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Cronache Economiche. N.113, Maggio 1952

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A proposito

dell'esperimento Pinay in Francia

I I E N K V L A U F i : . \ B L H < ; i ; i t

Avvenuta la liberazione, la Francia si è abbandonata alle

illusioni, ha sperato di poter mantenere il suo tenore di vita,

così nel settore privato come in quello dell'economia pubblica,

pure perseguendo tre finalità in parte nuove: la riparazione dei

danni di guerra; il superamento del ritardo verificatosi

nel-l'assestamento dell'agricoltura e soprattutto dell'industria, la cui

attrezzatura era smisuratamente invecchiata; e infine il riarmo

intensificato dopo il 1951.

Se si considera che la Francia è il paese più generoso fra tutti

gh altri in materia di assistenza sociale, poiché gli apporti dei

datori di lavoro superano di molto il livello di un salario

com-plementare, si deve riconoscere che il finanziamento di cumulo

di obbiettivi sopra elencati oltrepassa di molto le risorse

del-l'economia nazionale che non ha ancora raggiunto il livello della

produzione del 1929, ultimo anno di indiscussa prosperità nel

periodo fra le due guerre.

Durante i primi tre anni che hanno seguito la seconda guerra

mondiale, il carico degli investimenti trasferiti dal settore

pri-vato a quello pubblico, in funzione delle nazionalizzazioni, è

stato troppo grave per essere assunto, sia pure soltanto in parte,

dal reddito nazionale eccedente i bisogni vitali — o giudicati

tali — del consumo. Il costo della ricostruzione e

dell'attrezza-tura delle imprese statizzate (ferrovie) e nazionalizzate (gas,

elettricità, carbone, ecc.) gravanti sul bilancio statale è

stato tale che fu necessario attingere soprattutto dall'inflazione i

mezzi di finanziamento corrispondenti a circa il 20% del reddito

nazionale, tenuto conto dei « déficits » dei bilanci così detti

or-dinari di funzionamento. Le anticipazioni dirette, concesse dalla

Banca di Francia allo Stato, l'inflazione indiretta causata dallo

sconto di Buoni del Tesoro effettuato dalle banche, e anche, in

certa misura, la mobilizzazione in franchi della contropartita

degli aiuti americani: ecco altrettanti responsabili della

svaluta-zione del franco francese durante i primi anni del dopoguerra.

Malgrado il rallentamento e poi il fermo completo della

formazione artificiale del potere d'acquisto, la divisa francese

non rappresenta più attualmente che una esigua frazione di

quanto essa era anteriormente al secondo e soprattutto

prece-dentemente al primo conflitto mondiale. La diminuzione del

potere d'acquisto del franco francese invero, all'inizio del 1951

in rapporto alla fine del 1938 era del 94,50%, mentre per le altre

monete era assai inferiore e cioè:

3 9 , 5 0 % per il franco svizzero,

46,10% per il dollaro statunitense,

48,50% per la sterlina,

61,50% per il fiorino olandese,

espresso in oro il franco francese non rappresentava più di

2 mmg. e 32 nel 1950 contro 290 mmg. nel 1914.

A partire dal 1949, la tattica finanziaria si modifica. Tutte

le spese pubbliche e d'interesse pubblico sono riunite in un solo

bilancio formato da quattro sezioni:

— funzionamento dei servizi;

— investimenti nel demanio dello Stato (strade, ponti,

edi-fici

[bàtiments) ;

— allestimenti (imprese di Stato soggette a

nazionalizza-zione, agricoltura, industrie private vitali come la siderurgia) e

riparazione dei danni di guerra;

— conti speciali del Tesoro, e cioè le spese fino ad un

mas-simo a carico del Tesoro in materia di commercio, di cambi,

di credito a breve e lungo termine, ecc.

L'imposta non copre solamente le spese cosiddette ordinarie

d'ordine civile e militare, ma anche un'importante aliquota dei

carichi pubblici d'investimento: allestimento, ricostruzione. Fino

al 1951 sono state devolute a tali scopi le seguenti imposte: avanzo

del prelievo eccezionale per la lotta anti-inflazionista ; tassa

tem-poranea sugli utili non distribuiti delle società; parecchi decimi

applicati ad imposte indirette (tassa di produzione, ecc.) e ai

diritti di registro; prodotto dall'inasprimento del tasso per

l'im-posta sul reddito degli Enti morali, ecc. Il saldo dell'investimento

pubblico eccedente — ben inteso — l'autofinanziamento assai

scarso degl i stabilimenti industriali dello Stato o nazionalizzati

venne coperto dagli aiuti americani, da rari prestiti a lungo

ter-mine specialmente di provenienza estera, da emissione di

teso-reria effettuate - in ritmo crescente - al di fuori del settore

ban-cario, focolaio dell'inflazione.

La prima originalità del Piano Pinay è quella di riserbare

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l'imposta alle spese di funzionamento, agli stanziamenti

mili-tari, ecc. e di ripristinare il finanziamento classico a mezzo di

prestiti, per le spese già chiamate « straordinarie » di investimento,

mettendo al bando rigorosamente l'inflazione che nel 1951

aveva rivelato una nuova recrudescenza, a causa delle note

riper-cussioni della guerra in Corea e dell'adeguamento interno dei

salari, al rialzo assai notevole dei prezzi.

Il promotore di questo esperimento, il primo di grande

por-tata

dopo quello dell'opposta ispirazione socialista di Leon Bluin,

ha perciò dovuto adottare misure preliminari atte a disporre

favorevolmente i detentori di capitali ed a incitare i

tesaurizza-tori a partecipare ad una operazione finanziaria vantaggiosa. Di

primo acchito, in un clima favorito dal non inasprimento delle

imposte, l'amnistia fiscale doveva assumere un ruolo essenziale.

Col favore di un largo gesto di generosità i contribuenti che

anteriormente al i° gennaio 1952 avevano nascosto al fisco una

parte del proprio reddito, credito o stocks, hanno beneficiato

automaticamente di una specie di prescrizione anticipata in

ma-teria di contributi riguardanti l'imposta sul reddito, le tasse

sulla cifra d'affari, i diritti di trapasso, ecc.; agli evasori è stato

accordato, a far tempo dalla pubblicazione della legge 14 aprile

1952, di regolarizzare la loro posizione, scansando multe e

pe-nalità, col solo pagamento dell'imposta. Andando ancora più

in là, una semplice istruzione ministeriale del 17 aprile, di dubbia

legalità, estende l'amnistia dal campo puramente fiscale a quello

del controllo sugli scambi. Fino al i° luglio 1952 ogni credito

all'estero, in condizione irregolare, può essere regolarizzato, sia

con la conversione delle divise in franchi, ove si tratti di rendita

o di corrispettivi di esportazioni, sia a mezzo di rimessa a dossier

di un intermediario di gradimento, sia con una

dichiara-zione all' Ufficio dei cambi, quando si tratti di capitali

dissimulati.

Queste misure che sono discutibili sotto il punto di vista

morale (nel senso che, al contrario degli astuti frodatori, quelli

che, scoperti, già sono stati perseguiti, verranno penalizzati, pur

avendo scontato l'integrità dell'imposta) saranno idonee a

rastrellare i fondi occultati in Francia e all'estero in una cerchia

produttiva di larga estensione >

Il Presidente Pinay ha pure pensato, anche e forse soprattutto,

ai tcsaurizzatori. Dopo la Cina, la Francia si inserisce in primo

posto fra i paesi che dispongono di importanti riserve auree

pos-sedute dalla massa dei privati detentori, in forma di lingotti o

di monete; si valuta a più di 3.000 tonnellate l'oro così sottratto

all'attività economica. Calcolandolo a 500.000 franchi al

chilo-grammo, le tonnellate d'oro corrispondono a più di 1.500

miliardi di franchicarta. La preponderante preferenza per la m o

-neta e in particolare per il « Napoleone », si appalesa nel premio

che ad essa si riconosce in rapporto al lingotto e che era ancora

del 3 7 % al momento dell'andata in vigore del Piano Pinay.

Il secondo obbiettivo del « N e w Deal », che è palesemente

d'ispirazione conservatrice, se non pure capitalista, all'opposto

del sistema Roosevelt agli Stati Uniti, è di convogliare le

ecce-denze del reddito, i capitali liquidi suscettibili di mobilitazione

verso il prestito emesso alla fine di maggio, la cui sottoscrizione

rimane aperta durante tutto il mese di giugno.

Ma il Presidente del Consiglio francese ha voluto attrarre

pure e innanzitutto i detentori di lingotti e monete d'oro, oltre

che di divise. Il prestito è quindi legato al « metallo giallo » senza

essere perciò un prestito in oro. Il collegamento a quest'ultimo

è stato operato con delicatezza. Si è dovuto prima d'ogni altra

cosa risolvere le modalità della sottoscrizione. La maniera più

semplice era quella di permettere ai detentori della moneta di

scambiarla direttamente con i titoli del prestito, ciò che avrebbe

evitato il risucchio sul mercato libero. In questo caso lo Stato

avrebbe dovuto rivendere l'oro; ma esistono al riguardo tassi

differenti, il corso fisso della Banca di Francia e i corsi liberi

nettamente superiori. Si è pertanto ammesso, come principio,

che i detentori dell'oro potessero procurarsi biglietti o depositi

in vista della sottoscrizione, realizzando essi stessi il valore del

metallo sul mercato libero, misura questa che si tradurrà in

un ribasso dei corsi se i venditori si presenteranno in gran numero

insieme con una massa importante di monete. Le grandi

banche accettano direttamente l'oro contro l'emissione di

titoli, come francobolli. Il rischio, in verità minimo, può

consi-derarsi compensato dalla garanzia dell'oro insita nel titolo > Tale

garanzia è realmente solo indiretta. L'interesse del 3,5 % ,

essendo calcolata e pagata sul prezzo di emissione, sfugge

alla garanzia che è riservata al capitale per quel che

si attiene al collegamento con l'oro. Lo Stato riprende i

valori garantiti secondo il corso dell'oro quotato sul mercato

Ubero, per il pagamento di certe imposte. Poiché l'imposta sul

reddito è esclusa per lasciare un margine ai pagamenti in moneta

fresca, sono i diritti di trapasso — acquisti di mobili ed immobili,

successioni, donazioni — che forniranno un canale di sfogo ai

titoli in conformità dalle fluttuazioni del valore dell'oro nei

con-fronti della moneta cartacea. Il rischio del ribasso dell'oro non è

risentito dal sottoscrittore, poiché lo Stato riprende il titolo sulla

base almeno del prezzo di emissione. Per contro, il pericolo

del ribasso del franco-carta in rapporto all'oro è eliminato per

il possessore dei titoli Pinay, in considerazione del fatto che i

corsi in borsa si svolgeranno, in forza della ripresa fiscale dei

titoli, secondo il mercato dell'oro, e che l'ammortamento sotto

forma di riscatto in Borsa dà la garanzia di « flessibilità ». Per la

misura con cui lo Stato prowederà all'ammortamento — poiché

il prestito dovrà essere estinto in 60 annualità — col metodo

del sorteggio annuale, si dovrà naturalmente tener conto

del valore di Borsa, se essa sarà in rialzo dopo la

emissione.

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Caiilaux del 1925. Ora il nuovo prestito che prende il nome da Pinay comporta lo stesso impegno, particolarmente am-pliato: non soltanto il portatore del titolo non sopporterà la sopratassa progressiva per « tranches » (massimo 7 0 % ) e in più i suoi eredi sfuggiranno al pagamento dei diritti di successione sui titoli fino alla concorrenza del loro valore in oro.

Il successo dell'operazione è quindi, per un certo senso, in funzione della dimenticanza della storia: benché lo Stato abbia cosi spesso rinnegato i suoi impegni, non si vuol sempre pen-sarci. Senza dubbio, le considerazioni d'ordine fiscale assicurano una larga eco all'appello di Pinay. Il privilegio tributario durerà almeno un discreto numero di anni, inoltre tutti i frodatori del-l'Erano, partecipando al prestito, si assicureranno la prova in-confutabile d'aver sottoscritto con fondi dissimulati anterior-mente al 10 gennaio 1952 — limite fissato dall'amnistia — e cosi sfuggiranno al sospetto ch'essi abbiano potuto farlo a mezzo di disponibilità conseguita e dissimulata posteriormente. La garanzia dell'oro eserciterà una modesta attrattiva. Molti fra i detentori di lingotti e in m o d o speciale di monete riterranno il loro « collocamento » sterile più sicuro che non il titolo del prestito agganciato all'oro.

Se si considera obbiettivamente, la garanzia in oro è u n segno di debolezza dello Stato e implica per esso un grave rischio. Ammettendo che il franco-carta non è al sicuro nei riguardi del deprezzamento, sia per sua colpa, sia in ragione, purtroppo, delle congiunture interne e soprattutto di quelle internazionali imprevedibili, lo Stato si impegna, in caso inverso, a fare tutto ciò che è in suo potere per limitare gli slittamenti della moneta, giacché altrimenti graverà il bilancio d'un sovraccarico intolle-rabile per onorare la promessa garanzia in oro. Questa è d'al-tronde contraria ai principii della gestione finanziaria tradizio-nale da quando esiste un debito pubblico apprezzabile. Finora lo Stato non ha potuto sopportare il crescente peso del suo de-bito interno se non in grazia dello svilimento del franco, ciò che è il m o d o più efficiente per procedere all'ammortamento. Eppertanto se il debito interno è salito nominalmente da 30

a 3000 miliardi in cifra tonda dal 1913 al 1951 - ossia si è molti-plicato per 100 — U peso teorico in oro è sceso di circa il 20%. Ma se valutiamo il debito, basando il potere d'acquisto della moneta in rapporto ai prezzi del mercato al dettaglio o sul costo della vita, registreremo una caduta nella proporzione di 100 a 60 almeno. Per attenuare il gravame eventuale della garanzia, è augurabile che gli Stati Uniti svalutino il dollaro, in altri termini rialzino il prezzo dell'oro espresso in divisa U.S.A. sensibilmente al di sotto di 35 dollari l'oncia.

Qual è il rapporto tra le previsioni e i risultati ?

A l momento dell'emissione, il Governo aveva scontato al-meno trecento miliardi di franchi-carta, somma minima per ri-tornare ad una dolorosa compressione delle spese. Bisogna ren-dere giustizia a Pinay di aver avuto il coraggio di indurre il Parlamento, per la prima volta dopo la liberazione, ad operare una certa scelta tra le spese eccedenti notoriamente la capacità dell'economia. In tal modo per compensare i maggiori carichi militari ha falcidiato parecchie spese di funzionamento, certi approntamenti e soprattutto il programma di ricostruzione. Tenuto conto delle risorse del credito a breve scadenza, i 300 miliardi attesi dal prestito permetteranno di far rivivere alcuni investimenti pubblici.

Il prestito opererà su vasta scala l o spostamento dei fondi già virtualmente a disposizione del Tesoro, come i depositi di banca e i « chèques » postali, verso un definitivo impiego pub-blico. Ma quale sarà l'importanza della contropartita realizzata di monete e di lingotti d'oro ; Il « test » dell'operazione Pinay è là; il successo, non nominale ma reale, dipende anche, fino ad un certo punto, dall'importanza dei capitali rimpatriati; poiché, a nostro parere, occorreranno nominalmente più di 300 miliardi, data la massa dei titoli che rifluirà per compensazione, onde re-golare certune tasse e anche in ragione all'ammissione, come mezzo liberatorio, del prestito perpetuo 5 % 1949 e del 3 % perpetuo.

Qual è la realtà?

N e parleremo in una nota che verrà pubblicata prossi-mamente.

(Trad. FrUettì)

Banca j&'JUnmra e blatta

SOCIETÀ PER AZIONI - Capitale versato e riserve Lit. 8SO.OOO.OOO

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IL VINO

AL CONVEGNO MEDICO DI ASTI

G I O V A N N I D A L M A S S O

A d Asti il 4 maggio — in occasione delle annuali manifesta-zioni che si svolgono in quella città nel periodo della tradizionale Fiera di San Secondo (che nel dopoguerra è divenuta soprattutto per merito della Camera di Commercio di Asti, una « Fiera del Vino d'Italia ») — s'è tenuto, f r a l'altro, un « Convegno Medico

Nazio-nale » dedicato al problema dei « vini di regime

nell'alimenta-zione dell'uomo sano e dell'ammalato ». Convegno al quale h a voluto assistere lo stesso Presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Non solo, ma un apposito stand della Fiera del vino era dedicato appunto ad una « Mostra dei Vini di Regime ».

L ' a v v e n i m e n t o ha destato grande interesse anche f r a i profani ai... misteri dionisiaci, e persino la stampa politica se n'è larga-mente occupata. Gli è che ha sorpreso più d'uno vedere tanti illustri cultori della Bcienza d'Esculapio riuniti per... non dire male del v i n o ; anzi, per tesserne elogi.

Non ha, naturalmente, stupito noi, Accademici della Vite e del Vino, chè una delle prime manifestazioni della nostra A c c a -demia è stata infatti quella di costituire nel suo seno una Com-missione per lo studio biologico dei prodotti della vite, presieduta dall'illustre fisiologo Prof. S. Baglioni, allo scopo di riprendere

La Mostra dei vini di regime alla Piera di Alti.

quelle ricerche che già prima dell'ultima guerra erano state feli-cemente iniziate, sotto la guida dello stesso Baglioni, ad opera di valenti studiosi, due dei quali furono appunto i relatori del Convegno astigiano.

Del resto, si potrebbe risalire anche più in là. Fin dal primo Congresso Internazionale della Vite e del Vino — quello di Bar-cellona, del 1929 — era stato approvato un voto per l'istituzione in tutti i paesi produttori o consumatori di vino, d'una « Società di medici amici del vino ». E la prima di esse è sorta poco dopo in Francia, sotto gli auspici dell'Associazione di propaganda per il vino e degli Amici dei vini di Francia, allo scopo di dimostrare scientificamente il valore alimentare, igienico, profilattico, tera-peutico del vino ; il suo posto nell'economia umana e nell'econo-mia nazionale in relazione all'ufficio sociale ed economico del medico.

Numerose sono state le manifestazioni d'attività svolte da tale Società francese, non ultima l'organizzazione d'un Congresso

medico internazionale per lo studio scientifico dell'uva e del vino,

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Ma perchè i cultori di studi viti-vinicoli s'interessano tanto di problemi che entrano nel dominio del medico e del fi-siologo 1

Il motivo è chiaro, ed è appena il caso di sottolinearlo. Noi, evidentemente, ci preoccupiamo del fenomeno ormai ben noto e diffuso non solo in Italia, ma in tutti i maggiori paesi viti-coli: quello d'una graduale contrazione nel consumo del vino, mentre, contemporaneamente, s'avverte una tendenza pure co-stante all'aumento nella produzione mondiale di questa bevanda. Superfluo dire con quali conseguenze.

Come arginare questo preoccupante duplice fenomeno T D a un lato, evidentemente cercando di disciplinare e frenare l'ulte-riore espansione della coltura della vite (cosa non facile, nè priva di serii inconvenienti, soprattutto per un paese come il nostro con eccessiva pressione demografica). Dall'altro, cercando di riportare il consumo individuale del vino al livello di un non lontano passato.

I mezzi per raggiungere questo secondo scopo sono vari, ma, indubbiamente, uno dei più efficaci può risiedere in un'intensa! persuasiva opera di propaganda fra i consumatori. Ma la propa-ganda, per riuscire efficace, non deve limitarsi a ripetere i soliti luoghi comuni, le solite frasi fatte, anche se di uomini illustri, ma deve basarsi su argomenti più solidi, più n u o v i ; soprattutto sui risultati di rigorose ricerche scientifiche. E qui s'entra nel vivo dell'argomento.

Si è molto parlato recentemente sulla stampa quotidiana e periodica dei risultati d'una inchiesta sulle abitudini e preferenze degli italiani nei riguardi del consumo del vino: inchiesta con-dotta dal noto Istituto Doxa di Milano per conto del Ministero dell'Agricoltura e Foreste (il quale, molto opportunamente, volle accogliere un voto in tal senso del Comitato consultivo viti-vinicolo e della sovracitata Accademia).

Ora, è molto significativo uno fra i numerosi risultati emersi dalla suddetta inchiesta. Alla domanda rivolta a coloro che « hanno smesso di bere vino » sui motivi che li han fatti divenire astemi, solo un quarto circa (il 2 6 % ) ha risposto «per ragioni

economiche », mentre la percentuale più elevata (42%) ha risposto per « ragioni di salute, consiglio del medico ».

Questo risultato fa pensare. Se la realtà fosse proprio quale emergerebbe da queste risposte, i viticoltori italiani avrebbero motivo di seriamente temere per l'avvenire della loro dura fatica. E noi, studiosi della vite e del vino, dovremmo sentirci molto perplessi Dell'invocare un'intensa propaganda per l'aumento del consumo della nostra bevanda.

Ma noi siamo convinti che la realtà è alquanto differente da quella che appare dalle cifre sovraricordate. L a verità è che ancora troppo poco si conosce dei precisi effetti fisiologici del vino sul-l'organismo umano, sano e malato.

Come acutamente osservava il Prof. E . Serianni, valoroso allievo del Baglioni, nella sua interessantissima prolusione all'ini-zio del 3» anno della nostra Accademia il gennaio scorso in Roma, nel severo palazzo del Consiglio Nazionale delle Ricerche, «il problema generale fisiologico delle bevande alcooliche è ancor oggi dominato dall'arbitraria illazione dei fenomeni tossici del-l'alcoolismo nel campo dell'uso alimentare del vino, che, se è carat-terizzato dal suo principale componente, l'alcool etilico, è altresì ricco della presenza di composti da ascrivere specialmente alla categoria di principii bioregolatori, che derivano direttamente dall'elemento originario: il succo d ' u v a » . E aggiungeva che il movimento antivinista trae origine più che altro da « studi con-dotti esclusivamente sull'alcool etilico (e non sul vino), e desunti dal comportamento di quei poveri animali (costituzionalmente astemi) di laboratorio (cavie, ratti, ecc.), cui si somministrano in genere dosi piuttosto alte e non analoghe a quelle assunte dal-l'organismo umano ».

Di qui la necessità di rigorose, sistematiche, obbiettive ricer-che, condotte con metodo moderno, sotto l'aspetto fisiologico, bromatologico, metabolico, fisiopatologico, ecc.

Tali quelle che lo stesso Prof. Serianni sta conducendo presso l'Istituto di Alimentazione e Dietologia di Roma, in parallelo con quelle che in America, presso l'Università di Yale, sta perse-guendo il Prof. Giorgio Lolli, altro insigne allievo e collaboratore

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del Baglioni. Dei risultati di dette ricerche il Serianni diede una anticipazione nella sovraricordata prolusione alla nostra Acca-demia della Vite e del V i n o ; e rimandiamo ad essa, e alla memoria del Serianni che vedrà presto la luce, coloro che desiderino cono-scerli in extenso.

Qui ci limitiamo a ricordare come l'aspetto più interessante e nuovo di tali ricerche sta nell'averle condotte simultaneamente su due gruppi di soggetti, appartenenti bensì allo stesso ceppo razziale, ma l'uno costituito da italiani viventi in Italia, l'altro da italo-americani di 1*, 2» e 3* generazione viventi negli Stati Uniti. Ciò per poter seguire un individuo che, per tradizione era abituato all'uso del vino, nelle, sue reazioni in un altro ambiente, e con abitudini sostanzialmente e permanentemente mutate. Furono e vengono considerati tutti gli aspetti: dietetici, sanitari, metabolici, psicologici, sociali, economici.

Pur essendo le ricerche solo da poco iniziate, l'elaborazione dei primi dati richiese non meno di 700 mila calcoli: ciò può dare un'idea della loro complessità.

Ora, fra le molte constatazioni già fin d'ora emerse, è impor-tante quella che gl'italiani trapiantati nel Nord America vanno gradualmente scostandosi, nel loro regime alimentare, dalle tradi-zioni della loro patria. E così, in fatto di bevande alcooliche, mentre per gl'italiani le calorie da alcool sono pressoché intera-mente assunte dal vino, negli italo-americani esse si spostano sempre più verso altre bevande di più forte tenore alcoolico. Non solo, ma gl'italiani bevono vino quasi esclusivamente durante ì pasti, mentre gli americani consumano le bevande alcooliche pressoché solo fuori pasto (soltanto la prima generazione di italiani conserva in gran parte la sana abitudine na-zionale).

Ora, dalle ricerche di Lolli e Serianni è risultato che, mal-grado che gli italiani bevano molto di più, sono soggetti assai meno a fenomeni di alcoolismo che non gli americani.

Vennero pure prese in esame le condizioni sanitarie e le afie-zioni che possono essere considerate più fisionomiche dei bevitori di alcoolici : affezioni gastriche, gastro-intestinali, epatiche, respi-ratorie, cardiache, circolatorie, endocrine. Non spetta a noi, profani dell'arte medica, addentrarci in simile delicata materia: ci limiteremo a ricordare come la conclusione esposta dal Serianni a R o m a è stata che, grosso modo, la morbilità degli americani i doppia di quella degli italiani.

Sorvolando su tante altre risultanze di queste ricerche, e venendo senz'altro alla conclusione del Serianni, essa dice testual-mente :

« Questi sono f a t t i che potrebbero bastare per indurre coloro che ancora emettono un verdetto di assoluta condanna per questa bevanda millenaria della nostra alimentazione, a riflettere sulla loro posizione mentale, a collaborare solidamente e

obbiettiva-mente per la miglior definizione delle proprietà fisiologiche, nutri-tizie del vino, e della definizione anche, come per tutti gli alimenti, dei limiti imposti da criteri igienici.

« Se il vino, come giustamente lo definì il Baglioni, rappresenta un'autentica conquista biologica, conquista biologica conseguita attraverso i secoli, il vino dovTà entrare nell'alimentazione anche dei popoli astemi, i quali a loro volta offriranno altre abitudini alimentari ai popoli bevitori.

«... Guai, comunque, se il mondo latino, la civiltà mediter-ranea, l'Italia, non potessero difendere il loro tradizionale patri-monio alimentare...». Ancora il Baglioni ammonisce: « V ' è sem-plicemente da trasalire al pensiero delle possibili ripercussioni, anche se non precisabili, sulla stessa civiltà mediterranea e per i riflessi sull'intera razza umana ».

Non è quindi solo per l'interesse dei viticoltori (per quanto tale interesse, in un paese come il nostro, dovrebbe sovrastare quelli di tante altre forme di attività economica) che noi voghamo difendere e difiondere l'uso del vino, ma perchè siamo fermamente convinti che, così facendo, noi difendiamo anche la sanità fisica e morale del nostro popolo. E auspicando che il buon vino italiano (diciamo pure latino) riesca a conquistare anche i popoli oggi pressoché astemi, siamo certi di formulare per essi l'augurio di un avvenire migliore.

* * *

Questo, in sintesi, ciò che noi abbiamo detto, a mo' di prolu-sione, al Convegno dei medici ad Asti. Ma, naturalmente, con assai maggiore autorità ha trattato il problema il principale relatore del Convegno: il Dr. E t t o r e Debenedetti, Primario dell'Ospedale Civile di Asti. L a sua relazione fu, oltreché dotta, sensata e corag-giosa. Egli non s'è peritato di mettere garbatamente sotto pro-cesso molti suoi colleghi, insistendo anzittutto su questo concetto, che dovrebbe essere tenuto presente da t u t t i i medici quando prescrivono ai loro clienti d'ambo i sessi una particolare dieta: che non solo è inutile, ma dannoso infliggere al sano o al malato delle privazioni (che non di rado sono addirittura crudeli) che si potrebbero evitare, o ragionevolmente attenuare ed addolcire. I medici — ha detto il Dr. De Benedetti — sono spesso feroci e senza una vera necessità.

I l metodo delle diete standardizzate è comodo (è sempre il relatore che parla); anche più comodo quello delle restrizioni: niente carne, niente u o v a , niente burro, niente vino... Si dimen-tica che invece bisogna fin dove possibile tener conto delle abitu-dini, del gusto dei malati..., e dei sani che temono di es-sere malati e perciò si affidano alle mani dei sacerdoti di Esculapio.

N o i qui vogliamo limitarci al vino. Superfluo dire come una quantità di medici lo guardano di malocchio. Nella migliore delle

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ipotesi (ha detto il Dr. De Benedetti) 0 contegno dei medici rispetto al vino è agnostico.

Ora, ha continuato il De Bene-detti, il proibizionismo dei medici non risponde a convincimenti scientifici, bensì all'andazzo (come un po' tutto il settore della dietetica è dominato dalla routine).

Si dimentica che il vino « è so-prattutto un fattore dietetico, un grande condimento, un alimento vo-luttuario, dotato di proprietà este-tiche, in quanto suscita e modifica sentimenti, agisce sull'umore e sulle cenestesi ».

Lasciamo dunque bere modera-tamente i sani, e lasciamo anche bere (con tutte le precauzioni e gli accorgimenti doverosi) i malati. E facciamo soprattutto bere i conva-lescenti.

Ma al Convegno di Asti si è par-lato soprattutto, e forse per la prima volta ex professo, di « vini di regime ». Che cosa dobbiamo intendere con questa espressione?

Ecco come li ha definiti il D e B e n e d e t t i :

«Per " vino di regime " s'intende un vino naturale non

medi-cinale, che per la sua composizione fisico-chimica, per i suoi

caratteri organolettici si possa utilmente somministrare a deter-minati organismi, con particolare riferimento ai seguenti stati morbosi: diabetici, ipertesi, cardiopatici, malattie febbrili, malat-tie debilitanti, astenìe fisiche e nervose, eretismo nervoso, conva-lescenze, talune malattie epatiche, coliti con stitichezza e coliti con diarrea, gastropatie con ipercloridria, gastropatie con ana-cloridria, anemia ».

B a s t a questa elencazione per far comprendere che... ben pochi, astemi o no, possono restare indifferenti d a v a n t i alle virtù del vino.

Naturalmente non tutti i vini possono servire per tutti i malati. Come dice la definizione, occorre tener conto della com-posizione fisico-chimica e dei caratteri organolettici di cia-scun vino.

Come ha ben chiarito al Convegno il Prof. Carino Canina nella sua precisa relazione sulla chimica del vino, bisogna soprat-tutto badare alla gradazione alcoolica, all'acidità totale, alla energia acida (PH), all'indice permanganico (espressione della tannicità) di ciascun vino. S'è perciò ad A s t i tentata una p r i m a classificazione dei vini in 6 tipi (A, B , C, D, E , F), indicando per ciascuno gli stati morbosi per quali esso meglio si consiglia (vedi quadro grafico)

Troppo lungo sarebbe scendere in particolari, che, dopo t u t t o , non troverebbero qui la loro sede più a d a t t a ; daremo solo qualche esempio, incominciando dalle malattie del ricambio, purtroppo molto frequenti, e più precisamente dal diabete. Su di esso — secondo il De Benedetti — non ci sono voci discordi; t u t t i con-vengono sull'utilità di prescrivere per i diabetici vini secchi, preferibilmente bianchi, con elevato contenuto di acidi e di sali.

Per le malattie articolari, basterà dire che ormai è accertato che non occorrono particolari « vini di regime »; diciamo senz'altro che essi possono bere vino.

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Per le malattie gastriche, il vino, grazie al suo contenuto in sali organici, possiede un potere tampone che attenua la sua natura acida, che potrebbe preoccupare i gastropatici per eccesso di acido cloridrico (specialmente indicati i vini bianchi o rosati o chiaretti). Che se poi trattasi di ipocloridrici o achilici, possono loro consigliarsi vini di buona acidità.

Ma persino per i malati di fegato (cui si suole vie-tare severamente il vino), si può oggi affermare che escluse le epatopatie croniche da alcool, non c'è motivo di vietare vini di moderata gradazione alcoolica e discreta acidità (esempio il Soave).

Nelle coliti di forma diarroica giovano vini ricchi di colore e tannino; in quelle con stipsi invece, vini ricchi di sali e acidi organici, che han leggera azione lassativa.

Agli obesi, per compensarli di tante altre privazioni gastro-nomiche, possono essere concessi un paio di bicchieri di vino leg-gero, meglio se un quarto d'ora prima del pasto...

Nelle malattie debilitanti e nelle convalescenze, consigliabile vino bianco secco e rosso leggero tipo Grignolino durante il pasto ; vino vecchio rosso, generoso (Barolo, Barbaresco e simili) a fine pasto.

Nei casi (quanto frequenti!) d'ipertensione, come già ebbe a consigliare l'Alessandrini, è inutile (per dir poco) vietare al pa-ziente anche il vino: un bicchiere di vino colorato, sapido, di non oltre 11°, farà certo loro più bene che male.

P e r le cardiopatie, il vino è un autentico farmaco per la sua azione cardiotonica e vasodilatatrice; preferibili vini di buon tenore alcoolico e scarsi di tannino.

E sorvoliamo sui vini adatti per malattie acute... perchè questa non è una rivista di medicina.

Ma bastano, crediamo, questi brevi cenni per far concludere che molti timori (potremmo dire ubbie) nei riguardi dell'uso del vino da parte dei sani e dei malati vanno, a Dio piacendo, dissol-vendosi.

T a n t o di guadagnato per tutti.

(10)
(11)

R A F F A E L E C A R L O N E

Prospettive

sulla frutticoltura

della Valle di Aosta

« Regione dei pascoli, dei prati e dei boschi... », così definisce agronomicamente la Valle d'Aosta Marescalchi, nella sua bella monografia sull'Agricoltura italiana (1). E in verità l'economia agricola della Valle è ba-sata prevalentemente sui prodotti legnosi delle foreste, che rivestono più o meno fitta-mente le zone montuose di questa tra le più accidentate e pittoresche regioni alpine del nostro territorio, nonché sull'utilizzazione dei pascoli e dei prati stabili, che forniscono 0 foraggio a parecchie decine di migliaia di bovini e di caprini, dando v i t a ad una pro-sperosa industria zootecnico-casearia.

Ma se queste sono le attività rurali pre-dominanti, un settore agricolo che ha pure una non trascurabile importanza economica per la Regione è rappresentato dalla frut-ticoltura. L ' a r t e sacra a P o m o n a ha tradi-zioni antiche nella Valle d ' A o s t a e alle f r u t t a qui prodotte erano riconosciute anche nel passato indiscussi pregi qualitativi. Sulla passione per la frutticoltura della fiera e ope-rosa gente Salassa, sulla diffusione e la col-tivazione degli alberi da frutto, abbiamo si-cure testimonianze negli scritti e nelle opere di storici e georgici piemontesi. Difatti, senza andare molto indietro negli anni, da D e Bartolomeis (2) apprendiamo che più di un secolo f a il fico, il mandorlo e soprt u soprt soprt o il melo e il pero erano oggesoprtsoprto di asoprt- at-tente cure. I f r u t t i erano ricercati per la bellezza e lo squisito sapore e già allora si v e n d e v a n o in gran copia fuori del D u c a t o d'Aosta. Naturalmente non esistevano frut-teti specializzati, perchè gli alberi erano consociati al prato, al campo o al v i g n e t o ; gl'impianti m a n c a v a n o anche di una certa regolarità, però erano sempre rispettate le

(1) M A R E S C A L C H I A . , Il volto curricolo d'Italia.

Touring Club Italiano, voi. X, Milano, 1936.

(2) D E BARTOLOMEIS G. L . , Notizie storiche e statistiche negli Stati Sardi. Stamperia Reale,

Torino, 1540.

distanze fra pianta e pianta, per danneg-giare il meno possibile le colture sottostanti, e agli alberi non difettavano le normali cure colturali.

L e zone più intensamente frutticole si t r o v a v a n o nella parte meridionale della Valle principale, specialmente nei territori di Donnaz, Verrès e Chatillon, poi, risalendo la D o r a Baltea, fino ad A o s t a e poco oltre. Il melo e il pero nel fondo valle; sulle pen-dici più assolate il cicliegio e il mandorlo, insieme alla vite e all'ulivo, mentre il noce, i cui frutti venivano utilizzati anche per l'estrazione dell'olio per uso familiare, era piantato ovunque, fino a considerevole al-tezza.

Col passare degli anni, m a n mano che a u m e n t a v a il consumo delle f r u t t a , si este-sero anche i frutteti, migliorò la tecnica col-turale e soprattutto si sostituirono le va-rietà scadenti con altre più pregiate e mag-giormente richieste dai consumatori. A l l a fine del 1800 quasi t u t t e le più comuni specie frutticole erano coltivate, m a il melo e il pero s u p e r a v a n o di gran lunga le altre per numero di piante e importanza di produ-zione. E furono proprio queste due p o m a c e e — con le mele Renetta del Canada e le pere

Martin sec — che contribuirono

maggior-mente a far acquistare giusta rinomanza alla f r u t t a della Regione.

Delle due varietà, la Martin sec è quella che si coltiva da più antica d a t a : le pian-tagioni erano distribuite t a n t o nel fondo-valle quanto sulle prime pendici dei mas-sicci alpini, e la produzione, anche se man-chiamo di dati statistici accertati, d o v e v a essere cospicua, certamente di molto mag-giore a quella attuale. L a pera — la più apprezzata tra quelle da cuocere — alimen-t a v a u n a correnalimen-te di alimen-traffico non indiffe-rente, rifornendo i mercati vicini e lontani. D a una quarantina d'anni a questa p a r t e

la varietà è però soggetta ad un fenomeno degenerativo, che la rende estremamente recettiva alle malattie crittogamiche, in primo luogo la ticchiolatura, sicché le piante invecchiano rapidamente e la produzione, nonostante i ripetuti trattamenti, oltre che scarsa, è quasi sempre qualitativamente sca-dente. Per questo motivo non incontra più il favore dei frutticoitori e ha perciò perduto l'importanza che un tempo a v e v a nella Re-gione. Solo a Chatillon, nei dintorni di Aosta, e a S. Cristophe e soprattutto a S. Vincent, esistono ancora vecchi impianti di una certa consistenza; nelle altre zone, invece, questi sono ridotti a poche piante sparse qua e là, sopravissute ai massicci abbattimenti degli ultimi anni.

L a varietà di melo Renetta del Canada f u introdotta in epoca relativamente più re-cente, all'incirca 70-80 anni or sono. D a l principio di questo secolo h a rapidamente guadagnato terreno, contendendo all'inizio il primato per quantità di produzione alla

Martin sec e poi sovrastandola decisamente

a misura che a u m e n t a v a la rinomanza dei suoi squisiti frutti. Gli impianti si molti-plicarono di più negli ultimi 30-40 anni e at-tualmente tendono ancora ad estendersi. Fa-v o r i t a da una crescente richiesta, la Fa-varietà si sarebbe però maggiormente diffusa se da una diecina d'anni, al pari di quanto si sta verificando in Francia e in Svizzera, non fosse s t a t a colpita da un grave deperimento che ha allarmato non poco i frutticoitori. I danni sono preoccupanti, non soltanto per la perdita del prodotto, d o v u t a a scarsa o m a n c a t a fruttificazione, ma anche perchè molte delle piante colpite, dopo un periodo p i ù o meno lungo di stentata a t t i v i t à vege-t a vege-t i v a , finiscono per morire. Il fenomeno è stato oggetto di attento esame da parte di alcuni fitopatologici, m a finora sembra sia escluso che si tratti di malattia d o v u t a a

(12)

Meleto di Renetta del Canada a Quart.

cause parassitarie. Il grave inconveniente pare sia da imputare a non appropriate cure colturali, alla siccità, forse a carenza di sostanze nutritive e in particolare a deficienza di micro-elementi (3).

* * *

D a l punto di vista agrario questa v a s t a regione alpina non può presentare un'impor-tanza molto grande a causa della sua costi-tuzione orografica, che è particolarmente accidentata. L a Valle principale, solcata dalla Dora Baltea, e rinserrata tra eleva-tissimi monti, è talmente a n g u s t a che solo in alcuni tratti ha una larghezza di poco superiore ai 1800 metri, talvolta invece è così poco ampia da contenere il solo letto del fiume.

L e valli secondarie, anch'esse strette e dominate da colossi montani, sono percorse

da innumerevoli torrenti che le incidono profondamente, fino a formare degli orridi che insieme alle cime nevose e ai dirupi dànno alla Regione un aspetto alpestre grandioso, aspro e al tempo stesso bello. È il bosco quindi che domina, sono i pascoli e i prati che prevalgono e soltanto una pic-cola parte della superficie totale può essere convenientemente utilizzato per le altre colture.

L a frutticoltura dispone di una super-ficie limitata in senso assoluto, m a se si confronta con quella adibita al seminativo semplice e soprattutto se si considera la particolare accidentalità del territorio, che presenta solo pochi lembi di terreno colti-vabile, allora la parte occupata dalle piante arboree da frutto è relativamente- estesa.

A t t u a l m e n t e la produzione frutticola, com-prese le mandorle e le noci ed escluse l ' u v a e le castagne, si aggira complessivamente

Fioritura di giovani meli

sui 30.000 quintali, corrispondente ad un valore di oltre un miliardo e mezzo di nostre lire. Il maggiore apporto è dato dal pero e soprattutto dal melo, le specie che meglio si adattano alle condizioni ecologiche della zona. L ' a r e a occupata dagli impianti spe-cializzati è piccola, talvolta insignificante ri-spetto a quella promiscua. Il contadino per sua stessa mentalità, per l'ambiente parti-colarmente difficile in cui vive, per l'isola-mento cui è soggetto per una parte dell'anno e anche per ragioni economiche, è poco in-cline alla monocoltura e perciò tende a dare al suo podere, grande o piccolo che sia, un ordinamento colturale autositico, al fine di assicurare a sè e ai familiari il fabbisogno alimentare.

L a superficie a coltura specializzata del pero non raggiunge i 10 ettari ed è confinata oggi prevalentemente a S. Vincent, e in minor misura nei comuni di Chatillon, in alto dove c'è meno vento, a S. Cristophe e nei dintorni di A o s t a a Quart e sulla collina di Roppo. Quella promiscua è sparsa varia-mente in t u t t a la valle principale e sulle prime rampe che conducono alle valli se-condarie di Cressoney, Champoluc, Valtour-nanche e Valpelline, su una superficie di oltre 240 ettari. Nel passato la varietà più coltivata era, come abbiamo detto, la Martin

sec, oggi invece è la Spinacarpi che sta

pren-dendo il sopravvento. È una varietà molto antica (molto probabilmente originaria del-l'Italia) e perciò anch'essa, come la Martin

sec è soggetta ad un lento processo

d'invec-chiamento che la rende particolarmente re-cettiva alle malattie. T u t t a v i a nella Valle d'Aosta, specie nelle zone ben esposte di S. Pierre, Signay e S. Cristophe, produce abbondantemente e i frutti sono di buona qualità. L a pera è consumata allo stato fresco, ma è anche ottima da cuocere. Pure coltivata è una varietà locale denominata

Petrej, di poco pregio perchè fortemente

tannica, e perciò di scarsa importanza com-merciale. Quando non viene destinata alla fabbricazione del sidro, è consumata allo stato fresco dalla famiglia del coltivatore, oppure v e n d u t a a basso prezzo sui mercati locali. T u t t e queste varietà sono innestate sul franco e vengono allevate a pieno vento. L e cure colturali vengono effettuate con una certa diligenza soltanto nelle colture spe-cializzate, invece in quelle promiscue sono scarse e t a l v o l t a mancano del tutto. In quest'ultimo caso il proprietario si limita a piantare l'albero e a rendergli visita una v o l t a all'anno, in occasione della raccolta dei frutti. D a qualche tempo sono state in-trodotte delle varietà di pregio, tra le quali la Passa Crassana, la Williams, la Butirra

Clairgeau, ecc. Sono per ora piccoli impianti

(3) ScrRTi J.. Sui deperirnenti di alcuni frutti

della ralle d'Aosta per carenza di clementi necessari per il loro chimismo. ° Annali rìella Sperimentazione

(13)

specializzati costituiti da peri innestati su cotogno, ma che per essere ottimamente cu-rati dànno delle produzioni abbondanti e di qualità.

A l pari del pero, anche la coltura spe-cializzata del melo occupa una superficie ristretta, di appena una diecina di ettari, enormemente inferiore a quella promiscua, che supera i 400 ettari. Gli impianti sono esclusivamente costituiti da alberi ad alto fusto e i soggetti più diffusi sono il franco e il selvatico. L e zone più intensamente colti-vate sono quelle di Gignod, della Valpelline, Aosta, Gressan, S. Marcel, S. Cristophe, S. Pierre, Chatillon e S. Vincent. Però nella valle principale il melo è presente dapper-tutto da Pont S. Martin fino a Morgex; s'inoltra anche per un buon tratto verso le valli secondarie fino ad altitudini che rag-giungono i 1000 metri, e in qualche caso anche oltre, lino a 1400 metri. L a valle d'Aosta è il regno della Renetta del Oanadà, e difatti l ' 8 0 % della produzione delle mele è rappresentato da questa rinomata varietà. Viene bene ovunque, però nelle zone di mezza montagna i frutti acquistano pregi qualitativi veramente superlativi, che si concretano in una bellezza incomparabile, in una bontà sopraffina e in una lunga conservazione. L e migliori mele provengono da Gignod e dalla Valpelline, nei luoghi dove l'altitudine si aggira intorno ai 600-800 metri. A S. Marcel invece viene ottimamente anche nelle zone al disotto dei 600 metri.

U n a varietà coltivata da antica data è la

Ravencia, la quale però perdette la sua

im-portanza quando f u introdotta la Renetta

del Canada. L e mele si conservano a lungo,

ma sono di scadente qualità, cosicché ora buona parte del raccolto è destinata alla fabbricazione del sidro. Poiché è rustica, poco esigente e vigorosa i frutticoitori uti-lizzano i semi di piante coltivate in alta montagna per ottenere degli ottimi soggetti per la Renetta del Canada. A Doue, e anche in zone più elevate, fino a 1500 metri, si coltiva la Culai, che produce dei frutti costo-luti, molto serbevoli, ma di scarsa impor-tanza commerciale. U n a varietà che ora v a diffondendosi è la Pearmaine dorata d'in-verno. L e piante, dotate di una buona vigoria, producono con abbondanza e rego-larità, e dànno ottimi frutti tanto nel fondo valle quanto in montagna, fino a 1200 metri di altitudine. P e r questo suo largo adatta-mento alle condizioni ecologiche della valle e per le sue doti di rusticità la varietà merita di essere più estesamente coltivata.

Nella regione sono stati introdotti anche meli di origine americana, tra cui la Delicious

rosso, la Starking, e la Golden Delicious.

I primi impianti sono già a f r u t t o e dai risultati sinora ottenuti si è constatato che in questo ambiente vengono esaltati i pregi qualitativi e commerciali delle mele e si

migliora sopratutto il grado di serbevolezza. Il pesco è poco coltivato in coltura spe-cializzata : i piccoli impianti finora esistenti a S. Vincent e in special modo nei pressi di A o s t a assommano appena a 3-4 ettari. L u n g o il fondo valle, da Donnaz ad Aosta, la coltivazione di questa drupacea è confi-nata negli orti e nei giardini, oppure nei vigneti. L a produzione totale supera appena i 250 quintali ed è costituita da pesche di varietà per buona parte locali, conosciute col nome generico di pesche delle vigne, dalle quali i vivaisti di altre regioni ricavano i semi per ottenere portinnesti vigorosi e rustici per lo stesso pesco. Nei pescheti specializzati le varietà coltivate sono la

Fior di maggio, YAmsden, la Elberta e la Piale, le quali hanno dato p r o v a di un buon

adattamento all'ambiente.

P e r quanto riguarda altre drupacee, il ciliegio, il susino e l'albicocco hanno scarsa

Renetta del Canada in fiore.

importanza economica. L a produzione che proviene da piante variamente sparse ai piedi delle montagne fiancheggianti la Dora Baltea, serve quasi esclusivamente per gli usi familiari. Anche per il mandorlo non esistono colture specializzate. Ogni anno si raccolgono in media circa 300 quintali di prodotto, il quale viene fornito da alberi isolati, posti qua e là su una superficie di ben 1090 ettari. L a produzione potrebbe essere anche maggiore se si utilizzassero i mandorli nati da semi caduti per caso e che ora vivono sulle colline allo stato selvatico. È un patrimonio non indifferente di facile valorizzazione, mediante l'innesto con qual-che varietà pregiata.

Il noce lo si t r o v a tanto in pianura che in montagna fino ad un'altitudine di 1500 metri. Il numero delle piante, una v o l t a considerevole, si è notevolmente assottigliato dopo gli sconsiderati tagli degli ultimi anni.

Frutteto del Priuré a S. Pierre.

(14)

L a produzione, che è di circa 160 quintali, potrebbe essere maggiore se ogni anno non fosse distrutta dai venti freddi primaverili.

* * *

Abbiamo già detto che la valle d'Aosta offre poche possibilità in fatto di coltiva-zione intensa di cereali e di altre specie erbacee da campo. L a limitazione è una conseguenza della eccezionale accidentalità del territorio, costituito in massima parte da formazioni alpine aspre e selvaggie, sui cui fianchi dirupati e scoscesi v i sono testimo-nianze dell'opera paziente ed eroica di gene-razioni di montanari, che crearono lembi di suolo coltivabile, raspando la terra dalla montagna, oppure trasportandola con le gerle da valle a monte.

Ma se nella regione sono sopratutto il bosco, il pascolo e il prato che consentono la migliore utilizzazione economica della superficie agrario-forestale, sussiste peraltro la convenienza per incrementare ulterior-mente lo sviluppo della frutticoltura. In-tanto, antiche tradizioni legano i valligiani a questa nobile a t t i v i t à rurale e la stessa configurazione della valle, nonché le parti-colari condizioni di mercato sono quanto mai propizie per estendere la coltivazione dell'albero da frutto. L a frutticoltura costi-tuisce, poi, ima fonte di redditi elevati per il coltivatore e rappresenta quindi una ric-chezza non trascurabile per la regione; ma oltre ad una funzione economica, essa ne assolve un'altra, pure importantissima, ed è quella sociale.

L'elemento primo della povertà della montagna — dalla quale il montanaro si allontana per andare ad accrescere nei grandi agglomerati urbani il numero degli operai senza alcuna qualifica e spesso senza lavoro, — è la bassa produzione unitaria dei boschi e dei pascoli, da cui deriva un basso reddito lordo. L a frutticoltura invece, non solo è suscettibile di alti redditi, ma impegna tante braccia quanto poche altre colture. Difatti, mentre per i cereali ci vogliono 40-50 giornate lavorative per ettaro, ne occorrono invece da 300 a 400 per i f r u t t e t i ; e se con le normali colture da campo una famiglia vive appena su 3 ettari di super-ficie, con le piante da frutto può essere suffi-ciente poco più d'un ettaro.

Non mancano quindi gli elementi

favo-revoli allo sviluppo della frutticoltura, ma affinchè ne sia assicurato il successo occorre migliorare la tecnica colturale, che in certe zone è ancora arretrata. L e concimazioni, la potatura, la difesa contro i parassiti, eseguite razionalmente, sono alla base del progresso frutticolo, al quale si può giungere soltanto mediante l'istruzione proiessionale dei col-tivatori e con la formazione di maestranze specializzate.

Per quanto riguarda l'avvenire, la frut-ticoltura della valle d'Aosta dovrà contare principalmente sulla coltivazione del melo, riordinando e intensificando gl'impianti esi-stenti ed estendendoli sopratutto sui declivi delle montagne fino ai 1000 metri di altitu-dine. Nei terreni in pendio il melo continuerà ad essere consociato al prato stabile, che oltre a fornire il foraggio necessario all'alle-v a m e n t o del bestiame, impedirà l'erosione del suolo da parte delle acque piovane scor-renti da monte a valle. Naturalmente, la presenza della cotica erbosa sotto gli alberi non permetterà il normale interramento dei concimi, ma la somministrazione si potrà compiere ugualmente con l'ausilio del palo iniettore. U n inconveniente sarà rappre-sentato dalla difficoltà di eseguire i tratta-menti durante il periodo del taglio dell'erba, però se gli attacchi non si manifesteranno particolarmente virulenti si potrà riuscire a difendere le piante anticipando o postici-pando di qualche giorno le irrorazioni.

L a Renetta del Canada continuerà a do-minare incontrastata, ma accanto ad essa dovranno trovare posto anche la Pearmain

dorata d'inverno, la Golden delicious, la De-Licious rosso, e la Stayman Win.esap. Sono

varietà introdotte da poco, m a che hanno dato buona prova e si sono già affermate.

TI pero, anche senza superare per impor-t a n z a il melo, poimpor-trà avere maggiore sviluppo lungo il fondo valle, ai piedi delle montagne, e sulle prime rampe che portano alle valli secondarie. L a senilità da cui è affetta la

Martin sec sconsiglia la coltivazione della

varietà, che potrà essere sostituita dalla

Madernassa, anch'essa ottima pera da

cuo-cere. L a Spinacarpi non merita maggior diffusione, per la sua recettività alle malattie. Bisognerà dare la preferenza alle varietà che maturano nel periodo estivo, per consentire il continuo rifornimento della f r u t t a ai nu-merosi villeggianti che in questa stagione affollano le amene località della valle. L a

preferenza dovrà essere data alla Williams, la regina delle pere, che con i suoi pregi qualitativi potrà soddisfare anche il con-sumatore più esigente. Eventualmente po-tranno essere adottate anche la Butirra

Olairgeau, la Trionfo di Vienna, e la Butirra Giffard.

Il pesco merita senz'altro maggiore dif-fusione, potendo essere coltivato a sinistra lungo la Dora Baltea, da Donnaz ad Aosta, nei luoghi più soleggiati e protetti dal vento. L e varietà che maturano dai primi di luglio a metà settembre troveranno facile smercio nei numerosi e affollati alberghi e pensioni della regione. L'assortimento delle varietà nazionali e internazionali offre soltanto l'im-barazzo della scelta, che dovrà cadere su quelle più pregiate, tra le quali gl'Incroci

Morettini, la Fior di Maggio, l'Amsden, la Waddel, la Trionfo liscio, l'Elberta, la Eale, ecc.

T r a le altre specie arboree da frutto una particolare menzione merita l'albicocco. Nella valle pur non mancando le zone dove si può coltivare con il massimo profitto, è pochissimo diffuso. A Donnaz, per esempioj

vi sono speciali condizioni di clima che anche le palme possono vivere d'inverno all'aperto. Qui l'albicocco non avrebbe da temere tanto per i geli invernali che per quelli primaverili, ma anche altrove, sulla sinistra della Dora B a l t e a v i sono degli appezza-menti, sia pure di limitata estensione, ben riparati dai v e n t i e soleggiati, adatti alla coltivazione di questa drupacea. Non si è data ancora la d o v u t a importanza a questa rustica specie arborea da frutto, invece nel vicino Valais, dove le condizioni di clima e di suolo non differiscono molto da quelle della valle d'Aosta, è uno dei fruttiferi più diffusi. A Donnaz, Verrès, S. Vincent, Cha-tillon, e così di seguito fino ad A o s t a e poco oltre, potrà fare la fortuna di queste zone e fornire un prodotto squisito e gradito ai numerosi villeggianti del periodo estivo e perciò di facile smercio sul posto.

In questi ultimi anni si è cominciato a notare in valle d'Aosta un attivo risveglio frutticolo, che f a bene sperare per l'avve-nire. Bisogna incoraggiare i coltivatori a persistere nell'opera intrapresa al fine di accrescere la rinomanza delle loro frutta e di contribuire al miglioramento economico e sociale di una tra le più pittoresche e operose regioni d'Italia.

(15)

n o t e

di

C r o n a c a

C a m e r a l e

O

C O N F E R E N Z A P E R M A N E N T E D E L L E C A M E R E D I C O M M E R C I O F R A N C E S I E I T A L I A N E D E L L E P R O V I N C E C O N F I N A R I E

La nostra Camera di C o m m e r c i o a n o m e anche delle

altre Camere di C o m m e r c i o del Piemonte, aveva da tempo

preso l'iniziativa con le C a m e r e di C o m m e r c i o d'oltre A l p i

appartenenti alla « X I I R e g i o n e E c o n o m i c a » (Annecy,

C h a m b e r y , Grenoble, Vienne) comprese quelle aggregate di

D i g n e , N i c e e Gap, di un incontro per l'esame delle

que-stioni di maggiore rilievo che da tempo f o r m a n o oggetto

di discussione e di interessamento da parte dell'opinione

pubblica e delle rappresentanze di Enti amministrativi ed

economici della zona confinaria.

Infatti la considerazione che un'azione c o m u n e degli

organi preposti all'economia locale, al di qua e al di là della

frontiera, per l'attuazione di progetti di vitale interesse per

le regioni confinanti, di cui si sente sempre più pressante la

necessità, ha rilevato la convenienza di far funzionare la

Conferenza permanente deliberata nel C o n v e g n o

italo-francese delle C a m e r e di C o m m e r c i o a Parigi e prevista

nella m o z i o n e conclusiva del C o n v e g n o stesso.

Pertanto, in un C o n v e g n o preliminare a Gap, promosso

dalla C a m e r a di C o m m e r c i o di Grenoble, al quale

inter-venne la Presidenza della C a m e r a di T o r i n o , inter-venne deciso

che a T o r i n o , nei giorni 16-17 luglio, fossero trattati tra

i rappresentanti delle C a m e r e francesi e italiane di confine

alcuni problemi che f u r o n o già in linea di massima i m p o

-stati, sia nel p r i m o C o n v e g n o di T o r i n o , del settembre 1948,

sia in quello del decorso ottobre a Parigi fra le C a m e r e di

C o m m e r c i o italo-francesi, in ordine all'assestamento delle

comunicazioni che interessano le due zone di c o n f i n e ; alla

regolamentazione e all'incremento dell'emigrazione

stagio-nale della m a n o d'opera italiana; alla possibilità per i

turisti di passare la frontiera senza il passaporto

(ricono-scendosi c o m e d o c u m e n t o sufficiente la carta d'identità

regolarmente stabilita da entrambi i Paesi); all'intercambio

dei prodotti dei C o m u n i che si trovano in un

determi-nato comprensorio di confine con il controllo del genere,

della qualità e della provenienza, allo scopo di r a v v i

-vare l ' e c o n o m i a dei territori limitrofi; al

migliora-m e n t o e alla semigliora-mplificazione delle formigliora-malità doganali e di

polizia per il transito in Valle R o j a ; alla integrazione del

servizio diretto ferroviario Lione-Torino-Milano.

La raccolta degli elementi e i primi studi sulle questioni

poste all'ordine del giorno sono stati senz'altro intrapresi e

sono stati sommariamente discussi in un riunione tra le

Camere piemontesi, svoltasi il 23 corrente mese, su relazione

del Presidente della Camera di T o r i n o .

D a t o atto che le Camere francesi hanno delegato i propri

Presidenti ad intervenire al C o n v e g n o , i rappresentanti

pie-montesi hanno preso in esame la nomina dei rispettivi

dele-gati ed hanno considerato la convenienza di invitare a

par-tecipare ai lavori del C o n v e g n o stesso anche le

rappresen-tanze della C a m e r a di Imperia (avuto particolarmente

ri-guardo all'interesse della Provincia confinaria ligure alle

comunicazioni ferroviarie e stradali T o r i n o C u n e o N i z z a

-Ventimiglia) e della R e g i o n e autonoma di Aosta, per i

molti legami di carattere economico con la Savoia.

Sono stati inoltre concordati gli incarichi ai relatori, di

parte italiana, per i singoli argomenti all'ordine del giorno,

e date direttive sulla elaborazione degli studi e delle

pro-poste da compiere e da formulare in merito alle soluzioni

che si intendono proporre per raggiungere, c o m e meglio

possibile, pratici risultati dalla discussione che seguirà sui

singoli problemi e per la determinazione delle iniziative da

svolgere e da realizzare in base alle conclusioni che saranno

assunte nel C o n v e g n o .

Per l'organizzazione del C o n v e g n o della Conferenza

per-manente sono state costituite una Segreteria a T o r i n o ed

altra a Grenoble con due Segreterie aggiunte a C u n e o e

a Gap.

Dalle due Segreterie sono già state esaminate e messe

a punto le n o r m e per lo svolgimento del C o n v e g n o e si è

addivenuto ad un p r i m o scambio di vedute circa alcuni

argomenti, mentre è in corso la raccolta degli elementi per

la compilazione delle relazioni da porsi in discussione.

L'intento perseguito è quello di intensificare e rendere

sempre più semplici, continui ed efficienti i rapporti e c o n o

-mici attraverso 1 territori di frontiera,! c o m e mezzo

parti-colarmente adatto a ravvivare le intese e la collaborazione

perseguita nel più vasto c a m p o delle relazioni tra le due

e c o n o m i e confinanti.

S o n o di rilevante interesse locale, tra le altre, le questioni

che riguardano i rapidi e adeguati scambi e il passaggio

(16)

delle persone e degli automezzi, sia nella fascia territoriale

di confine, sia tra il Piemonte Occidentale e la Riviera di

Ponente, per l'unica strada che ne facilita il congiungimento.

Così pure la valorizzazione del turismo locale, il libero

transito dei prodotti nella zona alpina sono elementi che

possono contribuire a ravvivare l'economia della montagna,

ove lo spopolamento e la depressione del tenore di vita

creano uno stato assai preoccupante per le popolazioni locali.

O

S C H E M A D I R E G O L A M E N T O - T I P O P E R L E R O R S E M E R C I

In successive riunioni tenutesi, presso l ' U n i o n e delle

Camere di C o m m e r c i o , la Camera di C o m m e r c i o di M i

-lano e la Camera di C o m m e r c i o di Genova, e alle quali

hanno partecipato dirigenti e esponenti di varie Borse merci

e — nelle riunioni conclusive — operatori segnatamente di

Genova, Milano e T o r i n o , è stato compilato uno schema

di Regolamento-tipo per il funzionamento delle Borse merci

che ora si trova all'esame del Ministero.

La finalità che si voleva raggiungere era della massima i m

portanza: si voleva compilare uno schema di R e g o l a m e n t o

-tipo che, mentre tenesse conto delle effettive necessità dei

mercati in cui le Borse sono chiamate ad operare, consentisse

anche che le operazioni — segnatamente del mercato a

termine — si potessero svolgere indifferentemente presso

l'una o l'altra Borsa, rendendo possibile l'intercambiabilità

dei lotti, oggetto di contrattazione, almeno in quelle località

nelle quali fosse stato possibile ottenere uguali caratteristiche

merceologiche.

C o n lo schema predisposto si è raggiunto l'indubbio

ri-sultato di una effettiva aderenza delle disposizioni

regola-mentari a quelle che sono le reali esigenze e le aspettative

degli operatori, è se — diversamente da com'era nei voti —•

le operazioni relative alla intercambiabilità dei lotti non si

sono potute ancora regolare, non è stata però compromessa

la possibihtà di raggiungere in seguito quelle utili intese

che sono già state in linea di massima intraviste attraverso

la istituzione —- almeno per le tre Borse di Genova,

Milano e T o r i n o — di un'unica Cassa di garanzia e di

compensazione.

Essendo soprattutto il risultato di intese intervenute fra

gente pratica, il regolamento può presentare in qualche

punto qualche lacuna e qualche difetto di impostazione e di

tecnica giuridica; anzi alcune questioni a tale riguardo sono

state appena impostate, allo scopo di lasciare agli organi

ministeriali competenti di risolverle e di completarle,

so-prattutto in vista della eventualità di modificazioni che

si ritenesse di apportare alla legge e al regolamento

del 1913.

Però il lavoro compiuto è stato della massima utilità e

la Camera di C o m m e r c i o di T o r i n o — che ha svolto l'azione

mediatrice durante i lavori di compilaziojie dello schema

in parola per conciliare le varie tendenze affiorate nel corso

delle discussioni — sicura di interpretare anche il pensiero

delle Consorelle di G e n o v a e di Milano, è lieta di darne

atto, ringraziando quanti vi hanno dato l'apporto prezioso

di pensiero e di pratica conoscenza della materia, a

incomin-ciare dal dr. Italo Mancini, Ispettore Generale del

Mini-stero, al dr. D r a g o n e , Vice Segretario Generale dell'Unione

delle C a m e r e di C o m m e r c i o , al c o m m . Aurelio Pareto e

al dr. D a v i d e Balbi di Genova, al cav. Carlo Barbieri e al

c o m m . Italo Pisa di Milano, nonché ai due esponenti degli

operatori di T o r i n o , sig. Giuseppe Ferraris e rag. Giuseppe

Rattalino, il quale ultimo si è sobbarcato, con encomiabile

buona volontà e sicura competenza, al coordinamento della

materia, oggetto di esame nelle varie riunioni.

Spetta ora agli organi ministeriali competenti esaminare

con la consueta comprensione la complessa materia, allo

scopo di dare al più presto alle ricostituite Borse merci lo

strumento necessario per il pratico svolgimento delle

opera-zioni, ponendo le Borse stesse in grado di esplicare l'azione

regolatrice dei mercati per cui ne fu auspicata la ripresa del

funzionamento.

©

P E R I L F U N Z I O N A M E N T O D E L L A B O R S A M E R C I D I T O R I N O

L'azione intrapresa dalla nostra Camera per lo sviluppo

del mercato torinese — oltre alle utili intese con gli

opera-tori dei mercati viciniori, segnatamente di G e n o v a e Milano,

c o m e è stato detto in precedenza a proposito delle riunioni

per la compilazione del R e g o l a m e n t o - t i p o delle Borse

merci — va conseguendo proficui risultati. A g l i operatori

in cereali che si riuniscono, c o m e è noto, al giovedì nei

locali della Borsa merci di via Andrea Doria, si sono

ag-giunti sempre più numerosi — raggiungendo il numero di

700 — quelli del legname che effettuano le loro

contratta-zioni nella giornata di sabato.

Intanto la Giunta camerale, nella sua ultima riunione, ha

deliberato di riaprire le iscrizioni a l l ' A l b o dei pubblici m e

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