4 Come integrare? La seconda fase negoziale: da Venezia a Parigi
4.5 La Conferenza di Parigi e l’escalation militare a Suez
La Conferenza dei Ministri degli Esteri dei Sei si tenne tra il 20 ed il 21 ottobre del 1956 a Parigi: nel suo complesso essa non fu un successo poiché le parti non siglarono nessun accordo concreto su EURATOM e Mercato Comune. La presenza nella delegazione tedesca di Ehrard e Strauss contribuì a irritare i negoziatori francesi, che si aspettavano di dover trattare con una delegazione più ristretta del Cancellierato di Bonn e non certo con i suoi ministri più ostici al progetto integrativo 339. La maggior parte del tempo fu dedicato alla negoziazione di
complessi meccanismi per il raggiungimento del Mercato Comune e ad EURATOM fu assegnato solamente uno spazio limitato e piuttosto residuale340.
Fu la delegazione tedesca a manifestare per prima la sua posizione. Von Brentano espose la rinnovata posizione del suo governo, accettando in linea di principio, gran parte delle soluzioni raccolte all’interno dello Spaak Report.
337 Ibidem, pag. 207.
338 Gaetano Martino, “Dalla Piccola alla Grande Europa” in Gaetano Martino “Per la libertà e per la
pace” pp.391-‐396 così come citato in M. Saija e A. Villani, Gaetano Martino, cit., pag. 391.
339 Era una Conferenza dei Ministri degli Esteri, dunque, Pineau ed il sempre presente Maurice
Faure non si aspettavano una delegazione di Bonn tanto nutrita. La partecipazione del Ministro dell’Economia Ehrard e del Ministro per le questioni Atomiche Strauss era stata tuttavia definita direttamente con Adenauer durante il Gabinetto del 3-‐5 ottobre in cui si discusse ufficialmente la posizione di Bonn sull’EURATOM, ed in una certa misura era stata imposta dal Cancelliere a Von Brentano. In G. Skogmar, The US and the Nuclear Dimension of European Integration, cit., pag. 208.
340 CM3/NEGO-‐95, “Conférence des ministres des Affaires étrangères, Paris” -‐ Document date:
Tuttavia esistevano due eccezioni: una sul sistema di monopolio e l’altra sulla gestione del combustibile. Von Brentano chiarì che ogni parte contraente avrebbe dovuto esser autorizzata a dotarsi di carburante esternamente ad EURATOM qualora essa non fosse stata in grado di coprire il fabbisogno nazionale o avesse imposto prezzi considerevolmente più alti di quelli di mercato. Sul possesso dei combustibili, invece Von Brentano enunciò il principio del controllo “sui generis”: ogni elemento, sia esso carburante già pronto all’immissione nel reattore o semplice uranio non trattato proveniente da giacimenti nazionali, doveva essere oggetto del controllo di EURATOM341. Questa posizione era già stata concordata in
precedenza con Italia e paesi del Benelux, i quali appoggiarono la linea di Von Brentano poiché essa poneva alcuni limiti alla crescita del progetto nucleare francese ed allo stesso tempo era ulteriore garanzia della buona volontà tedesca di non dotarsi di armi nucleari. Pineau, pur apprezzando il passo in avanti della trattativa, non era d’accordo: affermò infatti che oggetto del controllo di EURATOM dovevano essere solamente i combustibili fissili e non più in generale tutti i materiali radioattivi presenti in una nazione. Von Brentano, per tutta risposta, ripropose il concetto di “minimum equality” che sin dalla Conferenza di Venezia contraddistingueva la posizione negoziale tedesca: era necessario avere eguale accesso alle informazioni ed eguale controllo sia in campo militare che in campo civile. Ciò serviva ad evitare che un paese definisse internamente una netta linea di demarcazione tra programma militare e programma civile. Pineau rispose a Von Brentano affermando che la Francia non voleva e non poteva rinunciare in modi e tempi indefiniti a dotarsi di un’arma nucleare: bisognava perciò stabilire una corretta distinzione tra progetti di sviluppo civile e progetti militari. Era dunque necessario, secondo il Ministro, pensare ad una piattaforma di condivisione dei segreti militari tra i Sei che fosse regolata con un accordo da raggiungersi al di fuori del trattato342.
Il fallimento della Conferenza di Parigi ebbe effetti deflagranti sulla compagine ministeriale di Adenauer. Il Cancelliere, infatti, alla luce di quanto proprio in quei
341 Ivi.
giorni stava accadendo in Ungheria343, decise di dare un nuovo impulso alla
negoziazione. Frustrato dagli scarsi risultati raggiunti dai suoi Ministri e pressato dagli statunitensi affinché si raggiungesse un accordo, Adenauer convocò un Gabinetto d’urgenza in cui, dopo una forte reprimenda ai suoi uomini, il Cancelliere riaffermò la necessità di fare passi in avanti verso l’integrazione europea. Questi passi in avanti sarebbero stati fatti da lui e Mollet direttamente, volenti o nolenti i rispettivi ministri che avevano curato le sterili negoziazioni. Nello specifico Brentano, Ehrard e Strauss furono richiamati all’ordine: Strauss e Von Brentano si uniformarono subito al volere del Cancelliere. Con Ehrard, invece, portatore degli interessi della grande industria tedesca, Adenauer dovette trattare più a lungo ed in privato, riuscendo ad aver ragione del suo interlocutore solamente dopo lunghissime trattative344. Chiusosi il Gabinetto, i Francesi si fecero avanti per
risolvere i rimanenti nodi “tecnici” lasciati aperti a Parigi. Mollet inviò un messaggio personale al Cancelliere in cui si enucleavano i punti che sarebbero stati definiti durante il loro incontro successivo: monopolio e gestione dei combustibili fissili ed aspetti legali del loro possesso all’interno di EURATOM345. Couve de
Mourville sarebbe stato incaricato di consegnare il documento con la posizione francese direttamente nelle mani di Adenauer. Tuttavia, accanto alla trattazione dei punti già annunciati, de Mourville recapitò al Cancelliere anche un dossier segreto che conteneva le linee guida di un progetto di cooperazione militare franco-‐tedesco. Esso proponeva la creazione di un Comitato Tecnico Militare congiunto che supervisionasse gruppi di ricerca al lavoro su oltre 50 progetti di interesse militare che i due paesi avrebbero perseguito insieme: sull’intero
343 Per l’approfondimento della crisi ungherese del 1956 si rimanda a Charles Gati, Failed Illusions:
Moscow, Washington, Budapest and the 1956 Hungarian Revolt, (Washington: Woodrow Wilson
Center Press, 2006); Csaba Békés e Malcolm Byrne (eds.), The 1956 Hungarian Revolution: A History
in Documents, (Budapest: Central European University Press, 2002); Johanna Granville, The first domino: International Decision Making during the Hungarian Crisis of 1956, (College Station: Texas
A&M University Press, 2004);, Peter F Sugar, Peter Hanak e Frank, Tibor (eds.), A History of
Hungary: From Liberation to Revolution, (Bloomington: Indiana University Press, 1994), pag. 368-‐
383.
344 G. Skogmar, The US and the Nuclear Dimension of European Integration, cit.. pp. 203-‐207.
345 M. Pineau, Ministre des Affaires Étrangères à M. Couve De Murville, Ambassadeur de France à
Bonn, Télégramme Réservé, Paris, 31 octobre 1956, h.22,45, in DDF 1956, Tomo III, no. 75, pag. 121-‐122.
documento entrambe le parti si impegnavano a mantenere il massimo riserbo346.
Couve de Mourville consegnò il memorandum ad Adenauer e riportò la sua reazione, con immediatezza, in un telegramma riservato diretto a Parigi. Il Cancelliere aveva accolto con gran favore la proposta contenuta nel memorandum, tuttavia era preoccupato perché l’accordo era strettamente bilaterale e non avrebbe potuto includere l’Italia, paese con cui la Germania aveva stabilito un solidissimo canale diplomatico347.
L’attività diplomatica americana rimaneva parallelamente in fermento: le comunicazioni dalle ambasciate europee giungevano frenetiche. Tutte le parti coinvolte avevano percepito che le negoziazioni erano entrate in una fase cruciale. Sebbene i toni fossero diversi a seconda delle parti, la tendenza generale attribuiva il fallimento dei negoziati di Parigi all’intransigenza della Germania348. Anche
Monnet ed i fautori dell’integrazione condividevano quest’analisi: tutti credevano che il momento di agire per gli Stati Uniti fosse giunto e non potesse essere ulteriormente procrastinato. Un nuovo fallimento di trattative ministeriali, infatti, avrebbe affossato l’intero progetto: bisognava perciò intervenire su Adenauer, rafforzandolo a scapito dei suoi Ministri che con le loro reticenze bloccavano la sua azione politica. In un nuovo rapporto indirizzato a Dulles e al Presidente da Burke Elbrick e Philip Farley 349 si chiarì come la Conferenza di Parigi fosse stata un
fallimento non dal punto di vista del Mercato Comune, ma da quello di EURATOM. Le istanze anti integrazioniste di Ehrard e Strauss avevano contribuito a bloccare un compromesso tra le parti, relegando la Germania in uno stallo negoziale da cui sarebbe potuta uscire solo con un’azione decisa del Cancelliere. Dulles, condividendo l’analisi dei suoi consiglieri, autorizzò James Conant ad aprire un canale di dialogo diretto con Adenauer350. Conant fece visita al Cancelliere
direttamente a Bonn: i loro punti di vista in merito alla gestione ed al possesso dei
346 Notes pour le Président du Conseil en vue des entretiens prévus au cours de la visite à Paris du
chancelier Adenauer, Paris, 3-‐5 novembre 1956, in DDF 1956, Tomo III, no. 123, pag. 197-‐202.
347 M. Pineau, Ministre des Affaires Étrangères à M. Couve De Murville, Ambassadeur de France à
Bonn, Télégramme Réservé, Bonn, 3 novembre 1956, h. 22.50, in DDF 1956, Tomo III, no. 104, pag. 164-‐165.
348 G. Skogmar, The US and the Nuclear Dimension of European Integration, cit., pag. 213.
349Rispettivamente Vice-‐Assistente Generale del Segretario di Stato e Vice-‐Assistente Segretario di
Stato per le questioni connesse all’Energia Atomica.
combustibili erano molto simili, ed entrambi furono d’accordo nel limitare il ruolo di Strauss nelle negoziazioni351. Egli in futuro si sarebbe occupato di altre
questioni, lasciando la trattativa su EURATOM direttamente nelle mani del Cancelliere. Dulles, tuttavia, pur accogliendo con piacere le notizie di Conant, volle comunque cercare conferme di questa disponibilità da Von Brentano: Conant incontrò anche lui il 5 novembre e Von Brentano ebbe modo di confermargli gli impegni presi da Adenauer nel precedente incontro352. Infine Dulles onde evitare
pericolosi coinvolgimenti americani in trattative bilaterali su scambi di combustibile fissile con i Sei, chiese ed ottenne dalle sue delegazioni diplomatiche di bloccare ogni trattativa ed ogni richiesta di carburante che provenisse dall’Europa. Ciò avrebbe impegnato tutto il Dipartimento di Stato sulla negoziazione EURATOM ed avrebbe prevenuto malintesi nei confronti degli alleati europei impegnati nella trattativa353.
L’escalation militare a Suez.
A metà ottobre il Ministro degli Esteri egiziano Mahmoud Fawzi, temendo un attacco congiunto franco-‐britannico e cedendo alle pressioni di Dulles, si mostrò disposto a negoziare un accordo di massima sui principi che avrebbero dovuto regolare la navigazione all’interno del canale. Il 14 ottobre, dunque, venne approvato dal Consiglio di Sicurezza un compromesso che avrebbe dovuto garantire eque condizioni d’accesso al Canale: l’accordo però rimase solamente sulla carta vista l’impossibilità di trovare un’intesa sulle sue modalità d’applicazione354.
Nel corso dell’estate, inoltre, sia francesi che britannici avevano pianificato con i vertici delle loro forze armate un intervento militare nell’area. Le divergenze tra le
351 Telegram From the Ambassador in Germany (Conant) to the Department of State, Bonn, October
30, 1956—1 p.m., in FRUS 1955-‐1957, Volume IV, Western Europe Security and Integration, n.197, pag.481.
352 G. Skogmar, The US and the Nuclear Dimension of European Integration, cit., pag. 215.
353 Ivi.
354 Edward Johnson, “The Suez Crisis at the United Nations: the effects for the Foreign Office and
parti e i dubbi di Eden sulla legittimità dell’uso della forza355 avevano però
ritardato l’azione, spingendo i francesi a tentare di risolvere il problema percorrendo un’altra via: quella della collaborazione con Israele356. Vinte le
resistenze del Primo Ministro Ben Gurion facendo leva sui vantaggi strategici che Israele avrebbe avuto da una simile raid (vantaggi condivisi anche dal Capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano Moshe Dayan), francesi, britannici e israeliani poterono sedersi al tavolo per pianificare l’azione. Il 24 ottobre, solamente tre giorni dopo la Conferenza di Parigi, a Sèvres, nelle vicinanze della capitale francese, si raggiungeva l’accordo segreto357 sulle modalità d’attacco:
l’esercito israeliano sarebbe entrato in Egitto dal Sinai puntando verso il Canale di Suez. Ciò avrebbe offerto agli anglo-‐francesi il pretesto di inviare un ultimatum ai due belligeranti affinché si ritirassero ad almeno dieci miglia dal Canale. Qualora essi non avessero accettato, sarebbe scattato l’intervento armato congiunto anglo-‐ francese. Il 29 ottobre, rispettando i piani, l’azione militare ebbe inizio: Israele, con un’avanzata rapidissima, in pochissimo tempo riuscì ad aver ragione delle debolissime resistenze egiziane: l’esercito di Nasser che non era pronto ad un attacco a sorpresa non fu in grado di impedire l’occupazione israeliana del Sinai. Il giorno successivo Eden e Mollet inviarono all’Egitto l’ultimatum e dinanzi al rifiuto egiziano di accettarlo, il 31 ottobre i bombardamenti congiunti franco-‐britannici sulle basi militari egiziane ebbero inizio. I bombardamenti proseguirono nei giorni successivi fino a che, il 4 novembre 1956, britannici e francesi iniziarono a paracadutare i propri soldati su Port Said e Port Fuad, in preparazione dello sbarco di truppe di terra e di un’azione aeronavale di più vasta portata.
L’immediata convocazione del Consiglio di Sicurezza disposta dall’allora Segretario Generale dell’ONU Dag Hammarskjöld era stata prontamente neutralizzata dal veto anglo-‐francese. Ciò che tuttavia gli anglo-‐francesi non erano riusciti a neutralizzare era la formula contenuta nella risoluzione Uniting for Peace,
355 Keith Kyle, “Britain and the Crisis, 1955-‐1956” in in R. Louis e R. Owen (eds.), Suez 1956: the
Crisis and its consequences, cit., cap.5 e dello stesso autore, Suez: Britain’s end of empire in the middle east, cit., pp. 135-‐179 e 233-‐331.
356 Zach Levey, “French-‐Israeli Relations 1950-‐1956: the strategic dimension” in S.C. Smith (ed.)
Reassessing Suez 1956, cit., pag. 87-‐106.
357 Mordechai Bar-‐On, “David Ben Gurion and the Sèvres collusion” in R. Louis e R. Owen (eds.),
ideata nel 1950 dagli statunitensi per aggirare il veto sovietico in relazione alla Guerra di Corea358: essa stabiliva che, in particolari condizioni, l’Assemblea
Generale potesse surrogarsi al Consiglio di Sicurezza qualora esso fosse bloccato dal diritto di veto di uno dei suoi membri permanenti. Gli Stati Uniti, dunque, per impedire che i Sovietici facessero la prima mossa, il 1 novembre presentarono all’Assemblea un progetto di risoluzione che chiedeva il blocco di tutte le operazioni militari e l’immediato cessate il fuoco. Il giorno successivo la proposta statunitense venne approvata con una larga maggioranza: Francia e Gran Bretagna avrebbero dovuto immediatamente cessare il fuoco e prepararsi nei giorni successivi, ad attuare le misure previste dal testo della risoluzione ONU.
Suez: un nuovo contesto politico-‐strategico?
Sebbene alcuni storici come Paul Pitman, Alan Milward e Frances Lynch invitino correttamente a non sovrastimarne il peso359, la crisi di Suez ebbe sicuramente un
notevole impatto sulle negoziazioni che avrebbero portato alla firma dei trattati di Roma. Essa, infatti, contribuì a mostrare come alcuni dissapori che si credevano archiviati, fossero divenuti vere e proprie divergenze di vedute tra i membri dell’Alleanza Atlantica e ne minacciassero la stabilità.
Come sostiene Georges Soutou, il 1956 aveva visto cambiare il contesto strategico generale della guerra fredda360. Le crescenti voci di una maggiore
vulnerabilità degli americani ad un first-‐strike dell’URSS stavano lentamente logorando la credibilità della dottrina della rappresaglia massiccia: i progressi nucleari dei sovietici, i miglioramenti tecnologici delle loro testate e l’entrata in servizio di bombardieri realmente capaci di minacciare il territorio statunitense stavano mutando la percezione degli equilibri bipolari. I vertici militari francesi, in particolar modo, a partire da quell’anno iniziarono a nutrire seri dubbi sulla reale portata della “garanzia atomica” fornita da Washington. Secondo molte voci, la
358 E. di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali, cit.,pag. 765 e pag. 899.
359 P. Pitman “A General Named Eisenhower”, cit., pag. 34-‐36; Alan Milward, The reconstruction of
Western Europe 1945-‐51 (Berkeley e Los Angeles: University of California Press, 1984), cap. 12 e
Frances Lynch, “Resolving the paradox of the Monnet Plan: National and International Planning in
French Reconstruction” in Economic History Review, 2nd ser., no. 2, (1984), pp. 229-‐243.
maggiore probabilità di essere colpiti sul suolo americano in caso di scontro, avrebbe spinto la Casa Bianca a svincolare il suo destino da quello dell’Europa, abbandonando la strategia della dissuasione e puntando a gestire un conflitto nucleare “limitato” al territorio europeo piuttosto che una guerra totale.
Questi dubbi strategici a Parigi erano aggravati dai crescenti malumori degli ambienti governativi nei confronti dell’operato dell’Alleanza. Per tutto il 1956 le recrudescenze della guerra d’Algeria avevano mostrato la sostanziale inadeguatezza della NATO in risposta alle minacce “non convenzionali” provenienti dall’URSS. Agli occhi dei generali francesi la minaccia sovietica non era da considerarsi limitata al solo continente europeo: essa si estendeva al territorio africano, dove i ribelli algerini del FLN potevano beneficiare del più ampio sostegno sovietico. La sostanziale immobilità della NATO al di fuori della sua area di pertinenza e il mancato sostegno degli statunitensi ai francesi in lotta nel Maghreb, veniva interpretato da Parigi come un vero e proprio tradimento dello spirito del trattato361. Tradimento che era stato confermato dalla posizione critica
della Casa Bianca rispetto all’azione militare franco-‐britannica contro Nasser culminata con l’attacco a Port Said. Come riporta Soutou, i vertici militari francesi dopo l’approvazione della risoluzione ONU erano talmente certi del mancato appoggio americano, che furono a lungo convinti che Eisenhower non avrebbe esteso l’ombrello nucleare americano ai suoi alleati atlantici anche in caso di un’esplicita minaccia sovietica all’Europa continentale362.
Per il governo di Parigi, dunque, il processo d’integrazione europea divenne dopo Suez l’unico strumento per il recupero del prestigio perduto in Egitto. Potè divenirlo poiché molti dei timori francesi erano condivisi anche da Bonn, che seguiva con grande preoccupazione quanto accadeva nel teatro mediorientale. Come Marc Trachtenberg fa notare, a partire dalla fine del 1955, anche le solide relazioni bilaterali tra la RFT e gli USA sembravano aver subito un notevole
361 Ivi. Vedi anche Maurice Vaisse, “Post Suez France” in R. Louis e R. Owen (eds.), Suez 1956: the
Crisis and its consequences, cit., cap 17. Nello stesso volume si consiglia anche la lettura di Adam
Watson, “The aftermath of Suez: consequences for French decolonization”, cap. 18.
362 Cosa che tuttavia avvenne il 6 novembre con la risposta netta del SACEUR, il Generale
Gruenther, alla minaccia formulata dal Maresciallo Bulganin nella notte del 5 novembre. In G.H. Soutou, L’alliance incertaine, cit., pag. 46 e G. Skogmar, The US and the Nuclear Dimension of
raffreddamento363. Con la ratifica degli accordi di Parigi, l’ingresso nella NATO e
l’inizio del processo di riarmo tedesco, Adenauer aveva impresso una svolta nazionalista alla sua politica, che lo aveva spinto su posizioni molto critiche rispetto alla condotta della NATO e all’operato del Presidente Eisenhower. In svariati discorsi pubblici il Cancelliere non aveva perso occasione di ribadire come la Germania avrebbe dovuto, nel più breve tempo possibile, recuperare il suo status di grande potenza continentale. Ciò non sarebbe potuto prescindere dall’acquisizione di un pieno status nucleare, che avrebbe consentito a Bonn di uscire dalla scomoda posizione di protettorato nucleare americano. Nello specifico, ciò che sembrava turbare di più il Cancelliere, erano i segnali di disimpegno americano dal continente europeo. Secondo Marc Trachtenberg, l’ipotesi del disimpegno era particolarmente temuta dal Cancelliere poiché esso avrebbe potuto preludere ad una pericolosa fase di distensione dei rapporti USA-‐URSS, distensione che avrebbe implicato un sicuro congelamento dello status-‐quo europeo ed un probabile differimento dei tempi della riunificazione tedesca364. La
crisi di Suez, dunque, come fa notare correttamente Nuti, fece emergere un latente sentimento anti-‐americano che fino a quel momento era celato “tra le righe del progetto d’integrazione europea365”. Antiamericanismo che pur essendo da
ricollegare solamente all’irritazione del momento, lasciava intravedere la volontà di Mollet e Adenauer di creare un’Europa più autonoma e più solida, che potesse acquisire maggior peso negoziale all’interno degli equilibri atlantici.