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ELOGIO FUNEBRE DI DOMENICO PATRIZI AVVOCATO DELLA ROMANA CURIA E... Alessandro Ambrosi. Digitized by Google

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ELOGIO FUNEBRE

DI DOMENICO

PATRIZI

AVVOCATO DELLA

ROMANA CURIA E...

Alessandro Ambrosi

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(2)

ELOGIO FUNEBRE

IH

DOMENICO PATRIZI

AVVOCATO DELLA ROMANA CURIA E SOCIO dell'accademia DEI QUIRITI

LETTO NELLATORNATADEL15DISETTEMBRElhfii DELL'ACCADEMIASTESSA

DAISUOAFFEZIONATALODISCEPOLO

AVVOCATO ALESSANDRO AMBROSI

GIUDICENEL TRIBUNALE COLLEGIALE DI BENEVENTO E SOCIO DI VARIE ACCADEMIE ITALIANE

ROMA

STABILIMENTO TIPOGRAFICO AURELI LC.

PlanaBoigbeseN.80.

1864.

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6

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, QhudfiKkrwsii^m4o» aiUmodus Taro charicapiti»?horat.

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tarano

queste le parole che il Venosino Poeta voi-1 geva al suo

Amico

Virgilio che senza«mite piangevi

la morte di Quintiiio Varo, poiché altri rinvenir non poteva che più splèndesse di luiper pudòrè perlede incorrotta e per verità sciolta da ogni vèto. Ilperchè dice vaglich'era queglimorto

degno

dettelàgrimedimolte bell'anime «

multò

t'Ha boni*flebilisoctidit» /(Hórat.).

Le

stesse paroleinquestogiornoio volgoaquanti

mi

onorano d* loro presenza

m

questa illustre Acca- demia, per udire dal

mio

labbro la lode del chiaris- simo nostro Socio

Domenico

AvvocatoPatrizi.,

man

cito per improvisa

morte

al maggiorlustro dellaCuriaRo- mana, al decoro della Pàtriaedella Famiglia, agir uf- fici pietosi di Consorte e di Padre!

Ed

ihVeroegli di-

sparve mentre era

m'arcò

risplendenté fra le nubi della gloria e qua! fiore ditosa nei giornipiùlieti di primavera. (Eodi. 80.) DItalveritàpersuaso

CroW

que

mi

onora in questa cottissima Adunanza, sentirà più grave la perdita dell'illustre Defunto, lini lèdè già ripetala da mille tebbfò, sarà da

me

compendiato in poche parolechetutto formano

M

concèbo dellasua

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4

-

vita col dirvi com'Egli desiderò lopera buona.(i ad Tim. 3).

L'umile terra di Morolo fra i monti degli Ernici e

non

guari lontana dallacittàdiAnagni, va oggino- minata e superba dall'Avvocato

Domenico

Patrizi che vi sortiva il natale nell'anno 4808.

Ebbe

a Genitori Michelangelo Patrizi e Candida Renzoni, che discen- denti da civili ed agiate famiglie,neaccrebbero ilde- coro coi sentimenti

sempre

vivi direligioneedonestà, a'quali educarono con altri egregi figli il compianto Defunto. Nella prima giovinezza venivaegliistituito in Ferentino dai benemeritiPP.,della

Compagnia

diGesù, a'quali com'egli mostrò riverenza ed amore, cosi ri-

mane

a questi per lui ragione

non

peritura di,

com-

piacenza e di lode.Fornito di un' indolebellaedi

un

sentiredelicato, di un"ingegnosvegliatissimo, edi

me-

moria che direi prodigiosa, progredì nelle filosofiche discipline e nella letteratura tanto mirabilmente, che un'illustre Padre che a queste lo istruiva diceva or sono tre;lustri a

me

stesso,

come

fra i tanti giovani che in molte e rinomate città da kii si addestrarono alla lettere,ninnomeglio dell'AvvocatoPatriziera giun- to a scrivere nell'antica lingua del Lazio, i >.

Ebbi io la fortuna di apprendere più che dallo scritto, dalla viva sua voce,chesuonamiancora dolce ad

un tempo

emaestosa, Tariesuepoesiecheinquel- la fresca età erano il parto dellabellasua mente,che giusta queldiOrazio potevadirsi

mens

divinior; e dal parto di tanta

mente

fin dall'epocadi sua produzione vedevasi con fondamento, quanta

un

giorno essere do- vesse la valentia di lui nelle lettere e nejle scienze.

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-

fi

-

Era egli a dovizia fornito di quella letteraria sa- pienza che scribendi recte est et principimi et f<mst

(Horat) e scorgevasi in Ini

un

mirabile accòrdo della natura edell'arte, espressocosibene dalconjurat ami- co dello stesso Lirico di Venosa.

male

mi

apposi se grande vi dissi ch'essere doveva find'allorailsuo nome, dapoichè venne egli propósto all'Emo Frezza di chiara

memoria

Vescovoallora diSezze/ perchè oc- cupasse la Cattedra di eloquenza nel

Seminano

Ve- scovile di quella Città, dove per qualche anno la te- neva con

somma

lodeeconmigliore successo, potendo dirsi di lui quanto l'ArpinatedicevadiArchia chefa-

mam

ingenti expectatio hominis,expectationemipMus

admntus

admiratioque superare*.

^ mm

Ma un

piti Tasto

campo

doveva aprirsi al vasto ingegno di

Domenico

Patrizi,e quindi

muoveva

aque- sta Città eterna, per dedicarsi alle cognizioni dell'una e dell'altralegge, con che dovevaadiroilForo romano, e

Eseguire

quella lode non peritura, che

Roma

at- tribuisce a chi col merito di

romana

integrità e di scienza

romana

imprende a tutelare i diritti degliuo- mini. Compiuta pertanto la scolastica palestra in cosi sublime facoltà con lode

non

comune, lasciava egli l'Archiginnasioromano,edistrutto delle divine cose e delle

umane

e dellascienzadelgiusto e dell'ingiusto, passava a tesorizzare

un

tanto tesoro nello studiodel chiarissimoAvvocato

Tommaso

Filipponi. Talmentepro- grediva presso questi nel pratico esercizio dell'Avvo- catura, ch'era a lui del tutto affidata hi molediaffari gravissimi che nei tribunali di

Roma

sitrattavanodal Filipponi, che per abituali infermila che soffrivaeche

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G

ne cagionarono da due lustri la morte, e peraltri in- carichi gravissimi che sosteneva, al Patrizi ne volle demandata ogni cura ed ogni impegno.

Quanto e

come

egli corrispondesse al concetto del Fi lipponi, quanto alla dignitàdei Tribunali Supre-

mi

di

Roma,

quanto alla soddisfazione dei Clienti ed alla universale aspettazione, meglio a voi die

non

sa- prei, che facendo ripetere dal Flttpponi quelle parole di Tullio,

quando

affidava a MarcoRutilio un'interes- se di Albino. Curo et mihi conscius essem quanti te facerem, et

tuam

erg*

me

benevolentiam expertus essem»

non

dubitavi per te petere

quod

mihi peten-

dum

esset, e ripetendovi pel resto quanto già vi ac- cennai potersi dire della gloria letterariachenell'ado- lescenza conseguiva presso gli antichi Setioi,

cum

ex- pectationem ipsius adventus admiratioque superaret.

Ma

i romani Comizi

non

dovevano più a lungo desiderare quell'Uomo,chegiàqualnuovo Catone

ma-

gnus atque clarus habetur (Sallust.). L'albodegliAv- vocali dellaCuria

Romana

doveva aggiungere aUetante sue glorie qqellja del chiaro

nome

di

Domenico

Pa-

trizi,

nome

che giusta il Venosino

non

metuenssolvi, doveva contribuire al lustro dellaCuria,allosplendore di RmiKi, al vanto della Patria, al bene di quanti al

suo ingegno ed integrità si affidavano. Persuaso egli

come

debba un'Avvocato titani impenderevero, avrà ognorpiu richiamato alla bellasua mente quegli aurei versi di Grozio coi quali avvisa ciascheduno di noi.

Qui sancta sumis armacivili* togae Cui se reorumcapita fortunaedecus Tulanda credimi, uomini praesta fidem Juris Sacerdos.

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-

7

-

Ed

invero luogo studio egliponeva inbilanciarelera- gioni del litigante,

e

quasi direi in giudicarle,

memo-

re delgran precetto

....

ipse die causarci tibi,

Litemque durus arbiterpraejudica.

Compiuto

un

tale studio,

non

soleva egli assu-

mere a

patrociniodelle questioni,per lequali

non

{spe- rava favorevole l'oracolo dei giudicanti, qualipersuasi voleva com'egli potesselororipeteredisè stessoquanto Cicerone diceva aiPadri Coscritti, totannos in causis judicHsque publicisversatus, utdefenderimmultos,lae- serim

neminm

(Divin. inQn.Caec.)

Ove

dubitassedi conseguire

un

tanto elogio, non dubitava

meno

dine- garsi al ministerio della difesa, ed io Pudii le tante volte ripetere

come

ad unatalnegativa alludessequel verso che sposso ci ordina di negare. Peccet necesse est saepe qui

numquam

negai.

egli ignorava nè ignorar poteva e tanto

meno non

osservare ciò cheQuintiliano insegnaaldifensore.

npr nudar nhstpt (marnimi$ su&r.prìtamnitrimplinrni- deretur litem, cognita inter disceptandum iniquitate dimittat,

cum

prius litigatori dixeritverum.

Nam

et in hoc

maximum,

si aequijudices simus, beneficium estut

non

fallamus

vana

spe litigantem.

E quando non

avesse dobitato del

buon

diritto del suo Cliente, as-

sumere ne

soleva la difesa con quel caloreezeloche tanto lo rendeva distinto; e tanto allo scrupolo ogni legge ogni precetto osservava, chesoleva ripetere do- versi prefiggere ogni Avvocato,

come

di ciascun tri- bunale,

ma

più della Rota

Romana

debba dirsi e sia veramente aditus laudis qui semper optimo cuique

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8

maxime

patuit (Gic. prò lege Manil.).

E

questoadi lo di lode per l'Ottimodie piangiamo si fa la Curia ro- mana, nè lode

mancar

poteva a Colui che desiderò l'opera buona.

Lode

egli ebbedalgrande chenechie- deva il consiglio, dal povero che ne imploravailcon- siglio e la carità»dal Clienteche necercaval'integrità, la sapienza il disinteresse, e lode dal Magistrato che

ammirandone

queste doti, era il primo ad

ammirarne

l'opera buona. Di rado avveniva che questi avessedi che eccepire alle sue dotte discettazioni, e

come

il

Censore Lucio Filippo

non

trovava che replicare agli attidella'romana Repubblica,ilMagistrato

romano

nihil poterai dicere quare rata

non

essentquaeerant acta.

(Tit< Uv.). : v

Ed

invero le Aule sovrane del Vaticano e del Quirinale echeggiano ancora dei dottioracolichedalla Rota e^dalla Segnatura

emanarono

alle nobili e dotte preghiere di

Domenico

Patrizi, ilPalazzo d"Innocenzo

Duodecimo

ripete la sentenza quasi

sempre

concorde

ai desiderii di Colui che desiderò l'opera buona.

La

Città di Ferrara echeggia ancora degli oracoli stessi che da quattro lustri si pronunziaronoa favoredi lei,

quando

l'Avvocato Patrizi diceva ai Padri della Rota

Romana

di umiliar loro unacausa ch'era momentosip- sima et pergravis,

ctm

per

eam non modo

optimo-

rum

Clientum, scdFerrariensium

omnium bona

atque jura vobis concredita esse videantur.

E

le fortune e

i diritti dell'illustre popolo Ferrareseeranoper quella Causa dipendenti dai Comizi del Vaticano, ed affidati al patrocinio dell'Avvocato Patrizi che svolse mirabil- mente quanto alla Causa slessa riferivasi con isterico

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-

y

-

fondamento; con profonda legale dottrina, con pelle- grina erudizione, da far rivivere stabilmente (pianto dalla sapienza ed equità dei

Romani

Pontefici Boni- facio

IX

e Paolo

V

erasi

pavidamente

concesso con privilegio benigno a favore di quello. (Ferrariens. de- volut. R. P. D. Bofondi 1845)

Gran

fama a lui ne venne e tàle, che da quella illustre Città che grata lo accolse con mille onori fra le sue

mura

neir

Autunno

dell'anno 1845, edatutte le Pontificie Legazioni a lui affluivano le più ardue giudiziali questioni, e so quel popolo illuminato ono- rava in tal guisa il Patrizi, questiaquello rispondeva col fatto quanto Cicerone scriveva ad Appio Pulcro.

Vides sudare

me jamdudum

laborantem

quomodo

ea tuear quae mihi tuenda snnt,e quel guiderdonecon- seguivane che lo stesso Cicerone diceva di aver con- seguito da

un

amico, dopo chedi lui

omnia

negotia

stimma cum

laude diligentissime confecissct.

Indirideanel.popoloFerraresedideferirgli ilno- bilissimo mandato di rappresentarlo nelle aule parla- mentarichea

Roma

apriva l'augusto Ponteficeregnante, mentre i popoli Emici simili a quei di Smirne chea sé vendicavano la culla di Omero, gli affidano quello stesso mandato et

suum

esseconfirmant (Cic. prò Ar- dila),

Ma

la legge del Principe fulacerata dal popolo!

le vicinanze del teatro di

Pompeo

inondate da tanti secoli dal sangue diCesare,sividderonuovamente in- trise di sangue cittadino! Esterrefatto Y augusto Prin- cipe s'invola al furore della ferale discordiate cerca un'asilo dov'ebbe patria ed asilo Gelasio Secondo.

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-

Domenico Patriziode,

come

daLivio, ripetersi dal- la voce di sua coscienza, che attenda ne quid detri- menti respublica patiatur! e simile com'ioTel dissi aCatone, diceva aciaschedunodivolerparlareinquel- l'aula

quando

più

non

dovesse tacere(RollioVitadiCa- tone).Conoscitoredelgiusto edell'onesto,

come

sioppo- seCatone ad una leggeingiustabenché propostada Ce- sare slesso, con fermezza si opponeaquantiignari di ogni dirittoo trascinati da cieche passioni ardivanodi proporre che variata venisse la carta delPrincipeper indi distruggerne ilprincipato.

Come

rinunziavaCatone air offertagli Pretura, rinunzia egli air offertogli incari- co di governare quella stessa Provincia che data gli avea la Culla e che più oranepiangela morte, torna dalla pubblica alla privata sua vita,dicendoa ciasche- duno, di non sobbarcarsi a mandatonullonella origi- neriprovevole nell'obbieUo,edentranel

numero

diquei felicissimi, cosi detti da Tullio, qui

cum

honoribus et

rerum

gestarum gloria fbrerent,

eum

vitae

cursum

te- nere potuerunt, utvel in negotio sine periculo, vel in otto

cum

dignitate esse possint.

(De

Offic.)

poteva una tal dignità non ricercarsi edotte- nersi dal Patrizi eh' io venni a Yoi dimostrando per

l'Uomo

dominato dal desiderio dell'opera buona.

Tornato in

Roma

il Ponteficeaugustotutelato dal- le armi gloriose della figliaprimogenitadellaChiesa, e rinnovatiglistorici prodigi della fede e del valore di quella Nazione gloriosa, cresceva la dignità del Patri- zi pel niuno attentato da lui

mosso

al civilepoteredel Papato, dissimile inverodaquelvolgo profanochelotta

sempre Ira il vero e ilfalso,epelquale è serbata sep-

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pure la dura scuoladeldisinganno.

Ma

l'anima grande lanto si solleva da terra per quanto ha più partedel cielo, e

rammentando

per maggior

dono

di Diod'on- de venne e d'onde vive» intendendoloscopodellave- nuta e della vita, volendo e praticando i mezzi tutti

che il cielo largiva per questa e per quella,

non

vive di vita terrena,

ma

del possente anelito diunasecon- da vita che rendere la deve immortale.

il contrario si accorda coldesiderio dell'ope- ra buona, né perciò accordar potevasi con

Domenico

Patrizi che la desiderò e la ottenne, la ottenne e

ne

fu glorioso, ne fu glorioso e rvebbe felicità.

E

prima diricordare aVoiuditori amplissimi con quanti egli divise la conseguita felicità, ogni suo stu- dio verrò additandovi per tutta dividerla con una ve- neranda Genitrice,con dileUissimi Fratelli e Suore che

io volli qui ricordare a cagione di onore. Perduto il

Genitore nei primordi! della carriera legale,

Domenico

Patrizi senti quei tanti doveri che a lui incombevano per la vedova e pel pupillo, e so con tutti divise le lagrime, divisa pur ne volle lafelicità,richiamando al- la sua

mente come

c1insegna Plutarco.

Cum

mortuus

est Pater, redimi estfratres magis etiam

quam

prius retinendae

mutuae

benevolerUiae(

De amore

fraterno).

Convisse con loro, gli edacò adolescenti, gli avviò in questa Capitale ad onorevoli impieghi, nè conservò e

[ ic tic eFcbh6 il pelici*rio ivii— h). c (|ii(11^ ^ p

(-li1111tiootfG

di una soda virtù tutta propria dei Patrizi.

tantobastavaaquell'anima generosa. Vollecon questi dividere il patrimonio della suascienza,echia- marli a parte d'ogni ricchezza che a lui provenisse

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-

12

-

dalle onorate fatfche. SimileaProculeio che, divise tra

Marena

e Scipióne suoi fratelli le avitesostanze, volle pure chiamarli a parte d'ogni suaparticolarericchez- za, ambiva io credo

Domenico

Patrizi checiascunodi noi potesse oggi di lui ripeterequellalodechedique-

gli scriveva Orazio

vivetextento... aevo

— No~

ius in fratres animi paterni.

(Ode

14 lib. li.)

E

paterno fu V

animo

col quale crescer fece al

suo lato due eletti giovani, figli di una sua sorella e di

un

Dòttor Milza, dai quali floridi d'ingegno vide egli con orgoglio onorarsi le scuole della benemerita

Compagnia

di Gesù, e del

romano

Archiginnasio, eal- l'uno deiqualiSocio diquesta Accademia,egià ascrit- to fra i Procuratori Rotali,

ed

all'altro d'Ippocratica scienza peritissimo

può

dirsi,

come

diròsenzatemadi errare

— Quo

benecaepistisicpede sempereas (Ovid.

trist.).

a tanto limitavasi nel chiarissimo Defunto il

desiderio dell'opera buona.

Fu

sposoaffettuoso,fuPa- dre amorosissimo, amministròpingui patrimoniicoi la-

mi

di

Economo

e Giureconsulto

Romano. Non

ebbete- merità,

non

ebbe bassezza: fu

come

Aristide, giusto nella vita pubblica, indipendente nella vitaprivala.

Fu

ospitale,fuAmico,fuprotettoredellaGioventù cheistruì alle scienze ed alle lettere, troppo dolendosi se que- ste fossero disgiunte da* quelle.

A

taluopo,dicevache Cicerone

amava

l'epopea, e

non

cercava in questa F applauso delle anime volgarichecon Oraziodisprez- zava.

Odi profumini vulnus et arceo

Favete Un- guis (lib. 3 ode 1.) Voleva dal Giovane che appren- deva dai dotti di lui studicheassaiattendessealsem-

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-

pre maggioro acquisto di teorichecognizioni,dicendo- gli.....monitus caveas nefortenegati

IncutiatUbi quid

sanctarum

inscitia

legum

(Horat. lib. il Sat.4.)

A

quale persovranadegnazioneandava magistra- to, ricordando egliconPliniolapazienza, conclusecon

Salomone

Fons turbatus et tiend corrupta est justus cadens in judkio suo

coram

adversurio.

il li-

mite ancora rinvengo di tanta opera buona.

Oh

quan-

te volte vidi io il giovine derelitto della sua Patria avere in quella,il conforto l'asilo i'alimentolagover- nativa provista imploratagli dal Patrizi!

E

vidi io pure la Poverella dell

1Eroico scalza il

piede» discinta la chioma e colla

mano

tremante cer- care di porta in porta nel Palazzo dell'Accademia di Portogallo la Gasa dell'operabuona! Buon'

uomo

mio, diceva, fatti la carità, io sonodi

Mordo.

....

E

poi- ché losmarrimento impedivadidireilresto all'affranta di forze, il generoso del Lazio, il nobile

Romano,

il

magnanimo

Ferrarese, ogni Cliente cui fu dolcissimo

sempre == Lo

scendere e il salir per le suescale

=

era sollecito ad insegnare la casa dell'opera buona.

Nel desiderio di questa eh' era nutrito ne11*animo di ciascheduno di queirinclita gente, trovava un'appog- gio la Poverella dell'Eroico, e buon'

uomo

mio, pro- seguiva tuttora smarrita, che Dio ti rimeriti la carità!

A

questo augurio diceleste retribuzione dilatavasi ir

cuore del nobile

Romano

del

magnanimo

Ferrarese, a cui

Domenico

Patrìzi chi sa quante volte avea detto colle parole di Tullio

— Ne

quid

meorum

Ubi esset ignotwn,

non

dubito quin scias

non

solimi cujus

mu-

nicipii sim sed etiam

quam

diligenter soleam tneo*

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municipes tueri (ep. ad. M. Rut.)

E

lacasadell'ope- ra buona s'indicava si apriva a chi cercava

un

pane,

un

consiglioun*alloggioun'abbracciodalleSorelle, dal- le Nipoti, dalla Consorte dell'uomo di

buona

volontà, ch'eccitato dal bisogno di quella e dalle aspirazioni di queste, consolavalainfelice,consigliavaladubbiosa, rincuorava l'affranta dal dubbio,dallo stento, dalcam- mino, dal pianto.

Simile egli

dunque

a Tullio che tanto

amava

e spesso veder voleva Àrpino e gli Arpinati, il nostro compianto Socio, il

mio non

so se più Maestroo Pa- dre

amava

e spesso veder voleva r amata sua Patria, e quindi nei primi giorni del testò decorso

mese

di Agosto, mentre io nell'Ernico attendeva daluigentile riscontro agli auguri pel giorno suoonomastico, (dirò colle parole di Paolo Costa)

colà venia 1'ultima volta Desideroso delsupremo vale)

Ma

dove o Carità mi rapisci? la tua lode eh7è lode dell'opera buona deh che

commuova, ma non

turbi queste animegentilidelnobile

Romano,

delloScienzia- to che pensa, del Letterato cheama, e che formaglo- riosa corona a colui che l'epicedio della lode unisce per

amore

all'universale compianto.

Oh

Carità!

non

furono gli esempi deiGrandidel Secolo cui io accennava, che ispirarono queir anima generosa che tu accogliesti nella eternità,mentreprof- feriva il caro

nome

di Maria cui affidava la sua bel- la Figliuola,

ma

fu lo Spirito di Dio che in lui tras- fuse maggiore il raggio della Sapienza, la virtù del Consiglio edellaFortezza!

E

quindi o Quiritiallaepo-

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-

15

-

pea sublime di FiglioeFratello, di Sposo e Padre, di Giureconsulto e Magistrato che a voi presenta

Dome-

nico Patrizi, diròconillustre poeta, dirò con Voitutti di questa Carità che suggerivagli l'opera buona.

Non vigord'acqua a estinguerne Giammaipervenne il fuoco:

Conlei luttoè dovizia Tutto senz'essa è poco!

Misero chi non ama, Se la grand* ora il chiama Mai più non ameràf

(17)

IMPRIMATUR

Fr. Hieroii.Gigli0.P.S. P.A.Magbler

IMPRIMATUR

Petrus Caslellacci-Villanova Arcbiep.Pelr.

Viccsgortiiis

(18)

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