5 Come integrare? La terza fase negoziale: da Parigi a Roma
5.1 Gli accordi segreti di Colomb-‐Béchar
All’indomani del raggiungimento del compromesso, arrivarono presso il Dipartimento di Stato i telegrammi dalle delegazioni. L’ambasciatore americano presso la CECA Walton Butterworth scrisse che “le tanto agognate concessioni
tedesche erano arrivate384”; Monnet e Armand invece comunicarono a Schaetzel
che “ora si poteva a tutti gli effetti iniziare il drafting del trattato”. Monnet ed Armand, in particolar modo, fecero parallelamente un gran lavoro per convincere gli statunitensi che il compromesso non sarebbe stato l’atto di nascita di una terza forza indipendente dagli Usa. Molti tra i membri del Congresso e qualcuno tra gli analisti del Dipartimento di Stato, visto l’esito della trattativa, iniziarono a temere che l’Europa potesse essere in cammino verso una posizione di neutralità. Armand e Monnet, dunque, si adoperarono per ricordare che il compromesso altro non era che un utile strumento per superare la rivalità franco-‐tedesca tenendo a bada le
“pulsioni nazionaliste” di entrambi i paesi385.
Intanto il canale diplomatico apertosi tra il Ministro della Difesa tedesco Franz Josef Strauss e il Generale Valluy dopo l’incontro di Bonn a inizio novembre, stava fornendo i suoi frutti: la vicinanza tra il Ministro ed il Generale aveva portato ad ulteriori incontri segreti tra i due, che si erano concretizzati nella stesura di un vero e proprio trattato “segreto”. Era il cosiddetto trattato di Colomb-‐Béchar, patto che prendeva il nome da una cittadina algerina nella quale era ospitata una base missilistica francese386. Il patto, ad oggi non ancora divulgato (seppur tuttavia
menzionato in varie memorie e citato da documenti ufficiali) sarebbe stato siglato secondo alcune fonti da Strauss e dal Ministro della Difesa Francese Maurice Bourges-‐Manoury il 17 gennaio 1957387. Secondo Soutou esso conteneva
un’integrazione “in senso nucleare” dei trattati di consultazione e cooperazione militare già stretti tra i due paesi a Parigi: al suo interno, si suppone fossero incluse
384 G. Skogmar, The US and the Nuclear Dimension of European Integration, cit., 221-‐222.
385 Gerard Bossuat & Andreas Wilkens “Jean Monnet, l’Europe et les chemins de la paix,” Publications
de la Sorbonne, Paris, 1999, pag.198.
386 G.H. Soutou, L’alliance incertaine, cit., pag. 53-‐57.
misure per la costituzione di un arsenale nucleare i cui costi sarebbero stati condivisi. Probabilmente, gli statunitensi furono messi a conoscenza del raggiungimento di un accordo in Algeria: tuttavia, come fa notare Skogmar, non sappiamo quanto nel dettaglio ne conoscessero il contenuto. Altrettanto incerto è invece se in quella sede si fosse raggiunto un accordo o meno su un impianto di arricchimento comune388.
Proprio questo era un tema estremamente scivoloso per ambo le sponde dell’Atlantico. A poche settimane dal raggiungimento del compromesso del Matignon, su suggerimento del Dipartimento di Stato, Eisenhower sbloccò la policy sui trasferimenti di combustibile fissile che aveva nel cassetto da febbraio. Essa avrebbe consentito la distribuzione di circa 20 tonnellate di uranio weapon-‐grade all’estero: i prezzi del combustibile e le condizioni a cui esso veniva ceduto erano anche più vantaggiose di quanto gli alleati non si aspettassero, in quanto i costi si erano ridotti di circa un terzo rispetto a quelli anticipati dagli americani durante la Conferenza di Ginevra del 1955. Si capì immediatamente che l’offerta americana era pensata per distruggere le velleità degli europei di dotarsi di un proprio impianto di arricchimento. Il CEA francese accolse la notizia con risentimento: convincere gli alleati a partecipare allo sforzo di costruzione di un impianto europeo sarebbe stato ora più difficile del previsto. Inoltre, alla luce di questi sviluppi, una delle principali attrazioni che avevano spinto la Francia a siglare il trattato EURATOM spariva: privando la costruzione dell’impianto dei suoi benefici commerciali, l’impianto di separazione isotopica francese sarebbe diventato solo un mezzo per perseguire propri fini militari.
L’ambasciatore americano Butterworth, preoccupato per il malcontento francese, inviò immediatamente un telegramma a Washington389, temendo gli
effetti che una simile notizia avrebbe potuto avere sulle negoziazioni che, nel mentre, a Bruxelles continuavano all’interno della Conferenza Intergovernativa guidata da Spaak. Il singolare tempismo con cui la notizia pervenne alle delegazioni fece sì che molti europei guardassero con diffidenza all’offerta americana: molti si chiesero se gli USA non volessero trarre vantaggi politici ed
388 G. Skogmar, The US and the Nuclear Dimension of European Integration, cit., pag. 223-‐225.
economici da un’Europa completamente dipendente dalle forniture americane. I francesi, in particolar modo, si attivarono immediatamente per chiudere la trattativa sull’impianto di separazione isotopica prima che arrivasse la firma del trattato EURATOM. I timori di Butterworth non tardarono a divenire reali: il 4 ed il 5 gennaio 1957 durante una convulsa riunione dei capidelegazione, la Francia criticò gli scarsi risultati raggiunti dal Gruppo di Studio sull’impianto di separazione isotopica e biasimò la delegazione tedesca che poco o nulla aveva fatto per reperire le informazioni necessarie al lavoro del gruppo390. Il problema,
tuttavia, si ripresentò sulla scrivania di Adenauer dopo le consultazioni con Faure il 15 gennaio 1957, pochi giorni dopo la sigla degli accordi di cooperazione segreta di Colomb-‐Bechar. Adenauer, a quanto appare dai documenti, era pronto a dare il via ad un comune sforzo di ricerca con i francesi: era evidente che la sua preoccupazione era legata all’importanza che l’impianto di separazione isotopica aveva per la realizzazione di un’opzione nucleare militare congiunta franco-‐ tedesca391. Ne erano prova anche le parole che il Cancelliere ebbe per Gronchi e
Martino nel loro viaggio a Bonn a dicembre: ai due politici italiani che sollecitavano il sostegno della RFT al processo d’integrazione Adenauer contrariamente a quanto avrebbe detto successivamente a febbraio a Segni e Martino, mostrò un’inedita disponibilità verso i francesi. Il Cancelliere disse con chiarezza che, allo stato dei fatti, non era più plausibile far partire le nuove comunità senza l’apporto di Parigi. Certo il governo tedesco sollecitava la fine dei negoziati e la firma dei trattati nel più breve tempo possibile, ma era necessario compiere ogni sforzo per raggiungere gli obiettivi con il sostegno francese392.
Parallelamente all’annuncio del Presidente Eisenhower, iniziarono a giungere alla Casa Bianca richieste per l’apertura di trattative bilaterali per l’approvvigionamento di uranio e plutonio393. La Germania, non volendo attendere
i tempi lunghi di ratifica di EURATOM, era stata la prima ad aprire un canale di
390 Ibidem, pag. 226-‐227.
391 George Henri Soutou, “Les problèmes de sécurité dans les rapports franco-‐allemands de 1956 à
1963” in Relations Internationales, no.59, (1989), pp. 317-‐330.
392 Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, Gabinetto del Ministro 1944-‐1958, busta 117,
Carteggio Martino, viaggio Gronchi-‐Martino in Germania (5-‐9 dicembre 1956) così come citato in M. Saija e A. Villani, Gaetano Martino 1900-‐1967, cit., pag. 392, conversazione Gronchi-‐Adenauer, 6 dicembre 1956, pp.10-‐12 in E. Serra, “Il rilancio di Messina”, cit. pp.67-‐68.
trattativa. Alla richiesta tedesca seguirono a ruota quelle degli altri cinque, ponendo il Dipartimento di Stato in allerta. Gli ambasciatori Conant, Dillon e Butterworth, immediatamente tentarono di bloccare simili trattative sul nascere, ammonendo il Dipartimento di Stato del fatto che l’apertura di trattative bilaterali avrebbe potuto nuocere pericolosamente alla fase di firma e ratifica di EURATOM, mettendone in pericolo anche gli obiettivi che sembravano già essere stati conseguiti. Dulles, concordando con i suoi ambasciatori, immediatamente inviò un telegramma a tutte le sue delegazioni in cui si istruivano le missioni all’estero affinché esse continuassero a rifiutare ogni richiesta di trattativa bilaterale. Sarebbe stato inappropriato per gli Stati Uniti mettere a repentaglio i passi avanti che erano stati fatti con il compromesso del Matignon: i tempi non erano ancora maturi per abbandonare l’approccio multilaterale394.