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La formazione pre-concorsuale

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Academic year: 2022

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La formazione pre-concorsuale

1 - Il problema della formazione dei magistrati italiani affonda le sue radici nel corso di studi universitari di giurisprudenza, sul qua- le da molti anni si discute, in vista di possibili modificazioni in sen- so “professionalizzante”.

La situazione attuale vede un corso sostanzialmente unitario, del- la durata di quattro anni, nel quale trovano posto insegnamenti isti- tuzionali, monografici e specialistici non sempre tra loro organica- mente coordinati. Il r.d. n.1652 del 1938, prevedeva 21 esami obbli- gatori, di cui 5 biennali e 3 a scelta dello studente tra gli insegna- menti attivati nella Facoltà. La legge n.910 del 1969 consente ai sin- goli studenti la proposizione di piani di studi individuali; le singole Facoltà si sono orientate a definire autonomamente il numero delle materie obbligatorie ed hanno introdotto una pluralità di indirizzi, ognuno dei quali implica la scelta di materie diverse tra quelle affe- renti all’indirizzo preferito. L’art.11 della legge n.341 del 1990 pre- vede che i consigli delle strutture didattiche, nell’ambito del regola- mento didattico di Ateneo, determinano l’articolazione dei corsi di laurea, dei corsi di specializzazione, i piani di studio con relativi in- segnamenti fondamentali obbligatori e quanto altro è necessario per l’insegnamento e la valutazione della preparazione degli studenti.

Con decreto 11 febbraio 1994 il Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica ha modificato l’ordinamento di- dattico delle Facoltà di Giurisprudenza introducendo accanto al Cor- so di laurea vero e proprio tre corsi di diploma universitario, di du-

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rata triennale, per “consulente del lavoro”, “operatore giudiziario”,

“operatore giuridico d’impresa”. La nuova tabella, inserita dal de- creto sopra citato, prevede quattordici aree disciplinari fondamen- tali, per ciascuna dele quali le Facoltà dovranno rendere obbligato- ria almeno una annualità di insegnamento. È stabilito inoltre che per ognuna delle aree dovranno essere assicurate un’adeguata for- mazione metodologica e l’acquisizione dei principi fondamentali at- tinenti all’area medesima. L’art. 4 del citato decreto attribuisce alle Facoltà un’ampia autonomia di organizzazione didattica, in linea con la progressiva attuazione del dettato costituzionale sull’autono- mia universitaria.

In questo quadro normativo, caratterizzato da un’ampia auto- nomia di organizzazione didattica riconosciuta ai singoli Atenei ed alle singole Facoltà, dovrebbero trovar posto, come esigenze impor- tanti da tener presenti nelle specifiche articolazioni dei corsi di lau- rea e di specializzazione, alcune linee comuni di orientamento fon- date sulla possibile finalizzazione professionale dello studio e dell’ap- prendimento. Limitatamente al profilo riguardate il processo di for- mazione culturale del futuro magistrato, il C.S.M. prospetta al Go- verno ed al Parlamento, e sottopone all’autonoma determinazione delle singole Università e Facoltà di Giurisprudenza, alcune consi- derazioni.

2 - La funzione del giudice (e di quello ordinario in sommo gra- do) si sviluppa in una serie di attività dirette alla risoluzione di con- troversie ed all’applicazione delle norme giuridiche nei casi concre- ti nei più vari campi del diritto e della vita sociale. Il principio di unicità della giurisdizione, di cui si chiede un’attuazione sempre più piena, implica una potenziale onnicomprensività di competenza del- la magistratura ordinaria, che richiede un reclutamento di giudici tra soggetti che abbiano acquisito una cultura di base nelle materie giuridiche non precisamente mirata a questo o quel settore dell’or- dinamento. È indispensabile che, prima dell’accesso nei ranghi dell’or- dine giudiziario, si sia formata nei giovani che aspirano alla profes- sione di magistrato una “coscienza giuridica” generale, intessuta dei valori e dei princìpi che, dalla Costituzione alle singole branche del diritto, formano un patrimonio comune di civiltà, da cui non si può prescindere in nessun atto, anche marginale e settoriale, di applica- zione della legge. Scrive Alf ROSS: “Il giudice non è un automa che

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meccanicamente converte norme di carta più fatti in decisioni. Egli è un essere umano che attenderà con cura al proprio compito so- ciale, prendendo decisioni che egli sente ‘giustÈ nello spirito della tradizione giuridica e culturale” (Diritto e giustizia, trad.it., Torino, 1965, pag. 131). Se la giurisdizione deve avvicinarsi, nei limiti del possibile, al sentimento di giustizia della comunità sociale, è neces- sario che i giudici siano partecipi e profondamente imbevuti della tradizione culturale del popolo in nome del quale rendono le loro sentenze. Per questo motivo bisognerà sempre respingere visioni esa- speratamente tecnicistiche del ruolo del magistrato, il quale sarà sog- getto soltanto alla legge, come vuole l’art.101 della Costituzione, so- lo se riuscirà a comporre in modo unitario nella propria mente l’or- dinamento positivo. Nulla di più lontano dal modello di giudice di uno Stato democratico della figura dello specialista, che “sa quasi tutto su quasi niente”, prigioniero di logiche parziali, che lo lascia- no indifeso di fronte alla molteplicità ed all’imprevedibilità degli even- ti di vita e lo rendono insensibile ai temi generali della struttura dell’ordinamento.

La necessità di mantenere alto il livello di consapevolezza cul- turale e critica dei magistrati esclude che possa essere abbandonata l’unitarietà degli studi di giurisprudenza o che questa unitarietà pos- sa essere confinata ad uno o due “anni-base” del corso di laurea. Bi- sogna infatti considerare che nelle Facoltà di giurisprudenza con- fluiscono giovani provenienti da diverse esperienze scolastiche pre-universitarie, destinate a fondersi nell’unico crogiuolo della cul- tura giuridica in via di formazione. Sia che provengano da studi clas- sici, sia che provengano da studi tecnici, essi sono attesi dal diffici- le compito di integrare i concetti di cui dispongono nelle diverse aree disciplinari che compongono la scienza del diritto, spostandosi, a se- conda dello loro specifica esperienza, dal generale al particolare o viceversa.

Non sarebbe auspicabile un distacco dello studente di diritto dal contesto socio-economico in cui si dispiega il fenomeno giuridico, né si potrebbe accettare un corso di apprendimento privo di una robusta consapevolezza dell’origine storica degli istituti. L’una e l’altra caren- za porterebbero al magistrato tecnico subalterno e non al giudice indipendente, che trasferisce nelle sue pronunce la cultura giuridica contemporanea, intesa come punto di arrivo di una evoluzione stori- ca coscientemente assimilata. Spesso si dimentica che questo difficile

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compito di integrazione culturale (che non riguarda solo il giudice, ma, in misura diversa, ogni tipo di “giurista”) richiede un tempo ade- guato di maturazione, che non può essere compresso, senza trasfor- mare l’Università in scuola di preparazione tecnica di piccoli burocrati del diritto. Con una riduzione da 4 a 2 anni, ad esempio, “si possono formare al massimo dei conoscitori di legislazione, ma non dei giuri- sti adatti per le professioni forensi o per la ricerca scientifica” (GAL- LONI, Reclutamento e formazione dei magistrati in Italia, pag.5).

3 - Quanto detto prima non significa acritica accettazione dello stato di cose esistente. Sono noti a tutti i grandi difetti dell’insegna- mento del diritto nelle nostre Università. Sono state sinteticamente individuate tre carenze di fondo: a) incompleta assimilazione delle nozioni-base; b) insufficiente educazione ad applicare correttamente i dati normativi alle fattispecie concrete; c) scarsa attitudine alla comunicazione scritta (PADOA SCHIOPPA, Per una riforma degli stu- di universitari di giurisprudenza in Italia, pagg. 4 ss.).

Sul primo punto si può dire che resta insostituibile l’apertura culturale dei primi anni di studio, che dovrebbero essere caratteriz- zati da un numero limitato di materie istituzionali di largo raggio (istituzioni di diritto privato, di diritto pubblico etc.) e da materie di formazione generale (economia politica, diritto romano, storia del diritto, filosofia e sociologia del diritto etc.). Dovrebbero essere rigo- rosamente bandite dai primi due anni tutte le materie specialistiche o settoriali, ancorché di intrinseco interesse, giacché in questa pri- ma fase lo studente deve cominciare ad impadronirsi di strumenti concettuali che gli consentiranno, per tutto il resto della sua vita pro- fessionale, di confrontarsi con qualsiasi problematica nuova che si presenterà. Ciò non significa che si possa insegnare la “teoria” una volte per tutte (perché anche questa cambia e deve essere rivisitata), ma che si deve tentare di porre il futuro “giurista” (magistrato, av- vocato etc.) sul livello medio della scienza giuridica del suo tempo, dal quale potrà più agevolmente muovere i passi successivi.

Appare evidente che in questo primo periodo debba essere as- sente ogni finalizzazione specifica dello studio, proprio perché la scel- ta successiva dello studente sia più matura e consapevole e non con- dizionata da suggestioni pre-universitarie oggi molto forti, anche per effetto dei mass-media, che esaltano, di volta in volta, figure mitiche di giudice o di avvocato.

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4 - Esaurita la fase formativa generale, non inferiore a due an- ni, si dovrebbero dedicare i successivi due anni a corsi avanzati sul- le stesse aree disciplinari, di carattere giuridico, già trattate sul pia- no istituzionale. In questa seconda parte del corso dovrebbero emer- gere gli interessi fondamentali degli studenti, rivolti allo studio sto- rico-teorico del diritto oppure all’esercizio pratico del mestiere di giurista, che va dalla professione di giudice a quella di avvocato, di notaio, sino ai gradi alti della pubblica amministrazione ed alla con- sulenza alle imprese.

Molte Facoltà attualmente distinguono tre “indirizzi”, che posso- no, grosso modo, essere individuati in: a) forense; b) d’impresa; c) amministrativo. Pur essendo evidente il fine condivisibile di comin- ciare a fornire una caratterizzazione più specifica degli studi in que- sta seconda fase, sembra di dover in proposito osservare che la fina- lizzazione professionale viene introdotta, in tal modo, contempora- neamente alla “concretizzazione” dello studio delle materie giuridi- che, con la conseguenza che la scelta dell’orientamento avviene pri- ma che lo studente abbia appreso a colmare la seconda delle lacune che oggi si lamentano nella preparazione universitaria: la difficoltà di applicare in modo corretto la regola astratta al caso concreto. L’esem- pio delle Law schools americane è molto interessante in proposito, in quanto il tradizionale metodo casistico, tipico dei sistemi di common law, è stato sottratto al monopolio dei pratici, ancora esistente nelle Inns of Court inglesi, ed inserito con successo nelle Università (cfr.

WOODWARD, Giustizia attraverso il diritto. Dimensione storica della Law school americana, in Avvocatura e giustizia negli Stati Uniti, a cu- ra di Dondi, Bologna, 1993, pagg.113 ss.). La diversa tradizione giu- ridica europea continentale non consente una integrale trasposizione di questo modello, incentrato sulla trattazione esclusivamente casisti- ca: esso potrebbe costituire però un valido punto di riferimento per introdurre negli studi giuridici italiani lo studio del caso come mo- mento ineliminabile del diritto positivo, senza peraltro rendere esclu- sivo il punto di vista giudiziario nell’apprendimento della tecnica di applicazione della norma alla fattispecie concreta.

Sembrerebbe sconsigliabile divaricare, nei due anni di corsi avan- zati, la posizione dell’aspirante alle carriere forensi da quella del fu- turo dirigente della pubblica amministrazione o del giurista di im- presa. Il progresso del principio di imparzialità della p.a. e lo svi- luppo della tutela dei diritti del cittadino lungo tutto il processo di

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formazione degli atti autoritativi del potere esecutivo richiede una cultura comune ai dirigenti dell’amministrazione ed ai tradizionali operatori del diritto, per impedire la formazione di una cultura giu- ridica separata, di stampo burocratico-autoritario, propria dell’am- ministrazione, contrapposta a quella legalistica e garantistica, pro- pria della giurisdizione. Questa unitarietà della formazione del giu- rista pratico, la sua polivalenza funzionale, che gli consente l’acces- so indistintamente alla magistratura, all’avvocatura, al notariato e al- le carriere direttive della p.a. è fortemente sentita in Germania, do- ve si cura di organizzare corsi di studio costruiti in vista della for- mazione dell’Einheitjurist, caratterizzato dalla massima versatilità professionale (cfr. PEDERZOLI, Selezione e formazione delle profes- sioni legali in Germania, Padova, 1992, pagg. 40 ss.).

In molte Facoltà universitarie i corsi avanzati esistenti si ridu- cono a trattazioni monografiche, per lo più dottrinali, di singoli isti- tuti o frammenti di istituti, che finiscono per essere un’appendice particolaristica allo studio astratto dei corsi istituzionali. I corsi avan- zati dovrebbero consistere invece nelle stesse materie già studiate,

“rivisitate” nella prospettiva dell’applicazione delle norme ai casi con- creti, facendo uso delle categorie giuridiche già imparate. Non ha molta utilità studiare, nel corso di Diritto civile, ad esempio, un sin- golo istituto attraverso una trattazione scientifica di taglio fortemente soggettivo, mentre molto più produttivo sembrerebbe il cimento de- gli studenti su un largo spettro di casi e questioni che abbraccino i più vari settori del diritto privato, di cui già si conoscono gli istitu- ti e i concetti fondamentali.

5 - Sia nella prima che nella seconda fase sarà necessario abi- tuare gli studenti alla stesura di relazioni scritte. La scarsa abitudi- ne alla scrittura è infatti - come si diceva prima - uno dei difetti più gravi del corso di studi universitario in Italia. Lo studente riprende a scrivere, dopo quattro anni di prove esclusivamente orali, in occa- sione della tesi di laurea, quando ormai è troppo tardi per acquisi- re capacità di esposizione corretta, in forma scritta, di argomentazioni giuridiche. A volte questa difficoltà costituisce uno dei motivi di in- successo nelle prove scritte del concorso per uditore giudiziario: ac- cade di imbattersi in elaborati che dimostrano conoscenza dei temi trattati, buona informazione dottrinale e giurisprudenziale, ma tut- tavia confusi nell’esposizione ed incerti persino nell’uso della sintas-

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si. È evidente che l’Università non può colmare le lacune di una pre- parazione scolastica deficitaria, ma non si deve dimenticare che lo stile scorretto è spesso frutto di un’abitudine esclusiva alla lingua parlata, che induce tendenza all’approssimazione ed alla prolissità, mali che purtroppo affliggono anche la produzione giudiziaria di mol- ti magistrati in servizio. D’altra parte, le commissioni di concorso non possono rendere più severo il controllo sulla forma degli elabo- rati, senza rischiare di assottigliare eccessivamente il numero degli ammessi alle prove orali in un periodo in cui si avverte in modo im- perioso l’esigenza di coprire gli organici.

Si dovrebbe prendere in seria considerazione l’idea di introdur- re momenti di verifica della preparazione degli studenti basati su prove scritte, integrate dall’esame orale, anche per ottenere una va- lutazione più equilibrata delle capacità dei singoli. Sono frequenti i casi di “sorprese” sia nel senso di scarsa capacità di comunicazione orale di persone che avevano dimostrato di saper scrivere corretta- mente, sia, al contrario, di ridotte attitudini a tradurre in forma scrit- ta sintetica e rigorosa argomentazioni brillantemente esposte in for- ma orale. L’interesse a sviluppare una equilibrata capacità di espres- sione in entrambe le forme non ha bisogno di particolari dimostra- zioni, se si fa riferimento alla professione del magistrato, cui in- combe, a seconda dei ruoli, di dare prova di capacità comunicativa sia per iscritto che oralmente.

La tesi di laurea dovrebbe mantenere il tono di una dissertazione ampia su un tema affrontato e trattato in modo problematico; è qua- si superfluo aggiungere che essa sarà tanto più significativa, quanto più negli anni precedenti sia stato fatto un lavoro di addestramento allo studio critico delle questioni giuridiche ed alla esposizione in forma scritta del proprio pensiero. Le singole Facoltà dovrebbero cu- rare meglio l’orientamento degli studenti nella scelta delle materie da cui trarre l’argomento della tesi di laurea. Spesso accade che la preferenza sia dettata da motivi del tutto estranei agli interessi di studio e professionali, ma dipenda invece dalla maggiore o minore facilità, dal sovraffollamento di taluni corsi, dalle esigue disponibi- lità di collaboratori alle diverse cattedre etc. Tutto ciò mortifica le potenzialità degli studenti, che dovrebbero avere tutti le medesime opportunità di dimostrare le proprie capacità costruttive.

La necessità di consentire il libero dispiegarsi finale delle capa- cità acquisite nel corso di studi induce a non guardare con favore

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alla “degradazione” della tesi di laurea in “tesina”, in nome di un malinteso spirito pratico, che altro non sarebbe che la definitiva san- zione di un passo indietro complessivo del livello della cultura giu- ridica diffusa in Italia. Non esiste studente che, adeguatamente se- guito, non possa elaborare una soddisfacente dissertazione di lau- rea, se la verifica precedente negli esami di profitto è stata seria e scrupolosa. Spesso si nota una certa incapacità “architettonica” an- che in professionisti (giudici, avvocati), che pur dimostrano di pos- sedere una preparazione di prim’ordine. La tesi di laurea dovrebbe essere l’occasione non per mettere finalmente mano alla penna, do- po quattro anni di esami soltanto orali, ma per sviluppare la capa- cità di costruire un discorso complesso, coordinando e sistematiz- zando spunti, nozioni e concetti di diversa provenienza, per addive- nire ad una conclusione ragionata personale, ancorché non necessariamente originale, su una o più questioni. Si impara così a vedere le problematiche specifiche inserire in un contesto più am- pio, anche interdisciplinare.

6 - Dopo la laurea dovrebbe aprirsi il periodo professionalizzante in senso stretto dei giovani giuristi. L’art.4 della legge n.341 del 1990 prevede, al comma 4, che con decreto del Presidente della Repub- blica, previo concerto tra il Ministro dell’Università e della ricerca scientifica ed il Ministro di Grazia e giustizia, si determini i diplomi di specializzazione che, in relazione a specifici profili professionali, danno titolo alla partecipazione agli esami di abilitazione per l’eser- cizio delle corrispondenti professioni. La norma, così come si pre- senta, non sembra applicabile anche alla professione di magistrato, alla quale non si accede con un esame di abilitazione. Si potrebbe tuttavia inserire una modifica che, parallelamente alla norma che pre- vede, nel medesimo contesto, che i suddetti diplomi di specializza- zione costituiscono “titolo per l’accesso alla dirigenza del pubblico impiego”, conferisca questa natura particolare anche ad eventuali cor- si di specializzazione per l’esercizio della professione di magistrato, lasciando tuttavia aperta la possibilità di partecipazione al concorso per uditore giudiziario anche a coloro che non avessero frequentato i corsi, per i quali si dovrebbero attivare prove di pre-selezione.

La soluzione migliore sarebbe quella di unificare i corsi di spe- cializzazione per le professioni di magistrato e di avvocato, con una differenziazione finale per ciascuna delle opzioni. In altre parole, si

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potrebbero istituire corsi della durata di tre anni, di cui i primi due comuni ed il terzo specificamente finalizzato alla professione di ma- gistrato o di avvocato.

In questi corsi non dovrebbe trovar posto l’insegnamento teori- co del diritto né si dovrebbe in essi confidare per un apprendimen- to della tecnica di concretizzazione della norma generale e astratta, che si dovrebbe presumere acquisita nel corso universitario. La spe- cializzazione forense dovrebbe avere invece la funzione essenziale di immettere i giovani giuristi nel mondo del processo. Anche una pre- parazione di qualità accademica elevata, che prevede pure l’adde- stramento al ragionamento giuridico concreto, è pur sempre estra- nea al funzionamento effettivo della macchina giudiziaria. Nei corsi di specializzazione si dovrebbe curare il completamento della pre- parazione con lo studio e la stesura, a scopo di esercitazione, di at- ti processuali, che, nell’ultimo anno, dovrebbero essere diversificati, a seconda del tipo di professione pre

scelto. Questo avvicinamento alla realtà processuale dovrebbe av- venire di pari passo ad uno studio approfondito del “diritto vivente”, della giurisprudenza di ogni settore del diritto che possa interessare la professione verso cui ci si avvia. Studio della giurisprudenza e stu- dio degli atti di processi “veri” già conclusi possono essere la prima concreta approssimazione alla prassi giudiziaria.

L’ultimo anno del corso di specializzazione potrebbe essere de- dicato, come si diceva prima, alla stesura di atti giudiziari - soprat- tutto sentenze - allo scopo di acquisire la tecnica della decisione. Non dovrebbero mancare esercitazioni volte ad acquisire la tecnica ne- cessaria allo svolgimento delle funzioni di p.m., anche se la tecnica delle indagini può essere appresa in modo efficace con la verifica sul campo durante il tirocinio. Sembrerebbe sconsigliabile una scuola di investigazione prima dell’accesso in carriera, se la figura del magi- strato deve restare unitaria e pertanto la preparazione di base esse- re altrettanto unitaria. Il “saper fare” nel campo investigativo do- vrebbe essere riservato al tirocinio ed all’opera di perfezionamento che, in questo settore, potrà svolgere la Scuola della magistratura, riservata a magistrati in servizio.

Bisognerebbe optare per una gestione universitaria dei corsi di specializzazione, anziché affidarli alla Scuola della magistratura. Il motivo di questa scelta è essenzialmente culturale: prima dell’ingresso nell’ordine giudiziario deve essere favorito il massimo del pluralismo

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nella formazione, che, al di là delle buone intenzioni, potrebbe es- sere ridotto se già prima del concorso i giovani si formassero in strutture dipendenti dall’istituzione giudiziaria, anche se questa si identificasse con il C.S.M.. L’autogoverno della magistratura non può estendersi oltre i confini dell’ordine giudiziario, per entrare nella so- cietà civile, dalla quale provengono i giovani giuristi che aspirano al- la professione di giudice. Si deve salvaguardare la maggior ricchez- za possibile di apporti culturali diversificati, che non può non gio- vare all’esercizio della giurisdizione. È ovvio che gli insegnanti di questi corsi non dovrebbero essere solo docenti universitari, ma am- pio spazio dovrebbe essere riservato a magistrati e avvocati, allo sco- po di utilizzare la loro insostituibile esperienza pratica.

Se i corsi di specializzazione funzionassero seriamente si po- trebbe ipotizzare un esame selettivo finale - o varie selezioni duran- te i tre anni - per conferire a coloro che ottengono un giudizio po- sitivo il titolo per accedere al concorso per uditore giudiziario, ri- solvendo così nel modo mi

gliore il problema dei “filtri” preventivi necessari per evitare gli attuali esami di massa, che non garantiscono né rapidità di coper- tura degli organici né qualità degli ammessi.

La riforma degli studi di giurisprudenza e l’istituzione di effi- cienti scuole di specializzazione dovrebbero affiancarsi ad una rifor- ma del concorso per uditore giudiziario, oggi basato su prove pre- valentemente teoriche e nozionistiche, intorno alle quale si è svilup- pata una intensa attività, pubblica e privata, mirata alla confezione standard dell’elaborato scritto. È fiorita una vera e propria “scienza”

del tema per il concorso in magistratura, con predisposizione di sche- mi stereotipi ed attento uso del calcolo delle probabilità sugli argo- menti. Tutto ciò svilisce il concorso: invece di insegnare a fare i giu- dici si insegna a fare i temi con accorgimenti e “trucchi”, dai quali poi la commissione esaminatrice deve difendersi nel formulare le tracce, con risultati non sempre felici.

Queste considerazioni critiche dovranno costituire materia di at- tenta riflessione dello stesso C.S.M. con riferimento a quei corsi pub- blici di preparazione al concorso che sono organizzati attualmente anche sotto l’egida consiliare. I risultati, non particolarmente bril- lanti, di tali esperienze dovranno condurre ad un serio ripensamen- to sull’utilità di un loro mantenimento, salva una profonda revisio- ne del loro modello di organizzazione.

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Reclutamento dei magistrati

A) Rapporti con l’organico.

Qualunque serio sistema di reclutamento del personale non può non essere strutturato in modo da fare i conti con le fisiologiche esi- genze di organico, nel senso di riuscire pienamente ed agevolmente a soddisfarle, provvedendo alla tempestiva sostituzione delle unità che man mano abbandonano il “ruolo”.

Ed è ovvio che ci si riferisca alla “fisiologìa”, non solo perché ogni dato comunque “patologico” è per ciò stesso eccezionale e quin- di contingente, ma soprattutto perché il momento dell’emergenza (che derivi, ad esempio, dalla necessità di improvviso e consistente au- mento di organico) potrà provvedere esso stesso alla necessaria “prov- vista” di personale e dovrà comunque pur sempre confrontarsi con la struttura usuale, per constatare se per avventura essa non riesca ugualmente a fronteggiare l’emergenza medesima.

Ma ciò sarà evidenziato meglio in prosieguo, a proposito della mai abbandonata ipotesi di “reclutamento straordinario”, che pro- prio in una attenta analisi della procedura vigente e nelle sue possi- bilità di mero snellimento può trovare argomento di ulteriore con- futazione.

L’evoluzione degli organici in magistratura è stata abbastanza stabile nel corso degli anni ‘70-’80.

Più particolarmente, se si eccettua l’aumento di 150 unità in- trodotto con la legge 19 feb.1981 n.27, la complessiva consistenza dell’organico era rimasta sostanzialmente immutata, attestandosi su 7.355 unità, dal 1973 (anno in cui vi era stato apprezzabile incre- mento per effetto del nuovo rito del lavoro) al 1989.

E si deve sùbito notare come l’attività di copertura degli orga- nici che fisiologicamente si erano resi vacanti per le cause usuali ed in certa misura prevedibili (collocamenti a riposo, decadenze, di- missioni, decessi, dispense ecc.), sia stata man mano adeguata, se è vero che si poteva prevedere la integrale copertura degli organici stes- si per il 1990 e se è vero pure, d’altra parte, che il tirocinio degli uditori nominati col D.M.22 dic.1987 era stato necessariamente prorogato sino al termine massimo per consentire la formazione di un numero sufficiente di posti presso i vari uffici giudiziari.

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E, difatti, queste fisiologiche vacanze, pur variamente oscillanti nel corso del tempo, non avevano mai raggiunto punte imprevedi- bilmente esorbitanti.

Esse si erano mantenute tra le 130 e 180 unità annue, sicché si può immediatamente osservare come con un semplice concorso all’an- no a tali evenienze ben potesse farsi fronte e constatare altresì co- me lo stesso bacino universitario fosse ben in grado, in questi ter- mini, di fornire ogni adeguato materiale per una scelta altamente se- lezionata.

È nel 1989 che si verifica il fatto “patologico” di un aumento di organico di eccezionale consistenza, poiché attraverso le leggi n.32, n.261 e n.246 di tale anno l’organico venne aumentato di 1.054 unità, in considerazione essenzialmente delle necessità derivanti dal nuovo codice di procedura penale.

Inoltre col D.L.367/91 (convertito nella L.8/92) sono state ag- giunte altre 100 unità, sicché l’organico complessivo ha raggiunto la cifra di 8.509 magistrati.

Anche a tali eccezionali evenienze si è fatto fronte, però, con le usuali procedure concorsuali, pur se aumentate nella loro consistenza e cadenza annue, tant’è che la previsione di una tendenziale coper- tura dell’organico entro il 1994 era del tutto realistica.

Certo, il serbatoio universitario è stato in questo caso di molto sollecitato e per così dire raschiato , ma la qualità media dei risul- tati concorsuali ha tenuto, com’è in qualche modo testimoniato dai punteggi delle graduatorie finali, anche perché, ed è un dato sul qua- le pure occorre riflettere, il serbatoio universitario in questione si è notevolmente ampliato rispetto agli anni ‘70-’80, posto che il nume- ro dei laureati in giurisprudenza è più che raddoppiato nel corso dell’ultimo decennio, unitamente ad un risveglio di attenzione delle giovani leve verso la funzione giudiziaria e ad una compressione dei posti per laureati in legge presso altri settori dell’amministrazione pubblica.

Ciò dimostra che le pecche del sistema di reclutamento costi- tuito dalla procedura concorsuale ordinaria, che pure sono state da molti e da anni evidenziate, non consistono nella sua impossibilità di fronteggiare la “patologìa”, sicché, senza abbandonarlo, si potrà con accuratezza piuttosto operare per un suo mero snellimento.

Nell’agosto del 1993, in qualche misura sollecitato da uno stu- dio varato da questo C.S.M. nell’autunno del 1992 (secondo il quale

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era necessario un contenuto aumento di personale aggirantesi intor- no alle 550 unità), si è provveduto ad un ultimo aumento di orga- nico per 600 unità con la legge n.295/93.

A tale aumento si farà fronte con due concorsi da espletare nei mesi di marzo e novembre del 1994 ed in tal modo l’organico attuale si è attestato sulla misura di 9.109 magistrati, di cui però 150 non distribuiti nelle piante operanti dei vari uffici, in quanto destinati ad uditori giudiziari senza funzioni, che possono costituire, come si è detto, (1) “una sorta di serbatoio al quale attingere (rispettando le decorrenze concorsuali) i magistrati da destinare in sostituzione di quelli cessati dal servizio”.

Nel contempo, e cioè tra il ricordato 1989 e l’epoca attuale, an- che le “fisiologiche” vacanze man mano realizzatesi per le cessazio- ni dal servizio, hanno continuato a non manifestare picchi di inopi- nata eclatanza. Se si eccettua il dato del 1992, che ha visto uscire dall’organico oltre 230 magistrati, le vacanze si sono per questa via sempre mantenute sotto le duecento unità, sicché ancora una volta si può constatare come con l’ordinaria procedura concorsuale e con il ben possibile gettito universitario si possa agevolmente provvede- re al ricambio con la media usuale di un concorso all’anno.

Certamente, la possibilità da ultimo concessa anche ai magistrati (dapprima con i vari decreti legge succedutisi per reiterazione nel corso del 1992 e non convertiti e poi con il D.Lgs.503/92) di perma- nere facoltativamente in servizio per altri due anni e cioè sino al ter- mine massimo del 72° anno di età, introducendo un dato estrema- mente variabile, ha reso più difficili le previsioni sulle future vacan- ze. Peraltro l’esperienza già maturata nel corso del 1992 e del 1993, pur con la variabilità notevole dei due dati (237 magistrati cessati dal servizio nel 1992 e 146 invece nel 1993), non prospetta evenien- ze patologiche di sorta che l’ordinario assetto concorsuale non pos- sa fronteggiare.

(1) R.PARZIALE: Documenti giustizia, sett-ott. 1993, 1569

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B) Il sistema generale di reclutamento.

Si è ripetuto più volte che l’accesso alla magistratura si realizza attraverso una procedura concorsuale.

Per gli impieghi statali il principio del concorso pubblico di cui al R.D. 22 nov. 1908 n. 756 fu ribadito col R.D. 30 dic. 1923 n. 2960 ed infine con l’art. 97 terzo comma della Costituzione repubblicana, secondo cui “agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si acce- de mediante concorso, salvi i casi stabiliti dalla legge”, ove può no- tarsi da un lato l’estensione al più ampio concetto di pubblica am- ministrazione e dall’altro la possibilità di una eccezione a carattere legislativo.

Per la magistratura l’adozione della forma concorsuale fu addi- rittura di molto anteriore, risalendo dapprima al R.D. n. 2656/1856, passando per il R.D. 6878/1890 Zanardelli, venendo confermata dall’ordinamento giudiziario vigente di cui al R.D.30 gen. 1941 n.12 (art.123) ed approdando infine alla previsione costituzionale di cui al primo comma dell’art.106, secondo cui “le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso”.

Le uniche eccezioni a questa regola sono date dai commi terzo e secondo del detto art.106, con riguardo sia alla possibilità di chia- mare all’ufficio di consigliere di cassazione, per meriti insigni, pro- fessori universitari ed avvocati a certe condizioni (disposizione che sinora non ha ancora avuto alcuna concreta attuazione), sia soprat- tutto alla possibilità di nomina di vari giudici onorari.

Peraltro, mentre sino ad oggi la consistenza della magistratura onoraria era stata in qualche modo marginale (giudici conciliatori, vice pretori e procuratori onorari, componenti privati di sezioni mi- norili e così via), con l’introduzione della figura del giudice di pace di cui alla legge 21 nov.1991 n.374, tale consistenza è divenuta estre- mamente rilevante, attestandosi infatti tale organo giudiziario su un complesso numerico costituente addirittura più della metà della stes- sa magistratura professionale.

La prova sperimentale della qualità di una magistratura onora- ria siffatta, in cui la nomina (bene riservata al Consiglio Superiore della Magistratura pur sulla base di proposte possibilmente ternarie dei Consigli giudiziari locali, essendo stata eslusa l’ipotesi elettiva ini- ziale) è avvenuta sulla base di titoli preferenziali o comunque di espe- rienze giuridiche di mero fatto, è ancora da verificare, poiché l’en-

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trata in funzione del giudice di pace, inizialmente prevista per il gen- naio 1994, è stata protratta al luglio dello stesso anno.

Per quanto riguarda comunque la magistratura professionale, è stata sempre opinione fermamente sostenuta, sia a livello associati- vo che istituzionale, l’avversione per ogni ipotesi di abbandono del sistema costituzionale della procedura concorsuale, in favore di for- me di reclutamento straordinario che, viceversa, sovente sono state riproposte.

Il problema della disciplina dell’ammissione in magistratura è stato sempre vivo, tant’è che già agli inizi degli anni ‘70 rimonta il primo progetto trasfuso nel disegno di legge presentato al Parla- mento dal Ministro Bonifacio, poi più volte riproposto e commen- tato favorevolmente nella relazione al Parlamento di questo C.S.M.

del 1976; tant’è, ancora, che nella relazione Mirabelli per lo schema di disegno di legge riguardante la riforma dell’ordinamento giudi- ziario si insiste su tale disciplina, definita “cardine del nuovo Sta- tuto del magistrato”; tant’è che nella relazione al Parlamento del C.S.M. riguardante il quadriennio 1986-90 si dedica al problema un particolare excursus, attestando come “la questione del reclutamen- to e della formazione professionale dei giudici è diventata sempre più centrale ed è resa ancora più pressante dai recenti aumenti di organico che impongono una rapida copertura dei vuoti creatisi”;

tant’è, infine, che anche l’ultima di tali ralazioni al Parlamento, pri- ma di quella che qui ci si accinge a varare, approvata nel 1991, de- dica alla questione un apposito paragrafo accompagnato da opinio- ni di valenti giuristi (2).

Approfittando della importanza e centralità del problema e so- prattutto di contingenti carenze d’organico, sono stati allora, a perio- di ricorrenti, riproposti metodi di accesso che, magari pur rispettan- do un astratto principio di concorsualità ma rivolgendosi a categorie particolari e privilegiate di candidati, si risolvono in forme di reclu- tamento straordinario, che non hanno trovato particolare fortuna.

(2) ELIO PALOMBI: «Il reclutamento dei magistrati in Italia»; prof. GIOVANNI GALLONI: «Reclutamento e formazione dei magistrati in Italia»

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In epoca più recente, ci ha riprovato la proposta di legge n.728 del 9 luglio 1987, Gargani, con un’ipotesi di reclutamento che di- chiaratamente non si indirizzava ai giovani laureati di giurispruden- za ma che intendeva recuperare e valorizzare con parametri valuta- tivi diversi professionalità maturate su altri versanti dell’esperienza giuridica.

Ancora una volta questo C.S.M. con parere 24 ottobre 1990, ha palesato il proprio dissenso, confermando di non potere discostarsi

“dalle valutazioni preoccupate e fortemente negative espresse in pas- sato in tema di forme straordinarie di assunzione dei magistrati”.

Anche oggi le ragioni di tale dissenso pienamente sussistono, tan- to più che in fatto si è cercato di rappresentare poc’anzi come la pro- cedura concorsuale ordinaria, tanto meglio ove opportunamente snel- lita, è in grado di fronteggiare anche la possibile patologìa dell’or- ganico. Non senza precisare, riguardo alla patologia predetta, che es- sa ragionevolmente non può non essere oggi di ben difficile ipotizzabilità, se è vero, come è vero, che ormai la consistenza numeri- ca complessiva dei magistrati si è attestata su valori non più ulte- riormente aumentabili in un Paese proporzionalmente ben organiz- zato (per di più ove si tenga conto dei giudici di pace e della previ- sione di una loro competenza anche nel settore penale secondo la delega contenuta nella citata legge n.374/91), per modo che eventuali future problematiche non potranno più essere risolte con aumenti numerici di personale ma solo con provvedimenti deflattivi di effi- cace consistenza e con revisioni circoscrizionali che operino una più equa distribuzione territoriale del personale medesimo.

Inutile in concreto, il reclutamento straordinario, del resto, po- ne ancora problemi di astratta conformità con lo spirito del Costi- tuente che, attraverso la previsione incrociata degli artt. 106 1°c. e 97 3°c., ha voluto estendere la possibilità di accesso alla magistra- tura a tutti i cittadini che abbiano negli studi acquisito le conoscenze opportune, senza distinzioni di sorta in ragione di professioni in con- creto esercitate.E ciò in ossequio anche ad altro principio, fissato nell’art.101, là dove è detto che la giustizia è amministrata in nome del popolo, per il che essa riconosce pari dignità, e quindi eguali pos- sibilità di accedere all’Ordine giudiziario, a tutte le componenti del corpo sociale.

D’altra parte non può essere senza valenza la possibilità d’una eccezione per le pubbliche amministrazioni al sistema concorsuale

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posta dal citato art. 97 Cost., là dove tale eccezione non è affatto prevista dal ricordato art. 106, che pure ha ben presente il mondo accademico e l’avvocatura quanto agli uffici di legittimità, dando co- sì chiaro significato all’inderogabile previsione concorsuale per gli uffici di merito, che “sembra dunque scandita per un verso dall’esi- genza di salvaguardare a tutti i possibili aspiranti l’eguaglianza nel punto di partenza con conseguente esclusione di corsie preferenzia- li e, per l’altro, di garantire parametri di valutazione uniformi ed ade- guati alla rilevanza della funzione giurisdizionale”.

Inoltre non può essere sottaciuto quanto emerge da altro para- metro costituzionale, di cui all’art.51, per il quale tutti i cittadini pos- sono accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza se- condo i requisiti stabiliti dalla legge, sicché non si potrebbe dubita- re dell’esistenza di una discriminazione là dove, dovendosi presce- gliere come punto di approdo il candidato che conosca ottimamen- te il diritto e sappia ragionarvici sopra logicamente, sia pretermesso quel candidato che attraverso il curriculum degli studi si sia in tal modo licenziato, ma che in fatto non abbia imboccato una delle car- riere parallele che il sistema di reclutamento straordinario del mo- mento voglia privilegiare.

Nè rimane senza valore, ancora oggi, la considerazione che, fer- mi certi limiti di età e ferme le gratificazioni che nei loro campi già indubbiamente hanno le migliori intelligenze, è veramente dubbio che l’estensione della base di reclutamento a corsie privilegiate deri- vanti da altre professioni in fatto per qualche anno esercitate, dia luogo all’ingresso di uno standard qualitativo di apprezzabile livello.

Più recentemente è stata presentata altra proposta di legge nell’al- veo del medesimo filone: la n.2230 del 9 febbraio 1993, Mastran- tuono, che nelle linee generali prevede il reclutamento straordinario di 456 unità, secondo valutazioni effettuate in sede decentrata per singoli distretti di Corte di Appello sulla base di titoli ed esami. Ai requisiti generali ed usuali si aggiungono quelli dell’esercizio delle funzioni di vice pretore onorario per almeno sei anni, ovvero di do- cente od assistente universitario in particolari materie giuridiche, o di ricercatore universitario per almeno tre anni, ovvero di procura- tore legale per almeno sei anni, o di impiegato nella carriera diret- tiva in amministrazioni facenti capo al Ministero di grazia e giusti- zia (?), ovvero di componente privato di Tribunale minorile per al- meno sei anni.

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Orbene, anche qui, a prescindere dall’incongruità di questa o quella corsia privilegiata rispetto ad altre possibili, rimane l’inutilità della modifica nell’attuale sistema costituzionale, modifica che non alleggerisce neppure la complessità e lentezza dell’aspetto ammini- strativo della procedura di nomina e soprattutto che non riesce ad assicurare la salvaguardia del principio di anonimato dei concorrenti che è essenziale in qualunque sistema di reclutamento pubblico tra- sparente.

C) La normativa particolare vigente.

Una procedura concorsuale che assicuri dunque l’accesso a tut- ti coloro che hanno conseguito il previsto titolo di studio all’esito del curriculum universitario e che, garantendo l’anonimato, assicuri an- che una valutazione unitaria ed imparziale, non può essere abban- donata, anche se, come è ovvio, la pesante e lenta procedura attua- le va senz’altro modificata.

Sinteticamente si può ricordare che la procedura si articola at- traverso queste disposizioni:

requisiti generali di ammissione sono la cittadinanza italiana (sal- vi casi di parificazione), l’età (salva la elevabilità dei limiti in talune condizioni), l’idoneità fisica, il titolo di studio, il godimento dei di- ritti civili e politici;

requisiti particolari sono poi la necessità di moralità e condotta incensurabili (sull’appartenenza a “famiglia di estimazione morale in- discussa” v. però, da ultimo, Corte Costituzionale, sentenza n. 108 del 31.3.1994), la mancata dichiarazione di inidoneità a tre prece- denti concorsi;

il concorso consiste in prove di esame scritte sulle seguenti materie:

diritto amministrativo, diritto civile e romano, diritto penale

ed in una prova orale su ciascuna delle seguenti materie e gruppi di materie:

diritto amministrativo e costituzionale, diritto civile,

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procedura civile,

diritto ecclesiastico, internazionale e statistica, diritto del lavoro e legislazione sociale,

diritto penale, procedura penale, diritto romano.

Il concorso è indetto con decreto ministeriale di bando, su deli- berazione del C.S.M. per un numero di posti determinato (si noti che possono essere messi a concorso non solo i posti già attualmente va- canti ma anche quelli che si renderanno tali entro l’anno di indizio- ne ed anche entro i cinque anni successivi, aumentati del 10% : cfr.Leggi n.746/78, n.11/85 e n.32/89);

il decreto di bando viene registrato alla Corte dei Conti, pubbli- cato sulla G.U. e sul Bollettino ufficiale del Ministero di Grazia e Giustizia, oltre che affisso negli albi universitari e presso gli Uffici giudiziari;

le domande affluiscono per il tramite delle competenti Procure della Repubblica al Ministero;

i requisiti di ammissibilità sono vagliati, in via provvisoria od anche immediatamente definitiva, dal C.S.M.;

entro i dieci giorni anteriori alla data della prima prova il det- to Consiglio nomina la Commissione esaminatrice, che viene poi tra- sfusa in decreto ministriale da registrare alla Corte dei Conti;

espletate le prove, corretti gli scritti ed esaurite le selezioni ora- li, la Commissione predetta forma la graduatoria provvisoria degli idonei, valutando gli eventuali titoli di preferenza a parità di pun- teggio, graduatoria soggetta a reclamo, cui poi il C.S.M. fa seguire la approvazione della graduatoria definitiva, che va trasfusa in de- creto ministeriale;

seguono poi i decreti di nomina dei singoli vincitori con le da- te di presa di possesso per l’inizio del tirocinio.

D) Le ipotesi di riforma: la fase meramente amministrativa.

Quella appena descritta è, come si vede, una procedura alquan- to complessa, che comporta decorso apprezzabile di tempo già nel- la mera fase amministrativa, tra la decisione ministeriale di richie-

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dere al C.S.M. l’indizione del concorso e l’inizio delle prove scritte, quantificabile in media, secondo dati appositamente elaborati, (3) in circa 250 giorni.

A ciò si deve aggiungere il tempo per la valutazione degli scrit- ti, che non solo ovviamente dipende dal numero degli eleborati com- plessivamente consegnati, che è andato man mano progressivamen- te aumentando negli anni, ma che è stato anche reso più consisten- te dal fatto che la Commissione d’esame non può escludere un can- didato già quando una prima prova sia giudicata palesemente in- sufficiente. La Commissione stessa è tenuta infatti a considerare con- giuntamente anche le altre prove del candidato, poiché la valutazio- ne finale deve essere globale, sicché tutte le prove consegnate non possono che essere esaminate e valutate.

La durata del procedimento, dalle prove scritte al termine degli orali, è stata mediamente valutata intorno all’anno, cui vanno ag- giunte le fasi sino all’approvazione della graduatoria definitiva ed al- la nomina dei vincitori per il successivo tirocinio, per il che la du- rata globale del concorso in tutte le fasi ora esaminate è stata me- diamente valutata per i concorsi tra il 1981 ed il 1992, pur tra estre- mi oscillanti tra i 700 ed i 1000 giorni, in 850 giorni circa.

In ogni caso, peraltro, mentre sulla fase puramente am- ministrativa è più agevole intervenire, più difficoltoso è lo snellimento della procedura nella fase di valutazione delle prove scritte ed orali senza un ripensamento normativo di profonda innovazione.

Sul primo versante, infatti, si può intervenire, intanto, pro- grammando ad esempio per tempo le indizioni dei vari concorsi, in modo da anticipare sensibilmente le attività rispetto alle date di pre- visione delle prove scritte. In tal modo, il tempo, pur perduto, non andrà a detrimento del periodo in cui si vuole che le nuove leve pos- sano effettivamente cominciare a prender servizio.

In secondo luogo un passo decisivo risulta essere stato già rea- lizzato a livello ministeriale con la introduzione di un sistema infor- matico che riesce, e riuscirà ancor meglio in futuro, ad automatiz-

(3) R.PARZIALE: Documenti justizia, set-ott. 1993, 1630.

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zare vari settori della procedura stessa, a partire dai dati riguardan- ti i candidati (che potrebbero esere invitati a servirsi, ad esempio, di moduli prestampati di domanda a lettura ottica inseriti in un pro- gramma informatizzato a disposizione delle varie Procure della Re- pubblica, riversabile, quindi, automaticamente al Ministero e così via) per finire alla stessa formazione della graduatoria degli idonei, tanto che la previsione di ridurre i tempi medi di questa prima fase di tutta la procedura a 200 giorni non appare irrealistica.

Proprio sul versante in esame si è inizialmente mosso, prima de- gli emendamenti più recentemente apportatigli, il noto disegno di legge n.2578/C presentato dal Ministero di Grazia e Giustizia il 27 aprile 1993, successivo ad altro sullo stesso tema (n.5727 del 31.5.1991), del quale ricalca le linee informatrici principali.

Così, si propone di svincolare la procedura di pubblicazione del- la graduatoria degli idonei dalla previa approvazione della stessa da parte del C.S.M., riservando tale approvazione, afferente i reclami av- verso la valutazione dei titoli di preferenza ad un momento succes- sivo. Si guadagnerebbero, in tal modo, secondo calcoli medi appro- priati, circa tre mesi, anche se nella ipotesi di un numero di idonei superiore a quello dei posti messi a concorso, l’accoglimento suc- cessivo di un reclamo porterebbe a dover dichiarare non più vinci- tore un candidato che un un primo tempo fosse stato dichiarato ta- le, il che è inconveniente non da poco in tema di trasparenza.

Altre misure tendono invece ad incidere sulla Commissione di esame, sulla sua composizione, sulla intensificazione dei suoi ritmi, sulla necessità di esonero dal lavoro ordinario di tutti i suoi mem- bri, compresi, quindi, i professori universitari, sull’aumento dei com- pensi.

Si tratta, in questo caso, di misure che riguardano il secondo versante cui sopra si accennava, quello della fase di valutazione del- le prove dei candidati, che appaiono peraltro, pur dandosi atto di un maggior affinamento dei meccanismi, ancora del tutto inadeguate, di fronte all’imponente crescita del numero dei candidati e degli ela- borati consegnati, a realizzare una efficace riduzione dei tempi del- la procedura, senza incidere poi sull’altro fenomeno negativo con- nesso, costituito dalla massa dei partecipanti e dal conseguente di- sordine.

Sotto questo aspetto non più convinta valutazione può poi avere la più recente proposta di legge n.3230 dell’8 ottobre 1993, Lazzati,

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che, se pure intestata a “modifiche alle norme concernenti l’accesso alla carriera in magistratura”, si limita sul punto solo a ridurre le ma- terie delle prove, previo un tirocinio anticipato, perseguendo invece altri obiettivi, come quello della separazione delle carriere.

E) Le ipotesi di riforma: la fase della valutazione delle prove.

È su questo versante, come prima si accennava, che occorre un ripensamento normativo di profonda innovazione.

Uno degli aspetti del concorso considerato universalmente ne- gativo è l’eccessivo numero dei partecipanti alle prove scritte, che si riflette sia sulla durata del concorso stesso, per l’allungamento dei tempi di correzione degli eleborati, sia sulla sostanziale regolarità delle prove stesse. Un elevato numero di candidati comporta non so- lo difficoltà di reperimento di locali idonei ma sempre maggiore di- sagio per chi deve effettuare prove impegnative in presenza di una massa considerevole di persone: ciò rende, con tutta evidenza, diffi- cilissima la concentrazione e la fedele valorizzazione delle proprie capacità, sì che le prove vengono a misurare non più, come si è det- to, soltanto la preparazione e l’attitudine al ragionamento ordinato, ma piuttosto la capacità di reggere alla confusione ed al disordine.

A tacere del fatto che, per quanta cura si dispieghi, le dimensioni di massa rendono molto difficile una efficace e completa vigilanza sul- la regolarità delle prove, la quale viene in qualche misura inevita- bilmente compromessa.

E tale massa di partecipanti va via via aumentando.

I dati che seguono, dal 1981 ad oggi, sono, infatti, significativi:

Concorsi Domande Presenti 1ª prova Complet. 3ª prova

13.1.81 3.615 1.597 942

15.9.81 5.754 1.746 916

15.12.82 6.037 2.390 1.642

10.2.84 8.172 2.830 1.449

6.6.84 7.719 2.322 919

8.5.85 6.620 1.955 665

5.7.85 6.196 1.933 814

6.3.86 6.675 2.426 927

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23.7.86 6.309 2.439 1.088

16.4.87 6.939 2.469 918

20.1.88 8.574 3.472 1.220

3.12.88 9.682 4.099 1.705

24.4.89 11.320 3.616 1.238

4.12.89 14.107 4.722 1.655

14.6.90 10.968 3.735 1.548

12.1.91 9.795 4.152 1.532

30.12.91 10.004 5.780 2.244

1.10.92 12.365 6.700 2.194

5.10.93 15.358 7.307 2.307

Come si vede, ci si va attestando sulla presenza di oltre sette- mila partecipanti alla prima prova, con un numero di elaborati fi- nali consegnati da valutare, moltiplicato per tre, pari ad oltre 6.900 prove.

Ebbene, in un’ottica di revisione globale di questo aspetto del reclutamento, si è inserito il dibattito sulla “Scuola della magistra- tura”. Mentre, infatti, sia nel vecchio progetto Bonifacio degli anni

‘70 sia nella relazione della Commissione Mirabelli del 1984, la det- ta Scuola veniva concepita come un supporto formativo riguardante solo coloro che vi accedessero mediante concorso, così praticamen- te entrando a far parte dell’ordine giudiziario e potendone alla fine essere poi dispensati per inidoneità dimostrata durante il tirocinio, in altre prospettazioni la Scuola avrebbe dovuto abbracciare anche il periodo di formazione post-universitaria, per assorbire in sè la pro- cedura concorsuale, sostituita con momenti di selezione progressiva.

Nella prima ottica si è mantenuta la Relazione al Parlamento da parte del C.S.M.del 1990, mentre piuttosto nella seconda si muove la successiva Relazione del 1991.

Di fatto, questa seconda prospettazione appare oggi meno pra- ticabile perché, superata l’istintiva contrarietà di chi temeva l’istitu- zione di un luogo di mero indottrinamento ideologico e di chi avreb- be preferito solo istituti universitari di preparazione al concorso, la Scuola permanente ha visto la luce, con competenze riguardanti i magistrati e, quindi, con riferimento a momenti successivi al reclutamento ed alla sua procedura concorsuale.

La presente Relazione prende atto di questa realtà, condividen- done i contenuti, poiché effettivamente, come si è detto, appare pre-

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feribile lasciare al mondo universitario, sia pure attraverso gli au- spicati corsi od istituti di specializzazione post-lauream, la prepara- zione per l’accesso alle varie aree del settore giuridico. Ciò tanto più in quanto si tratterebbe pur sempre di un indebolimento delle ga- ranzie tipiche del sistema concorsuale quello che venisse stempera- to in una progressione di vagli selettivi volti ad enucleare gradata- mente i migliori candidati (prima) e tirocinanti (poi), attraverso mo- menti di controllo e di valutazione che non sfuggirebbero completa- mente a sospetti di parzialità o discriminazione; nonché in quanto appare comunque preferibile assegnare a questa realtà una funzione prevalentemente formativa, anziché selettiva.

Ciò posto, occorre dunque muoversi nel senso di uno snellimento della procedura concorsuale nella sua fase relativa alle prove ed al- la loro valutazione. Varie soluzioni sono astrattamente possibili e so- no state volta a volta proposte:

1) decentramento delle prove.

Se con tale prospettazione si allude alla scissione del concorso, magari regionalizzato, con pluralità di Commissioni esaminatrici e diversità di tracce dei temi, l’ipotesi è decisamente da respingere, non assicurando affatto quella unitarietà ed uniformità di condizioni che sono essenziali e che sono solo garantite da un concorso unico na- zionale.

Se si tratta, invece, di mero decentramento dei locali, l’ipotesi, inutile in relazione alle prove orali, merita, invece, un qualche inte- resse in relazione alle prove scritte, poiché con essa si supera la dif- ficoltà di reperimento dei locali stessi, cui si è accennato, e risolve il problema della ressa, della confusione, del disordine e della sor- veglianza. Questa ipotesi, del resto, è anche normativamente possi- bile (art.3 della legge 3 feb.1949 n.26), sia per una pluralità di loca- li nella stessa sede di Roma che in sedi diverse.

Ciò comporterebbe, però, inconvenienti di non poco conto in re- lazione alla Commissione, che dovrebbe operare sempre in sotto- commissioni; in relazione alla necessità di definire le tracce dei temi nella stessa mattina in cui vengono assegnati; in relazione alla con- seguente necessità di adottare sistemi di video-conferenza; in rela- zione alla ulteriore possibilità di compromissione della segretezza del- le comunicazioni; in relazione ai costi che sarebbero, così, altissimi.

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2) riduzione delle prove

Ulteriore minore funzionalità porterebbero le soluzioni attinen- ti alla riduzione od eliminazione di questo o quel tipo di prova.

Vi è stato chi ha proposto di sopprimere le prove scritte per tra- sformare il concorso in una mera valutazione orale.

La soluzione desta particolari perplessità di principio, poiché il carattere di anonimato che viene assicurato dagli elaborati scrit- ti, in questa che è la prima e più consistente selezione, appare ir- rinunciabile esigenza di trasparenza e di elusione di sospetti di par- zialità o discriminazioni. In secondo luogo, se pure, così, sarebbe eliminato l’inconveniente della ressa, della confusione e della diffi- coltà di vigilanza tipico della prove scritte di massa, non verrebbe affatto accelerata e snellita la procedura, cosa che invece è oggi in- dispensabile.

Escluso, infatti, il filtro della ammissione agli orali determinato dalle insufficienze nelle prove scritte, tutti coloro che avessero in ani- mo di presentarsi, man mano dovrebbero essere valutati, con un ag- gravio di tempo che è stato calcolato in oltre il doppio.

Al contrario, in termini di celerità, sarebbe allora preferibile un concorso con sole prove scritte: anche qui, però, l’ipotesi deve esse- re respinta, poiché non elimina i ricordati difetti della prova scritta di massa, ed appare, peraltro, troppo poco selettiva, oltre che scar- samente valutativa della reale preparazione e delle vere capacità dei candidati.

Analogamente, mentre senza dubbio una qualche revisione del- le materie facenti parte delle prove è possibile, anzi auspicabile (eli- minazione del diritto romano, sia pure in cenni, del diritto interna- zionale non comunitario, del diritto ecclesiastico, degli elementi di statistica, per i quali gli studi universitari si potrebbe presumere sia- no garanzia sufficiente di conoscenza), la limitazione numerica del- le prove scritte ad una sola (sorteggiata), come pure è stato suggeri- to, opererebbe una selezione non apprezzabilmente dimostrativa del- le più complete conoscenze e capacità del candidato, per lo meno nelle materie fondamentali; ed è veramente dubbio che consegui- rebbe gli effetti deflattivi sperati, posto che sarebbe prevedibile un maggior numero di partecipanti che porterebbe a termine la fase scritta delle prove.

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3) limitazione delle categorie di partecipanti.

Si insiste da più parti per uno sbarramento iniziale in dipen- denza non già, ovviamente, degli studi fatti e del titolo di studio con- seguito, quanto di corsi o carriere espletati.

E così si propone l’accesso al concorso solo per i diplomati del- le scuole di specializzazione per le professioni forensi, per gli iscrit- ti agli albi dei procuratori legali da certo periodo, per i funzionari delle carriere direttive od equiparate con certo numero di anni di an- zianità.

Si è qui dell’opinione che dopo il titolo di studio minimale, ogni ulteriore corso od istituto di specializzazione debba essere destinato a contribuire ad una maggiore preparazione dei candidati ma non a co- stituire anche un ostacolo legale, a patto di non incorrere in quelle obiezioni ampiamente esposte in tema di reclutamento straordinario.

D’altra parte la introduzione di requisiti professionali o cultura- li specifici per la partecipazione al concorso (vale a dire la trasfor- mazione della procedura di reclutamento in un c.d. concorso di se- condo grado, del genere di quello esistente per l’accesso alle magi- strature amministrative), non è senza inconvenienti anche sul piano meramente pratico, poiché porta ad un naturale invecchiamento del corpo della magistratura, con ulteriori conseguenti difficoltà in tema di distribuzione dei magistrati sul territorio. Si è calcolato che di già l’età media degli ultimi magistrati entrati in servizio si è innalzata di quasi due anni nel corso dell’ultimo decennio. Orbene se si con- sidera che i requisiti professionali o culturali richiesti comportereb- bero un previo dispendio di altri due o tre anni prima del concorso per l’accesso, è facile dedurre che l’età media di ingresso nella ma- gistratura si collocherebbe ormai ben oltre la soglia dei trenta anni, con le ovvie e paventate conseguenze cui si accennava.

4) pubblicizzazione delle tracce dei temi.

È stata avanzata da taluno anche l’ipotesi di rendere nota la trac- cia dell’elaborato scritto ai candidati.

L’intento non pare esser quello di accelerare la procedura, anche se, in tal modo, si avrebbero benèfici effetti con la possibilità di de- centrare i locali anche in sede regionale o pluriregionale, mentre la valutazione rimarrebbe unitaria ed accentrata.

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L’idea, che si può variamente atteggiare in concreto, variando la misura temporale dell’anticipata conoscenza (la vigilia, ovvero alcu- ni giorni prima della prova) od abbinando la proposta con una plu- ralità di tracce tra le quali avverrebbe un sorteggio, ovvero colle- gandola con determinati tempi più o meno brevi entro i quali redi- gere l’elaborato, si fonda sul rifiuto di misurare i candidati su una pretesa cultura universale di tipo compilatorio-ripetitivo. Traspare, invece, la volontà di saggiarli sulle capacità di inquadrare sistema- ticamente il problema, di organizzare le conoscenze liberamente at- tinte, di applicare correttamente gli strumenti interpretativi e di ra- gionamento.

Si potrebbe sinanche fornire ufficialmente ai candidati tutto il materiale legislativo, giurisprudenziale e dottrinario relativo alle trac- ce dei temi.

Rimane però, la fondamentale obiezione che per quanto il can- didato permane sempre solo con la propria testa e le proprie capa- cità nel momento della stesura dell’elaborato, non possono escludersi contributi altrui, anche solo nella predisposizione di una mera “sca- letta” di argomenti e di ipotesi di ragionamento, che finirebbero sem- pre col falsare in modo grave l’accertamento delle reali capacità pre- dette, per il che non sarebbe assicurata la formazione di una gra- duatoria di merito genuina.

5) sistemi di preselezione.

Occorre, allora, percorrere altre vie ed affidarsi a sistemi di pre- selezione, che non presentano problemi di legittimità ordinamenta- le, che assicurano parità tra i candidati nelle condizioni di parten- za, oltre che imparzialità ed uniformità nelle valutazioni tecniche e congruità fra le capacità richieste e le funzioni alle quali il concor- so abilita.

Esclusi, per intuitivi inconvenienti e per la non completa riso- luzione dello stesso problema di snellimento che ci occupa, i siste- mi basati su “colloqui”, “titoli particolari”, “dissertazioni scritte su temi a scelta”, rimane unico nella sua indiscutibile validità il siste- ma del “test”.

Esso, soprattutto nella versione denominata “multiple choice” e cioè a risposte multiple prefissate delle quali una sola è giusta, per- mette la selezione decentrata, con i relativi benefici, la correzione

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uniforme ed imparziale, addirittura con sistema informatico, e, quin- di celerissimo.

Non convince l’obiezione che esso produrrebbe l’inconveniente di effettuare la selezione (ma si tratterebbe pur sempre di una “pre- selezione”che non elimina le tre prove scritte usuali successive) su basi essenzialmente nozionistiche.

Tutto dipende, infatti, dalla formulazione dei quesiti, che nella più recente elaborazione docimologica hanno raggiunto una qualità veramente notevole, se è vero, che hanno una capacità a rivelare nei candidati attitudini e percorsi logici anche molto complessi in disci- pline scientifiche. In numerose facoltà di ingegneria (tra le altre: Po- litecnico di Milano) il test iniziale di ammissione, di questo tipo, non costituisce neppure uno sbarramento invalicabile, nel senso che è meramente orientativo per il candidato. Eppure esso è così ben rea- lizzato che riesce a dimostrere le reali attitudini dello studente, pro- prio ad effettuare percorsi logici e deduzioni progressive, tanto che è stato statisticamente comprovato come la graduatoria finale del te- st sia in perfetta correlazione con la capacità a conseguire poi la lau- rea ed ai tempi al riguardo occorrenti.

Per maggiore tranquillità si potrebbe comunque far procedere l’introduzione di una simile formula da un periodo di sperimenta- zione, al fine di verificare se i suoi possibili costi siano effettivi, e se siano contenuti in dimensioni accettabili.

In concreto, si potrebbe far procedere per un certo tempo (ad esempio un triennio od un biennio) le prove scritte come attualmente effettuate da una prova congenita a quiz, da effettuarsi nel capoluo- go del distretto di residenza dell’aspirante. Tali prove saranno va- gliate come se si operasse in presenza della nuova disciplina, ma, nel periodo sperimentale, tutti i candidati verranno ammessi alle prove scritte rituali.

In esito alla correzione di queste ultime si controllerà quanti dei candidati che hanno superato le prove scritte tradizionali abbiano superato altresì la prova dei quiz. Se gli eliminati (teorici) nella pro- va per quiz non superano una certa quota prestabilita (si potrebbe indicare il 10 od il 15%), lo scarto si può ritenere accettabile, e quin- di dare ingresso legislativamente alla preselezione per quiz.

Se invece lo scarto fosse ritenuto troppo elevato, si potrebbe ab- bassare il tasso di selettività dei quiz (ad esempio aumentano il nu- mero delle risposte errate tollerate), ovvero – ove ritenuta troppo gra-

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ve la perdita di candidati che la prova tradizionale considera validi – abbandonare la formula in questione.

In questo senso, del resto, si sono mossi taluni emendamenti al disegno di legge 2578/C di cui s’è parlato in precedenza (Colaianni ed altri).

Questi emendamenti, col parere favorevole del Governo, sono stati accolti ed il disegno di legge stesso, che è stato approvato dal- la Commissione giustizia della Camera il 13 gennaio 1994 ed è pas- sato al Senato col n.1820/S, è auspicabile possa essere comunque va- rato nei suoi contenuti quanto prima possibile.

Si è trattato, per l’appunto, della introduzione di un sistema di preselezione a risposte multiple prefissate da valutare in sede infor- matica, mentre è mantenuto l’aumento del numero dei componenti della Commissione esaminatrice, l’adeguamento dei compensi, l’eso- nero dall’attività usuale anche per i docenti universitari, la possibi- lità di operare anche con più ridotto numero di docenti.

Va tuttavia sottolineato che il progetto prevede espressamente come la prova di preselezione per test sia circoscritta a dati mera- mente normativi.

Ciò non può essere apprezzato, poiché rivitalizza le obiezioni al sistema di preselezione per tests che si sono poc’anzi esposte, atte- so che, pur assicurando l’ovvia parità di trattamento tra tutti i pos- sibili candidati, la formulazione di quesiti che presuppongano per- corsi logici di interpretazione giuridica, relazioni tra fatto e norma e sinanche equità nelle soluzioni non dovrebbe essere esclusa.

Tra l’altro sarebbe anche possibile ipotizzare, oltre a punteggi minimi di ammissione, delle risposte di differenziata qualità, sì da ottenere una graduatoria finale del test con valori progressivi, che ben potrebbero essere conservati ed eventualmente sommati, col pe- so che si riterrà di dar loro, a quelli ottenuti nelle successive prove scritte ed orali, in tal modo concorrendo anche a determinare la gra- duatoria finale del concorso.

Altro terreno sul quale si può utilmente incidere, al fine di ri- durre di molto i tempi di espletamento delle procedure, è quello del- la correzione degli elaborati.

Le proposte ed i disegni di legge sin qui presentati si muovono nella direzione di aumentare il numero dei componenti della Com- missione esaminatrice, e di snellire i modi della correzione. Ma è del tutto ragionevole prevedere che questo tipo di accorgimenti porterà

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a risparmi di tempo contenuti (come, del resto, pronosticano gli stes- si proponenti).

È stata pertanto affacciata la proposta - anche sulla traccia di esperienze straniere rivelatesi positive e sia pure in termini attual- mente bisognosi di ulteriore approfondimento - di non allestire una Commissione esaminatrice sempre più pletorica, quanto piuttosto di istituire una Commissione centrale più ridotta ed agile, ed affianca- re alla medesima, per la sola correzione degli scritti, una platea di correttori molto ampia (ad esempio di 100-150 persone: il numero può essere di molto ridotto se si acceda alla precedente proposta di una preselezione a mezzo di quiz).

Costituito questo schieramento, ogni elaborato verrebbe inviato a due correttori, ubicati in distretti diversi, ed ignari l’uno dell’ope- rato dell’altro. I correttori riceverebbero un numero determinato di scritti (ad esempio 50), rientranti nella materia in ordine alla quale abbiano dichiarato previamente la propria competenza; e li restitui- rebbero con il loro motivato giudizio entro un tempo prefissato, ad esempio un mese.

Ove la loro valutazione fosse concorde (ovvero differisce non più di una ampiezza prestabilita: ad esempio non più di 2/20; e sem- preché, in questa ipotesi, non consista in un giudizio di idoneità ed in altro di inidoneità), il giudizio dei correttori esterni verrebbe ra- tificato dalla Commissione, ed il voto, se discorde nei limiti di cui sopra, corrisponderebbe alla loro media.

Se invece la doppia valutazione divergesse più di tanto, o se un giudizio fosse di approvazione mentre l’altro di riprovazione, la va- lutazione sarebbe rimessa alla Commissione centrale.

I correttori verrebbero designati, quanto ai magistrati, dai Con- sigli giudiziari, scegliendoli fra i colleghi che abbiano dichiarato la loro disponibilità, e che il C.G. ritiene forniti di preparazione, equi- librio e capacità docimologiche. Analogo criterio varrebbe per i pro- fessori universitari, indicati questa volta dai Consigli di Facoltà. La proporzione potrebbe essere corrispondente globalmente a quella og- gi prevista per la Commissione esaminatrice.

I correttori riceverebbero un compenso per ogni elaborato cor- retto; la mancata correzione nei termini comporterebbe la perdita di ogni compenso. Potrebbero essere studiate forme di alleggerimento dei compiti d’ufficio per il mese in questione: ad ogni correttore ver- rebbe inviato previamente un dossier contenente i criteri ai quali ispi-

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rarsi, ed un certo numero di elaborati corretti dalle precedenti Com- missioni, a titolo di orientamento.

È prevedibile, sulla base dell’esperienza francese che pratica ta- le metodo da tempo con risultati reputati soddisfacenti, che l’80-85%

degli elaborati ritorni con un giudizio di conformità o di contenuta difformità nel giro di poco più di un mese; e che la Commissione centrale possa rivedere in egual tempo la restante quota. In tal mo- do, nell’arco di non più di tre mesi dalle prove scritte, si potrebbe ottenere la correzione degli elaborati, quale che ne sia il numero (nel senso che si potrebbe aumentare la platea dei correttori in propor- zione all’eventuale ulteriore crescita dei candidati: ma, si ripete, l’in- novazione dovrebbe essere correlata con quella della pre-selezione a mezzi di quiz, anche per puntare ad un numero esiguo, e perciò qua- lificato, di correttori periferici.

Gli esami orali, a loro volta, vertenti - come già oggi - su po- chissime centinaia di candidati, potrebbero svolgersi con maggiore celerità attraverso una ripartizione della Commissione in sotto-com- missioni, e per effetto di taluni degli incentivi previsti dai disegni di legge. In tal modo è prevedibile che essi verrebbero espletati in altri tre mesi all’incirca, e l’intera procedura potrebbe essere contenuta in non più di otto mesi complessivamente.

Utilizzando l’insieme delle proposte, diventerebbe possibile indi- re il concorso per uditori giudiziari ogni anno a data fissa (ad esem- pio in gennaio, con preselezione nei mesi autunnali). Di riflesso il ti- rocinio potrebbe anch’esso avere inizio a data fissa, ad esempio il 15 settembre di ogni anno.

I benefici sarebbero ingentissimi, e di due ordini.

Una simile cadenza regolare, tradotta in norma dell’ordinamento giudiziario, avrebbe una grande forza traente nel produrre un alli- neamento di tutti i fenomeni di mobilità dei magistrati alla stessa data. Tutte le cessazioni dal servizio, i trasferimenti, le nomine, le assegnazioni di funzioni (comprese quelle dirigenziali) dovrebbero avere effetto a partire del 15 settembre di ogni anno, lasciandosi agli istituti della applicazione o della supplenza il far fronte a scopertu- re diverse, che non possano attendere la data ora detta (in questo senso si è già espressa la Relazione sullo stato della giustizia di que- sto Consiglio, 1991, p. 112).

Una proposta globale di questa fatta, da un lato, riceverebbe mi- gliore praticabilità da un allineamento anche di quel fenomeno mol-

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