«Nel caso dell’arte africana, il suo stesso carattere e l’anonimato della sua produzione ci impedisce di classificare le opere secondo i singoli artisti. Tuttavia ci è egualmente agevole distinguere la mano di un maestro e della sua scuola tradizionale dalle produzioni mediocri che possono tutt’altro avere, e non sempre, un semplice interesse etnografico».65
Recenti, ma soprattutto frutto di faticose indagini e studi sono stati i risultati ottenuti in merito al problema dell’attribuzione delle opere d’arte etnica africana. Tali indagini sono ancora nelle fasi iniziali tale per cui è ancora complicata la ricerca in merito alla paternità di tali beni. Questo processo, relativo al problema delle attribuzioni, presenta un forte indice di difficoltà nel reperimento di informazioni ed i risultati, ovviamente, non sono certi e, anzi, essi si presentano spesso aggravati dal fatto che le opere legate alla tradizione africana dei vari maestri sono state nel tempo riprodotte. In particolar modo, ciò che ha reso tutto più difficile è una caratteristica propria dei popoli africani, ovvero, come già affermato in precedenza, l’assenza di scrittura e la conseguente predilezione per la trasmissione orale delle informazioni.
È quindi fatto noto che l’aggettivo che da sempre ha accompagnato l’insieme di artisti del continente africano è: anonimo. Come afferma Enzo Bassani: «In realtà l’artista africano del passato, solitamente un professionista con una formazione specifica ed un lungo apprendistato, rispondeva a un bisogno della sua collettività, ma trasfondeva nell’opera la sua personalità creatrice allo stesso modo degli artisti dell’Occidente “civile”. Era, cioè un autore cosciente di opere
valide in sé, autonomamente espressive, generatrici di emozione e conoscenza».66
Dunque nonostante l’aderenza ai temi legati alla tradizione, gli artisti africani hanno da sempre avuto la possibilità di essere liberi, sia per quanto concerne la forma espressiva da utilizzare che per quanto riguarda l’elemento creativo. È
65 Cfr, B. De Rachewiltz, Incontro con l’arte africana, cit., p.12 66 Cfr, E. Bassani, Arte africana, cit., p.137
possibile dire che se vengono prese in considerazione un gruppo di sculture assegnabili ad un determinato autore queste stesse opere possono essere confrontabili solo grazie a fotografie di altri beni sempre imputati, o di presunta attribuzione, allo stesso autore; ciò che quindi si viene a creare non è un confronto costituito da analisi dirette e certe, ma anzi ciò che può emergere è un’errata attribuzione fondata sulla base di generiche somiglianze. Un’altra difficoltà posta in evidenza in questa sede è rappresentata dal fatto che non è facile riconoscere la mano di uno stesso autore in opere diverse, sia per la fattezza sia in termini di soggetto rappresentato. In più, dopo alcuni studi in merito a quest’argomento, è emerso che la paternità delle opere in molte comunità africane non costituiva un elemento di valore tale per cui assumeva molta più importanza il possessore dell’opera rispetto all’autore stesso del
manufatto.67 Come appena dimostrato, ci sono dunque almeno tre fattori che
non permettono in modo facile di attribuire ad artisti africani tradizionali il loro vero nome per cui, talvolta, è usuale associare a tali personalità pseudonimi o nomi di convenzione come d’altra parte era in uso fare nell’Ottocento per gli artisti europei. Quanto appena detto si è tradotto in un’attività consuetudinaria poiché questa pratica relativa all’attribuzione è stata per molto tempo portata avanti a causa della mancanza di documenti che ci potrebbero aver permesso di venire a conoscenza dei veri nomi degli artisti del passato. Nonostante il fattore anonimato sia riscontrato nella maggior parte delle analisi, è possibile constatare come due pionieri in tale materia abbiano contribuito a far emergere alcuni
elementi di novità in seno a tale argomento, Frans Olbrechts e William Fagg;68
entrambi sono stati due uomini che con costanza hanno studiato il fattore relativo alla paternità delle opere d’arte africane e, in particolare, Frans
Olbrechts69 dopo aver analizzato alcune sculture appartenenti all’etnia Luba,
67 E. Bassani, Arte africana, cit.
68 William Buller Fagg è stato un famoso storico specializzato nell’arte nigeriana e nelle opere
dell’etnia Yoruba.
69 Frans Olbrecht fu il primo a catalogare il lavoro del Maestro Buli e ciò avvenne nel lontano
1929. Egli decise di fare questo lavoro nel momento in cui trovo in diverse collezioni e in alcuni musei almeno dieci manufatti. Nel 1946, dopo un lungo periodo di studio egli decise di pubblicare un testo riguardante tali argomenti che però ad oggi non è più disponibile.
durante la mostra Kongo Kunst tenutasi ad Anversa nel 1937, aveva affermato che: «Non si è in presenza di un sottostile regionale, ma piuttosto dell’opera dello
stesso artista o quanto meno della stessa scuola».70 Così accadde che, per la prima
volta nella storia dell’arte del continente africano, un singolo autore era stato riconosciuto ed il tutto è testimoniato anche dal fatto che nel corso dei decenni successivi altri studiosi hanno confermato tale tesi ed, in più, essi hanno allo stesso artista e ad un suo “discepolo” assoggettato la paternità di un’altra decina
di opere. Tale talento è ad oggi riconosciuto come il Maestro di Buli,71 un abitante
dell’omonimo villaggio Buli della Repubblica democratica del Congo. È solo nel 1998 che, nel Museum of African art di Washington, veniva presentata una mostra dedicata ad un artista africano tradizionale e, sempre nello stesso anno, la rivista African Arts dedicava due fascicoli all’evidente problema della Autorship in
African Art. Dal 2000 molte attività stanno avendo luogo in più parti del mondo
accumunate da un medesimo obiettivo: indagare la paternità delle opere d’arte
africana.72
70 Cfr, E. Bassani, Arte africana, cit., p.138
71 Il Maestro Buli è un artista africano. Egli è noto perché è stato il primo autore africano
tradizionale la cui opera è stata riconosciuta ed il cui pseudonimo è comparso tra gli studiosi occidentali già negli anni del secondo dopoguerra. Oggi si crede che il Maestro fosse un uomo chiamato Ngongo ya Chintu e che visse negli anni compresi tra il 1810 ed il 1870.