2 Perché integrare? Le ragioni dei Sei
2.6 L’attivismo belga
Il Belgio tra i Sei era certamente il paese maggiormente interessato alla realizzazione di una comunità Europea dell’atomo. Da un lato, infatti, una collaborazione europea nel settore avrebbe portato a realizzazioni di cui anche l’industria belga avrebbe beneficiato, dall’altro avrebbe imposto una parità di diritti e un’uguaglianza di posizioni tra i Sei cui difficilmente il Belgio avrebbe potuto aspirare151. Non è un caso, dunque, che il Ministro degli Esteri belga Paul
Henry Spaak fosse divenuto, in collaborazione con Jean Monnet, il vero motore del “rilancio europeo”: egli fu il vero mattatore della negoziazione EURATOM oltre che il redattore della lettera del 2 aprile 1955 nella quale figurava la proposta di creazione di un’autorità indipendente incaricata dello sviluppo nucleare degli stati europei. Scopo chiaro dell’azione politica di Spaak era rimettere in moto il processo d’integrazione “settoriale” dopo che la bocciatura della CED aveva mostrato l’impossibilità di giungere all’unione politica dell’Europa senza passare attraverso realizzazioni parziali152. Nonostante il responsabile della politica estera
belga fosse impegnato in prima linea nel sostenere l’integrazione nucleare in Europa, in patria ai suoi progetti non furono risparmiate reticenze e opposizioni, provenienti soprattutto dall’interno della classe politica e degli ambienti dell’associazionismo industriale.
Queste opposizioni avevano la loro ragion d’essere in due tipi di motivazioni. In primo luogo Spaak ed il suo governo si trovarono fronteggiare il malcontento degli industriali153: essi manifestarono a lungo reticenze nei confronti del disegno
integrativo, poiché non erano convinti dei benefici che il paese avrebbe potuto trarre dall’instaurazione di un mercato comune del nucleare. Le preoccupazioni
151 Pierre Bourguignon, ‘De l’entrée en vigueur du traité de Paris à celle des traités de Rome’, in
Studia diplomatica, Special Edition: Le rôle des Belges et de la Belgique dans l’édification européenne,
Vol. XXXIV, No 1–4, (1981), pp. 293–325.
152 C. Pineau e C. Rimbau, Le grand pari, l’aventure du traité de Rome, cit., pag. 156 e Paul-‐Henri
Spaak, The Continuing Battle: Memoirs of a European, 1936–1966, tradotto da Henry Fox, (London: Weidenfeld, 1971).
153 Anne Morelli, ‘Le débat sur l’Europe au sein de la gauche belge de 1952 aux traités de Rome’, in
maggiori scaturivano dal timore di dover condividere con gli altri partner europei i vantaggi derivanti dalle relazioni privilegiate con gli Stati Uniti. In particolare le associazioni industriali obiettavano che se la Comunità fosse stata dotata di un monopolio di acquisto e vendita sui materiali fissili, il Belgio non avrebbe potuto trarre alcun beneficio dalla fornitura ad essa dell’uranio congolese154. Inoltre gli
industriali belgi ritenevano che le richieste francesi in tal senso fossero motivate solo da dal desiderio di voler condividere l’uranio di cui la Francia era sprovvista, anche se non si trascurava l’importanza dell’apporto che questa avrebbe potuto fornire al polo atomico europeo in termini di conoscenze155. Secondariamente,
l’adesione convinta di Spaak ad EURATOM provocava malumori anche all’interno del Ministero degli Esteri: se il Belgio avesse dovuto mettere a disposizione dell’EURATOM parte dell’uranio congolese, sarebbe stata necessaria una revisione degli accordi bilaterali conclusi nel 1944 con gli USA e la Gran Bretagna156. Le
reticenze della diplomazia a riguardo erano molto forti, tanto più che nelle prima metà del 1955 erano in corso i negoziati con gli americani per il rinnovo dell’accordo: quest’ultimo avrebbe dovuto prevedere per il Belgio un’ampia comunicazione d’informazioni classificate ed il Ministro degli Esteri Spaak temeva che gli USA si sarebbero opposti ad una trasmissione di questi dati agli altri stati europei157.
Certamente il progetto dell’EURATOM apriva importanti prospettive: di fatto però il Belgio nel 1954, ovvero a quasi 50 anni dalla scoperta delle miniere, ancora non poteva disporre liberamente dell’uranio che estraeva in Congo. Inoltre tutte le promesse relative alla formazione di ricercatori belgi nei laboratori degli Stati Uniti erano state mantenute solo in parte, suscitando profondo malcontento
154 J. L. Moreau, “L’industrie nucléaire en Belgique”, cit., pag. 82.
155 G. Bossuat, L’Europe des Français, 1943-‐1959, cit., pag. 273.
156 P. Winand, Eisenhower, Kennedy and the United States of Europe, cit., pag. 87.
157 In ogni caso l’accordo belga-‐statunitense sarebbe stato firmato a Washington il 15 giugno del
1955 e reso pubblico a Bruxelles il 20 giugno. Esso, concluso per la durata di dieci anni, prevedeva che il governo statunitense avrebbe fornito a quello belga le informazioni necessarie alla realizzazione del suo programma atomico, ma a fini esclusivamente pacifici. Dal 1955 al 1957 il Belgio avrebbe usufruito del 10% della produzione congolese di uranio, questa percentuale sarebbe salita al 25% dal 1957 al 1960 ed in seguito rinegoziato. Il 18 novembre successivo fu concluso un accordo analogo con la Gran Bretagna. In: M. Pinay, Ministre des Affaires Étrangères aux Represéntants Diplomatiques de France à l’étranger, Télégramme circulaire n° 49, Paris, 10 juin 1955, in DDF 1955, Tomo 1, n.232, pp. 756-‐758, nota 3 e J. L. Moreau, “L’industrie nucléaire en Belgique”, cit., pag. 75.
nell’ambiente industriale ed in quello accademico. A guidare la fronda di diplomatici, industriali ed accademici che chiedevano al Governo meno proposte e maggior attivismo, fu nell’inverno del 1953, il Commissario all’Energia Atomica Pierre Ryckmans. Questi lamentò a lungo la schizofrenia della compagine di governo, la quale pur proclamandosi all’esterno a favore di una politica d’integrazione di respiro continentale, di fatto all’interno continuava a seguire una politica dimessa (ancora nessun reattore era stato ordinato)e di isolamento considerato che gli altri stati europei avevano già instaurato collaborazioni solide al fine di progredire in campo nucleare158. Il Governo, messo alle strette, dovette
agire: venendo incontro sia alle richieste dell’Alleato statunitense sia alle pressioni che venivano dal mondo industriale, il gabinetto di Achille Van Acker decise di dare un’improvvisa accelerata alla crescita nucleare creando una serie di organismi che avrebbero dovuto assicurare una crescita coordinata ed un dialogo costante con le agenzie americane: l’allora Commissario all’Energia Atomica Rijkmans ed il suo CEN (Centro per l’Energia Nucleare) si fecero carico di coordinare le richieste che venivano dal sistema industriale, veicolandole all’Atomic Energy Commission americana. L’intensificarsi dei rapporti con gli statunitensi era chiaro indice della vocazione belga di voler puntare molto sul nucleare civile, sia per rispondere al fabbisogno energetico interno, sia per sviluppare una forte industria nazionale che potesse produrre reattori commerciali da vendere all’estero. Forte di questa ritrovata armonia, il Belgio poté presentarsi a Messina con una posizione unitaria condivisa dalle parti sociali: Paul Henry Spaak avrebbe dunque potuto condurre la negoziazione, basata sul Memorandum Benelux scritto a più mani con Beyen e Monnet, utilizzando la carta delle forniture d’uranio belga che sicuramente non avrebbe potuto non destare l’interesse del duo franco-‐tedesco159.
158 Micheal Dumoulin, Spaak, (Bruxelles: Editions Racine, 1999), pp.520-‐521.
159 Pierre Henry Laurent “Paul Henry Spaak and the diplomatic origins of the common market