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DICEMBRE 1992
Pubblicazione trimestraleAnno LI - N. 4
RIVISTA DI DIRITTO FINANZIARIO
E S C I E N Z A D E L L E F I N A N Z E
F o n d a ta d a B E N V E N U T O G R I Z I O T T I
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R IV IS T A IT A L IA N A D I D IR IT T O F IN A N ZIA R IO )
D I R E Z I O N E
ENRICO Al l,ORTO - EMILIO GERELLI _ _ _
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COMITATO DIRETTIVO ROBERTO ARTONI FILIPPO CAVAZZIITT
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AUGUSTO KANTOzSkO ' ® w Q l A
n o u n n i o r i n v i l i - r o l l i o V \
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Am edeo Fossati- Etica e governo locale
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RICERCHE E STUDI POLITICI Attualità e interventi ,
Rivista di diritto finanziario e scienza delle fin a n ze, LI, b, I, 589-616 (1992)
ETICA E GOVERNO LOCALE (*)
di
Am e d e o Fo s s a t iIstituto di fin an za - Facoltà di economia e commercio Università di Genova
So m m a r io: 1. Premessa. -— 2. Etica, morale ed ideologie. — 3. L ’etica e gli econo misti. — 4. Divagazioni sull’etica nel modello neoclassico. — 5. L ’etica e l’intervento pubblico. — 6. Sistemi etici e livelli di governo subcentrale. — 7. L ’etica ed il modo di governare.
1.
Premessa.
Sembra che per Aristotile non si debba parlare di etica fino a
cinquantanni: forse egli pensava che solo la saggezza della tarda
età permetta di trattare tali temi in modo adeguato, o forse, tenen
do conto che allora quasi tutti morivano prima, per Aristotile solo
pochi eletti dovevano interessarsi di problemi etici. Certo è che
adesso molti economisti (anche giovani e vigorosi) studiano le inter
relazioni tra etica ed economia, forse indotti da quella adesso così
diffusa tendenza ad applicare le metodologie economiche non solo
alle altre scienze sociali, ma anche a tutti i problemi di scelta: ad
esempio, « comprare » bambini, tendenza che è stata efficacemen
te chiamata « spedizioni “ imperialiste” degli economisti » (1).
Per quanto mi riguarda, confortato dal fatto di essere in posi
zione canonica (dal punto di vista aristotelico appena ricordato) mi
propongo, partendo dalla teoria dei livelli di governo subcentrali,
di porre dei quesiti etici e di suggerirne possibili linee di sviluppo; a
tale fine mi soffermerò prima di tutto su ciò che si intende per etica
e poi su quello che gli economisti intendono per etica. Nel seguito
(*) Relazione presentata al Seminario Siep “ Federalismo fiscale e fin an zia mento dei servizi pubblici locali” - Ferrara 18-19 settembre 1992. Ringrazio i par tecipanti al seminario, e don Giacomo Grasso o.p., le cui osservazioni ad una pri ma stesura mi sono state preziose.
( ! ) Hirsch m an (1987), p. 108.
— 590
cercherò di applicare tali nozioni all’economia pubblica ed infine
avanzerò alcune riflessioni su come la considerazione di principi
etici possa influire sulla teoria e sulla prassi dei governi locali. Con
cluderò infine con qualche osservazione sulle disinvolte cosuetudini
che hanno portato recentemente problemi con 1 autorità giudiziaria
a più di un amministratore locale, pur senza avere l’ambizione di
spiegare direttamente problemi etici connessi con tale fenomeno.
2.
Etica, morale ed ideologie.
La prima nozione che mi sembra utile rinfrescare mi pare
quella di moralità o morale pratica, intesa come l’insieme di giudizi
morali intuitivi che presiedono alle nostre azioni. Allora l’etica do
vrebbe spiegarne razionalmente i principi e metterne in evidenza
le leggi: in sintesi, etica e morale sono sinonimi nel senso di dottri
na filosofica o religiosa che studia o definisce i doveri-obblighi mo
rali ovvero i principi di condotta dell’agire umano secondo la dico
tomia bene-male o giusto-errato. Ma sono sinonimi anche nel senso
di insieme di principi o doveri morali, ossia valori (morali) che im
prontano le scelte di un soggetto o dei soggetti appartenenti ad una
collettività (2).
In secondo luogo, rispolverando vecchi manuali, l’etica come
dottrina filosofica mi è risultata articolata in tre problematiche, ossia:
a)
data la libertà di agire, il possibile contrasto tra ragione e
volontà genera l’imperativo morale e la capacità di trasgredirlo;
b)
la determinazione del bene supremo dell attività morale,
che dalla ragione è indicato come la realizzazione massima della
natura razionale umana;
c) la determinazione dei doveri verso noi stessi e verso gli al
tri (doveri sociali).
A questo punto, così equipaggiato mentalmente, mi sentivo
pronto ad affrontare la letteratura economico-etica; tuttavia, leg
gendo, a poco a poco mi è parso che non si trattasse esattamente
delle stesse cose: qualche cosa mancava mentre comparivano altri
elementi. In effetti, per quanto riguarda più propriamente la pro
blematica dell’etica-economia, il punto di partenza sarebbe l’assio
— 591 —
ma che esiste un senso morale nell’uomo, da cui scaturiscono i no
stri giudizi morali intuitivi. Tali giudizi sono usualmente considerati
prescrittivi nel senso che sono prescrizioni di corsi di azione alter
nativi, e quindi non cognitivi, ossia non esprimono valori vero-fal
so. Si tratlerebbe perciò non tanto di derivare costruzioni descritti
ve, ossia regole di impiego del linguaggio morale, quanto teorie
normative induttive, sia assiomatiche sia descrittive, caratterizzate
dal fatto che le prescrizioni delle teorie devono accordarsi ai giudizi
intuitivi; in caso contrario si concluderebbe che le teorie sono falsi
ficate da un mancato accordo.
Evidentemente questo approccio della moderna filosofia ha
praticamente lasciato cadere la parte descrittiva, ed in particolare
l’analisi della determinazione del bene supremo dell’attività mora
le, che invece appariva come la parte più rilevante dell’etica in
senso di dottrina tradizionale, per preoccuparsi invece della costru
zione di teorie etiche normative. Anche se all’inizio mi sono più di
una volta sorpreso a simpatizzare con quel modo (giustamente stig
matizzato da Sen) di considerare l’etica secondo il quale afferma
zioni ‘ meaningless’ o ‘nonsensical’ sono prontamente considerate
etiche (3), mi pare di aver capito che il filo conduttore dei tentativi
etico-economici sia il suggerimento di schemi normativi, sottoposti
a controlli convenzionali, in grado di dare giustificazione alle istitu
zioni economiche, o in parole più precise: « la proposta di argo
menti normativi tesi a giustificare o rifiutare giustificazione a date
pratiche, organizzazioni o istituti dell’economia, attraverso l’appli
cazione di teorie normative, sottoposte a controllo logico, linguisti
co e metodologico » (4).
Poiché a volte sono usati anche altri termini parzialmente so-
vrapponentisi, come cultura, ideologia, credenze, valori, ecc., mi
pare che possiamo qualche volta assumere tutti questi termini l’uno
per l’altro in accezioni più o meno diverse, ma sembra opportuno
riservare per i sinonimi etica o morale il campo di azione del bene
e del male, ovvero i valori o le credenze o le idee in tale materia.
In un certo senso, pertanto, l’etica ha un campo assai più ristretto
dell’ideologia, della cultura, dei valori e delle credenze. Ad esem
pio, se sono un economista neoclassico ho l’ideologia capitalista (del
— 592
mercato) e credo nell’/¿amo economicus. Al contempo posso essere
calvinista, musicologo e razzista nonché igienista, amante del giar
dinaggio e della buona cucina: tutto rientra nella mia cultura. Ma
se credo di essere un predestinato e mi comporto in conseguenza,
tale mia credenza (chiaramente etica o morale) è solo una parte
delle cose in cui credo, ovvero dei miei valori o delle mie idee.
3.
L’etica e gli economisti.
Si afferma solitamente che gli economisti abbiano cominciato a
confrontarsi seriamente con l’etica da circa vent’anni (5): ma sem
bra giusto ricordare — a parte i precedenti costituiti dai filosofi
greci, che bene o male facevano anche affermazioni di contenuto
economico — che l’economia come disciplina è figlia della filosofia
e della morale (6). In effetti Adamo Smith era di professione « mo-
ral philosopher
», e oltre alla Ricchezza delle nazioni scrisse altre
cose, tra cui la Theory of Moral Sentiments; negli autori classici so
no poi presenti esplicitamente od implicitamente dei principi etici.
In effetti la Chiesa cattolica considerava la scienza economica ai
tempi dell’edonismo contraria alla sua dottrina, in quanto tali prin
cipi etici erano contrari al proprio sistema morale (7).
La rottura tra etica ed economia avvenne chiaramente con la
distinzione di Pareto tra massimo « per » e massimo « della » col
lettività, ma si diffuse internazionalmente nella coscienza degli eco
nomisti negli anni trenta di questo secolo col « manifesto » del
Robbins (8). A partire da tale data venne più o meno ritenuto ovvio
che la scienza economica fosse neutra rispetto ai giudizi di valore
nel senso che essa fosse esclusivamente interessata alle scelte eco
nomiche basate sull’ipotesi di razionalità dei soggetti, assumendo
come dati esclusivamente i gusti ed i vincoli. Nel revival neoclassi
co, pertanto, (marginalismo, equilibrio generale, utilità ordinale,
razionalità economica, massimizzazione vincolata, incomparabilità
interindividuale delle utilità, ottimo paretiano) sembrava non ci
fosse più spazio per concetti « non scientifici » come i principi etici.
(5) E cioè a partire da Raw ls (1971). (6) Sen (1987), p. 2.
(7) Duchini (1989), p. 120.
593
[ n tale impostazione il paradigma neoclassico veniva conside
rato poggiare sugli interessi egoistici dei soggetti economici, conci
liati fino a raggiungere l’efficienza economica (l’ottimo paretiano)
dall’esistenza del mercato. Dal punto di vista positivo tutto era
compendiato nel primo teorema del benessere (il punto di equili
brio concorrenziale è un ottimo paretiano o equilibrio efficiente);
dal punto di vista normativo tutto quello che rimaneva da dire era
espresso dal secondo teorema del benessere (qualunque punto di
ottimo paretiano può essere raggiunto dal mercato concorrenziale
mediante adeguati trasferimenti non distorsivi). E evidente che la
coscienza sociale dell’economista era fatta salva proprio da questo
secondo teorema, per mezzo del quale potevano rientrare in gioco i
giudizi di valore o etici, ovvero la nozione di bene e di male, di giu
sto e di ingiusto. Se infatti il punto di equilibrio effettivo (paretiano)
appariva eticamente repellente all’economista nella sua incarnazio
ne di moralista, egli poteva proporre una adeguata redistribuzione
delle risorse, in modo da raggiungere — sempre attraverso il mer
cato — un altro punto di ottimo paretiano, tale da soddisfare il suo
senso etico.
Tuttavia è chiaro che tale posizione indebolisce assai l’influen
za politica degli economisti, che appaiono privati, in quanto tali, di
gran parte del potere propositivo ossia dell’influenza sugli indirizzi
delle politiche economiche, anche se rimane la tematica del sugge
rimento delle correzioni da apportare al mercato verso il raggiungi
mento della libera concorrenza: « l’obbligare l’economista ad occu
parsi unicamente di efficienza significa, de facto, condannarlo trop
po spesso al mutismo nei confronti con la maggior parte degli inter
venti pubblici » (9). Non è probabilmente un caso che il risveglio
dell’etica sia praticamente coincidente con il tramonto dell’imposta
zione keynesiana: quest’ultima non aveva bisogno dell’etica per
proporre la figura dell’economista deus ex machina dell’economia
nazionale, in quanto l’affermazione di andare ricercando l’equili
brio di piena occupazione equivale in senso lato alla ricerca dell’ot
timo paretiano.
Il risorgere dell’impostazione neoclassica è pertanto accompa
gnato dal risveglio dell’interesse per l’etica, che mi sembra prenda
spunto da tre considerazioni che appare opportuno distinguere, an
— 594 —
che se presentano aree di sovrapposizione. La prima mi sembra in
dividuabile dall’approccio interdisciplinare con la filosofia: qui il
punto di partenza è dato dalla critica che la sistemazione robbinsia-
na dell’economia senza giudizi di valore è in realtà basata su un si
stema etico (sia pure minimale), e da ciò si procede alla ricerca di
alternativi sistemi etici su cui fondare la scienza economica (ad
esempio: utilitarismo, convenzionalismo, liberalismo, contrattuali
smo, ecc.). La seconda prende come punto di partenza la critica al
welfarismo, nel senso che ritiene che le scelte dei soggetti economi
ci non possano essere effettuate solo su considerazioni economiche,
ma anche su altri e differenti valori (10). La terza considerazione,
infine, è la continuazione degli sforzi a partire da Arrow per arriva
re ad una funzione (o ad un ordinamento) del benessere sociale, o
comunque ad un criterio di scelta collettivo (11). Qui il punto è che,
se si vuole che siano soddisfatti miti requisiti di ragionevolez
za (12), sono stati dimostrati vari teoremi di impossibilità; per pro
cedere occorre allora allentare la portata di qualche assioma o ri
durre in qualche modo le pretese di misurabilità ordinale delle uti
lità e di incomparabilità interindividuale, così che servono dei prin
cipi etici, a partire daH’utilitarianismo ed oltre, per provvedere al
« ponte » tra le sensibilità dei vari soggetti (13).
La prima considerazione, ossia l’abbraccio interdisciplinare
con la filosofia, a ben vedere, si risolve in un problema di scelte in
terindividuali in quanto l’etica diventa un problema di giustizia o di
giustizia sociale: ma in tale modo si arriva ad una concezione di eti
ca particolarmente riduttiva.
In effetti alla moderna economia del benessere è essenziale il
concetto di efficienza economica, a sua volta basato sull’individuali
smo e sul principio di Pareto, intesi come « ethical principles » nel
senso di giudizi di valore (14). Ma sono considerati principi etici
anche gli assiomi della indipendenza dalle alternative irrilevanti e
dell’unrestricted domain-,
più in generale, quando ci si pone il pro
(10) Sen (1987); Etzio n i (1988); Elster (1986).
(11) Il riferimento essenziale è all’opera di Se n.
(12) Si tratta in particolare di: i) unrestricted domain, ossia qualsiasi confi gurazione logicamente possibile degli ordinamenti di preferenza degli individui; ii) principio debole di Pareto, ossia che se una situazione è preferita ad un’altra da ciascuno, ciò deve valere anche per la collettività; iii) indipendenza dalle alter native irrilevanti; iv) non dittatoriale.
— 595 —
blema di valutare differenti equilibri oltre al criterio paretiano, os
sia il problema di scegliere tra differenti stati sociali implicanti con
flitti tra le utilità individuali, occorre disporre di una teoria della
giustizia, intesa come struttura logica costruita su un insieme di
giudizi di valore o postulati etici, ossia occorre disporre di un siste
ma etico interindividuale, così che l’etica finisce con l’essere sem
plicemente la giustizia sociale (15).
In altri termini il problema è di decidere tra A et B, caratteriz
zati dal fatto che l’ordinamento del soggetto 1 è tale da preferire A
a B, mentre per il soggetto 2 è B preferito ad A. Per decidere devo
avere dei criteri, ossia per decidere devo appoggiarmi a dei valori
o giudizi di valore: nella letteratura etico-economica a tali giudizi di
valore viene dato il nome di giudizi o principi etici.
In tale situazione sembra opportuno notare ancora che il ter
mine « etico » è usato in modo che il bene ed il male, o i doveri e
gli obblighi sono bensì interessati, ma soltanto dopo che si è co
struita la teoria della giustizia ossia il sistema etico. Ma allora si
possono fare esempi in cui la decisione tra A et B abbia differenti
profili etici anche in presenza di un particolare insieme organico di
giudizi di valore. Ad esempio, sia A lo stato del mondo in cui Mao
metto ha arrosto di montone mentre Maria ha quello di maiale, e lo
stato B viceversa; circa le preferenze individuali sia Maometto sia
Maria preferiscono il maiale; il sistema etico sia tale da portare al
criterio etico operativo « favorire Maometto »: in tali ipotesi la
scelta dovrebbe ovviamente cadere sullo stato B. Ma se tuttavia a
Maometto la sua religione proibisce di mangiar carne di maiale, il
principio etico « favorire Maometto » andrebbe o non andrebbe in
terpretato in una ottica « super-etica », in modo da tener conto del
le etiche individuali? E se invece il criterio fosse « favorire il più
buono » oppure « favorire il più bello » o ancora « favorire la fem
mina », tali giudizi etici non avrebbero a loro volta rispettivamente
valenza etica, estetica o sessuale?
Il problema essenziale che interessa gli economisti etici sem
bra essere quindi la tensione che si verifica tra l’interesse indivi
duale razionalmente perseguito, ed un qualche concetto dell’inte
resse collettivo inteso come criterio etico, ossia la tensione tra ra
— 596 —
zionalità ed etica (16): tensione esemplificata tipicamente come un
dilemma del prigioniero. In tale senso, una teoria etica normativa
deve formulare giudizi morali in modo da soddisfare ai requisiti ge
nerali metaetici della universalizzabilità e della imparzialità, e cioè
rispettivamente in modo che la validità dei giudizi possa essere
estesa a tutti i casi simili, qualunque sia il soggetto; e in modo da
trattare « imparzialmente le caratteristiche morali (pretese, ragio
ni, diritti, bisogni, ecc.) che definiscono i protagonisti di una data
teoria morale » (17).
Per meglio chiarire le idee ricordo adesso alcune delle più note
teorie etico-normative, senza alcuna pretesa né critica né di com
petenza espositiva, ma solo per fissare le idee su qualche cosa di
concreto, se così posso dire, in modo convenzionale. Ciò vale in
particolare a giustificare la non considerazione del liberalismo, qui
non trattato direttamente, e per le teorie dei diritti, qui raggruppa
te in modo differente ad esempio da quanto fatto in Granaglia (18).
Il paretianesimo e l’utilitarismo hanno in comune il welfarismo
ed il consequenzialismo, e cioè, rispettivamente, sono fondati sul
l’assunto che la valutazione etica di ogni situazione sia basata sol
tanto sulla utilità individuale, e che ogni scelta sia basata sulla con
siderazione degli effetti ultimi delle scelte stesse, e cioè le scelte ri
guardanti azioni devono essere fatte tenendo conto esclusivamente
degli effetti sullo stato del mondo che viene posto in essere come
conseguenza dell’azione stessa (19). L ’utilitarismo ha, in più, la
massimizzazione della somma delle utilità individuali (20), anche se
le sue varie versioni differiscono in raffinatezza, dall’edonismo ori
ginario di Bentham alla versione di Harsany (21), che tra l’altro
sposta la massimizzazione dalle singole azioni alle regole di azione.
Per il contrattualismo in particolare l’idea sembra essere quel
la di trovare un modo soddisfacente per arrivare a considerare una
scelta etica come risultato di una scelta razionale, dove la scelta
etica fondamentale è l’ingresso in società, ossia l’adesione al grup
po sociale: « Il contrattualismo può così essere visto come la teoria
(16) Ham lin (1986), pp. 2-5. (17) Saccon i (1991), p. 37. (18) Gran aglia (1990). (19) Ham lin (1986), p. 63. (20) Sen (1987), p. 39.
— 597
della giustificazione morale delle istituzioni sociali » (22). Gli agen
ti, che sono dotati di ragione, in un primo momento stabiliscono ac
cordi circa le istituzioni sociali, ed in seguito cooperano secondo gli
accordi; secondo il contrattualismo ideale (Rawls), ciò deriva dalla
scelta razionale sotto il velo dell’ignoranza (nessuno sa chi sarà, e
quindi sono rispettate sia la universalizzabilità sia la imparzialità).
Nel contrattualismo reale (Buchanan) questi caratteri sono com
pendiati nel rispetto delle preferenze individuali, che a sua volta
consente la adesione unanime al contratto istituzionale.
Circa le teorie dei diritti, questi ultimi sono concetti morali pri
mitivi, con i quali non solo si determina quello che gli altri non de
vono fare, ma anche quello che gli altri devono fare nei riguardi di
ciascun soggetto. Si tratta quindi di un approccio deontologico, e
non consequenzialista o teologico come l’utilitarismo o il paretiani-
smo. Per Nozick il valore morale può essere riferito solo ai vincoli
che tutelano i diritti inviolabili degli altri (diritti-libertà), e che in
un certo senso costituiscono dei filtri: solo le istituzioni sociali che
non violano tali diritti (che passano attraverso tali filtri) sono pro
ponibili; in effetti Nozick, come è noto, è un assertore dello Stato
minimo, in quanto per lui i diritti morali sono intesi come libertà
negative, ossia libertà da interferenza da parte di altri.
Per Dworkin i diritti sono principi morali « forti », o carte vin
centi che consentono la priorità sugli obiettivi collettivi: si tratta
quindi di diritti-pretesa, alla base dei quali ci sono i due principi
della dignità umana (ogni persona è fonte di valore morale in sé) e
della democrazia, nel senso che ciascuno deve partecipare al go
verno della cosa pubblica con lo stesso peso degli altri. Tuttavia
questa impostazione è bensì compatibile con la libera concorrenza
intesa come mero scambio (test dell’invidia), ma non con una eco
nomia produttiva (23).
Infine, per quanto riguarda il convenzionalismo di von Hayek,
ci si può riferire al contrattualismo come quadro generale, con la
variante suggestiva che qui non si tratta di arrivare ad accordi vo
lontari, ma l’accettazione delle regole di convivenza avviene nella
forma di assuefazione a convenzioni autoformatesi attraverso l’evo
luzione dei gruppi sociali. Per von Hayek l’individuazione di tale
(22) Saccon i (1991), p. 69.
— 598 —
ordine spontaneo rappresenta una considerazione euristica di note
vole importanza, e al tempo stesso una confutazione del meccani
smo irreale di formazione dei vari accordi volontari o contratti.
Le regole morali (o convenzioni) sono in larga massima osser
vate spontaneamente, perché ciascuno si rende conto della loro uti
lità sociale (e quindi anche propria), generando un sentimento di
appartenenza alla collettività. In tutti i modi « gli unici valori co
muni di una società libera e aperta... [sono] quelle comuni norme
di comportamento astratte che assicurano] il mantenimento co
stante di un ordine egualmente astratto, il quale assicura] agli indi
vidui migliori prospettive di raggiungere i loro fini individuali, ma
non [dà] loro diritti su cose particolari (24).
4.
Divagazioni sull’etica nel modello neoclassico.
Il problema che gli etici-economisti cercano di risolvere po
trebbe forse essere individuato nella sostanziale possibilità di con
traddizioni interne provocate dalla eventuale esistenza di un siste
ma etico del soggetto, piuttosto che nel problema formale di andare
alla ricerca di sistemi morali da applicare al modello neoclassico.
In altri termini, la massimizzazzione dell’utilità indicherebbe al
soggetto delle scelte, mentre altre scelte gli sarebbero suggerite dal
suo sistema etico, e tali scelte potrebbero essere tra loro incompati
bili. Se io voglio essere un buon cristiano e voglio massimizzare le
mie entrate esiste tensione tra il mio io etico ed il mio io economico:
devo scartare attività immorali come il traffico di droga, oppure de
vo accontentarmi di un livello inferiore di moralità. A tale proposi
to una via d’uscita potrebbe consistere nel postulare una super fun
zione di utilità che includa anche gli argomenti etici, ma la cosa non
sembra soddisfacente, sopra tutto nella considerazione delle prefe
renze rivelate.
Questa riflessione può essere generalizzata in riferimento alla
più ampia nozione di cultura, nel senso che i soggetti economici in
realtà hanno una cultura che comprende aspetti etici, sociali, eco
nomici, musicali, ecc. Le scelte etiche, sociali, economiche, musi
cali, ecc. sono bensì indotte dallo specifico aspetto o lato culturale
rispettivamente etico, sociale, economico, musicale, ecc., ma risen
— 599 —
tono in generale anche di tutti gli altri aspetti e dei relativi vincoli.
In altri termini, per farmi una bella mangiata devo « dimenticare »
i miei vincoli dietetici e morali (peccati di gola?), oltre che superare
i vincoli di bilancio. Mentre prima si considerava solo il possibile
contrasto economico-morale, adesso la sfera dei possibili contrasti
si amplia consistentemente, in quanto si considera tutto l’orizzonte
culturale di cui l’aspetto etico è solo una componente.
A parte ciò, la ricerca di sistemi morali da sovrapporre alla
teoria economica è affrontata dagli etici-economisti molto spesso
sulla base delle difficoltà di funzionamento del mercato: quest’ulti
mo per funzionare ha bisogno, oltre che del banditore, anche di
uno Stato sia pure minimo. Qui si entra da un lato nella problemati
ca del free rider, e dall’altra in quella del dilemma del prigioniero.
Il free rider, come è noto, è il viaggiatore che non paga il biglietto,
usufruendo quindi del servizio a spese degli altri viaggiatori, men
tre per il dilemma del prigioniero qui è considerata in generale
quella classe di giochi per i quali il risultato di ciascun soggetto è
determinato anche dalla strategia degli altri soggetti, in modo tale
per cui la strategia non cooperativa è quella dominante, mentre
quella cooperativa è paretianamente superiore. La differenza mi
sembra consistere nel fatto che mentre il free rider è un caso di
conflitto tra un problema etico (ad esempio l’imperativo di non dan
neggiare gli altri) ed un problema economico (minimizzare il costo
del trasporto), il prisoner’s dilemma non mi sembra implicare ne
cessariamente tensioni con il sistema etico di ciascun soggetto. Nel
dilemma del prigioniero si resta nel campo esclusivamente econo
mico se il gioco è economico, estetico se il gioco è estetico, ludico se
il gioco è un passatempo, ecc. Non pagare le tasse implica avvan
taggiarsi indebitamente danneggiando ingiustamente gli altri (cosa
che mi è vietata dal mio imperativo categorico), mentre nella scelta
tra cooperare e non cooperare giocando a risico il mio imperativo
tace, ovvero non mi obbliga a cooperare. Ciò sembra vero a condi
zione, bene inteso, che il sistema etico individuale non includa, tra
i doveri verso gli altri, anche quello di una qualche forma di coope
razione.
Ínterin-— 600 Ínterin-—
dividuali, e l’etica come giustizia sociale. Ma mi sembra anche che
si commetta una imprecisione quando si imposta la problematica
del prisoner’s dilemma come un problema etico: da tale distorsione
di ottica possono forse scaturire quanto meno una sene di falsi
problemi.
Con ciò non intendo negare che in generale la collaborazione
sia assai importante: essa pervade ogni azione economica di cia
scun soggetto, ed in particolare presiede al funzionamento dei mer
cati; in effetti i rapporti interindividuali sono sempre un compro
messo tra armonia e conflitto (25). Ogni nostra azione economica
implica in qualche modo la collaborazione con altri soggetti econo
mici, collaborazione che a sua volta è il risultato di una qualche
composizione dei conflitti, e che avviene non solo attraverso delle
assunzioni esplicite (contratti giuridici), ma anche e sopra tutto con
l’implicito mutuo rispetto di convenzioni o regole del gioco di varia
natura, senza le quali non potrebbe aver luogo nella società orga
nizzata alcuna attività economica. Per altro il problema della colla
borazione, ossia della composizione dei conflitti interindividuali in
vista in un vantaggio per tutti, non è limitato alla sfera economica,
ma riguarda qualsiasi aspetto dell’attività umana. In altri termini,
anche se accettiamo che tutte le nostre azioni siano motivate dal
nostro interesse (non necessariamente strettamente egoistico), e
che siano presiedute dal principio di razionalità, le nostre scelte so
no limitate consciamente od inconsciamente dall’accettazione di
certe convenzioni etiche, sociali, economiche, musicali, ecc.
Ad esempio a scuola fare la spia non è un comportamento ac
cettato tra i ragazzini, così che lo spione può anche essere menato,
qui si tratta di una mera convenzione sociale, perché
1ragazzini (le
potenziali spie) sanno benissimo che è stata violata una norma di
comportamento eticamente valida, e che sarebbe loro dovere rife
rire all’autorità scolastica: la spia sarebbe anzi obbligata da un im
perativo categorico. In campo economico, il rispetto di certe con
venzioni è tutelato da una sanzione dell’autorità pubblica; tuttavia
quest’ultima non basta, da sola, a far osservare la convenzione, se
non in casi di singole devianze macroscopiche: la convenzione deve
essere accettata spontaneamente dalla larga maggioranza dei sog
getti. Ad esempio l’acquisto di un bene implica lo scambio delle
— 601 —
unità monetarie contro il bene stesso, scambio che è tutelato giuri
dicamente dallo Stato, così che se un singolo compratore prende
possesso del bene e poi si rifiuta di pagarne il prezzo, il venditore
può denunciarlo all’autorità giudiziaria. Ma se tutti i compratori si
comportassero così nessuno scambio potrebbe essere effettuato: il
mercato non potrebbe esistere.
Si potrebbe considerare tale convenzione basata su un princi
pio etico, ed in particolare deontologico: potrei pensare che ciascu
no osservi l’imperativo categorico di non arricchirsi indebitamente
a spese degli altri, e ciò basterebbe per permettere l’esistenza del
mercato come istituzione. Poiché tuttavia la convenzione stessa po
trebbe essere considerata fondata su altri tipi di principi ad esem
pio sociali (come nell’esempio sopra fatto del ragazzino spione), o
estetici, ecc., il principio etico rappresenta una condizione suffi
ciente, e non una condizione necessaria o tanto meno necessaria e
sufficiente.
Questa considerazione porta alla conclusione che le istituzioni
economiche capitalistiche:
i) possono funzionare solo se il comportamento della larghis
sima maggioranza degli agenti economici è normalmente basato (ol
tre che sulla razionalità) anche su certi automatismi metaeconomici
al di fuori della sfera razionale individuale, non necessariamente
(ma molto probabilmente) identici per tutti;
ii) non necessitano di principi etici per poter funzionare;
iii) ciò malgrado certi insiemi di principi (sistemi) etici ne fa
voriscono potentemente lo sviluppo e la permanenza.
Per recenti affermazioni sostanzialmente equivalenti al punto
i) si può fare riferimento al Novak (26), e per il punto iii) alla cor
rente di pensiero cattolico originata dal gesuita Heinrich Pesch, e
cioè alla scuola dell’economia sociale (27), oltreché ancora al No
vak. A conclusioni simili — circa lo sviluppo del capitalismo — era
però già arrivato il Weber (di cui è ben nota la tesi circa l’etica pro
testante ed il sorgere del capitalismo) come è mostrato dalla se
guente affermazione: “ Non si deve combattere per una tesi così
pazzamente dottrinaria [nota: nonostante questa ed altre avverten
ze abbastanza chiare rimaste sempre invariate, una tale tesi mi è
(26) Novak(1982).
— 602 —
stata — è strano — ripetutamente attribuita] come sarebbe la se
guente: che lo « spirito capitalistico »... sia potuto sorgere solo co
me emanazione di determinate influenze della Riforma— o che
addirittura il capitalismo come sistema economico sia un prodotto
della Riforma” (28). Qui il Weber chiaramente afferma che l’etica
protestante non è né una condizione necessaria, né necessaria e
sufficiente, e neanche sufficiente, ma solo una circostanza che fa
vorisce potentemente lo sviluppo capitalistico.
Al contrario, per quanto riguarda il punto ii) sembra che non vi
siano precedenti nella letteratura etico-economica, salva natural
mente la somiglianza con la posizione di Robbins che pone 1 etica
fuori dall’economia in quanto confinata tra i fini (etici), mentre rile
vanti per l’economia sono gli strumenti: e tuttavia Robbins non si
pone il problema di come possono funzionare i mercati senza prin
cipi metaeconomici oltre all’assunto della razionalità.
La non necessarietà dei principi etici per il funzionamento del
le istituzioni economiche sembra anzi negata dalla letteratura: ad
esempio Hirschman, dopo aver citato Hirsch che afferma la neces
sità di valori come onestà, sincerità, fiducia, riserbo e senso del do
vere', conclude che « Se si sommano tutti questi valori personali ne
cessari, l’ammontare di benevolenza e di moralità per il funziona
mento del mercato risulta piuttosto impressionante! » (29). Tutta
via la fiducia, il riserbo e la benevolenza appartengono realmente
al campo etico o non fanno parte di quei valori metaeconomici a cui
alludevo sopra? Quello che voglio dire non e che 1 onesta, la since
rità, ecc. non siano utili per il funzionamento dei mercati, o che non
siano sufficientemente rinvenibili concretamente tra gli operatori
economici di un certo mercato, ma piuttosto che il funzionamento
di certe istituzioni sociali possa dipendere anche da altre caratteri
stiche non necessariamente etiche, ed in particolare dall istinto di
solidarietà o dall’idea di appartenenza ad una qualche collettività.
Solo se accettiamo che l’istinto di solidarietà o idea di appartenenza
sia un imperativo categorico le due posizioni si confondono; in caso
contrario esse restano distinte.
Per concludere queste considerazioni mi sembra di poter affer
mare:
— 603 —
a)
che il funzionamemto dei sistemi economici capitalistici
implica certi automatismi metaeconomici nel comportamento degli
agenti economici, la considerazione dei quali può essere trascurata
o assunta implicitamente in certi contesti, ma in altri contesti (e co
me impostazione generale) è invece importante;
b)
che nell’economia pubblica si presentano situazioni in cui
il comportamemto individuale massimizzante avvantaggia il singolo
danneggiando la collettività (free rider): in tali casi dei sistemi etici
individuali sono in grado di frenare il comportamento da free rider.
In altre situazioni il comportamento individuale massimizzante por
ta ad equilibri non paretiani (dilemma del prigioniero), ma qui l’e
quilibrio paretiano potrebbe essere raggiunto se i soggetti si com
portassero secondo certe convenzioni, che non sembra debbano
avere necessariamente qualità morali; in questi casi, tuttavia, pos
sono esistere anche altre possibilità: ad esempio 1 apprendimento
con la ripetizione del gioco. In tutti i casi la presenza di una qual
che struttura statuale può facilitare molto il raggiungimento degli
equilibri, imponendo coattivamente delle regole di comportamento,
le quali devono tuttavia essere accettate dalla grande maggioranza
della collettività;
c) per poter avanzare oltre all’ottimo paretiano (problemi di
stributivi nell’economia pubblica, economia del benessere) è neces
sario un insieme di regole coordinate per poter effettuare scelte im
plicanti conflitti interindividuali, a cui nella letteratura etico-econo
mica si dà il nome di sistema etico. In questo caso il termine etico
può anche non aver nulla a che fare con la problematica propria
mente morale: ad esempio, se la regola di scelta collettiva è la vo
tazione a maggioranza.
Per banali che possano apparire tali affermazioni, la loro in
corporazione nel modello neoclassico sembra assai importante, ur
gente e fruttuosa. Tuttavia tale incorporazione appare lungi dal
l’essere facile: « possiamo piuttosto prevedere che un’integrazione
efficace del ragionamento morale nell’analisi economica proceda
faticosamente, distinguendo caso per caso » (30).
5.
L’etica e Vintervento pubblico.
Appare caratteristico che a molte teorie etico-normative pro
poste può essere apposta l’etichetta del liberalismo puro: da Nozick
— 604
e Buchanan, da Hayek al paretianesimo (31), a qualcuna di libera
lismo progressivo nel senso che prevedono pari opportunità inizia
le, ma poi ritornano nell’ambito del liberalismo (Dworkin e Acker-
man); in pratica, soltanto da Rawls e dall’utilitarianismo sono giu
stificate istituzioni sociali radicalmente volte alla redistribuzione.
Ora, finché intendiamo normativo con valenza astrattamente scien
tifica la cosa ha poca importanza, ma se passiamo al punto di vista
positivo o anche se intendiamo normativo in vista di applicazioni
sufficientemente concrete, sembra che la cosa sia di non poco mo
mento, in quanto ben poche tra le esistenti istituzioni statuali del
capitalismo avanzato appaiono giustificate da tali teorie etico-nor
mative.
Al contrario, se ipotizziamo che tutti gli agenti economici con
dividano esattamente la stessa etica deontologica (ad esempio: non
rubare) l’interesse egoistico di ciascuno troverebbe dei limiti au
toimposti, e sarebbe pertanto compatibile con l’interesse degli altri
e quindi con l’interesse della collettività. In tale ipotesi il mercato
potrebbe funzionare anche in assenza di istituzioni statuali: la mano
invisibile, per essere efficace, ha bisogno di un substrato etico. Poi
ché nella realtà da un lato la carne è debole e dall’altro lato i siste
mi etici degli agenti economici non coincidono esattamente, ed infi
ne poiché usualmente esistono individui più o meno largamente de-
vianti dalla norma etica comune, le istituzioni statuali, con la loro
coazione, facilitano il normale svolgimento dell’attività economica.
La stessa conclusione vale anche per la problematica del free
riding,
in particolare per il pagamento delle imposte relativo alla ri-
partizione del costo dei servizi pubblici collettivi: agenti economici
« ragionevolmente etici » e compresenza di istituzioni statuali ren
dono possibile lo svolgimento dell’attività economica organizzata in
forma capitalistica.
Nel caso di asimmetrie informative, di deviazioni dalla libera
concorrenza dovute a presenza di monopoli od oligopoli, di esterna-
lità alla produzione e in generale in tutti i casi di fallimento del
mercato, l’ipotesi che la maggior parte degli agenti economici siano
abbastanza etici non garantisce di per sé che il mercato, abbando
nato a se stesso, funzioni al meglio. Ma l’intervento regolatorio
605 —
le istituzioni pubbliche, imposto coattivamente, può raggiungere
l’obiettivo nell’ipotesi — abbastanza ragionevole — che gli agenti
favoriti dalle imperfezioni dei mercati siano in generale non etici,
ma che essendo relativamente poco numerosi, possano essere for
zati al rispetto delle regole imposte dall’autorità pubblica.
Tuttavia lo svolgimento dei processi produttivi in uno stadio di
capitalismo avanzato non richiede soltanto una ragionevole onestà
conculcata con la forza quando è necessario, ma anche spirito di
iniziativa, gusto del rischio, armonia sociale, ecc.: in sintesi, resi
stenza di una cultura capitalistica tra i soggetti economici. Ora, un
tratto essenziale della cultura capitalistica è lo spirito di coopera
zione, in larga misura basato su automatismi; in altri termini, oc
corre che le problematiche del tipo « dilemma del prigioniero » sia
no normalmente superate mediante un orientamento preferenziale
verso la cooperazione da parte della maggioranza dei soggetti. Da
questo punto di vista le istituzioni statuali capitalistiche devono
ugualmente recepire un orientamento favorevole alla cooperazio
ne, pur senza imporla necessariamente: la possibilità di costituire
società per azioni a cui lo Stato garantisce certi privilegi (i.e. irre
sponsabilità patrimoniale dei soci azionisti) è un esempio di tale
orientamento.
Infine, certi sistemi etici possono consentire anche un ragione
vole grado di redistribuzione, anche se nella realtà spesso i soggetti
manifestano buone propensioni alla redistribuzione intendendo pe
rò che siano sopra tutto gli altri a contribuire: da questo punto di
vista l’azione coercitiva dello Stato gioca un ruolo essenziale. In
conclusione, l’esistenza di sistemi etici individuali sufficientemente
uniformi tra loro (di tipo « benevolente ») appare altamente favore
vole al funzionamento delle concrete economie di mercato.
— 606
qui si è fatto ricorso alla mera assunzione di un assioma, in Rawls
la giustificazione delle istituzioni sociali discendenti dal maximin di
pende da una ingegnosa procedura o esperimento mentale così che
la scelta morale appare come una decisione autointeressata. Dal
punto di vista positivo (ossia come strumentazione per spiegare la
realtà) mi pare però che mentre è facile convincersi che la maggior
parte dei soggetti economici si comportano come se quasi sempre
accettassero l’imperativo (abbastanza) categorico di non rubare,
non è altrettanto facile pensare che i soggetti economici si abbando
nino, anche una sola volta nella vita, all’esperimento rawlsiano ex
ante,
e comunque siano fedeli alle sue prescrizioni ex post.
6.
Sistemi etici e livelli di governo subcentrale.
Per prima cosa mi pare di poter avanzare alcune rapide rifles
sioni circa l’inquadramento dei governi di livello subcentrale nelle
principali teorie etico-normative, ed in particolare in quelle ricor
date sopra; la strategia seguita sarà quella di considerare se i diver
si livelli di governo, giustificabili sotto il profilo di una superiorità
paretiana, sono compatibili con i detti schemi teorici. Per il mo
mento, non sono stati presi in considerazione altri criteri (ad esem
pio, il criterio del « rispetto di sé ») per cui la pluralità di strutture
potrebbe essere preferibile all’unico livello di governo, in quanto è
sembrato che il maggiore interesse fosse nella comparazione rispet
to all’efficienza economica. In effetti questa procedura permette di
prendere l’avvio direttamente dalla c.d. teoria del federalismo fi
scale (32) secondo la quale al governo centrale spetterebbero le
funzioni di mantenere il pieno impiego e la stabilità dei prezzi, non
ché la fornitura di beni collettivi di interesse nazionale ed infine di
curare il livello desiderato di redistribuzione dei redditi, mentre ai
livelli locali sarebbe attribuita la funzione di provvedere alla forni
tura di beni collettivi di solo interesse locale (33). Il punto è che
questa ripartizione discende proprio da considerazioni di efficienza
economica (34), anche se poi la prassi del federalismo fiscale, es
sendo inquadrabile nel second best, tende ad allontanarsi dalla
pu-(32) Scotto (1951), Musgrave (1959), Oates (1991). (33) King (1988), p. 11.
— 607 —
ra efficienza teorica, ed in particolare a finanziare i governi locali
largamente con trasferimenti (principalmente sulla base di conside
razioni di equità e di spillover effects), generando così effetti di ir
responsabilità amministrativa (35).
Considerando il paretianesimo come il sistema etico-normativo
minimale (36), in cui ciascun soggetto è un massimizzatore egoisti
co del proprio benessere in senso welfaristico, risulta che le istitu
zioni statuali devono essere ridotte al minimo in quanto è necessa
ria l’unanimità. In tale ipotesi (in una società composta da soggetti
differenti con differenti sistemi di valore) poiché il concetto essen
ziale sembrerebbe essere il mercato ideale (di libera concorrenza),
e non la nozione di ottimo paretiano, si potrebbe argomentare che
sia i casi di dilemma del prigioniero sia quelli di free rider non pos
sano essere considerati. Il paretianesimo, in quanto sistema etico
normativo, è interessante soltanto come caso limite in cui il merca
to funziona spinto solo dall’interesse egoistico delle parti, e pertan
to per definizione non possono esservi considerate situazioni fuori
dal mercato stesso, come ad esempio un equilibrio di ottimo pare
tiano con beni collettivi, perché questi ultimi non possono essere
offerti in mercato concorrenziale (37). Risulterebbe allora che le
istituzioni statuali debbano essere solo virtuali o addirittura inesi
stenti: la loro unica giustificazione sarebbe la tutela del mercato
stesso, che tuttavia ex definizione nel sistema etico considerato fun
ziona da solo. Se ciò è vero, a fortiori non vi è spazio per governi
subcentrali, per cui potremmo passare a considerare direttamente
il caso seguente, ossia l’utilitarismo; tuttavia si potrebbe considera
re una versione più pragmatica come ad esempio quella di Fasiani
dello stato cooperativo in cui la classe eletta per definizione perse
gue il massimo per la collettività, ossia l’ottimo paretiano (38). In
tale caso, superati i grossi problemi informativi, possono esistere
istituzioni pubbliche non solo per la fornitura di beni collettivi, ma
anche per ovviare ai casi di fallimento del mercato: rimangono ri
gorosamente escluse solo quelle istituzioni che hanno per oggetto
(35) Rey (1991), p. 212.
(36) Si veda ad esempio in Ha m lin (1986); sostanzialmente nello stesso sen so anche Nicola(1983).
(37) Il fatto che i teoremi del benessere siano stati dimostrati anche in pre senza di beni collettivi non mi sembra sposti i termini della questione; cfr., ad esempio Dasgupta, Ha m m o n de Mask in(1979), citati da Sen (1987), p. 37.