3 Come integrare? La prima fase negoziale: da Messina a Bruxelles
3.1 La Conferenza di Messina: il ruolo del Comitato Spaak
La conferenza di Messina160 si tenne dall’1 al 3 di giugno del 1955. Sin dai lavori
preparatori, apparve chiara la frattura tra le parti in campo: mentre l’Italia, i paesi del Benelux e la Germania fornirono un supporto incondizionato all’idea di realizzare un Mercato Comune e approvarono in larga misura un’intesa settoriale nel campo dell’energia atomica, la Francia invece mostrò una posizione più strutturata di cui si fece interprete il ministro degli esteri Pinay161. Secondo il
Ministro, pensare a un progetto di integrazione “totale” e non settoriale che impegnasse i Sei nel lungo periodo era utopico: più utile invece era concentrarsi sulla risoluzione di questioni più immediate e l’integrazione nucleare era la prima di esse. Dopo una notte di lunghe trattative, Pinay acconsentì a creare un gruppo negoziale misto tecnico-‐politico che avrebbe definito la questione più nel dettaglio: le sue conclusioni, tuttavia, non avrebbero impegnato i governi che avrebbero aderito e non avrebbero costituito oggetto di un trattato multilaterale162.
Nasceva così il Comitato Intergovernativo, meglio noto come Comitato Spaak, che lavorò alacremente, durante tutta l’estate del 1955, per far convergere le posizioni negoziali dei Sei, così come erano state enunciate a Messina163. Ad esso
partecipò come osservatore, assicurando la sua presenza almeno nelle fasi iniziali, anche l’economista inglese Russell Frederick Bretherton, all’epoca sottosegretario
160 Gerard Bossuat, ‘Messine, une méthode pour l’unité de l’Europe? Ou comment le gouvernement
français a été convaincu d’avancer vers l’unité’, in L.V. Majocchi (Ed.), Messina quarant’anni dopo, cit., pp. 107–142; Gerard Bossuat, ‘Réflexions pour notre temps sur la conférence de Messine (juin 1955–1996)’, in É. du Réau, Europe des élites? (Ed.) cit., pp. 249–258.
161 M. Pinay, Ministre des Affaires Étrangères aux Represéntants Diplomatiques de France à
l’étranger, Télégramme circulaire n° 49, Paris, 10 juin 1955, in DDF 1955, Tomo I, n.232, pp. 756-‐ 758,, così come citato in G. Skogmar, The US and the Nuclear Dimension of European Integration, cit., pp.120-‐121.
162 Ivi.
163 Per approfondire si rimanda a A. Varsori, La cenerentola d’Europa?, cit., pp. 136-‐137; Michel
Dumoulin, ‘Les travaux du comité Spaak (July 1955–April 1956)’, in E.Serra (Ed.), La relance
européenne, cit., pp. 195–210; Michel Dumoulin, ‘Les travaux du comité Spaak’, in Lettre d’information des historiens de l’Europe contemporaine, Vol. 2, No 1–2, (1987), pp. 12–13; Catherine
Schmitter, ‘Comité Spaak’, in Ami Barav and Christian Philip (Ed.), Dictionnaire juridique des
al Ministero per il Commercio della Corona Britannica164. Le negoziazioni ebbero
luogo a Bruxelles. Nel sottogruppo dedicato all’energia nucleare, i primi a mettere in campo un progetto ben definito furono i francesi: essi auspicavano la creazione di una “atomic pool” continentale, alla quale tutti i Sei contribuissero in modo diretto, condividendo su base multilaterale e non più bilaterale, le informazioni tecnologiche che giungevano dagli USA. Il disegno francese soggiacente questa proposta era chiaro: spingere i belgi a contribuire mettendo in comune sia la risorse minerarie, sia le competenze tecnologiche e i brevetti che i tecnici belgi avevano mutuato dagli statunitensi165. Tuttavia Spaak, che da poco aveva
rinnovato l’accordo di fornitura con USA e Regno Unito166, non avrebbe mai
accettato di buon grado una simile proposta: l’uranio belga era la vera chiave di volta del negoziato sull’EURATOM e Spaak l’avrebbe giocata, coerentemente con i piani statunitensi, solo nel caso in cui i francesi avessero dato il via libera a un ampio progetto integrativo di cui il Belgio di Spaak voleva essere il catalizzatore167.
Così non fu, tuttavia: il memorandum presentato dai francesi non vide un’evoluzione della posizione negoziale transalpina, ma si limitò ad elencare una serie di misure sopranazionali volte a controllare la crescita nucleare in Germania, richiedere contributi finanziari e tecnologici ai Sei e l’impegno del Belgio a mettere in comune il proprio uranio con tutti ad eguali condizioni d’accesso168.
L’imperativo categorico della politica estera francese aveva prevalso ancora una volta: il vantaggio strategico maturato in campo atomico doveva essere preservato a qualunque costo, se non addirittura incrementato, anche in sede multilaterale. Al
164 Per approfondire il tema della partecipazione britannica alla Conferenza di Messina ed al
Comitato Spaak si rimanda a John W. Young,“The Parting of the Ways? Britain, the Messina Conference and the Spaak Committee (June–December 1955)’, in Micheal L. Dockrill (Ed.), British
Foreign Policy (1945–1956), (London: Macmillan, 1989), pp. 197–224; Maria Eleonora Guasconi, “La
Gran Bretagna e il processo d’integrazione europea (1955): un’occasione perduta” in Storia delle
Relazioni Internazionali, Leo S. Olschki editore, anno VIII, (1992), pag. 172; Roger Bullen, ‘Great
Britain and the Treaty of Rome’, in E. Serra (Ed.), La relance européenne et les traités de Rome, cit., pp. 315–338; Simon Burgess e Geoffrey Edwards, ‘The Six Plus One. British Policy-‐Making and the Question of European Economic Integration, 1955’, in International Affairs, No 3/64, (1988), pp. 393–413; Micheal Charlton, ‘How Britain Lost the Leadership of Europe. ‘Messina! Messina!’ or ‘The Parting of the Ways’, in Encounter, No 57/2, (1981), pp. 9–22.
165 Telegram From the Ambassador in France (Dillon) to the Department of State, Paris, June 10,
1955—2 p.m in FRUS 1955-‐1957, Volume IV, Western Europe Security and Integration, N.99, pp. 293-‐295.
166 Vedi nota 43 pag. 9.
167 G. Skogmar The US and the Nuclear Dimension of European Integration, cit., pp.120-‐121.
documento francese, vera e propria dichiarazione d’intenti, fece da contraltare un memorandum tedesco fortemente interlocutorio, nato da un apparente compromesso tra le forze favorevoli all’EURATOM e quelle contrarie ad essa. Nel documento, infatti, non venivano menzionate proposte specifiche, ma si apriva solamente alla possibilità di collaborazioni a carattere sovranazionale in alcuni campi come quello dell’energia nucleare169. Altrettanto generico era il documento
italiano: in esso si forniva il pieno sostegno all’integrazione europea in campo nucleare e si sottolineava la necessità di definire con maggior precisione la questione spinosa del possesso dei combustibili: era necessario che l’Italia avesse libero accesso alle materie prime, cosa indispensabile per un paese che non possedeva fonti uranifere170.
La Conferenza di Messina, per quanto riguarda l’integrazione nucleare dunque, si chiuse senza impegni dettagliati: furono fissati solamente gli obiettivi da perseguire, lasciando a futuri negoziati il compito di stabilire i modi e le forme con cui raggiungerli171. La Francia in ogni caso ne uscì sconfitta poiché non riuscì ad
imporsi nella disputa con il Belgio sull’uranio congolese: Paul Henry Spaak sottolineò che gli accordi bilaterali conclusi dal Belgio con gli USA non potessero esser disattesi e nelle trattative tra delegazioni che perdurarono tutta l’estate, la delegazione belga non si mosse dalle posizioni esposte in Sicilia172. Inoltre, dopo
Messina, le divergenze tra Pinay e Faure si acuirono ulteriormente, portando i due leader vicinissimi allo scontro: Pinay pur riconoscendo le difficoltà e le divergenze, considerava il risultato raggiunto soddisfacente, predicando l’opportunità di
169 P. Weilemann, Die Anfäge der Europäischen, cit., pp.36-‐37.
170 A. Varsori, La Cenerentola d’Europa?., cit., pp.133-‐134; dello stesso autore vedi anche L’Italia
nelle relazioni internazionali dal 1943 al 1992, (Bari; Laterza, 1988), pag. 120-‐123; E. Serra “L’Italia
e la conferenza di Messina”, cit., pp. 109-‐112
171 RD-‐2, “Conferenza di Messina dei Sei Ministri della CECA (1-‐2 giugno 1955)” -‐ Documents from
10 November 1954 to 13 June 1955, Archivi Storici delle Comunità Europee, Firenze.
172 Tuttavia dopo che nello stesso mese questi accordi furono riformulati, il Belgio si riservò il
diritto di cedere a paesi terzi piccole quantità di uranio. Quando la Francia venne a conoscenza della clausola, subito cercò di proporre l’acquisto del materiale. Tuttavia il Belgio rifiutò la trattativa spingendo i francesi a trattare con la proprietà industriale delle miniere nel Katanga (che offrì sì l’uranio, ma al doppio del prezzo ed in una piccolissima quantità). I francesi da quel gesto compresero come il governo belga stesse cercando di scoraggiare la Francia a condurre una trattativa bilaterale, volendo riservare la parte di minerale che l’accordo con gli USA lasciava a sua disposizione, per le attività di una futura agenzia internazionale. In Note du service de coopération économique. Comité Interministériel du 5 juillet 1955. Préparations des instructions pour la délégation française à la Conference de Bruxelles in DDF 1955, Tomo II, n.13 pag.19-‐23.
procedere con realismo e gradualità. Faure invece, forse perché più vicino all’establishment militare, era meno interessato alla negoziazione e sempre più convinto di procedere quanto più possibile su base nazionale, in quanto la Comunità sarebbe stata foriera solo di vincoli alla sua azione politica173. Per quanto
riguardava invece l’osservatore inglese, il sottosegretario Bretherton abbandonò i lavori del Comitato Spaak il 7 novembre del 1955, sollecitando i Sei affinchè continuassero ad interrogarsi sull’opportunità di intraprendere una strada tanto rischiosa quale l’integrazione sovranazionale174. Le preoccupazioni dei Britannici
non erano limitate al Mercato Comune, ma si estendevano anche alle proposte di integrazione in campo atomico. L’uscita di scena del rappresentante del Regno Unito creò non poco imbarazzo in Spaak, la cui unica preoccupazione era in quel momento evitare in ogni modo l’esacerbarsi dello scontro franco tedesco175.