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Cronache Economiche. N.109, Gennaio 1952

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(1)

ni

C R O N A C H E

ECONOMICHE

A CURA DELLA CAMERA 01 COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA DI TORINO

S P E D I Z . IH A B B O N A M E N T O

P O S T A L E (III G R U P P O )

N. 109-GENNAI01952 4 250

Pompe centrifughe - Pompe speciali per acidi

Trivellazioni e Impianti

(2)
(3)

I RAPPORTI ECONOMICI

fra Europa Occidentale ed Orientale

G I A N D O M E N I C O C O S M O

|

Ragioni strutturali della riduzione degli scambi

Il problema dei rapporti economici fra Europa

Occi-dentale ed Orientale — come risulta dall'analisi della

stampa economica, sia quotidiana che periodica,

special-mente tedesca e svizzera — continua ad essere oggetto

di attenti ed approfonditi studi, ancorché l'evoluzione

politica degli ultimi tempi ben poche speranze lasci per

una normalizzazione prossima di tali rapporti. Sembra

pertanto opportuno analizzare come si prospetta la

situa-zione degli sviluppi e dei mutamenti strutturali intervenuti

negli scambi fra i due blocchi, in cui ormai risulta diviso

il vecchio continente.

Per comprendere la situazione attuale occorre rifarsi

al passato. Prima del 1914 poteva parlarsi — diversamente

da oggi — senza cadere in un errore, di una divisione fra

un'Europa Occidentale industrializzata ed un'Europa

Orien-tale a base agricola. Per quanto concerne i rapporti e gli

scambi commerciali tale distinzione strutturale fra le

caratteristiche economiche di due grandi aree consentiva

uno sviluppo intenso dell'intercambio fra Oriente ed

Occi-dente e rappresentava il mezzo più efficace per la

produ-zione del benessere europeo.

Diversi fattori col volgere dei decenni hanno avuto

per conseguenza che l'Europa Orientale non può più essere

considerata il « granaio » dei Paesi dell'Occidente Europeo.

La ragione principale di tale mutamento deve essere ascritta

allo sviluppo dell'agricoltura nei paesi d'oltre Oceano: i

prodotti provenienti da tali fonti di approvvigionamento,

a motivo dei miglioramento delle possibilità di trasporto

marittimo e della conseguente riduzione dei noli oceanici,

divennero concorrenti sempre più pericolosi degli analoghi

prodotti forniti a costi superiori dall'Europa Orientale.

Tali mutamenti nelle correnti di scambio significavano

P

e r

l'Europa Occidentale il pericolo di una diminuita

possibilità di collocamento dei suoi prodotti industriali

nelle zone orientali del Continente: il che avrebbe

signi-ficato una minor partecipazione al commercio mondiale.

A tale pericolo reagi, come è noto, la politica commerciale

dei principali paesi europei e particolarmente quella della

Germania: le direttive date da von Caprivi in particolare

miravano attraverso alla clausola della nazione più favorita

alla costituzione di un mercato europeo chiuso ed unico,

di modo che l'esportazione di prodotti industriali

dall'Occi-dente Europeo e le forniture di cereali dall'Est potessero

continuare, eliminando così il pericolo di una contrazione

dell'intercambio europeo.

In quello che viene ora chiamato comunemente il

ven-tennio fra le due guerre (1919-1939), la situazione andò

gradualmente peggiorando a motivo dell'infiltrarsi di

influenze politiche nei rapporti commerciali tra gli Stati

e del peggioramento delle possibilità di concorrenza dei

prodotti forniti dai Paesi dell'Europa Orientale sui mercati

di consumo occidentali. Auche la situazione nel sessennio

ormai decorso dalla fine della seconda guerra mondiale

nel maggio 1945 è caratterizzata da queste influenze

nega-tive, ancorché sia l'Europa Occidentale che quella

Orien-tale abbiano da un punto di vista strettamente economico

tutto interesse ad intensificare i reciproci rapporti di

scambio. Col passare degli anni però i mutamenti strutturali

intervenuti nell'economia russa nel senso di

un'intensi-ficata e completa industrializzazione incominciano a far

sentire ed in guisa crescente il loro peso: l'Europa

Orien-tale in conseguenza di ciò non è più in grado di coprire

totalmente il fabbisogno cerealicolo di quella Occidentale

ed ha anzi necessità di servirsi per i propri consumi dei

cereali prodotti. D'altro lato l'industrializzazione

del-l'Oriente Europeo significa una diminuzione della richiesta

dei prodotti finiti forniti dall'industria dell'Europa

Occi-dentale. Invece dell'intercambio un tempo così intenso e

florido fra Est ed Ovest Europeo si sono invece intensificati

da una parte i rapporti economici fra l'Europa

Occiden-tale e l'Emisfero OccidenOcciden-tale e dall'altra si è sviluppato

nella zona Orientale un intercambio sistematicamente

pianificato fra l'Unione Sovietica ed i Paesi alla stessa

collegati.

" Andamento a t t u a l e d e g l i s c a m b i

Tale diminuzione negli scambi nell'ambito del vecchio

continente emerge da un recente studio della Commissione

economica europea, organico regionale dell'ONU con sede

a Ginevra. È opportuno pertanto riassumere i dati

fonda-mentali dell'analisi fatta dall'ECE:

a) dopo il 1948 il volume delle importazioni

(4)

b) tale flessione degli scambi Est-Ovest contrasta

con l'aumento del commercio globale dei Paesi tanto

dell'Europa Orientale che dell'Europa Occidentale. La

parte dell'Europa Orientale nel commercio totale

del-l'Europa Occidentale che, nel 1938, era del 9% per le

importazioni e del 6% per le esportazioni, non rappresenta

più nel 1950 che il 3% nei due casi.

È però da rilevare che tale contrazione del commercio

non si è manifestata in maniera uguale in tutti i Paesi di

Europa. I Paesi scandinavi, le cui esportazioni verso l'Est

europeo sorpassarono sensibilmente il livello antebellico,

costituiscono delle eccezioni notevoli a tale flessione

gene-rale delle esportazioni in provenienza dall'Occidente. Le

esportazioni dell'Italia e della Svizzera si avvicinano al

livello del 1938, mentre le esportazioni della Germania

Occidentale e del Regno Unito costituiscono

rispettiva-mente meno di un quarto e meno della metà del livello

raggiunto in quell'anno. Il livello relativamente elevato

delle esportazioni della Finlandia verso l'Oriente si spiega

in larga misura coi pagamenti all'Unione Sovietica a titolo

di riparazioni. Le esportazioni globali della Finlandia a

destinazione di questo Paese sono fortemente diminuite

nel corso del 1950 a motivo della riduzione delle riparazioni,

ma dopo hanno dato prova di ripresa e superarono persino

successivamente il livello assai elevato del 1949. La

Fin-landia ha concluso un accordo della durata di cinque anni

coll'URSS. Se il commercio della Svezia, della Norvegia

e della Danimarca ha subito un'evoluzione favorevole, è

essenzialmente perchè tutti e tre questi Paesi costituiscono

dei mercati naturali per il carbone polacco; di tale

impor-tante materia energetica le disponibilità per l'esportazione

si sono mantenute abbastanza elevate. Un altro fenomeno

che si constata nelle forniture di diversi Paesi dell'Europa

Occidentale verso quelli Orientali è che quest'ultima zona

ha continuato sino a tutto il 1950 a costituire un mercato

di sbocco per macchinari prodotti in Italia, in Svizzera

ed in Finlandia; il che in parte dipende dal fatto che le

esportazioni di macchinario tedesco sono molto diminuite

rispetto al periodo prebellico.

La composizione merceologica delle esportazioni

dal-l'Europa Occidentale verso l'Est Europeo ha egualmente

subito delle profonde modificazioni. Laddove prima della

guerra l'Occidente esportava soprattutto dei beni di

con-sumo, risulta che dopo la guerra la richiesta verte

principal-mente sui prodotti che sono indispensabili allo sviluppo

industriale dei Paesi dell'Europa Orientale. La parte dei

tessili e degli altri beni di consumo nelle esportazioni

del-l'Europa Occidentale verso l'Oriente è discesa dal 19% del

totale di prima della guerra al 10%, mentre quella delle

macchine è salita dal 18 al 36%.

La maggior parte delle esportazioni dall'Oriente verso

l'Occidente consistono in derrate alimentari ed in materie

prime, e particolarmente in carbone della Polonia, in legumi,

in cereali, ma le esportazioni di tutti questi prodotti — ad

eccezione del carbone — sono assai inferiori a quelle che

erano nel 1938. Il mantenimento del volume delle

esporta-zioni di carbone polacco, che raggiungono e persino superano

il quantitativo prebellico, è dovuto in gran parte all'aumento

delle risorse carbonifere della Polonia a motivo delle

modi-ficazioni territoriali intervenute nel dopoguerra.

L'anda-mento delle spedizioni negli ultimi mesi lascia tuttavia

presumere che le consegne di carbone polacco nel 1951

non raggiungeranno il livello del 1950; a maggior ragione

esse saranno inferiori al livello elevato delle esportazioni

nel 1949.

Durante tutti gli anni che hanno seguito la fine della

guerra, le consegne di legname in provenienza dall'Unione

Sovietica verso l'Europa Occidentale sono lungi dal

raggiun-gere le quantità fornite a suo tempo dalla Russia prima del

1914, ma non sono però molto inferiori ai quantitativi

spediti intorno al 1938.

A giudizio dell'ECE nella situazione attuale del mercato,

l'interesse economico dei Paesi dell'Europa Occidentale

non consiste tanto nello sviluppo reciproco degli scambi,

che significherebbe l'assorbimento di prodotti che non si

possono facilmente vendere altrove, ma invero nel fatto

che l'Europa Orientale è fornitrice potenziale di prodotti

che non possono essere ottenuti che contro pagamento in

dollari. D'altro canto le economie degli Stati minori

del-l'Est Europeo costituiscono un completamento

fonda-mentale dell'economia sovietica, il cui baricentro è stato

gradualmente trasferito verso i territori asiatici oltre la

catena degli Urali. Tuttavia il commercio interno

dell'Eu-ropa Orientale, fortemente sviluppatosi con la progressiva

industrializzazione di quella zona, dovrebbe continuare

ad avere una certa dipendenza dal mercato dell'Europa

Occidentale, anche se per motivi strutturali non esistono

più le possibilità di sviluppo che un tempo caratterizzavano

l'intercambio nell'ambito di tutto il Continente Europeo.

Ove dovessero cadere le attuali difficoltà di carattere

politico — difficoltà che l'ECE ambisce di ridurre, finora

peraltro con risultati poco confortanti — è opinione

accre-ditata che nonostante i mutamenti intervenuti nelle

rispet-tive economie esistano possibilità di rapida ripresa degli

scambi fra l'Europa Occidentale e quella Orientale, ma

non di ritorno al loro livello prebellico. Infatti gli esperti

concordano nel riconoscere che il livello economico e la

tecnica produttiva in Oriente sono tuttora largamente

inferiori al livello di sviluppo dell'Europa Occidentale.

L'Europa Orientale, nell'ipotesi di una completa

para-lisi dei rapporti economici con l'Occidente, non sarebbe

— opinano economisti tedeschi — capace di un'esistenza

e di un progressivo sviluppo, correndo il pericolo di un

isolamento esiziale per il suo sviluppo. Infatti si ritiene

che con una completa cessazione dei rapporti economici

con l'Occidente i Paesi oltre la cortina di ferro, e fuori

dalla Russia, dovrebbero abbassare il loro livello di vita

a condizioni analoghe a quelle dell'Asia. Esistono quindi

delle condizioni obiettive per una ripresa dei rapporti:

condizioni più forti di quanto comunemente non si creda.

Tabella n. 1 - Esportazioni italiane verso l ' E s t Europeo (dati in milioni di lire)

Paese di destinazione 1938 1948 1949 1950

Paese di destinazione

Valore

%

Valore

%

Valore 0/ /o Valore

%

Totale generale 10.497 100,— 570.624 100,— 634.624 100,— 746.369 100,—

URSS e zona di influenza 624 5,9 24.171 4,2 33.440 5,3 38.000 5,1

(5)

G l i scambi dall'Italia c o l l ' E u r o p a Orientaie

Ad integrazione dei dati di carattere più generale

contenuti nello studio dell'ECE, è opportuno ora

analiz-zare con maggiori particolari l'attuale andamento degli

scambi dell'Italia con i Paesi dell'Europa Orientale:

per-tanto utilizzando i dati forniti dalla « Statistica del

Com-mercio con l'Estero » pubblicata dall'Istat, si sono costruite

due tabelle, la prima relativa alle esportazioni italiane

verso l'Est Europeo e la seconda concernente le

importa-zioni italiane da tale zona. A titolo di opportuno confronto

si sono scelti quattro anni, il 1938, che fu l'ultimo anno

di pace prebellica, e il 1948, il 1949 e il 1950; mentre

scri-viamo infatti si possiedono per il 1951 i dati relativi alla

ripartizione degli scambi per Paesi dell'Italia soltanto

per i primi nove mesi. Tali dati comunque confermano,

sia detto per incidenza, un ulteriore decadimento dei

nostri scambi con tale zona.

Sovietica nelle regioni orientali. Quindi, ove si potesse

tener conto di queste circostanze, la flessione intervenuta

nelle esportazioni risulterebbe maggiore: analoga

osser-vazione vale, ovviamente, per le importazioni. Il fatto poi

che queste ultime risultino diminuite in percentuale

mag-giore dipende, oltre che dall'influenza degli arrivi in conto

ERP, da due circostanze particolari:

a) lo sviluppo avutosi dalle esportazioni negli anni

1949 e 1950 verso l'URSS costituisce in parte il riflesso

statistico dell'adempimento da parte dell'Italia degli

obblighi di riparazioni assunti col Trattato di Pace di

Parigi del febbraio 1947;

b) nel 1938 nel quadro della politica rivolta ad

assi-curare gli approvvigionamenti dell'Italia in caso di guerra

si assistette ad un forzamento dei nostri acquisti di generi

alimentari e materie prime dall'Est Europeo (esempio

cereali dall'Ungheria e carburanti dalla Romania).

Per quanto concerne la situazione nel 1951, in base

ai dati dei primi nove mesi raffrontati con quelli dello

Tabella n. 2 - Importazioni italiane dall'Est Europa (dati in milioni di lire)

Paese di provenienza 1938 1948 J949 1950

Paese di provenienza

Valore 0/ /o Valore V /o Valore

%

Valore 0/ /o

Totale generale l'RSS e zona di influenza di cui: URSS Bulgaria Cecoslovacchia Polonia Romania Ungheria 11.273 1.128 7 104 254 320 253 190 100,— 10,0 0,1 0,9 2,3 2,8 2,2 1,7 822.832 24.829 2.236 1,268 9.773 10.545 129 918 100,— 3,0 0,3 0,1 1,2 1,3 0,1 857.020 44.181 10.022 1.784 9.043 19.580 751 3.001 100,— 5.2 1,2 0,2 1,1 2.3 0,1 0,3 897.626 35.627 8.891 847 8.795 10.949 138 6.007 100,— 4,0 1,0 0,1 1,0 1,2 0,7

Nel valutare questi dati è opportuno tener presente

che la statistica italiana del commercio estero del 1938

concerneva gli stessi Paesi dell'Est Europeo che quelli

attuali, ma ovviamente non può ora tener conto che in

complesso tale zona è aumentata sia dal punto di vista

geografico che demografico. L'URSS — oltre alle

acquisi-zioni territoriali in Asia — ha infatti annesso i tre Paesi

baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) e la Prussia orientale;

la Cecoslovacchia ha annesso, ampliandola, la zona dei

Sudeti perduta nell'autunno 1938: la Polonia ha spostato

il suo confine verso la linea delimitata dai fiumi

Oder-Neisse, compensando le cessioni territoriali fatte all'Unione

stesso periodo del 1950, risulta che, contrariamente alla

generale espansione verificatasi nello scorso anno negli

scambi dell'Italia, verso la zona in esame:

a) le esportazioni, ammontanti a 26.163 milioni di

lire rispetto a 28.057 milioni nei primi nove mesi del 1950,

sono diminuite del 6,5% e costituiscono il 3,5% del totale

rispetto al 5,3% del 1950 (primi nove mesi);

b) le importazioni ammontanti a 23.003 milioni di

lire rispetto a 24.614 milioni nei primi tre trimestri del

1950, sono diminuite del 7,1% e costituiscono il 2,3% del

totale rispetto al 3,7% del 1950 (primi nove mesi).

1B aitra Ò'iltnertra e Mulatta

SOCIETÀ PER AZIONI - Capitale versato e riserve Lit. 7S0.000.000

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I T A L O M A R T I IV A Z Z I

F o r m e e s v i l u p p o d i m e r c a t o

Nell'articolo precedente ( 1 ) si sono esaminate alcune conseguenze del mo-nopolio sullo sviluppo del mercato e della produttività, ma converrà appro-fondire tali sommarie considerazioni dal punto di vista generale delle forme di mercato, inquadrandole nella feno-menologia dello sviluppo del mercato e quindi delle sue condizioni. Consi-derando le forme che può assumere un mercato sotto la spinta dell'innovazio-ne, si osserva che un certo grado di monopolizzazione, per lo meno di con-correnza monopolistica, supponendo una situazione iniziale di libera con-correnza, è al tempo stesso conseguen-za di una o più innovazioni e condi-zioni di ulteriori innovacondi-zioni nello stes-so settore produttivo e, molto proba-bilmente, nella stessa impresa.

In ogni settore si potrebbe poi di-stinguere una fase ascendente tendente a una monopolizzazione sempre mag-giore, e una fase discendente tendente alla libera concorrenza, o meglio, a un ritorno ad essa. Cioè, giunto il settore a maturità di sviluppo, le innovazioni da una parte vengono ricevute da altri settori più progressivi, come applica-zioni delle grandi innovaapplica-zioni di que-sti, dall'altra le innovazioni proprie del settore in questione tendono alla sem-plificazione del processo produttivo, rendendolo accessibile ad imprenditori meno capaci. Sicché ogni settore pro-duttivo percorrerebbe le varie forme di mercato (polipolio, concorrenza mono-polistica, oligopolio, forse monopolio,

(i) C f r . o I n c r e m e n t o di p r o d u t t i v i t à e incre-m e n t o di reddito » in Cronache Economiche S e t t e m

-b r e I 9 j i , pagg. 31-32.

poi di nuovo oligopolio e via discen-dendo, saltandone eventualmente qual-cuna); vi potranno essere eccezioni, ma la linea generale di sviluppo dovrebbe essere questa. C o m e tendenza secolare credo si possa osservare questo feno-meno: che i settori produttivi alla testa del progresso tecnico divengono, in

un'economia di mercato, sempre più monopolizzati, cioè accentuano succes-sivamente il loro grado di monopoliz-zazione. Per esempio, credo che l'indu-stria delle caldaie a vapore giungesse, al tempo del suo massimo spiegamento, a un grado di monopolizzazione assai minore di quello raggiunto dall'indu-stria automobilistica. Ciò avviene pro-babilmente perchè la tecnica diviene più complessa e si richiede una mag-giore concentrazione tecnica per lo svi-luppo innovativo del settore. Natural-mente quanto più è perfetto il mono-polio raggiunto al sommo dello sv:

luppo di ogni settore, tanto più è dif-ficile che quest'ultimo percorra la fase discendente, giacché può tanto più agevolmente chiudere il mercato dal lato dell'offerta e investire i propri ec-cezionali profitti nei nuovi settori pro-duttivi, condizionandone però lo svi-luppo al mantenimento del monopolio originario. Sicché vi sarebbe una ten-denza tecnica a un sempre maggior grado di monopolizzazione, transitorio però per ciascun settore, sulla quale si sovrappone sempre più una tendenza economica a perpetuare il monopolio raggiunto.

A che punto il monopolio comincia a divenire parassitario e involutivo? Quando i suoi profitti di monopolio

cessano di essere completamente inve-stiti nello sviluppo innovativo del pro-prio prodotto o prodotti, mentre il prezzo di monopolio resta immutato anziché scendere gradualmente al livel-lo di concorrenza o, quanto meno, di concorrenza monopolistica. La gradua-lità di tale discesa credo sia necessaria per applicare le innovazioni già conso-lidate del settore produttivo in questio-ne ai settori più arretrati aumentando la loro produttività e sviluppando così ulteriormente il settore dato. Se il mo-nopolio resta immutato, si crea una strozzatura nell'ulteriore sviluppo del sistema economico le cui conseguenze debbono essere esaminate. Supponendo che in un sistema in pieno sviluppo il risparmio provenga in gran parte dagli innovatori, il costituirsi di monopoli parassitari fa sì che il risparmio non provenga più in buona parte dagli in-crementi di reddito conseguenti alle innovazioni, ma venga direttamente sottratto al potenziale profitto

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vazione e al potenziale incremento di reddito dei consumatori e dei produt-tori salariati, nel senso che, facendo divergere parte del potere d'acquisto dei consumatori a proprio vantaggio col prezzo di monopolio, lo sottrae agli innovatori costringendoli a ridurre la produzione e la produttività che po-trebbero altrimenti ottenere. Inoltre il monopolio deforma il credito assorben-done parte per le proprie imprese finan-ziarie volte in genere all'asservimento di imprenditori complementari o alla conquista di altri monopoli; solo inci-dentalmente tali investimenti possono essere innovativi, ma, poiché essi si fon-dano sul profitto di monopolio, posso-no spesso pagare saggi di interesse più alti di quelli possibili per tante inno-vazioni. Sicché per queste due vie lo sviluppo innovativo di tutti i settori viene assai limitato.

Credo che la tendenza al monopolio parassitario sia anche funzione inversa dell'ampiezza del mercato, cioè, quanto più il mercato è ristretto, tanto più è facile mantenere il monopolio senza ragioni di sviluppo innovativo. La ri-strettezza del mercato si deve intendere in senso relativo, non assoluto; essa esprime la proporzione tra quello che sarebbe lo sviluppo equilibrato del mer-cato senza monopoli parassitari e lo sviluppo inferiore reale determinato dall' azione dei monopoli. Credo anche che quanto più un mercato è ristretto e quanto più numerosi sono i settori monopolizzati parassitariamente (due fenomeni connessi e concomitanti), tan-to più difficile sia aprire nuovi settan-tori produttivi, sia per la povertà del mer-cato, sia per la scarsa convenienza che hanno i monopoli a investimenti inno-vativi che comportano sempre un ri-schio; e infine perchè in tale situazione la maggior parte del risparmio è con-trollata dai monopoli parassitari. Poi-ché per il monopolio perpetuantesi l'ar-resto dello sviluppo del mercato, dello sviluppo equilibrato della capacità di acquisto dei consumatori significa per lo meno la cristallizzazione, per un lun-go periodo di tempo, della domanda del

suo prodotto. Tale periodo credo che corrisponda a quello di applicazione delle innovazioni compiute nel settore moderno recentemente monopolizzato ai settori produttivi più arretrati; ciò beninteso nell'ipotesi che non si aprano nuovi settori, nel qual caso anche la domanda del settore parassitariamente monopolizzato continua a svilupparsi, in buona parte a spese dello sviluppo dei nuovi settori. D'altra parte, quanto più numerosi sono i settori produttivi parassitariamente monopolizzati, tanto più ridotta è l'applicazione delle loro innovazioni ai settori più tradizionali per la minore capacità di risparmio e di investimento di questi ultimi, impo-veriti dalla diffusione di tale tipo di monopolio.

Parrebbe che un tale circolo vizioso il quale, dopo tutti gli altri, giunge a colpire lo stesso mercato dei monopoli, costituisca una contraddizione per i mo-nopolisti, giacché essi, con l'impoveri-mento generale del sistema economico giungono a impoverire persino i mer-cati dei loro prodotti. Ma il ciclo di tempo occorrente per arrivare a tale conclusione è molto lungo; inoltre esso viene dilazionato, e il danno al mono-polio attenuato e forse temporaneamen-te escluso, se questo importa innova-zioni da paesi a maggior ritmo di svi-luppo, ad esempio acquistando nuovi macchinari, licenze di fabbricazio-ne, ecc. Vero è che tale dilazione si paga a prezzo di una scarsità di capi-tali e di disoccupazione croniche e non cicliche. Poiché lo sviluppo è ricevuto dal di fuori, e sovente in modo discon-tinuo la quantità di capitale che è ne-cessario investire affinchè dia un pro-fitto e, in ogni caso, un reddito, cresce più che proporzionalmente rispetto al crescere del risparmio e forse del red-dito nazionali. Inoltre, agli effetti del-l'occupazione, l'importazione di

inno-vazioni dall'estero provoca nei settori interessati una relativa diminuzione di occupazione, non compensata da un incremento di essa in altri settori per la produzione delle innovazioni stesse, con le conseguenze descritte nell'arti-colo precedente. Nonostante tutto ciò, credo sia sempre meglio una importa-zione di innovazioni dall'estero che non la paralisi pressoché totale dello svilup-po del sistema.

Per quanto concerne il saggio d'in-teresse, la sua altezza dipenderà dalla vivacità di concorrenza nelle richieste di credito degli innovatori e perciò, in-versamente, dall'adattabilità (probabil-mente anche dalla rapidità di adatta-bilità) dei fattori della produzione a tali richieste, dallo sviluppo di tali fat-tori in proporzione ad esse, cioè alla capacità innovativa degli innovatori, alle loro prospettive d'innovazione. Be-ninteso una piccola parte del credito verrebbe assorbita dagli imprenditori producenti beni a produttività stazio-naria, favoriti dalla stazionarietà dei gusti dei consumatori, poiché grazie al-l'incremento complessivo di reddito essi dovrebbero poter alzare i loro prezzi più che proporzionalmente rispetto al-l'ascesa dei loro costi, per un breve tratto di tale ascesa, e quindi potreb-bero entrare in concorrenza con gli in-novatori pagando un saggio di interes-se con la differenza tra tali costi e prez-zi. In realtà in un sistema in sviluppo non credo esistano imprese a produt-tività tendenzialmente stazionaria, o siano eccezionali, bensì uomini meno capaci e settori produttivi e prodotti più difficili ad innovare per la loro in-trinseca natura. Sicché si potrebbe tor-nare per altra via ad ipotizzare uno schema di concorrenza, assai diverso da quello tradizionale, ma corrispondente alla sua finalità di libertà del mercato e di giustizia distributiva. Controllate il marchio ^ S f i * R E G I N A

Tùi&wzio

F A B B R I C A I T A L I A N A DI V A L V O L E PER P N E U M A T I C I

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MICROTECNICA

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Alluvioni del novembre 1951 - Il Tanaro ad Alba.

IL BACIATO IDROGRAFICO PIEMONTESE

IN RAPPORTO ALLE SUE PIE\E EO \ QUELLE DEL PO

I n g . G . B O N I C E I L I

P R E M E S S A

Le alluvioni recentemente verificatesi in Piemonte e nella Valle Padana ci suggeriscono alcune considerazioni circa la influenza preminente del bacino imbrifero piemontese sulle piene del Po, e circa le condizioni di particolare torrenzialità degli affluenti e sub-affluenti piemontesi del maggior fiume, che troppo frequentemente causano danni ingenti a strade, abitati e campagne.

Per l u n a e per l'altra ragione ci rendiamo ben conto della neces-sità ed urgenza che siano studiati ed attuati, con visione larga ed organica, tutti i provvedimenti a disposizione della tecnica, che siano atti a eliminare od attenuare, in quanto possibile, i lamentati danni di piena, e tanto nella regione piemontese quanto lungo la Valle Padana: provvedimenti che, nello stesso tempo, valgano a dare al territorio regionale quell'ordinato assetto, che ne consenta la migliore e completa valorizzazione dal lato idraulico, agrario, forestale, e conseguentemente turistico, e sotto ogni altro aspetto competente.

E come nel campo urbanistico più non si ammettono piani rego-latori di singoli centri urbani a sè stanti, ma in funzione di un coor-dinamento regionale, così nell'auspicata regolazione generale delle acque e del suolo è desiderabile che ogni opera di sistemazione faccia parte di un progetto di sistemazione generale di un intero corso d'acqua, di un'intera vallata, e tutto questo cercando di conciliare lo sfruttamento delle acque e del suolo con il rispetto della natura, sia essa montagna, collina, pianura o corso d'acqua, in quelle che sono le sue particolari esigenze e caratteristiche; in una parola cer-cando di correggere anziché forzare la natura.

Taluno potrà osservare che con questa gerarchia di interessi molti degli interessi privati andrebbero sacrificati. Questo potrà essere vero in via provvisoria, ma in via definitiva e nel complesso, no, perchè nel nuovo equilibrio, che con le preconizzate sistemazioni si conseguirebbe, gli interessi generali e particolari verrebbero simul-taneamente tutelati e soddisfatti.

Certo è che l'opera di riordinamento generale idraulico e terri-toriale, a cui accenniamo, è di vasta mole, e richiede ingenti mezzi finanziari. Sarebbe quindi assurdo pretendere di accollarne tutto 1 onere allo Stato. L'intervento dello Stato può essere invocato soltanto in caso di preminente interesse pubblico. Per il rimanente

deve sopperire l'iniziativa privata o dei Consorzi, opportunamente diretta, ed un ben inteso senso di disciplina in quanto può essere concesso o vietato dalla Polizia Idraulica.

In ogni caso poi è il buon criterio della convenienza economica che deve consigliare la misura e le modalità di ogni intervento.

Ciò premesso, diremo brevemente delle caratteristiche del bacino imbrifero piemontese, delle pioggie, delle piene, dei danni che vi si verificano, e dei rimedi che si propongono.

C A R A T T E R I S T I C H E D E L B A C I N O I M B R I F E R O P I E M O N T E S E

Ben a ragione si può dire che il bacino imbrifero piemontese ha un'importanza preminente sul regime di piena del Po, e per molti motivi. Anzitutto per la sua estensione, che è superiore a quella del bacino lombardo e dell'emiliano, singolarmente considerati, e che, con i suoi Kmq. 29.350 in c.t. è pari a 42/100 dell'intero ba-cino del Po, il quale si chiude alla confluenza del Panaro in provincia di Ferrara, presso Pontelagoscuro con 70.091 Kmq.

In secondo luogo per la forma stessa del bacino piemontese, che, essendo a ventaglio con vertice nella confluenza Tanaro-Po, Ticino-Po, viene ad immettere, quasi contemporaneamente, nel Po, le piene dei vari affluenti, ogni qual volta si verifichino pioggie con-temporanee estese a tutta l'area del bacino.

A questo riguardo sono migliori le condizioni del bacino imbri-fero lombardo e di quello emiliano: in quanto, nel primo le piene degli affluenti sono naturalmente regolate dal sistema lacuale dei laghi Maggiore, Como, Iseo, Garda a grande capacità di regolazione, e nel secondo la torrenzialità degli affluenti, seppur notevole per velocità di corrente e ingente trasporto solido, è temperata dalle distanziate loro confluenze in Po, data la disposizione a pettine degli affluenti medesimi.

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deter-F i n o a u n m a s s i m o d i 480 m m . F i n o a u n m a s s i m o d i 375 m m . F i n o a u n m a s s i m o d i 2 7 0 m m . Fi n o a u n massi m o d i 2 0 0 m m . piena. Ma il problema è ancora più complicato, co-me vedremo in seguito.

Dai dati statistici del-l'Ufficio Idrografico di To-nno risulta che nella zona da detto Ufficio controllata, e cioè in tutta la regione piemontese a ovest del Sesia, servita da 322 stazioni plu-viometriche, la precipita-zione totale media del pe-riodo dal 7 al 12 novembre 1951 è stata di mm. 242, e quella del periodo dal 18 al 22 novembre di 102 mm.

Nel mese di novembre 1951 alcune stazioni plu-viometriche hanno totaliz-zato anche più di 1.000 mm. di p.o^gia.

Un particolare studio è stato fatto sulle precipi-tazioni massime che pos-sono verificarsi nel giro di 24 ore, che sono quelle che

Il bacino idrografico del Piemonte, quale parte del bacino del Po, diviso in zone di diversa piovosità. determinano le massime pie-ne pie-negli affluenti del Po. Risulta da studi fatti dal-l'Ufficio Idrografico del Po, su dati statistici di un ven-tennio (2), che varie zone piemontesi eccellono per piovosità giorna-liera su tutte le altre zone del bacino imbrifero del Po.

Sono esse, in ordine decrescente di intensità, le zone del Bor-mida e del Sesia, con precipitazioni variabili a seconda dell'altitu-dine dei luoghi, e con punte di oltre 480 mm. ad altitudini comprese tra i 700 e 1.000 metri; la zona del Toce e della riva piemontese del Lago Maggiore, con punte, sempre fra le quote 700 e 1.000 metri, di 450 mm. ; la zona dello Scrivia, estesa al Trebbia, con punte di 400 mm.

E interessante osservare che le suddette zone caratterizzate da precipitazioni massime giornaliere con punte superiori ai 400 mm. costituiscono nel complesso una fascia diretta da sud a nord, dal golfo ligure al Lago Maggiore, dal crinale appenninico ligure-pie-montese, nella depressione del Colle di Cadibona, al crinale alpino svizzero.

Segue in ordine decrescente di precipitazione giornaliera la zona del Chiusella, dell'Orco e della Stura di Lanzo, con punte di 335 mm., la quale si appoggia al versante francese sulla vallata del-l'Are, affluente dell'Isère, pure caratterizzata da notevole piovosità.

Seguono infine le zone della Dora Baltea, dell'alto Po, del Tanaro compreso il Monferrato da Moncalieri a Valenza, con 270 mm. massimi giornalieri, e infine la zona della Dora Riparia con meno di 200 mm.

P O R T A T E D I P I E N A

È ovvio che le portate unitarie di piena, cioè riferite all'unità (Kmq.) di superficie del bacino imbrifero, siano maggiori nelle zone più piovose, e, relativamente ai singoli bacini o corsi d'acqua, siano maggiori, sempre unitariamente, nei bacini più piccoli, in quanto localmente si possono verificare precipitazioni di breve durata, ma intensissime.

Dei coefficienti che possono influire sull'intensità delle portate:

(2) Ricerche sulle precipitazioni massime di un giorno nel bacino del Po

-Prof. Ing. Marco Visentini - Annali dei L L . PP. - fascicolo 3° - Marzo 1936. minano le massime piene dei corsi d'acqua piemontesi, in

re-lazione alla lunghezza dei loro alvei, ed ai loro tempi di corrivazione (I).

P R E C I P I T A Z I O N I

Le precipitazioni in Piemonte sono quelle caratteristiche del clima continentale, cioè con due massimi, m primavera ed in autunno, e con due minimi, in inverno ed estate. Sono però frequenti le eccezioni alla regola, e tali da determinare piene notevoli anche nei mesi estivi o del tardo autunno.

Per solito le precipitazioni che si verificano ad alta quota (oltre m. 2.500), nell'arco alpino, avvengono sotto forma di neve; e cioè provvidenziale, in quanto ì nevai ed ì ghiacciai, che ne risultano, sono da considerare come bacini naturali di regolazione delle piene, perchè sottraggono al deflusso immediato parte delle precipitazioni, che restituiscono poi in ritardo per ablazione dovuta al calore solare, alimentando con morbide estive ì corsi d'acqua alpini.

Merita conto di ricordare che attualmente sull'arco alpino pie-montese la superficie dei ghiacciai, esclusi ì nevai, è di circa Kmq. 345, capace di dare annualmente un deflusso integrale nel quadrimestre estivo, sotto forma di morbida, di oltre 700.000.000 di me. d'acqua.

Ma, nonostante questa naturale regolazione delle precipitazioni di alta montagna, un caso sfavorevole può verificarsi, qualora piog-gie sciroccali su nevai ne provochino lo scioglimento, aumentando così le piene con deflussi eccezionali.

Bastano questi pochi accenni sulla irregolarità delle precipi-tazioni nella regione piemontese, per far comprendere che ì serbatoi esistenti, o da costruire a scopi idro-elettrici od irrigui difficilmente potrebbero servire anche a scopo di regolazione di piena, se non nel caso che si trovassero eventualmente vuoti al momento della

(I) Tempo di corrivazione - È il tempo impiegato dall'acqua di pioggia a

per-correre tutto l'alveo dall'origine a monte all'estremo a valle del corso d'acqua. Esso dipende dalla velocità media della corrente, che si valuta in 4 - r 5 K m . / o r a , e dalla lunghezza del corso d'acqua.

(11)
(12)

piovosità, pendenza, permeabilità del bacino, risulta dalle pubbli-cazioni dell'Ufficio Idrografico che il primo ha netta prevalenza sugli altri, e determina portate unitarie variabili da una frazione di mc/sec. per Kmq. nei grandi bacini o corsi d'acqua, a venti e più me. per 1" e per Kmq. nei piccoli bacini.

Portate di piene eccezionali si sono verificate in questo ultimo mezzo secolo con notevole frequenza, e fra queste citiamo quelle del giugno 1917, del settembre 1920, del maggio-giugno^ 1926, del-l'agosto 1935, del settembre 1948, del gennaio-maggio 1949, del novembre 1951.

T 0 R R E N Z I A L I T À

La torrenzialità dei corsi d'acqua piemontesi deriva dalla intensità e irregolarità delle precipitazioni, dalla natura del territorio preva-lentemente montuoso-collinare determinante accentuate pendenze degli alvei e conseguenti deflussi veloci e tumultuari, e infine dal-l'ingente congerie solida trasportata da monte, e via via incrementata con il rimaneggiamento di quella accumulata dalla corrente lungo l'asta di deflusso.

Nell'arco alpino, a costituzione geologica più antica e resistente, sono ì detriti di falda e le placche moreniche depositate sui versanti degli antichi ghiacciai, che alimentano di congerie solida le alluvioni, e lungo l'asta di deflusso vi contribuiscono i materiali di corrosione delle sponde, per lo più incise nel diluviale o quaternario antico. Nell'Appennino ligure piemontese sono invece le roccie più tenere e friabili, per lo più schisti, calcari marnosi o argille, più sog-getti all'usura e alla degradazione meteorica.

In tutti ì casi le piene sono caratterizzate da grande torbidità (materiale in sospensione), e da ingente materiale solido trascinato al fondo.

Ne risultano alvei che, allo sbocco nel piano, sono tendenzial-mente pensili, instabili, di grande larghezza, con frequenti corrosioni di sponda, divagazioni, formazione di nuovi rami, frequenti minaccie di disalveamento, con conseguenti danni a coltivi, abitati e strade.

Questa instabilità d'alveo si manifesta specialmente alle con-fluenze, ad esempio del Tanaro e del Sesia con il Po, dove è caratteri-stico il cosiddetto fenomeno dello spostamento delle anse o sinuo-sità, dove i confini delle Provincie di Alessandria, Pavia, Vercelli, che già in tempi recenti seguivano le linee fluviali, sono irriconoscibili al confronto.

Dopo quanto è stato esposto si possono trarre le conclusioni sul dissesto del bacino idrografico piemontese, confermato dalle numerose interruzioni stradali, distruzioni di ponti, allagamenti di abitati e di vasti territori coltivi causati dalle recenti alluvioni, i cui danni complessivi ammontano a vari miliardi.

Così pure si può concludere sulla influenza preminente del bacino stesso sul regime delle piene del Po.

E invero è l'idrometro del Ponte della Becca, uno dei primi a valle del bacino piemontese, che con le sue escursioni dà l'allarme per il servizio di piena lungo tutta l'asta del Po, e che, con l'idro-metro di Piacenza, registra, per solito, le maggiori portate di piena del Po, che vanno oltre i 10.000 -r- 12.000/mc. al sec. per poi ridursi, lungo il rimanente corso del Po, per l'effetto moderatore dell'invaso delle estese zone golenali.

Si calcola che nelle due successive alluvioni del novembre scorso la portata integrale defluita a Ponte della Becca sia dell'ordine di 6.000.000.000 di me. di cui 3.000.000 di tonnellate di torbida (mate-riale in sospensione).

E se l'alluvione annuale del Po alla foce viene calcolata in 24 milioni di me. di materiale è ben supponibile che oltre 1 /3 sia dovuto alle alluvioni piemontesi.

P R O V V E D I M E N T I I M M E D I A T I

I provvedimenti da prendere per riparare ì danni d'alluvione, e per impedire, in quanto possibile, il ripetersi dei medesimi, vanno distinti in tre tempi.

In un primo tempo, e con provvedimenti di somma urgenza, saranno da ripristinare le opere danneggiate dalle recenti alluvioni, ben inteso con quelle modifiche e maggiori garanzie, che l'esperienza insegna (strade, ponti, opere idrauliche, acquedotti, case, ecc.).

In un secondo tempo, ma sempre con urgenza, saranno da stu-diare ed attuare le opere occorrenti per la difesa o lo spostamento degli abitati danneggiati, problema questo reso contingente dal frequente ripetersi di alluvioni sempre più formidabili.

In un terzo tempo saranno da attuare tutti quei provvedimenti che mirano a migliorare le condizioni del bacino idrografico piemon-tese, e conseguentemente il regime di piena dei corsi d'acqua, ma il cui effetto non sarà immediato ma graduale e piuttosto a lunga scadenza.

Accenniamo a questi ultimi.

O P E R E E P R O V V E D I M E N T I P E R L A S I S T E M A Z I O N E D E L B A C I N O I D R O G R A F I C O P I E M O N T E S E

Già abbiamo visto che difficilmente i bacini di ritenuta a scopo idroelettrico o irriguo possono adempiere con sicurezza ed efficacia anche la funzione di bacini regolatori di piena, per la irregolarità quantitativa e stagionale delle precipitazioni, e per la diversità degli scopi, che solo casualmente possono coincidere.

Così pure poco è da aspettarsi dai bacini di regolazione di piena, che venissero appositamente costruiti, in quanto potrebbero bensì

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servire allo scolmamento di piena di qualche minore affluente imme-diatamente a valle del bacino, ma non avere pratica efficacia nel-I abbassare il pelo di massima piena di un fiume recipiente, a distanza.

Ed invero, nel caso concreto della recente piena del Po, per abbassare efficacemente il livello di piena ad esempio all'idrometro della Becca, sarebbe occorsa una batteria di bacini d'invaso, la cui capacità complessiva fosse di almeno 1/10 del deflusso integrale alla Becca, ossia di almeno 1/2 miliardo di me. d'invaso. Non solo, ma sarebbe stato necessario attuare gli invasi non a caso, in un tempo qualsiasi della precipitazione di più giorni, ma nel momento giusto per sottrarre al deflusso proprio quell'onda che avrebbe determinato il colmo di piena alla Becca. Trattandosi di invasi multipli, in loca-lità diverse, a distanze diverse, e di fronte al futuro ignoto della durata e dell'intensità delle precipitazioni in corso, ognun vede le molteplici difficoltà per una buona soluzione.

Aggiungi il pericolo, per le sottostanti popolose vallate, di un sistema di dighe dalle complesse manovre, e la spesa veramente ingente per la costruzione di tali opere, valutabili in parecchie die-cine di miliardi.

Così pure non sembra pensabile di ottenere, con gallerie appen-niniche diversive dei deflussi dal mare Adriatico al mar Tirreno, effetti utili tali da compensare le ingenti spese delle opere occorrenti.

Con le opere di sistemazione idraulico-forestali dei bacini mon-tani, miranti a consolidare le frane, rivestire di verde manto sia pascolo, o prato, o bosco, i terreni più acclivi e soggetti a degrado, a ridurre la forza viva delle acque fluenti, sarà lecito attendersi, più che la riduzione quantitativa dei deflussi di piena, la trattenuta della congerie solida, e, conseguentemente, la tendenza alla chiarifica-zione delle acque, anche di piena, e quindi lo scavo, l'affondamento, e la maggiore stabilità degli alvei.

Tuttavia con il rallentamento dei deflussi conseguente alle opere forestali ed idrauliche di rimboschimento e imbrigliamento estese sopra tutto l'arco alpino ed appenninico, dove i bacini montani già classificati o da classificare hanno complessivamente una superficie di circa 16.000 Kmq., è lecito attendersi anche un prolungamento dei tempi di corrivazione, e quindi una diminuzione delle piene anche massime.

A parte ciò, le stesse sistemazioni idraulico-forestali, se opportu-namente integrate con miglioramenti fondiari, sviluppo della rete stradale, ricomposizione delle proprietà agrarie polverizzate, potreb-bero divenire base di una generale valorizzazione della montagna, e trovare, anche solo nel raggiungimento di tale scopo, il loro torna-conto economico.

La sistemazione dei bacini montani dovrà poi integrarsi con opportuni terrazzamenti dei terreni pedemontani e collinari, dove coltivazioni intensive hanno preso il posto dei boschi preesistenti, e dove urge pure impedire il facile degrado dei terreni dissodati, con muretti o siepi in verde a girapoggio.

L'ordine di esecuzione delle opere di sistemazione montana dovrebbe seguire da monte a valle, a differenza delle opere da eseguire nel corso medio e inferiore dei fiumi e torrenti, dove l'ordine dovrebbe invece seguire da valle a monte.

All' uscita dalle gole montane, lungo l'asta di deflusso dei singoli corsi d'acqua, e dal sub-affluente all'affluente e al recipiente principale, possono avere utile applicazione, di volta in volta, e da luogo a luogo, tutte quelle opere che la legge classifica fra le opere idrauliche di 5a, 4a, 3a, 2a categoria, a seconda del prevalere dell'interesse privato

o pubblico, graduando dal meno al più il contributo statale, che per le opere di 3a e 2a categoria diventa decisamente prevalente sulle

ali-quote consorziali o dei privati.

Disponendo di acque rese più tranquille e tendenzialmente chiare dalle sistemazioni montane, sarà più facile utilizzare la loro stessa forza viva per affondare e stabilizzare gli alvei.

Talora basterà un repellente o una difesa di sponda per stornare la corrente da depositi alluvionali in corrosione, e deviarla verso le zone più depresse dell'ampio alveo.

Di particolare urgenza ed importanza saranno le opere locali intese a difendere da alluvioni o frane abitati, ponti, strade, quando non sia il caso di spostarne la sede.

Per ì rimanenti tronchi d'alveo classificati o non tra quelli da sistemare con apposite opere di varia categoria, è da considerare

I b É é

MtÈSÈ

Comune di Castellazzo Bormida (fiume Bormida) - Corro-sioni in destra a monte abitato in località Cusio Raviaro.

Comune di Isola S. Antonio - Rottura argine in destra di Po ed in sinistra di Scrivia.

volta a volta se sia il caso di costringere corsi d'acqua a carattere ancora torrentizio fra arginature continue con pericolo di facile sovralzamento di fondo, o non piuttosto di lasciare liberamente espan-dere le piene in apposite varici con effetto moderatore nei corsi inferiori, e per favorire i depositi del materiale solido e delle torbide.

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In certi casi è il prevalente interesse della regolazione del fiume recipiente che richiede di rallentare il deflusso degli affluenti con tali bacini di espansione. In altri è il tornaconto economico che non giustificherebbe la spesa ingente di una doppia arginatura, con tutte le altre spese conseguenti per una modifica di ponti e relativi accessi stradali, oltre ad eventuali altri provvedimenti di bonifica dei terreni esterni.

In tutti questi casi è logico e legittimo che il terreno laterale destinato per le espansioni delle piene sia vincolato a coltura boschiva, a meno che non si ritenga più opportuno procedere ad esproprio per costituzione di un demanio forestale statale o comunale.

Solo nel caso che si tratti di rilevanti interessi locali da difendere o di ingente territorio da sottrarre a dannose alluvioni si faccia ricorso alle doppie arginature continue, che dovranno essere suffi-cientemente distanziate ed elevate in quota, per contenere con buon franco le piene massime. Ed anche in questo caso le golene dovreb-bero essere vincolate per coltivazioni arboree a ceduo o a filari regolari di alto fusto.

Provvedimenti di tal genere non sono contran alla economia agraria forestale, dato il valore commerciale dei prodotti boschivi, e risolvono nel miglior modo, e senza gravi preoccupazioni per l'avvenire, il problema della sistemazione del corso medio ed inferiore di fiumi e torrenti.

Detti provvedimenti concorrono inoltre a dare al paesaggio regionale una nota di varietà e di freschezza, tanto'più utile e grade-vole in questi tempi, in cui il gelso da foglia va scomparendo con la coltivazione del baco da seta.

Infine, come provvedimento che ha pure massima importanza, accenniamo alla opportunità che in ogni regolamento edilizio, sia tassativamente vietata la costruzione di edifici, sia civili che rurali, nelle zone soggette ad alluvioni e che, per loro destinazione, non dovranno essere protette da argini.

Nè si dica che tali provvedimenti limitanti il libero sfruttamento delle zone alluvionali siano antidemografici. Potrebbero invece essere incentivo al migliore sfruttamento delle zone agrariamente ancora in arretrato, come le zone irrigabili e non ancora irrigate o insufficientemente irrigate, o addirittura da bonificare, come le note Vaude torinesi e le Baraggie vercellesi.

Un programma organico di lavori, come sopra sommariamente indicato, richiede ottima conoscenza della tecnica idraulica forestale e molta pratica del territorio.

Dati i fini da raggiungere un tal programma non si esaurisce in un anno né tanto meno in una stagione lavorativa. Non dovrebbe d'altra parte diluirsi in troppi decenni.

Ci asteniamo dal fare previsioni sull'importo di spesa occorrente, solo accennando che ovviamente esso potrà ragguagliarsi a qualche lira/mq. del territorio regionale.

Piena del novembre 1951 del fiume Sesia - Una veduta da monte del ponte stradale presso Vercelli (strada statale n. 11 - Padana Superiore).

(15)

SULLA DINAMICA

DELLA PRODUZIONE AGRICOLA

ED INDUSTRIALE IN ITALIA

S I L V I O G O L Z I O

La dinamica della produzione agricola ed industriale in Italia, dal 1881 al 1938, è stata presentata con una rappresentazione grafica molto efficace nel fascicolo del maggio 1951 di questa Rivista.

A questo scopo sono stati utilizzati gli indici raccolti con molta diligenza dal Tagliacarne per il Rapporto che la Commis-sione Economica presentò, nel 1947, all'Assemblea Costituente Italiana (I).

Secondo questi dati la produzione industriale italiana sarebbe più che decuplicata in settantanni, e quella agricola più che duplicata.

Mi sembra che vi siano buone ragioni per ritenere che questa stima implichi una sopravalutazione degli incrementi della pro-duzione e quindi del reddito del nostro Paese, e poiché l'argo-mento è molto importante, anche per le conclusioni che se ne possono trarre, mi propongo di discutere queste cifre e di pro-porne altre che, sempre a mio giudizio, meglio esprimono la dina-mica della produzione italiana.

Quanto all'indice citato della produzione agricola, ricorderò che il Tagliacarne lo costruisce in base ad una media geometrica ponderata delle produzioni di cereali, vino ed olio, assunti come prodotti tipici dell'agricoltura italiana. L'inconveniente princi-pale di questo indice è quello di essere a base molto ristretta.

In tale modo non si tiene conto delle trasformazioni che, in cosi lungo periodo di tempo, si sono verificate nell'agricoltura italiana. Inoltre esso è troppo sensibile alle oscillazioni di produ-zioni, come quelle del vino e dell'olio, naturalmente molto varia-bili. L'uso poi di una media geometrica ponderata, vincolando per tutto il periodo il peso scelto, finisce per dare eccessivo rilievo negli anni più recenti alle variazioni della produzione dei cereali; manca invece qualsiasi rilievo a produzioni che hanno importanza crescente, basta pensare al settore ortofrutticolo, a quello zoo-tecnico ed a quello delle culture industriali (canapa, tabacco, barbabietole, ecc.). In realtà l'indice Tagliacarne esprime molto bene lo sviluppo della produzione cerealicola italiana, ma si scosta da altri indici che tengano conto di un maggior numero di voci (2). Per verificare se questi rilievi sono fondati, ho calcolato un indice della produzione agricola in base ai seguenti prodotti: frumento, granoturco, avena, orzo, riso, fave, vino, olio, agrumi, latte, burro, formaggio, carni bovine e suine, barbabietole e canapa. Per il calcolo ho impiegato la media aggregativa, adottando per ciascun prodotto i prezzi del 1938.

(1) Ministero per la Costituente: Rapporto dulia Commissione Economica

presentalo all'Assemblea Costituente - Parte II, Industria: I« Relazione, 2°

vo-lume. Roma, 1947: pagg. 33-92.

(2) Si vedano ad esempio gli indici calcolati dallo Zugaro per il periodo 1880-1923 ( i L a produzione del suolo italiano., in Annali di Economia, no-vembre 1924. voi. 1", pagg. 265-300; Milano, Bocconi, 1924), e gli indici cal-colati dall'Istituto Centrale di Statistica con base 1922, e pubblicati nel Com-pendio Statistico 1937.

Nella seguente tabella sono posti a confronto, il citato indice Tagliacarne (A) e quello da me calcolato (B):

Indici della produzione agricola italiana (1881 = 100)

(A) (B) 1881-85 (medie quinquennali) 127.9 120.0 1886-90 » »> 141.8 136.0 1891-95 » ,> 134.3 127.5 1896-900 » » 136.6 130.5 1901-905 »> » 177.0 166.5 1906-910 » » 170.3 154.5 1911-915 » » 173.4 162.5 1916-920 » » 163.5 157.5 1921-925 » » 184.0 169.0 1926-930 » » 194.0 174.0 1931-935 » » 212.0 187.5 1936-40 » » 209.0 (1) 179.5 1947(2) » » 151.0 137.0 1948 » » 173.0 160.0 1949 » » 191.0 171.0 1950 » » 196.0 180.0 1951 (3) » » 198.0

Se le differenze fra queste due serie (eccetto che per gli ultimi anni), tenuto conto della natura dei dati, non sono molto sen-sibili, assai più forti divergenze si rilevano invece per gli indici della produzione industriale.

Il Tagliacarne per costruire l'indice della produzione industriale dal 1881 al 1938 ha utilizzato i seguenti dati: produzione di zuc-chero e birra (industria alimentare); minerali di ferro, piombo, pirite, zolfo, combustibili fossili (industria mineraria); ghisa, ferro, acciaio, piombo, mercurio (industria metallurgica); produzione di seta ed importazione di cotone (industria tessile); costruzioni navali (industria meccanica); produzione di acido solforico (in-dustria chimica). Dalle serie di indici di gruppo così ottenuti egli Ila ricavato, con medie geometriche ponderate, un indice generale.

La semplice elencazione delle voci scelte dal Tagliacarne dice chiaramente che solo una parte, ed anche solo indirettamente, della produzione industriale italiana cade sotto questo accerta-mento. Ne rimangono, tra l'altro, escluse quelle attività che,

spe-l i ) Ispe-l dato si riferisce aspe-l periodo 1936-38.

(2) I dati della serie t Tagliacarne » dopo il 1947, sono stati calcolati da me, seguendo gli stessi criteri dell'autore per il periodo precedente.

(16)

Numeri indici (1881 = 100) della produzione industriale (C) P ) 1881-85 (medie quinquennali) 107 117 1886-90 » » 139 138 1891-95 » » 138 136 1896-900 » » 206 150 1901-905 » » 351 184 1906-910 » » 478 250 1911-915 »> » 601 273 1916-920 » » 681 269 1921-925 » » 889 311 1926-930 » » 1042 423 1931-935 » » 781 400 1936-940(1)» » 974 474 1947 (2) » » — 430 1948 » » — - 469 1949 » » — 502 1950 » » — 508 1951 (3) » » — 640

(1) I dati dell'indice (C) si riferiscono al periodo 1936-1938.

(2) L'indice, a partire dal 1947, è calcolato in base agli indici I S T A T ; dati i criteri di calcolo del mio indice, il collegamento fra le due serie si può considerare corretto.

(3) Dato provvisorio.

cialmente prima del sorgere della grande industria (lavorazione dei legno, arredamento, abbigliamento, gran parte delle industrie alimentari), avevano un peso più rilevante; in tal modo i dati del primo periodo rimangono assai più bassi, in confronto a quelli recenti, di quanto non debba essere.

Per cercare di ovviare in qualche modo a questo inconve-niente, ho tentato il calcolo di un indice della produzione indu-striale, nel quale fosse incluso il maggior numero possibile di voci, valutando le variazioni di valore di ciascun settore, a prezzi costanti.

I settori da me considerati, prendendo per ciascuno di essi il maggior numero di dati disponibili, sono: industrie estrattive, alimentari, tessili, vestiario, arredamento, abbigliamento, pelli e cuoio, legno, carta, poligrafiche, metallurgiche, meccaniche, chi-miche, edilizie, elettriche (1).

Come per la produzione agricola, riporto le due serie di indici, quella del Tagliacarne (C) e quella da ine calcolata (D).

In questo caso le differenze sono enormi. Se alle circostanze sopra indicate, che fanno ritenere l'indice del Tagliacarne più sensibile allo sviluppo della grande industria in Italia (chimica, elettrica, metallurgica) che a quello dell'industria nel suo com-plesso, si aggiunge la maggior concordanza del mio indice con l'andamento delle importazioni delle materie prime e con altri indici del traffico, si può ritenere che esso sia una misura più rappresentativa delle variazioni dell'attività industriale.

(1) Non potendo in questa nota illustrare con qualche dettaglio i criteri di calcolo, rinvio ad un mio precedente studio : Sulla misura delle variazioni

del reddito nazionale italiano. Giappichelli, 1951.

(17)

r

1 0 0 . .

90 J,.

80

70

60i.

5 0 . .

40

J.

30

20 J .

1 0 . .

P R O D O T T O N E T T O

D E L L * A G R I C O L T U R A

1» miliardi DI use 1938 ) D E L L ' I N D U S T R I A ( m e à i e i j u m c j t u ' u n a l i j

1

1

1

I

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1

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1

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I

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1881 '85 '90 '95 1900 05 10 15 20 25

30

fa

'35 '4 0 45 1951

* * *

Accogliendo l'elaborazione da me svolta si possono trarre alcune conclusioni sulla dinamica della produzione italiana che mi sembra-no di un qualche interesse. Per facilitare il confronto dei dati e per non appesantire il testo con cifre e tabelle, unisco alcuni diagram-mi che sintetizzano la complessa materia nel modo più evidente.

L a prima constatazione che risulta evidente riguarda il più rapido ritmo di aumento della produzione industriale rispetto a quella agricola, cosicché, mentre la prima nel 1881 concorreva soltanto per il 2 5 % al prodotto netto privato contro il 5 5 % del-l'agricoltura, oggi questa non copre che il 30% del prodotto com-plessivo, mentre l'industria si attribuisce il 4 5 % del prodotto nazionale.

Si nota ancora che, mentre l'aumento della produzione agri-cola è di poco superiore all'aumento della popolazione, quello della produzione industriale, con la sua notevolissima entità, ha permesso un non trascurabile aumento del reddito medio indivi-duale. Si può affermare con sufficiente sicurezza che oggi il reddito individuale degli italiani, nonostante le conseguenze non ancora sanate della guerra, supera di circa il 2 5 % quello accertato all'inizio del secolo.

Una seconda constatazione assai importante è costituita dalla rapida ripresa della produzione industriale nell'ultimo triennio, nonostante la caduta più forte, nei confronti della produzione agricola, nel periodo 1944-1946.

Nel corso dell'ultimo anno la produzione industriale si è por-tata al di sopra della linea di <i trend », costituita da una retta passante fra gli indici del quinquennio 1901-1905 e quelli del

quinquennio 1936-'40. L a produzione agricola nel 1950-'51 si è mantenuta invece assai al di sotto della linea di « trend » calcolata con gli stessi criteri.

Da quanto sopra esposto possono trarsi due altre conclusioni: 1) L'ulteriore sviluppo economico, ed anche quello demo-grafico del nostro paese, insieme all'aumento del tenore di vita, sono prevalentemente legati allo sviluppo delle attività industriali ed a quelle ad esse particolarmente connesse.

2) L'agricoltura italiana deve essere seguita con maggior cura, perchè le sue attuali condizioni appaiono tutt'altro che prospere. Se è vero che l'incremento del reddito nazionale, e la cosa appare perfettamente naturale, deve dipendere in specie dallo sviluppo della nostra attrezzatura produttiva nel settore indu-striale, sarebbe assai pericoloso per l'equilibrio economico, del mercato, il mancato sviluppo dell'agricoltura, almeno secondo la linea di tendenza degli ultimi cinquant'anni. In questo momento, come ho detto, siamo al disotto di questa linea, ed è urgente ricuperare 0 tempo perduto, anche perchè la situazione interna-zionale ci può serbare delle ingrate sorprese.

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LA PRIMA

ESPOSIZIONE NAZIONALE

DI TORINO

R O S S A N O Z E Z Z O S

Il 26 aprile 1884 — « col concorso di S. M. il re Umberto, della regina Mar-gherita col figlio Principe di Napoli e di tutto il personale ufficiale che forma, nelle solenni circostanze, il Corteo del Re » — venne inaugurata a Torino, quella esposizione che f u la prima a potersi in-titolare «Esposizione Italiana». Riuscì — come dissero le gazzette — « una

grandiosa manifestazione, in cui si trovò radunato un saggio di tutti i prodotti dell'agricoltura italiana e delle -produ-zioni industriali antiche e nuove nelle quali si cimentarono, con nuovo ardire,

le operosità delle popolazioni, provando che l'Italia non primeggia solo per le produzioni della feracità del suolo, ma

che l'intelligenza e le naturali attitudini dei suoi abitanti le danno altresì il diritto di collocarsi fra le Nazioni industriali ».

Ma prima di proseguire nella nostra rievocazione di codesta Esposizione tori-nese, che tanto giovò alla valorizzazione della nostra economia, è bene che diamo un rapido cenno delle esposizioni che la precedettero preparandone l'avvento.

Intanto riteniamo f a r cosa utile m e t -tere in evidenza la diversità esistente

tra « Fiera » ed « Esposizione », diversità grandissima, almeno agli inizi, se pur la seconda sia, evidentemente, una creatura della prima, frutto di tempi più moderni. Poiché, per quanto la prima esposi-zione « storica » risalga niente po' po' di meno che al 1268, è pur vero che le no-tizie circa la prima vera Fiera sono del-l'anno 629 e riguardano precisamente la celebre Fiera di San Dionigi, in Francia, cui Carlo Magno diede grande splendore e che da Aix-la Chapelle venne traspor-tata nell'anno 870 nella piccola città della Senna da cui prese il nome.

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La prima esposizione « storica » è in-vece gloria italiana, giacché venne alle-stita a Venezia « da lavoratori del paese e forestieri » in onore della dogaressa consorte di Lorenzo Tiepolo.

Ad essa — che i contemporanei defi-nirono « pomposa mostra » — presero parte (secondo quanto ci dice Giovanni Salvioni, buranese, professore di statisti-ca, morto nel 1925) : « 87 arti diverse

rap-presentate da 135 panchetti o banchi, guarniti con ogni maniera di squisita ele-ganza, tacendo splendidamente manifesto a nazionali e forestieri l'alto grado di floridezza in cui, fin da quei dì, trovavasi in Venezia la potenza produttiva dello umano lavoro ».

Con la espressione di « pomposa mo-stra » data dai veneziani del X I I I secolo a questa loro prima « esposizione », ab-biamo — senza volerlo — detto la dif-ferenza fra Esposizione e Fiera.

Medaglia commemorativa dell'Esposizione Nazionale di Torino, 1884.

Porta Moresca.

lunghi secoli limitate a speciali occasioni, sempre di carattere regionale e spesso anche cittadino e destinate « al lustro ».

La prima Esposizione di interesse — diciamo — generale ebbe luogo a Parigi, dal 10 settembre al 2 ottobre 1798 al Campo di Marte e da allora, sino al 1850, le esposizioni si susseguirono un po' ovunque, senza mai — tuttavia — oltre-passare i limiti della « nazionalità ».

Spetta a Londra il merito di aver dato vita alla prima Esposizione Mondiale:

aperta dal 1° maggio al 15 ottobre 1851, che richiamò oltre 6 milioni di visitatori (cosa fantastica, data l'epoca) e accolse quasi 14 mila espositori.

L a F i e r a , i n f a t t i , n o n è a l t r o c h e u n Edijìzio per le industrie agricole e vinicoltura.

grande mercato allestito in occasioni f e -stive, cui accorrono in folla venditori e compratori; mentre alle Esposizioni — or-ganizzate per promuovere ed incoraggia-re le arti — accorrono soltanto produt-tori e curiosi. Le vendite, alle Esposizioni, non h a n n o m a i avuto carattere « i m m e diato » bensì di « ordinazione » ed il v a -lore delle stesse è sempre stato soprat-tutto « pubblicitario e reclamistico ». In-somma: la Fiera è una manifestazione commerciale diretta dal singolo al singolo, mentre l'Esposizione è una m a n i f e -stazione economica, una « Mostra » di quanto un Paese o una Nazione o più Nazioni producono, facilitando così i r a p -porti ed i traffici.

Detto questo, si capisce perfettamente come le Fiere abbiano, nel lontano pas-sato, avuto un successo più popolare del-le Esposizioni, del-le quali, infatti, furono per

INDUSTRIA]' AflBICOlAll

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Edijìzio pel Risorgimento italiano. Ma ritorniamo a noi, alle iniziative

torinesi.

Le prime Esposizioni italiane sono infatti vanto di Torino che — quando a n -cora il Piemonte era incorporato

all'Im-pero francese — aperse, negli anni 1805, 1811 e 1812 quelle sue « M o s t r e »

industriali, le quali, per quanto modeste, h a n -no però giovato a destare fra gli artigiani e i manufattori subalpini quello spirito

di progresso che più tardi — col ripri-stino della sovranità dei Savoia — ripetè l'esperimento, tentando di dare ad esso una certa periodicità.

Così nacque — patrocinata dalla Ca-mera di Commercio Industria e Agricol-tura, e voluta da Carlo Felice — quella Triennale Esposizione Torinese dei vari prodotti nazionali nel campo industriale ed agricolo, che venne aperta nel 1829 nelle sale del Castello del Valentino, ove si raccolsero 502 espositori. Tre anni

dopo, puntualmente, l'Esposizione si ri-petè; ma, poiché il numero degli espo-sitori apparve sensibilmente diminuito, si comprese che troppo breve era lo spa-zio f r a una manifestaspa-zione e l'altra in un paese ancora con ben pochi mezzi per alimentare sufficientemente la pro-duzione.

Nel 1838 si aperse la terza Esposizione e nel 1844 la quarta; entrambe, per quanto gli espositori fossero stati scarsi, rivelarono la progressiva tendenza indu-striale del Piemonte, tendenza che ebbe modo di manifestarsi soprattutto nel-l'Esposizione del 1858, non tanto perchè nel frattempo Londra (nel 1851) e Parigi (nel 1855) avevano offerto le loro Espo-sizioni Mondiali, quanto perchè il Pie-monte a v e v a in quell'anno già parecchi tronchi ferroviari e la linea Torino-Ge-nova compiuta sin dal 1854.

Divisa in molte sezioni — o classi, co-m e allora furono dette — e precisaco-mente XVII, essa raccolse nella I (che ebbe due « scompartimenti ») tutti i prodotti del-l'agricoltura e della floricoltura; nella II

« i saggi delle miniere, delle officine m e -tallurgiche, delle ferriere, delle fornaci »; nella III i prodotti chimici; nella IV i prodotti della meccanica; nella V i lavori di galvanoplastica; nella VI i prodotti dell'arte vetraria e della ceramica; nella VII i prodotti dell'industria serica; nella V I I I i tessuti serici; nella IX le materie filamentose animali e vegetali e le loro m a n i f a t t u r e ; nella X le pelli, i cuoi di ogni genere e loro lavorazione; nella XI tutti gli oggetti destinati all'abbigliamen-to, trine, merletti e cappelli da donna compresi; nella XII i mobili, cui furono annessi i pianoforti « e per analogìa gli

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