, Arte etnica…arte primitiva?,

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