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LA COLPA MEDICA TRA INTERVENTI DI RIFORMA E PROSPETTIVE COMPARATISTICHE

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea in Giurisprudenza

LA COLPA MEDICA TRA INTERVENTI DI

RIFORMA E PROSPETTIVE

COMPARATISTICHE

Il Candidato

Il Relatore

Giancarlo Marino

Alberto Gargani

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INDICE SOMMARIO

Introduzione 6

PARTE I

CAPITOLO I

LA COLPA: PROFILI DI CARATTERE GENEALE

SEZIONE I: IL PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA

1. Premessa. 8 2. Le teorie sulla colpevolezza. 10

3. Il principio di colpevolezza. 12

SEZIONE II: L’IMPUTABILITA’

4. La suitas della condotta e imputabilità: profili differenziali. 16 5. L’imputabilità. 18

SEZIONE III: LA COLPA

6. Il coefficiente colposo. 20 7. Le teorie sulla colpa. 21 8. La causalità della colpa. 24

CAPITOLO II

L’ELEMENTO OGGETTIVO DELLA COLPA

1. Premessa. 29 2. Colpa generica e colpa specifica e la loro funzione. 32 3. Tipologie di regole cautelari. 36

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3

4. La c.d. colpa per assunzione, colpa da ‘posizione’ e il principio di

affidamento. 39

CAPITOLO III

L’ELEMENTO SOGGETTIVO DELLA COLPA

1. Premessa. 44

2. La prevedibilità ed i criteri di verifica. 45

3. L’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale sul tema della prevedibilità. 48 4. L’evitabilità dell’evento. 56

5. L’evitabilità dell’evento mediante l’osservanza della regola. 57

CAPITOLO IV

IL GRADO DELLA COLPA

1. Premessa. 60

2. Il quantum della colpa: l’art. 133 c.p. 61

3. I criteri di graduazione della colpa. 65

4. Colpa comune e colpa professionale. 67

PARTE II

L’EVOLUZIONE DELLA COLPA MEDICA:

PROFILI COMPARATISTICI

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LA COLPA NELL’ATTIVITA’ MEDICO

CHIRURGICA: SPUNTI COMPARATISTICI

1. Premessa. 70 2. Itinerario al centro della malpractice: il modello U.S.A. 73 3. La diversa evoluzione del diritto americano rispetto al diritto italiano. 75 4. Le linee guida negli USA. 81 5. Il case law inglese. 85 6. Tra malpractice e regole cautelari: il modello tedesco, canadese e olandese (cenni). 86

PARTE III

LA COLPA MEDICA ALLA LUCE DELLE RECENTI

RIFORME

CAPITOLO VI

L’EVOLUZIONE DELLA COLPA MEDICA NEL XX°

SECOLO

1. Alla ricerca del limite della colpa medica: l’art. 2236 c.c. 89 2. Il contenzioso giudiziario. 97 3. La c.d. medicina difensiva. 99 4. L’esigenza di tipizzazione delle regole cautelari: linee guida, protocolli, checklist e regole deontologiche. 102 5. I limiti al principio di affidamento in ambito medico. 109

CAPITOLO VII

LA LEGGE BALDUZZI

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5

1. Il contenuto della l. n. 189/2012. 114

2. La legge Balduzzi: ambito di applicazione e finalità. 117

3. Il concetto di linee guida e buone pratiche. 121

4. Il processo di formazione delle linee guida. 125

5. I concetti di imperizia, imprudenza, negligenza. 127

6. In culpa sine culpa? 129

7. Colpa grave e colpa lieve. 131

8. I primi approcci giurisprudenziali: le sentenze Pagano e Cantore. 134

9. La giurisprudenza successiva: la sentenza Denegri. 140

10. La questione di legittimità costituzionale. 143

11. Gli aspetti civilistici della riforma. 145

CAPITOLO VII

LA LEGGE GELLI-BIANCO

1. Premessa. 149

2. Il contenuto della legge Gelli-Bianco. 152

3. Le novità nel comparto penale: le linee guida e le buone pratiche. 157

4. La nuova responsabilità penale: l’art. 590 sexies c.p. 160

5. Il rapporto tra l’art. 590 sexies c.p. e l’art. 2236 c.c. 162

6. La limitazione della responsabilità penale del medico alla sola imperizia. 163 7. Gli sviluppi dottrinali in rapporto al novum legislativo. 165

8. Primi interventi della Corte di Cassazione: le sentenze Filippini e Tarabori. 180

9. L’inversione di rotta della Suprema Corte: la sentenza Cavazza. 185

10. L’intervento delle Sezioni Unite. 187

11. Le novità nel comparto civile. 194

12. Prospettive. 199

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6

INTRODUZIONE

Una delle tematiche più complesse, ma allo stesso tempo più affascinanti del diritto penale, è la responsabilità medica.

Sin da tempi risalenti la nostra giurisprudenza è sempre stata alla ricerca del limite della colpa medica; un limite che risulti funzionale, da un lato, a tutelare efficacemente il diritto alla salute del paziente e, dall’altro, ad assicurare una certa serenità al medico. Tale bilanciamento risulta essere molto complesso in quanto, in tema di responsabilità medica, sono numerosi i punti critici.

In primo luogo, si riscontra un eccessivo aumento del contenzioso giudiziario poiché il paziente, alimentato da aspettative di guarigione talora miracolistiche, risulta essere più incline a criticare l’operato del medico in sede giudiziale. D’altro canto, questa tendenza al ricorso al rimedio giudiziale ha indotto i medici a prescrivere test, trattamenti non strettamente necessari ovvero anche atteggiamenti astensionistici (si parla in questi casi della c.d. medicina difensiva attiva e passiva). Inoltre, come forma di reazione al contenzioso giudiziario e come risposta all’esigenza di una maggiore efficienza della professione medica, si è assistito ad un eccesso di tipizzazione delle regole operative che governano l’attività sanitaria: cioè all’elaborazione delle c.d. linee guida. Nonostante tali regole rendono oggettivo il sapere scientifico e uniformino le prassi mediche nel settore sanitario, non riescono a fornire parametri certi ed obiettivi in ogni situazione in quanto la scienza medica, date le variabili genetico-soggettive e considerata l’ontologica mutevolezza del sapere scientifico, è per sua stessa natura mutevole ed elastica.

Dopo aver messo a fuoco i predetti profili di carattere generale, si analizzerà il fenomeno della medical malpractice in una prospettiva comparatistica; in particolare verrà descritto l’approccio di tale problematica degli Stati Uniti e del modello tedesco, inglese, olandese e canadese.

Il tema centrale dell’elaborato è costituito dall’evoluzione della tematica della colpa medica nel nostro ordinamento.

In un primo momento, verranno descritti gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali nel XX secolo concernenti le problematiche della

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7

responsabilità medica, quali ad esempio: l’applicabilità dell’art. 2236 c.c. in sede penale; il fenomeno della c.d. medicina difensiva; l’eccessivo carico giudiziario; in particolar modo, al processo di tipizzazione delle linee guida, protocolli e

checklist.

In secondo luogo, verranno analizzate la legge n. 189/2012 (c.d. legge Balduzzi) e la legge 8 marzo n. 24/2017 (c.d. legge Gelli-Bianco), introdotte dal legislatore al fine di arginare il fenomeno della c.d. medicina difensiva ed assicurare all’esercente la professione sanitaria una maggiore certezza e tranquillità nello svolgimento della propria attività.

Invero, la formulazione dell’art. 3, legge Balduzzi, appare per nulla perspicua e densa di aspetti critici, soprattutto in rapporto al suo effettivo perimetro applicativo e rispetto alla punibilità o meno in base gradazione della colpa. D’altro canto, con la legge Gelli-Bianco, il legislatore è intervenuto profondamente sull’assetto della responsabilità penale delineato dalla legge Balduzzi, introducendo nel codice penale l’art. 590 sexies. Secondo la S.C., la riforma “suscita alti dubbi interpretativi, a prima vista irresolubili, subito messi in luce dai numerosi studiosi che si sono cimentati con la riforma. Si mostrano, in effetti, incongruenze interne tanto radicali da mettere in forse la stessa razionale praticabilità della riforma in ambito applicativo” inoltre appare difficile “cogliere la ratio della novella”.

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PARTE I

CAPITOLO I

LA COLPA: PROFILI DI CARATTERE GENEALE

SEZIONE I

IL PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA

Sommario: 1. Premessa. - 2. Le teorie sulla colpevolezza. – 3. Il principio di colpevolezza.

1.1. Premessa

Prima di intraprendere l’analisi degli elementi fondamentali della colpa, è necessario precisare il contesto empirico e politico-criminale sul quale si inserisce tale categoria del diritto penale.

L’attuale società moderna è connotata da particolari processi, di natura tecnologica e scientifica, che tendono a trasformare il diritto penale dell’evento in diritto penale del rischio1.

Tale cambiamento è dettato da molteplici fenomeni quali: la gestione del rischio; la tutela dei diritti fondamentali; il rapporto fra il diritto e la scienza.

A questo proposito, proprio in ossequio al principio di determinatezza e di legalità del diritto penale, al fine di evitare danni ad i beni primari dell’individuo, si assiste sempre più ad una progressiva tipizzazione delle condotte concernenti attività pericolose. Questo processo di uniformazione emerge, soprattutto, nell’ambito del “c.d. rischio consentito” inteso come l’insieme di condotte pericolose che vengono regolamentate dall’ordinamento poiché sono reputate fondamentali per la società. Si pensi all’attività della circolazione stradale, alla produzione industriale di massa o all’attività medico-chirurgica.

1 STELLA, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, 3° ed.,

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Queste attività, implicano sempre un bilanciamento fra quelli che sono i beni giuridici fondamentali in gioco e sta al diritto regolarne i limiti ed i contenuti; un compito complesso quanto necessario.

La tutela dei diritti fondamentali (in particolar modo la salute e la vita), come prima accennato, si pone dunque in stretto legame con la gestione del rischio e la tipizzazione della fattispecie: si pensi ai problemi inerenti alla responsabilità dell’imprenditore nell’esercizio della propria attività commerciale\industriale. In tal senso, si è pronunciato Munkman affermando che “In tutte le imprese industriali il calcolo economico è l’obiettivo dominante, e può esserci perciò a volte la tendenza a orientarsi verso il profitto, piuttosto che verso la sicurezza. Quindi, è tutto errato accettare come prova conclusiva la prassi seguita dall’industria”2.

Per tale ragione, si è assistito negli ultimi tempi, ad un incremento dei processi per colpa professionale e malattie professionali (in particolar modo nel settore medico-chirurgico) a causa di tali decisioni imprenditoriali3, che hanno come fine l’interesse meramente economico rispetto alla tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori e di terzi, così ponendosi in evidente contrasto ai principi della nostra carta costituzionale.

In questo contesto, va tenuto altresì in considerazione il legame fra diritto e scienza, sul quale si sono soffermati sia la dottrina che la giurisprudenza già nella prima parte del novecento, sotto il profilo della responsabilità civile e penale derivante da colpa per stabilire i criteri su cui modulare la disciplina sanzionatoria4, posto che la scienza risulta essere la base sulla quale si costruisce la regola cautelare e il metro sul quale graduare la responsabilità soggettiva dell’autore.

2 MUNKMAN, Employer’s liability at common law, 11° ed., 1990, pag. 45.

3 Su questo processo di estensione della responsabilità colposa si veda G. MARINUCCI, La

responsabilità colposa: teoria e prassi, in Riv. it. Dir. Proc. Pen. 2012, pag. 1.

4 G.P. CHIRONI, La colpa nel diritto civile odierno. Colpa contrattuale, e colpa

extracontrattuale, Torino, 1897, 1903, 1906; G. MELONI, La colpa penale e la colpa civile. Rapporti e distinzioni, Torino, 1920.

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1.2. Le teorie sulla colpevolezza.

Nonostante il nostro codice penale non contenga, in nessuna norma, il termine ‘colpevolezza’, esso regola la capacità di intendere e di volere (art. 85 c.p.) e l’elemento psicologico del reato (art. 43 c.p.) che costituiscono, secondo la dottrina penalistica, i presupposti o le forme della colpevolezza5.

Ed invero la mancanza di una definizione della colpevolezza è stata frutto di intensi dibattiti dottrinali, tra l’ottocento e il novecento, tuttavia alla luce delle più recenti riflessioni dottrinarie e giurisprudenziali può sostenersi che la colpevolezza funge da fondamento e limite della capacità punitiva, ma anche da strumento di gradazione della pena in relazione alle variegate connotazioni psicologiche del soggetto agente6.

Quanto alle teorie che si sono succedute nel tempo, in tema di colpevolezza, la prima che deve essere analizzata è quella psicologica, la quale si sostanzia esclusivamente nel collegamento tra la volontà del soggetto, nelle forme del dolo (previsione e volontà) e della colpa (prevedibilità), e il fatto costituente reato. Tale concezione, si sviluppa nel contesto storico illuminista che dimostra un programma politico-criminale basato sull’uguaglianza formale; un’utopia destinata a naufragare per diverse ragioni.

In primo luogo, è insufficiente il richiamo alle categorie del dolo e della colpa in quanto si prefigurerebbe una medesima pena per un fatto obiettivamente considerato. In base a tale concezione, quindi, il trattamento penale è insensibile alle condizioni soggettive (condizioni personali, familiari, economiche) che hanno inficiato sul processo decisionale dell’agente.

Inoltre, è stata rimarcata l’impossibilità di costruire una definizione unitaria di colpevolezza, in quanto il dolo è costituito da una diversa struttura rispetto la colpa.

Nei primi anni del novecento, si cominciò a sviluppare quella che viene denominata la teoria normativa della colpevolezza, avente lo scopo di risolvere

5 R. GAROFOLI, Manuale di diritto penale parte generale, XII edizione, Roma, 2016, pag. 825.

6 PADOVANI, Teoria della colpevolezza e scopi della pena, in Riv. it. Dir. Proc. pen., 1987,

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le problematiche della teoria psicologica prendendo le mosse dall’opera di Frank. La colpevolezza viene identificata in un concetto normativo e non psicologico, che consiste nel contrasto tra la volontà del soggetto e la norma; sotto questa visione della colpevolezza il dolo e la colpa diventano oggetto del rimprovero7. Gli elementi essenziali di tale teoria sono: la capacità di intendere e di volere; il nesso psichico tra l’agente e il fatto; e nella presenza di circostanze concomitanti che condizionano il processo motivazionale del soggetto agente come le condizioni familiari, economiche, sociali ecc.

La concezione normativa si prefigge, quindi, di creare un concetto unico di colpevolezza, incentrato sul dolo e sulla colpa, infatti, il fatto è doloso quando questo è voluto e non si doveva volere; invece, il fatto è colposo quando l’evento si è prodotto, nonostante non sia voluto, ma non si doveva produrre8.

Altro elemento di forza è la possibilità di graduare la pena, in quanto la colpevolezza viene ricollegata non al mero elemento psicologico, ma ad un giudizio di disapprovazione espresso in base a valori sociali presenti e rilevanti in un determinato momento storico; questi valori sociali, che permettono la gradazione della pena, sono le circostanze concomitanti contenute, odiernamente, nell’art. 133 2° comma c.p. Dunque, la teoria normativa allarga le maglie della colpevolezza sul versante del parametro di giudizio (esigibilità) e sull’oggetto del giudizio (circostanzi concomitanti)9; anche se presenta limiti e problematiche su entrambi i versanti.

Per ciò che concerne l’esigibilità si pone un problema di limiti: sino a che punto può esser contenuta la gradazione del rimprovero? È possibile che si arrivi all’esclusione della stessa?

Una dottrina tedesca risalente, ammetteva anche l’esclusione della colpevolezza in presenza di ragioni etico-sociali rilevanti, ma ciò comportava l’annichilimento del concetto della certezza del diritto; la teoria, infatti, ebbe vita breve poiché l’esigibilità poteva influire solo sul quantum della pena.

La medesima problematica si presenta sul versante delle circostanze concomitanti poiché, se si dovessero considerare tutte le variabili individuali

7 MANTOVANI, Diritto penale. Padova, 1988, pag. 282. 8 MANTOVANI, Diritto penale. Padova, 1988, pag. 282. 9 T. PADOVANI, Diritto penale, Milano, 2012, pag. 186.

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(aspetti della personalità, concezioni religiose) si giungerebbe ad escludere la punibilità in ogni caso.

Di fondamentale importanza, nella precisazione di contenuto della teoria normativa, è stata la sentenza Cass. Sez. Un. 8 marzo 2005 n. 9163 (c.d. sentenza Raso) inerente al giudizio di imputabilità. La Suprema Corte afferma che, per la responsabilità dell’autore, quest’ultimo abbia avuto la possibilità di agire

secundum legem mantenendo, in ogni caso, la possibilità di agire diversamente.

I giudici, sempre nella medesima pronuncia, hanno analizzato la tematica dei disturbi della personalità affermando che “la configurazione personalistica della responsabilità… esige che essa si radichi nella commissione materiale del fatto e nella concreta rimproverabilità dello stesso”10.

1.3. Il principio di colpevolezza.

Nel panorama attuale, è sempre più sentita, nell’ambito del diritto penale, l’esigenza di analizzare e risolvere le problematiche inerenti alle attività ontologicamente pericolose, prevenendo le offese ai diritti e definendo la responsabilità a titolo di colpa nel rispetto del principio nullum crimen, nulla

poena sine culpa.

Il principio di colpevolezza è, infatti, uno dei principi cardine della società moderna in quanto “richiede non solo che la responsabilità penale sia personale (art. 27 comma 1, Cost.) ma altresì che una persona non possa esser chiamata a rispondere penalmente di un evento – anche se a lui oggettivamente addebitabile – se non è possibile attribuirglielo anche sotto il profilo soggettivo11”. La colpevolezza non deve esser considerata come categoria oggettiva priva di qualsiasi contenuto soggettivo, ma necessariamente deve riflettersi sul piano personale in rapporto alle esigenze del precetto penale di riferimento12.

Questo valore personalistico si pone in contrasto con i casi di responsabilità oggettiva, regolata dall’art. 42 c.p., che consiste nell’addebito dell’evento all’agente in base al semplice nesso di causalità. I casi di responsabilità obiettiva

10 Cass. Sez. Un. 8 marzo 2005 n. 9163

11 C. BRUSCO, La colpa penale e civile, Milano, 2017, pag. 4. 12 G. DE FRANCESCO, Diritto penale, Torino, 2011, pag. 340.

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emergenti nella prassi applicativa sono il reato preterintenzionale, i reati aggravati dall’evento, i reati a mezzo stampa, le condizioni obiettive di punibilità e l’aberratio delicti13.

A questo punto, è necessario richiamare alcune pronunce della Corte costituzionale che proprio sul principio di colpevolezza offrono soluzioni interpretative tendenti a “soggettivizzare” la responsabilità colposa.

Di fondamentale importanza risulta essere la sentenza della Corte costituzionale n. 50/1980 riguardante i rapporti tra gravità dei singoli reati ed entità delle pene correlate. In tale pronuncia si afferma che, l’elemento soggettivo del reato deve essere correlato alla risposta sanzionatoria, in misura proporzionale, come stabilito dall’art. 27, 1°comma, Costituzione.

Altrettanto rilevante è la decisione della Corte costituzionale 364/1988 con cui è stato precisato il contenuto normativo dell’art. 27 in rapporto all’art. 5 c.p. (concernente l’ignoranza della legge penale), stabilendo che debbano sussistere dei requisiti subiettivi minimi in un’ottica garantistica, di legalità, vigente in ogni stato di diritto. Infatti, la Corte ha affermato che non avrebbe bisogno di essere rieducato un soggetto non in colpa rispetto al fatto se quest’ultimo non aveva la possibilità di riconoscere l’illiceità e il disvalore della sua condotta. Tra il principio di colpevolezza e lo scopo rieducativo della pena sussiste, dunque ad avviso della corte, una connessione funzionale finalizzata alla personalizzazione del rimprovero.

Nel medesimo anno, si è pronunciata nuovamente la Corte costituzionale nella sentenza 1085/1988 nella quale, dopo aver stabilito che il principio del versari

in re illicita si pone in contrasto con la personalità del rimprovero ex art. 27

Cost., ancora una volta ha ribadito che “affinché l’art. 27 primo comma Cost. sia pienamente rispettato e la responsabilità penale sia autenticamente personale, è indispensabile che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all’agente (siano, cioè, investiti dal dolo o dalla colpa) ed è altresì indispensabile che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allo stesso agente rimproverabili e cioè anche soggettivamente disapprovati”.

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Infine, nella sentenza 322/2007 la Corte costituzionale stabilisce, inequivocabilmente, che il principio di colpevolezza “si ponenon soltanto quale vincolo per il legislatore, nella conformazione degli istituti penalistici e delle singole norme incriminatrici; ma anche come canone ermeneutico per il giudice, nella lettura e nell’applicazione delle disposizioni vigenti”.

Tale percorso interpretativo, è stato seguito anche dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza 29 maggio 2009, n. 22676, sentenza Ronci, nella quale si cercava di dirimere il contrasto creatosi tra le sezioni semplici sull’applicazione dell’art. 586 c.p. nell’ipotesi di morte di un soggetto al quale erano state cedute, illecitamente, sostante stupefacenti.

In tale pronuncia, si afferma che “è il rispetto del principio di colpevolezza e della sua portata liberalgarantistica … ad imporre che la fattispecie di cui all’art. 586 debba essere connotata dal requisito della colpa in concreto. Al fine di individuare la soluzione preferibile, non può ovviamente prescindersi dal principio di colpevolezza e dalle sentenze della Corte costituzionale che gli hanno esplicitamente riconosciuto rango costituzionale”, di conseguenza “l’unica interpretazione conforme al principio costituzionale di colpevolezza è quella che richiede, anche nella fattispecie dell’art. 586, una responsabilità per colpa in concreto”.

L’impostazione statuita dalla sentenza Ronci, è stata accolta e seguita dalle più recenti pronunce della Suprema Corte in rapporto all’art. 586 c.p. (S.U. 26 novembre 2009, n. 12433; Cass. 19.1.2010, n. 2373; Cass. 20.5.2010, n. 19090; Cass. 7.7.2010, n. 25973; Cass. 5.5.2011, n. 17394; Cass. 4.7.2011, n. 26072; Cass. 22.11.2011, n. 43006, tutte concernenti la morte del cessionario di stupefacenti quale conseguenza non voluta del delitto di spaccio).

Sempre in materia di responsabilità oggettiva, non si può prescindere dall’enunciare la tematica dei “reati commessi col mezzo della stampa”, attualmente disciplinati dagli artt. 57-58 bis c.p.

L’art. 57 c.p., nella sua formulazione originaria, conteneva una vera e propria ipotesi di responsabilità obiettiva, invero, tale norma stabiliva che del reato commesso dall’artefice della pubblicazione doveva rispondere, in funzione della sua qualifica, anche il soggetto che ricopriva il ruolo di direttore o redattore

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responsabile14. Emerge, quindi, la natura oggettiva di tale responsabilità in quanto basata sulla mera omissione di un controllo da parte di questi soggetti prescindendo da qualsiasi considerazione sul carattere colposo di tale comportamento omissivo; anzi si arrivava a desumere, in via del tutto automatica, la responsabilità del direttore o redattore proprio dalla pubblicazione dell’articolo di giornale.

Appare evidente, a questo punto, che con l’entrata in vigore della Costituzione si assistette all’attrito dell’art. 57 c.p. con il principio di personalità del rimprovero ex art. 27 Cost., infatti, fu sollevata la questione di costituzionalità della suddetta norma. La Consulta, con la sentenza interpretativa di rigetto n. 3 del 1956, respinse tale questione ma invitò il legislatore a revisionare l’intera materia della responsabilità per i reati commessi a mezzo stampa.

Con la l. 4 marzo 1958, n. 127, vennero recepite le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale e dalla dottrina intervenendo con una riforma organica che inserì gli artt. 57 e 58 bis c.p.

L’art. 57 c.p., nella sua formulazione attuale, dispone che “salva la

responsabilità dell’autore della pubblicazione, e fuori dai casi di concorso, il direttore o vicedirettore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato diminuita in misura non eccedente un terzo”.

Emerge, quindi, dal tenore letterale della norma, che la responsabilità del direttore o del vicedirettore non si configuri più come responsabilità obiettiva, bensì appare subordinata all’omesso dovere di controllo, funzionale ad impedire la commissione di reati; si tratta dunque di una responsabilità colpevole e per fatto proprio15.

14 Infatti la norma disponeva che “ per i reati commessi col mezzo della stampa si osservano le disposizioni seguenti: 1) qualora si tratti di stampa periodica, chi riveste la qualità di direttore o redattore responsabile risponde, per ciò solo, del reato commesso, salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione; 2) qualora si tratti di stampa non periodica, del reato commesso risponde l’autore della pubblicazione, ovvero, se questi è ignoto o non è imputabile, l’editore, ovvero, se anche questi è ignoto o non è imputabile, lo stampatore”.

15 DELITALA, Titolo e struttura della responsabilità penale del direttore del giornale per reati commessi sulla stampa periodica, in Riv. it. dir. proc. pen., 1951, pag. 544.

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Data la casistica sopra enunciata, si può affermare che la responsabilità oggettiva mal si concilia con un sistema basato su tali principi.

Il principio di colpevolezza è, dunque, concepito come baluardo delle esigenze punitive sia in un’ottica general-preventiva quanto special-preventiva. Il legame tra pena e colpevolezza è la base sulla quale modulare la risocializzazione del reo; ciò potrà avvenire solo se la pena verrà percepita come giusta16.

SEZIONE II

L’IMPUTABILITA’

Sommario: 4. Suitas della condotta e imputabilità: profili differenziali. - 5. L’imputabilità.

1.4. Suitas della condotta e imputabilità: profili differenziali.

I concetti di coscienza e volontà sono ricorrenti nel nostro ordinamento penale, infatti vengono ripresi nell’imputabilità, la quale si fonda sulla coscienza (capacità di intendere) e sulla volontà (capacità di volere), e nella suitas della condotta.

L’art. 42 c.p. recita “nessuno può essere punito per un’azione od omissione

preveduta dalla legge come reato se non l’ha commessa con coscienza e volontà”, questa formula stabilisce il principio della suitas della condotta in base

al quale un’azione od omissione può assumere rilievo penalistico se dominabile dalla volontà dell’agente; invero, è importante precisare che senza coscienza e

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volontà non vi è responsabilità penale quindi “la volontà, la quale presuppone la coscienza, nel nostro ordinamento segna il limite fra il reato e il non reato”17. È importante precisare che l’art. 42, comma 1, c.p. risulterebbe un’inutile ripetizione dell’art. 43 c.p. ove il carattere cosciente e volontario dell’azione o dell’omissione fosse fatto coincidere con la consapevolezza. Ne consegue la necessità di ritenere l’accertamento del carattere cosciente e volontario dell’azione sia successivo al vaglio di imputabilità, individuandone il contenuto nell’attribuibilità del comportamento posto in essere alla libera e consapevole sfera personale dell’autore, quindi, nella governabilità.

La descrizione della relazione fra imputabilità e colpevolezza è stata effettuata dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza del 14 giugno 1980, Felloni, nella quale è stato affermato che: “L’imputabilità, come capacità d’intendere e di volere, costituisce una qualità, un modo di essere dell’individuo, riferendosi alla sua maturità psichica ed alla sua sanità mentale. Essa esprime l’idoneità del soggetto a rendersi conto del valore delle proprie azioni e quindi ad apprenderne il disvalore sociale (capacità d’intendere) e ad autodeterminarsi in relazione ai normali impulsi che ne motivano l’azione (capacità di volere). Questa attitudine, che impropriamente, ma con immediata efficacia descrittiva è stata anche definita come status della persona e nella quale la volontà è considerata come nel momento della possibilità, si distingue, naturalisticamente o normativamente, dalla coscienza e volontà e dalla colpevolezza in senso stretto le quali, salve più puntuali precisazioni, si riferiscono alla volontà concreta del fatto, considerata nel momento della sua attuazione. Qui torna utile rilevare che imputabilità e colpevolezza sono concetti (relativamente) indipendenti: come un soggetto pienamente capace può commettere un fatto senza dolo o colpa, o addirittura un’azione senza coscienza e volontà, così nella persona non imputabile è dato di individuare, con riguardo al momento della commissione del fatto, un atteggiamento psichico concreto che, sia pure in modo abnorme, collega psicologicamente il fatto al suo autore” 18.

17 ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 1990, pag. 338. 18 Cass., S.U., 14 giugno 1980, in Cass. pen., 1981, pag. 496, con nota di PADOVANI.

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1.5. L’imputabilità.

L’art. 85 c.p. afferma che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto

dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”.

Se si considera la pena sia nella sua natura afflittiva quanto nella capacità di rieducazione e risocializzazione del reo, non può non presupporsi in colui che subisce tale pena la capacità di intendere e di volere e, quindi, la capacità di comprendere il valore delle proprie azioni esercitando una scelta consapevole. Più controverso appare il rapporto tra imputabilità e colpevolezza, in quanto, secondo una dottrina tradizionale si ritiene che l’imputabilità opera come ‘capacità della pena’ o come ‘presupposto della capacità giuridica penale’. Quindi, secondo tale impostazione, la mancanza dell’imputabilità non fa venir meno il reato come fatto storico materiale, invero, essa si qualifica come status dell’autore del reato ovvero come condizione personale che lo rende punibile poiché non interferisce col fatto di reato. Alla base di tale orientamento vi è l’adesione alla concezione psicologica la quale intende la colpevolezza come nesso psichico tra l’autore e il fatto di reato.

Recentemente, si è affermata una diversa concezione che denota come l’imputabilità sia la “prima componente del giudizio di colpevolezza”19, pertanto in mancanza di capacità di intendere e di volere non vi può essere un giudizio di colpevolezza non configurandosi, mancando l’elemento soggettivo, il reato. Tale concezione è costruita in rapporto alla teoria normativa della colpevolezza, intesa come rimprovero e disapprovazione dell’agente per aver commesso un fatto che non avrebbe dovuto commettere, invero, il rimprovero e la disapprovazione “non avrebbero, infatti, senso se rivolti a soggetti del tutto privi della possibilità di agire diversamente”20.

Anche la Suprema corte ha aderito a tale impostazione affermando che, nonostante la collocazione normativa della relativa disciplina nel titolo IV dedicato al reo, l’imputabilità non si configura come “semplice presupposto o aspetto della capacità giuridica penale”, poiché il suo ruolo si riscontra già nella

19 MARINUCCI-DOLCINI, Corso di diritto penale, 1999, pag. 324; PADOVANI, Le ipotesi speciali di concorso nel reato, 1973, pag. 236; ROMANO, Commentario sistematico al codice

penale, vol. I, Milano, 1995; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Bologna, 2001, pag. 293. 20 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Bologna, 2001, pag. 293 ss.

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teoria generale del reato. L’imputabilità allora si configura come presupposto della colpevolezza in quanto “se il reato è un fatto tipico, antigiuridico, e colpevole e la colpevolezza non è soltanto dolo o colpa ma anche, valutativamente, riprovevolezza, rimproverabilità, l’imputabilità è ben più che una semplice condizione soggettiva di riferibilità della conseguenza del reato data dalla pena, divenendo piuttosto la condizione dell’autore che rende possibile la rimproverabilità del fatto”21.

È importante precisare che l’analisi dell’imputabilità deve essere svolta in rapporto a fattori che escludono o diminuiscono la capacità di intendere e di volere in rapporto alla causa (artt. 86-87 c.p.) o in rapporto a delle situazioni fisiologiche (età, stati emotivi e passionali) ovvero a situazioni patologiche (infermità, sordomutismo, intossicazione cronica di sostanze alcooliche e stupefacenti); ai fini di una trattazione completa di tali elementi si rimanda la dottrina22 di riferimento.

21 GAROFOLI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Roma, 2016, pag. 835 ss.

22GAROFOLI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Roma, 2016, pag. 838 ss;

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SEZIONE III

LA COLPA

Sommario: 6. Il coefficiente colposo - 7. Le teorie sulla colpa. – 8. La causalità della colpa.

1.6. Il coefficiente colposo.

L’art. 43 c.p. è rubricato “elemento psicologico del reato”: esso cerca di fornire, nonostante i limiti contenutistici e la diatriba dottrinale sulla sua capacità vincolante, una definizione di delitto colposo.

L’art. 43 comma 3° c.p. afferma che il delitto è “colposo, o contro l’intenzione,

quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente, e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline”.

Innanzitutto, tale definizione normativa è sicuramente insoddisfacente poiché concepisce la colpa in negativo, come non volontà dell’evento il quale non si riscontra nemmeno in tutte le fattispecie colpose quali, ad esempio, i reati di mera condotta o l’omissione colposa di cautele23. Bisogna anche tenere conto che la colpa è antitetica rispetto al dolo: infatti quest’ultimo è basato su coefficienti psichici reali, mentre la colpa si fonda su parametri normativi. L’elemento oggettivo della colpa, si riferisce all’osservanza della regola obiettiva di condotta, la quale è funzionale alla prevenzione di danni mediante la cristallizzazione dei giudizi di prevedibilità ed evitabilità dell’evento24. Quindi, la colpa si sostanzia nella contrarietà della condotta rispetto alla regola cautelare di riferimento, diretta alla prevenzione di determinati eventi, e nella carenza di diligenza, prudenza, perizia concretamente esigibile25.

23T. PADOVANI, Diritto penale, 10° ed., Milano, 2012, pag. 209.

24T. PADOVANI, Diritto penale, 10° ed., Milano, 2012, pag. 209; MANTOVANI, voce Colpa,

pag. 303; ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, 16° ed., Milano, 2003, pag. 367.

25 F. GIUNTA, La normatività della colpa penale. Lineamenti di una teorica, in Riv. it. Proc.

pen., 1999, pag. 86.

Sotto un’analisi critica di tale versione v. A. R. DI LANDRO (la colpa medica negli Stati Uniti

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In particolare, la regola cautelare descrive una determinata condotta da seguire, in base a parametri giuridici o extra giuridici, al fine di evitare conseguenze dannose; è necessario precisare che le regole cautelari si distinguono in base alla loro fonte, invero, se la fonte è giuridica saremo in presenza della colpa specifica, invece, se la fonte è sociale o extragiuridica riscontreremo la colpa generica. Occorre precisare che la colpa è munita non solo di un elemento oggettivo ma anche di uno soggettivo funzionale alla personalizzazione del rimprovero. Esso consta nella prevedibilità ed evitabilità dell’evento in base al criterio dell’agente modello; un criterio che presenta diverse nozioni in base al criterio di riferimento (bonus pater familias, homo eiusdem condicionis et professionis, l’uomo più esperto).

1.7. Le teorie sulla colpa.

A questo punto è necessario analizzare la contrapposizione tra la teoria della doppia misura e la teoria unitaria in materia di colpa.

La teoria della doppia misura concepisce la colpa due momenti: il momento oggettivo-normativo, che consiste nella violazione della regola di condotta; l’elemento soggettivo-personalistico, fondato sulla capacità del singolo di osservare tale regola26.

Questa teoria si basa su: la mancanza di volontà del fatto, concepita come eterogeneità rispetto dolo; l’inosservanza della regola obiettiva di diligenza, prudenza, perizia; sull’evitabilità dell’evento mediante l’osservanza della regola; l’attribuibilità dell’inosservanza all’agente27. La trattazione analitica di tali elementi è rimandata ai capitoli successivi, concernenti l’elemento oggettivo e soggettivo della colpa.

e la definitiva consacrazione della teoria c.d. normativa, uno dei problemi centrali della colpa è la sua tendenziale oggettivazione, fino allo svuotamento quale criterio di imputazione soggettiva”.

26 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Bologna, 2008, pag. 565 ss; T. PADOVANI, diritto

penale, Milano, 2012, pag. 210 ss. MARINUCCI, La colpa per inosservanza di leggi, Milano,

1965; per gli approcci più recenti v. PALAZZO, corso di diritto penale. Parte generale, 5° ed., Torino, 2013, pag. 347; ROMANO, Commentario sistematico al codice penale, sub art. 43, 3° ed., Milano, 2004, pag. 457.

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Anche siffatta impostazione non risulta esser immune da critiche da parte di parte della dottrina28, la quale propende a favore di una concezione unitaria della colpa. Tale dottrina, mette in evidenza i contrasti della teoria della doppia misura già sulla regola di obiettiva diligenza, che presenta sul tema due impostazioni contrastanti:

La prima, basata sul parametro dell’agente modello dell’homo eiusdem

condicionis et professionis, che manifesta un contenuto ideale ed astratto

incapace di essere utilizzato come canone di valutazione della colpevolezza nel suo momento oggettivo. La seconda, fonda la regola di obiettiva diligenza sul massimo di conoscenza ed esperienza concretamente presenti in un determinato momento storico. Ma anche in questa seconda accezione, si prospetterebbero conseguenze paradossali poiché si dovrebbe vietare l’esercizio di attività a tutti quei soggetti incapaci di dimostrare tale massimo livello di esperienza e conoscenza. Oltretutto, verrebbe leso l’interesse dei consociati verso la determinatezza delle regole, in quanto la regola cautelare di obiettiva diligenza trascende le reali capacità del soggetto agente. In fine, il giudice potrebbe privilegiare il solo profilo obiettivo portando alla spersonalizzazione del rimprovero. Tali critiche29, necessitano di essere contestualizzate.

Innanzitutto, la regola cautelare, anche se è formata sulla miglior scienza ed esperienza, non esclude dall’esercizio chi, per ragioni soggettive, circostanze o altri fattori, non può raggiungere tale livello. La regola di obiettiva diligenza, quindi, rappresenta la materia “grezza” che, in un momento successivo, merita di esser plasmata, in base al caso concreto, sui quei parametri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento e l’esigibilità della condotta. Il pregio di tale teoria è proprio la creazione di una regola cautelare obiettiva e certa sulla quale poi parametrare l’effettiva condotta e le circostanze nelle quali ha agito l’agente concreto; in questa veste, la regola cautelare è funzionale alla certezza del diritto in piena conformità al principio di legalità. Di converso, concepire la colpa in maniera unitaria, sarebbe in contrasto con l’esigenza di certezza del diritto, in quanto la valutazione dipenderebbe sempre e comunque dal caso concreto, non potendo fornire parametri obiettivi di riferimento (ed in ogni caso in contrasto, odiernamente, con la tendenza di tipizzazione della fattispecie).

28 G. DE FRANCESCO, Diritto penale, Torino, 2011, pag. 431 ss. 29 G. DE FRANCESCO, Diritto penale, Torino, 2011, pag. 432 ss.

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Non persuasiva è anche la seconda obiezione, secondo la quale tale impostazione trascende le reali capacità del soggetto agente; invero, in un primo momento, oggettivo, si trascurano tali capacità ma esse verranno recuperate ed accentuate in sede di accertamento del profilo soggettivo, valutando, quindi, le circostanze individuali e materiali nelle quali il soggetto ha operato, sia in negativo (il principiante alla guida) sia in positivo (l’abile guidatore).

Infine, è errato affermare che il giudice si limiti a valutare solo l’aspetto oggettivo della responsabilità, tralasciando l’aspetto personalistico, invero, nonostante la tendenza odierna propenda a considerare la responsabilità in base alla mera violazione della regola cautelare, il giudice è tenuto a prendere in considerazione i profili soggettivi. Proprio la manifesta inaccettabilità della valutazione oggettiva deve indurre il giudice ad attribuire rilevanza all’elemento soggettivo della colpa, in quanto momento necessario ed imprescindibile della validità di tale teoria.

In fine bisogna tenere conto che la teoria della doppia misura ha trovato una progressiva affermazione nelle elaborazioni giurisprudenziali30.

Ma anche dottrina tende a riconoscere alla colpa una doppia funzione: la colpa da un lato, contribuisce alla tipicità del fatto oggettivo; dall’altro implica un quid

pluris, cioè l’analisi in ordine alla rimproverabilità soggettiva dell’agente

concreto31.

A parer di chi scrive, la teoria della doppia misura si mostra la più attendibile ed affidabile nell’analisi delle problematiche della colpa per le seguenti ragioni: 1) Tiene conto di modelli cautelari tipizzati, anche riguardo ad attività aleatorie32.

2) Assicura certezza ed uniformità del diritto attraverso un processo logico e sistematico.

30 Si legga, per es., la notevole premessa teorica in tema di colpa rinvenibile nella sentenza di

Porto Marghera, sia in tema di teoria normativa quanto alla doppia misura: Cass., Sez. IV, ud. 17 maggio 2006, n.4675, pag. 272 ss. Per una premessa teorica sulla doppia misura: Cass., Sez. IV, ud. 16 giugno 2010 n. 32126, DPC (www.penalecontemporaneo.it), in tema di colpa stradale; CASTRONUOVO, L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e

giurisprudenza, Riv. it. dir. proc. pen, 2011, pag. 1615.

31 AMBROSETTI E.M., Manuale di diritto penale. Parte speciale. I reati contro le persone,

Padova, 2010, pag. 39 ss.

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3) Permette di graduare il rimprovero o di escludere la punibilità tenendo atto dei requisiti soggettivi del soggetto agente in rapporto alla regola di obiettiva di diligenza; evitabilità dell’evento; esigibilità della condotta.

4) Adegua la rimproverabilità in base alle conoscenze umane disponibili in un determinato momento storico, permettendo legami più consistenti tra il diritto e scienza.

1.8. La causalità della colpa.

È opportuno analizzare alcune questioni rilevanti riguardante l’accertamento delle diverse categorie di causalità nei reati colposi: causalità materiale; causalità della condotta; causalità della colpa33.

Per causalità materiale si intende un rapporto di causa-effetto che collega un fatto naturale ad un determinato evento. Ci sono casi nei quali il seguente rapporto risulta essere meno agevole in quanto non conosciamo il procedimento eziologico materiale, si pensi alle patologie psicologiche.

Dopo aver accertato il dato materiale, bisogna verificare se l’opera umana abbia interferito sulla produzione dell’evento, quindi, bisogna accertare se la condotta umana abbia provocato l’evento o ha inciso su di esso; in tali termini, si parla di causalità della condotta, che indica il rapporto fra una condotta umana e l’evento in termini prettamente normativi (art. 40 c.p.). Prima di procedere oltre, bisogna precisare che vi può esser coincidenza fra causalità materiale e causalità della condotta poiché l’evento può derivare dall’esercizio di un’attività umana. Nei reati colposi si deve aggiungere un ulteriore passaggio che consiste nel verificare se la violazione della regola cautelare abbia cagionato l’evento. In questi casi siamo davanti alla causalità della colpa. Tale concetto normativo trova il suo fondamento nell’art. 43 c.p.34, il quale richiede che l’evento si sia verificato a causa di negligenza, imprudenza od imperizia o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

33C. BRUSCO, Il rapporto di causalità, Milano, 2012.

34 MARINUCCI, non c’è dolo senza colpa. Morte dell’imputazione oggettiva dell’evento e

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Di fondamentale importanza, in subiecta materia, è la sentenza Cass. Pe., Sez. IV, 26 ottobre 2011, n. 38786, secondo cui “per potere affermare una responsabilità colposa, non è sufficiente che il risultato offensivo tipico sia prodotto come conseguenza di una condotta inosservante di una determinata regola cautelare, ma occorre che il risultato offensivo corrisponda proprio a quel pericolo che la regola cautelare violata mirava a fronteggiare… Si evidenzia così la cd. causalità della colpa e cioè il principio secondo cui il mancato rispetto della regola cautelare di comportamento da parte di uno dei soggetti coinvolti in una fattispecie colposa non è di per sé sufficiente… se non si dimostri l’esistenza in concreto del nesso causale tra condotta violatrice e l’evento”.

La causalità della colpa “mira invece a non verificare la corrispondenza tra evento e scopo della regola cautelare né alla verifica se l’evento era evitabile con l’osservanza delle regole cautelari ma a chiarire se quella violazione ha cagionato quell’evento concretamente verificatosi”35.

Quindi, la causalità della colpa è successiva all’accertamento della causalità della condotta, invero, è necessario attribuire, in un primo momento, l’evento all’agente come fatto proprio; dopo aver accertato che l’evento è oggettivamente imputabile al soggetto agente, è necessario constatare se l’eventuale osservanza delle regole cautelari o se la condotta alternativa lecita avrebbero evitato il prodursi dell’evento.

In particolare, è necessario precisare che i criteri sui quali si basa l’accertamento della causalità della colpa, fanno riferimento alle conoscenze disponibili ed utilizzabili dall’agente al momento della condotta, quindi, mediante una prospettiva ex antea36. Invero, il giudice dovrebbe chiedersi “cosa sarebbe successo se il soggetto agente avesse tenuto la regola di condotta esistente al momento del fatto?”37 e, una volta individuata, nel caso concreto, la regola

35C. BRUSCO, Il rapporto di causalità, Milano, 2012, pag. 11. Vedi anche, in materia di

incidenti stradali, Cass. pen., sez. IV, 18 settembre 2008, n. 40802, Spoldi, in Cass. pen., 2009, pag. 2550.

36C. BRUSCO, La colpa penale e civile, Milano, 2017, pag. 40; MARINUCCI, Innovazioni

tecnologiche e scoperte scientifiche: costi e tempi di adeguamento delle regole di diligenza, pag.

21.

37 Sulla differenza di accertamento della causalità e della colpa si veda, in particolare, BRUSCO, Rischio e pericolo, rischio consentito e principio di precauzione. La c.d. “flessibilizzazione delle categorie del reato”, in Criminalia, 2012, p. 395 ss. laddove si legge «mentre l’accertamento

della causalità va compiuto in termini di “elevata credibilità razionale” – nel senso che l’ipotesi scientifica deve avere un elevato grado di conferma e le ipotesi alternative debbono essere ragionevolmente escluse – nel giudizio predittivo ex ante, ai fini della colpa, la legge scientifica (così come le regole di esperienza) vale a rendere concreto il giudizio di prevedibilità che va

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cautelare operante, il magistrato dovrebbe verificare se l’evento fosse evitabile38. Peraltro, se al momento della pronuncia venissero scoperte regole cautelari più efficaci rispetto a quelle conosciute all’epoca dei fatti, il giudice non potrebbe tenerne conto né ai fini della ricostruzione ipotetica del comportamento doveroso né per la valutazione dell’efficacia dello stesso.

A questo punto, si deve chiarire a quali condizioni il requisito della “causalità della colpa”, possa dirsi pienamente realizzato. È opportuno stabilire, preliminarmente, che il concetto di “causalità della colpa” viene qui inteso in senso ampio, comprensivo cioè di due problematiche distinte, ma funzionali all’individualizzare l’accertamento della colpa e, al contempo, di segnare un netto distacco dalla logica del versari in re illicita:

1) La c.d. realizzazione del rischio, poiché, dopo aver accertato la formale violazione di una regola cautelare, occorre altresì verificare che l’evento concretamente cagionato rientri nella tipologia di eventi che la regola cautelare mirava ad evitare; si tratta, di un criterio sostanzialmente equivalente a quello che fa riferimento allo scopo di tutela della norma e capace di evitare confusioni rispetto agli schemi propri della c.d. imputazione oggettiva dell’evento.

2) La rilevanza del c.d. comportamento alternativo lecito, consistente nella verifica che se il soggetto agente avesse tenuto la condotta prescritta dalla regola cautelare che si assume violata l’evento non si sarebbe verificato (c.d. prevedibilità in concreto).

A tali conclusioni, sul versante dell’accertamento della causalità della colpa, è pervenuta la Cass. Pen., S.U., 24 aprile 2014, n. 38343, in relazione al noto “caso

Thyssen Krupp”, nella quale si afferma che “la responsabilità colposa non si

estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mirava a prevenire… si tratta di identificare una norma specifica, avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di uno specifico evento, sulla base delle conoscenze che all’epoca della creazione della regola consentivano di porre la relazione causale tra

ancorato non all’elevata credibilità razionale che l’evento, in presenza di una certa condotta, si verifichi ma alla possibilità (concreta e non ipotetica) che la condotta possa determinare l’evento».

38 VIGANÒ, Riflessioni sulla c.d. ”causalità omissiva“ in materia di responsabilità medica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, p. 1697 ss.; ma anche TRAPASSO, Imputazione oggettiva e colpa tra ”azione” ed ”omissione“: dalla struttura all’accertamento, in Ind. pen., 2003, pag. 1233.

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condotta e risultati temuti; e di identificare misure atte a scongiurare o attenuare il rischio”, quindi, “l’accadimento verificatosi deve cioè essere proprio tra quelli che la norma di condotta tendeva ad evitare, deve costituire la concretizzazione del rischio”. Inoltre, sempre nella medesima pronuncia, la Suprema corte afferma che il profilo della causalità della colpa si riscontra nel momento soggettivo, invero, “affermare, come afferma l’art. 43 cod. pen., che per aversi colpa l’evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole implica che l’indicato nesso eziologico non si configura quando una condotta appropriata (c.d. comportamento alternativo lecito) non avrebbe evitato l’evento”.

Prima di procedere oltre, è necessario richiamare la distinzione tra condotta attiva e condotta omissiva, in quanto nelle condotte attive è proprio l’autore a concretizzare l’evento mediante la propria condotta. In tal caso, ci si dovrà domandare se l’evento fosse evitabile mediante il comportamento alternativo lecito e se la regola cautelare mirasse proprio a prevenire quest’ultimo. In presenza di condotte omissive, il decorso degli eventi non è influenzato dall’azione di un soggetto, poiché manca un comportamento attivo, quindi la causalità omissiva ha ontologicamente matrice normativa e si sostanzia nell’omesso impedimento doveroso di un evento39. La causalità omissiva deve esser ricostruita mediante un procedimento logico ed ipotetico data la mancanza di dati empirici, “si tratta quindi di una causalità ipotetica, normativa, fondata, come quella commissiva, su un giudizio controfattuale…a differenza di quella commissiva non potrà mai avere una verifica fenomenica che invece, nella causalità commissiva è in talune ipotesi verificabile”40.

In questi casi, causalità della condotta e causalità della colpa si sovrappongono inevitabilmente. In tal senso, si è pronunciata la Cassazione nella sentenza n. 28615 del 29 luglio 2005 in tema di circolazione stradale, affermando che vi è commistione tra il profilo della causalità e quello della colpa. Infatti, il giudice nell’accertamento della responsabilità deve in primis analizzare il nesso di causalità e verificare se vi siano elementi interruttivi e, in assenza di questi, passare al secondo momento, di natura soggettiva, costituito dalla prevedibilità ed evitabilità dell’evento. Sempre la Cassazione nella sentenza 16/4/2008 n.

39C. BRUSCO, Il rapporto di causalità, Milano, 2012, pag. 39. 40C. BRUSCO, Il rapporto di causalità, Milano, 2012, pag. 43.

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20027, in tema di incidenti stradali, valutando la possibilità di avvistamento di pedoni da parte di guidatori afferma che “l’avvistamento del pedone implica la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale ogni conducente è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e, all’occorrenza, arrestare la marcia del veicolo) al fine di prevenire il rischio di un investimento”. La Suprema Corte, quindi, esclude la responsabilità del conducente ogni volta che questo si trovi nell’impossibilità di avvistare il pedone.

In fine, è importante precisare che la Suprema Corte41 si è pronunciata di recente in materia di causalità omissiva, affermando che nel giudizio controfattuale si deve inserire un comportamento (prudente, diligente, perito) che non esiste in natura, che viene considerato solo sul piano astratto ed ipotetico. Per tal ragione, quei ragionamenti controfattuali che erano distinti sul piano della causalità commissiva, in tale contesto, tendono a sovrapporsi; invero, “il problema… della causalità della colpa (cioè l’utilità del comportamento alternativo lecito), diventa al contempo un problema causale e si carica quindi del connotato di ragionevole certezza proprio della causalità. Di qui la comprensibile ma pur sempre criticabile confusione che regna in giurisprudenza tra causalità e colpa in tali contesti”42.

41 Cass. Pe., S.U., 24 aprile 2014, n. 38343 42 Cass. Pe., S.U., 24 aprile 2014, n. 38343

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Capitolo II

L’ELEMENTO OGGETTIVO DELLA COLPA

Sommario: 1. Premessa. -2. Colpa generica e colpa specifica e la loro funzione. - 3. Tipologie di regole cautelari. - 4. La c.d. colpa per assunzione, colpa da ‘posizione’ e il principio di affidamento.

2.1. Premessa.

La misura oggettiva della colpa, riguarda i profili concernenti la regola cautelare che doveva esser osservata dall’agente. Oltre alla misura oggettiva, in funzione di una maggiore personalizzazione del rimprovero, vi è anche una misura soggettiva, attinente alle caratteristiche individuali incidenti sulla capacità di risposta dell’agente43.

Nell’attuale società del rischio, si sta assistendo ad un processo di tipizzazione che ha portato alla proliferazione delle regole cautelari in numerosi settori, in particolare quello della prevenzione degli infortuni sul lavoro, delle malattie professionali, della circolazione stradale, dell’attività medico chirurgica. Da questo fenomeno empirico-sociale, scaturisce l’esigenza del contenimento del rischio e della tutela di beni, individuali e collettivi, mediante regole di condotta prestabilite ed uniformi.

Prima di procedere oltre, bisogna precisare il contenuto della dicotomia “rischio-sicurezza”, il quale funge da paradigma teorico della scienza penalistica moderna44. Senza dubbio, la colpa è funzionale alle politiche criminali odierne, di conseguenza si è assistito al mutamento del diritto penale dell’evento alla versione della “sicurezza” o “del rischio”45. Questa concezione del diritto penale, è funzionale allo svolgimento di attività lecite pericolose, ed è fondata su una logica cautelativa-precauzionale volta a contenere i fattori di rischio mediante regole di sicurezza. Le declinazioni normative inerenti al termine di sicurezza,

43 C. BRUSCO, La colpa penale e civile, Milano, 2017, pag. 298. 44 DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale, Milano, 2004, pag. 469 ss.

45 CASTRONUOVO, L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in

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sono adatte alla regolazione di attività rischiose ma consentite, a condizione che lo svolgimento di quest’ultime avvenga in ottemperanza delle regole cautelari ontologicamente orientate a governare tali fattori; in tal senso, si configura la c.d. “colpa speciale”46.

Le attività rischiose, hanno portato ad una rilevante espansione della responsabilità colposa, cioè all’estensione dell’imputazione a titolo di colpa per numerosi fattori: diffusione normativa di ipotesi di illecito colposo; responsabilità degli enti collettivi per delitti colposi; mutamenti normativi dettati da ragioni sociali e tecnologiche47. Sinteticamente, tali fattori sono la raison

d'etre del processo normativo delle regole cautelari, protocolli e procedure,

permettendo così la formalizzazione delle regole di diligenza, prudenza, perizia costituenti la colpa specifica. Nel panorama del diritto penale odierno, si prospettano anche altre forme di regole, quali le regole cautelari modali e meta-regole cautelari derivante da leggi o regolamenti, istituzionali o privati, che le statuiscono48. Tale oggettivizzazione costituisce “un paradosso, rappresentato dal fatto che la formalizzazione delle regole cautelari finisca per avere effetti accrescitivi sulla responsabilità colposa: la positivizzazione delle regole cautelari dovrebbe produrre, in via indiretta, effetti selettivi sulla responsabilità, agendo positivamente sul tasso di determinatezza della fattispecie colposa. L’effetto negativo… è per lo più connesso, invece, all’automatismo… tra violazione della regola cautelare e colpa per l’evento49”.

Quindi, sorgono su questo versante numerosi interrogativi: qual è la natura di queste regole cautelari? Quali sono le funzioni specifiche?

Già da molti anni, si cerca di verificare la natura della regola cautelare in base al criterio di prevedibilità dell’evento, al fine di addebitare, sul piano oggettivo, il fatto al suo autore; “darà, cioè, luogo a colpa solo la trasgressione di quelle norme giuridiche che prescrivono o vietino comportamenti, astenendosi dai

46 Per la distinzione tra colpa comune e colpa speciale v. F. MANTOVANI, Diritto penale, 7°

ed., Padova, 2011, pag. 350 ss.

47 Per un’analisi dettagliata dell’elenco v. CASTRONUOVO, L’evoluzione teorica della colpa

penale tra dottrina e giurisprudenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, pag. 1596 ss.

48 CASTRONUOVO, L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in

Riv. it. dir. proc. pen., 2011, pag. 1606.

49 CASTRONUOVO, L’evoluzione teorica della colpa penale tra dottrina e giurisprudenza, in

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quali, o realizzando i quali, è prevedibile il verificarsi di un evento dannoso come conseguenza della propria azione od omissione”50.

La prevedibilità, quindi, risulta esser il presupposto costitutivo della regola cautelare al quale si aggiunge, nella formazione di tale regola, il parametro dell’evitabilità dell’evento, infatti la regola cautelare deve anche esser idonea ad evitare l’evento lesivo stesso in base al comportamento prescritto dalla suddetta. I criteri di prevedibilità ed evitabilità dell’evento, sono alla base della formazione della regola cautelare51. Siffatti criteri, hanno una doppia matrice: tecnico-scientifica quando, mediane regole scientifiche, si accerta il collegamento di una determinata condotta ad un evento; empirico-sociale quando si ricava una regola dalla percezione ed osservazione della pericolosità di determinate condotte sociali e dalla previsione di strumenti ad hoc per evitare il prodursi di eventi lesivi. Inoltre, le regole cautelari devono esser munite di un carattere modale, cioè l’indicazione precisa delle modalità e degli strumenti che debbono essere impiegati per evitare l’evento lesivo; se la regola però impone l’astensione dall’intraprendere un’attività pericolosa, viene meno il profilo modale52.

Prima di procedere all’analisi delle regole cautelari, è importante accennare alla sentenza Cass., sez. IV, 19 novembre 2015, n. 12478/16, in merito al terremoto dell’Aquila. Con tale sentenza sono stati assolti tutti gli imputati (tranne uno), per omicidio colposo derivante dall’omessa previsione di paventati eventi rischiosi per la pubblica incolumità, in quanto quest’ultimi non avevano violato nessuna regola cautelare. La Suprema Corte ha motivato la decisione nei seguenti termini "in tema di responsabilità colposa, ai fini della individuazione della regola cautelare alla stregua della quale valutare la condotta dell'agente, non è sufficiente fare riferimento a norme che attribuiscono compiti, senza impartire prescrizioni modali, essendo necessario pervenire all'identificazione del modello comportamentale che - secondo le diverse fonti previste dall'art. 43 cod. pen. - è funzionale alla prevenzione dell'evento pregiudizievole. In assenza

50 G. MARINUCCI, La colpa. Studi, Milano, 2013, pag. 184 ss; per l’analisi degli aspetti

processuali si veda S. GROSSO, Alla ricerca di una prospettiva di individuazione delle regole

cautelari. Un dialogo tra diritto sostanziale e processuale, in Riv. it. Dir. Proc. Pen., 2016, pag.

146.

51 GALLO, voce Colpa penale, vol. VII, Milano,1960, pag. 624.

52 D. MICHELETTI, La colpa del medico. Prima lettura di una recente ricerca “sul campo”,

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di una simile connotazione la norma di dovere deve essere integrata dalle prescrizioni cautelari rinvenibili in leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica) ovvero in regole di matrice esperienziale o tecnico-scientifica (colpa generica)" (p. 128).

2.2. Colpa generica e colpa specifica.

Il concetto di regole cautelari si può ricavare, in via interpretativa, dall’art. 43, comma 1° e 3° secondo il quale il delitto “è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza, imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.

Invero, per regola cautelare si intende quella regola, giuridica o non giuridica, atta a evitare che si possano produrre conseguenze dannose per terzi dall’esercizio di una attività53. La miglior dottrina, ha affermato che la distinzione tra colpa generica e colpa specifica non ha una matrice ontologica, ma di natura formale in base alla formulazione (scritta o non scritta) o alla fonte di riferimento (giuridica o extra giuridica).

Il codice penale, nel descrivere le regole cautelari, rimanda alle fonti scritte e non scritte distinguendo tra colpa specifica e colpa generica. Le regole cautelari scritte sono le leggi, regolamenti, ordini e discipline le quali vengono impartite al singolo da un’autorità privata o pubblica. Invece le regole cautelari non scritte vengono ricollegate dal legislatore ad i concetti di negligenza, imprudenza ed imperizia54.

È importante precisare che la struttura della colpa, in entrambe le situazioni, è la medesima, poiché, per la formazione della regola è necessaria l’esperienza che permette di riconoscere se certe condotte possono ledere beni giuridici e quali cautele sono adatte ad evitare tale nocumento55.

Seguendo l’impostazione dell’art. 43 c.p. possiamo distinguere: la colpa generica espressa nei termini di negligenza, imprudenza ed imperizia; la colpa

53 GALLO, voce Colpa penale, vol. VII, Milano,1960, pag. 637.

54 GAROFOLI, Manuale di diritto penale, parte generale, XII ed., Roma, 2016, pag. 915.

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specifica derivante dall’inosservanza di leggi e regolamenti (norme generali ed astratte) e ordini e discipline (né generali né astratte).

È necessario a tal punto procedere alla puntualizzazione di tali concetti giuridici. La colpa specifica, di natura giuridica, si sostanzia nella violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline da parte di un soggetto che detiene tale potere al fine di assicurare, in sicurezza, l’esercizio di determinate attività56.

La colpa generica, di matrice extra giuridica, espressione delle massime di esperienza non codificate, può trovare espressione nella negligenza e cioè nell’omissione delle cautele doverose, espressione di trascuratezza del soggetto agente; nell’imprudenza che consiste in un comportamento antitetico alle regole sociali sinonimo di avventatezza o impulsività; nell’imperizia, invece, che consta nella violazione delle legis artis cioè delle regole professionali e tecniche in un determinato settore o professione57. Tale categoria implica per il giudice non solo di qualificare l’atteggiamento imprudente, negligente od imperito ma di determinare, in base ad i canoni di prevedibilità ed evitabilità dell’evento, la regola cautelare di riferimento.

A questo punto, è necessario stabilire il criterio sul quale fondare l’accertamento della colpa generica; le opinioni in materia sono estremamente diversificate, in quanto si oscilla tra i parametri del bonus pater familias, dell’homo eiusdem

professionis et condicionis, della migliore scienza ed esperienza.

La teoria del bonus pater familias è funzionale al bilanciamento delle istanze sottese al principio di colpevolezza e alla tutela dei beni giuridici individuali e collettivi. L’istanza sottostante al principio di colpevolezza viene soddisfatta mediante l’azione cosciente e volontaria, dell’agente che opera come avrebbe fatto la maggior parte delle persone. Una diligenza più elevata, secondo tale teoria, “paralizzerebbe all’istante tutta la vita sociale, e irrigidirebbe i beni giuridici in un’atmosfera da museo, immuni da offese umane, ma sterili di ogni funzione sociale58”. Quindi, tale figura, è coerente rispetto al criterio di ragionevolezza in quanto bilancia le istanze di prevenzione generale con la personalizzazione del rimprovero.

56 C. BRUSCO, La colpa penale e civile, Milano, 2017, pag. 127. 57 GALLO, voce Colpa penale, vol. VII, Milano,1960, pag. 637 ss. 58 WEZEL, Il nuovo volto del diritto penale, trad. it., in jus, 1952, pag. 41.

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