• Non ci sono risultati.

Centro sociale A.25 n.142-144. Recenti orientamenti nel lavoro sociale

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Centro sociale A.25 n.142-144. Recenti orientamenti nel lavoro sociale"

Copied!
172
0
0

Testo completo

(1)

142-144

“ Centro S o ciale”

recenti orientamenti

nel lavoro sociale

(2)

Centro Sociale

P eriodico b im e stra le del C en tro di Educazione P ro fessio n ale p er A ssiste n ti So ciali (CEPA S)

C om itato scientifico

A. Ardigò, Istituto di Sociologia, Università di Bologna - G. Balandier, Sorbonne, Ecole Pratique des Hautes Etudes, Paris - R. Bauer, Società Umanitaria, Milano - L. Benevolo,

Architetto urbanista, Roma - M. Berry, International Federation of Settlements, New York - F. Botts, FAO, Roma - G. Calogero, Istituto di Filosofia, Università di Roma - M. Calogero Comandini, CEPAS, Roma - V. Casaro, Esperta Educazione degli Adulti, Roma - G. Cigliarla, Esperto Servizi Sociali, Roma - E. Clunies-Ross, Institute of Education, University of London - H. Desroche, Sorbonne, Ecole Pratique des Hautes Etudes, Paris -

J. Dumazedier, Centre National de la Recherche Scientifique, Paris - A. Dunham, School of Social Work (Emeritus), University of Michigan - Ai. Fichera, Fondazione « A. Olivetti », Roma - E. Hytten, Div. Social Affairs, UN, Ginevra - F. Lombardi, Istituto di Filosofia, Università di Roma - E. Lopez Cardozo, State University of Utrecht - A. Meister, Sorbonne, Ecole Pratique des Hautes Etudes, Paris - G. Molino, Esperto Servizi Sociali, Roma - G. Motta, Fondazione « A. Olivetti », Roma - R. Nisbet, Dept. of Sociology, University of California - C. Pellizzi, Istituto di Sociologia, Università di Firenze - E. Pusic, Faculty of Law, University of Zagreb - L. Quaroni, Facoltà di Architettura, Università di Roma - Ai. G. Ross, University of Toronto - M. Rossi-Doria, Centro di Specializ. e Ricerche Economico-agrarie per il Mezzogiorno, Università di Napoli (Portici) - U. Serafini, Presi­ denza Consiglio Comuni d’Europa, Roma - M. Smith, Home Office, London - A. Todisco,

Fondazione « A. Olivetti », Ivrea - A. Visalberghi, Istituto di Filosofia, Università di Roma - P. Volponi, Fondazione « A. Olivetti » - E. de Vries, Institute of Social Studies (Emeritus), The Hague - A. Zucconi, CEPAS, Roma.

C om itato di redazione

Adele Antonangeli MarinoElisa CalzavaraTeresa Ciolfi OssiciniEgisto Fatarella

Velelia MassaccesiGiuliana Milana LisaLaura Sasso Calogero.

Dirett. responsabile: Anna Maria Levi - Segret. diredazione: Ernesta Rogers Vacca

Direz. redaz. amministraz. piazza Cavalieri di Malta, 2 - 00153 Roma - tel. 573.455

Abbonamento a 6 numeri annui L. 8.500 — estero L. 11.000 — un numero L. 1.500 — spedizione in abbonamento postale gruppo IV - c. c. postale n. 25057001. —

(3)

Ai nostri lettori

Siamo spiacenti di dover comunicare che a causa di problemi organizza­

tivi e di revisione dei programmi la rivista Centro Sociale, a partire dal

1° gennaio 1979, sospende le pubblicazioni, per un periodo che ci

auguriamo breve.

La

International Review of Community Development — finora pubbli­

cata come fascicolo internazionale compreso nell’abbonamento a Centro

Sociale — proseguirà, invece, come una pubblicazione indipendente, a

cura di una équipe della Scuola di servizio sociale dell’Università di

Montréal (vedi sotto), sotto la direzione del prof. Frédéric Lesemann.

Terremo informati i nostri abbonati circa la ripresa di

Centro Sociale

(il cui abbonamento in ogni caso non comprenderà più il fascicolo inter­

nazionale). Si prega quindi di soprassedere ai rinnovi di abbonamento

per il 1979.

Gli abbonati che desiderano continuare a ricevere la

International Re­

view of

Community

Development dovranno d ’ora in avanti rivolgersi

direttamente a:

Revue Internationale d’Action Communautaire / International Review

of Community Development, Ecole de Service Social, Universite de

Montréal, Case Tostale 6128, Succ. A., Montréal P.Q. H3C 3J7, Canada.

Gli abbonamenti ( $ 1 2 USA) possono essere versati direttamente a:

Revue Internationale d ’Action Communautaire oppure International

Review of Community Development, Banque Canadienne Rationale,

1283 Avenue Bernard, Montréal P.Q. H2V 1V8, Canada, sul conto

n. 130-00913-24.

(4)

¿•ro âl'ïï

h . ' ; : - :

U I *

.

(5)

Centro Sociale

scienze so ciali - serv izi so ciali - educazione d egli ad u lti sv ilu ppo d i comunità.

anno X X V , n. 142-144, luglio-die. 1978 E. Rogers Vacca A. Mìnahan e A. Pincus M. Dal Pra Ponticelli M. Calogero Comandini C. A. Alexander C. Creer B. L. Hudson C. P. Brearley e J. Richardson J. H. Berry S. A. Holmes et al. M. Miller L. J. Empey Sommario

Recenti orientam enti nel lavoro sociale (a cura di E. Rogers Vacca)

V Introduzione

1 Alcuni concetti nella pratica del servizio sociale

11 Servizio sociale e partecipazione

31 « Inconvenienti » del lavoro di gruppo

39 II significato della rappresentanza 49 Vivere con gli schizofrenici

61 Lavorare nel campo della schizofrenia 67 II servizio sociale in ospedale geriatrico

75 II rapporto diretto con i bambini in difficoltà 95 II lavoro con i genitori che maltrattano i bambini

111 Lavoro di gruppo con madri di bambini handicappati 117 Trattamento di gruppo di adolescenti con handicap multiplo

127 R ecensioni

V. Padiglione, L ’amicizia. Storia antologica di un bisogno estraniato

(L Cannavo); G. Staterà, Sociologia della scienza (G. Losito); G. Losito Dalla società contadino-artigianale alla società industriale

(D Franco)- A A .W ., L ’insegnamento delle scienze sociali: dove, come, perché (D. Franco); P. Melodia e S. Rolando, Ecologia e ambiente nella scuola italiana (N. Negri); R. Bettirn, Governo della città, processi partecipatori e sottosistemi urbani (L. Cannavo); L>. De Masi, Dentro l'università - C. De Francesco e P. Trivellato, La laurea e il posto (E. Manna); M. Negri, Archeologia industriale e didattica dei beni culturali: un primo bilancio della pubblicistica italiana.

145 D ocum enti

(6)

'

. y H i t:.\ y. .VM - , ■' /, > ; i til-'1? : ■■ • ■ n O :'. : ' !J • , ■ ■ • : ■•> • ï Ì . 1 f r ü , 0 t . » . L •. . . •••' ' . .

' ■

. . .

.

(7)

Introduzione

di E rn e sta R o gers V acca

Come sanno i nostri lettori, la rivista Centro Sociale non è mai stata, in tutti i venti­ cinque anni della sua vita, una rivista dedicata esclusivamente agli assistenti sociali, e neppure si è mai fregiata di un titolo che implicasse una esclusiva preoccupazione per i problemi del servizio sociale. Appunto perché preparata e diretta nell’ambito di una Scuola di servizio sociale, la rivista ha sempre mirato a fornire materiale che allargasse l’orizzonte dei lettori, partendo dall’ipotesi — inizialmente piuttosto originale — che il campo dei servizi sociali non era un campo esclusivo degli assistenti sociali, ma un campo in cui lavorano diversi tipi di operatori, ed in cui la partecipazione degli utenti dei servizi è altrettanto importante quanto l’operato del tecnico o dello specialista.

Queste idee sono ora comuni alla maggior parte degli operatori sociali — anche se spesso si tratta di affermazioni di intento più che di realtà — anzi, sono diventate così comuni, che hanno ingenerato non poche confusioni e malintesi, nel passare da un contesto all’altro e da un operatore all’altro.

Probabilmente è proprio per questa ragione che questo ultimo volume della rivista del CBPAS è dedicato in gran parte allo studio di casi particolari, di metodi e di tecniche (parole che fino a poco fa non si potevano nominare senza correre il rischio di sembrare « passatisti » ) ; dedicato cioè in modo speciale agli assistenti sociali, e ad una serie di problemi specifici che li riguardano e dei quali ci sembra si sia parlato troppo poco negli ultimi anni. Forse è arrivato il momento di ripren­ dere le fila di un discorso antico, e riconsiderare il contesto nel quale ci muoviamo.

Cercheremo qui di spiegare il perché della nostra scelta, e speriamo che i nostri lettori siano invitati da questa scelta a riflettere e a dibattere questi problemi: anche se non potremo per il momento raccogliere il dibattito, ci sarà soddisfazione sufficiente l’averlo suscitato, perché il rischio maggiore in tutte le situazioni è quello del compiacimento del presente, che porta all’immobilità e all’inerzia.

Sono state date molte ragioni per il cosiddetto fallimento del servizio sociale in Italia: sono ragioni che in genere non condividiamo perché la nostra analisi non usa termini come « fallimento » o « successo », e tende a cercare di individuare cosa esattamente è accaduto, prima di dare giudizi di valore e di merito. Comunque, quelli di noi che sono stati sulla scena del servizio sociale fin dai suoi inizi in Italia subito dopo la seconda guerra mondiale, sanno che si tratta in genere dì

(8)

spiegare come mai l’utilizzazione degli assistenti sociali negli enti assistenziali italiani è stata così infelice e così limitata; e perché i modi di lavorare tipici di questa professione hanno così poco attecchito. Il problema può essere interes­ sante, anche se si tratta in parte di un problema mal posto: in effetti non si tratta tanto delle fortune di una particolare professione e dei suoi metodi, quanto della qualità dei servizi, della quantità di servizi, e della diffusione geografica dei servizi nel nostro Paese.

Ma se eliminiamo dal nostro campo presente di interesse questo specifico problema, è pur vero che ci sono interrogativi interessanti nel passato del servizio sociale italiano, e sono state attraversate diverse fasi: ci sembra di vedere oggi che una di queste fasi, quella dell’opposizione cieca e fideistica ad ogni specie di questione concernente metodi e modi di fare le cose sia per terminare, e che ci si avvia ad una più pacata e consapevole critica, sulla via del riconoscere la necessità di un modus operandi che sia efficace.

Con questa fase, ci sembra cadano anche i miti relativi a quello che si può o non si può imparare dai paesi anglosassoni; finita una facile xenofobia, e ancora più sepolto il mito di un modello perfetto e irraggiungibile di marca USA o UK, ci ritroviamo di fronte alle soluzioni date da altri a problemi che essi hanno sperimentato. Ovviamente, ogni società ha i problemi che le derivano dalla sua particolare struttura sociale e istituzionale, che affonda le radici in una lunga storia politica e giuridica; non esistono facili trapianti.

D ’altro canto, siamo tutti persone che si trovano a dover affrontare le stesse crisi esistenziali, della nascita, della pubertà, della vita sessuale, della vecchiaia, della morte, per non parlare dei problemi connessi al lavoro, alla salute, all’abitazione. Le grandi città si somigliano sempre di più, e così i tipi di lavoro e di tempo libero; è in gioco una tendenza all’uniformità oltre che una tendenza alla differenziazione. Ter questo abbiamo « osato » pubblicare oggi delle traduzioni di articoli stra­ nieri. Esistono naturalmente ottimi articoli di autori italiani nelle nostre riviste specializzate; sono articoli che tutti possono reperire e leggere senza difficoltà. Più difficile, per chi non ha a disposizione una buona biblioteca, e non ha sufficiente pratica di altre lingue, leggere gli articoli più importanti comparsi nelle riviste straniere. La maggior parte degli articoli italiani, comunque, sono ora o resoconti di quanto è stato fatto in qualche parte del territorio del nostro Paese in un dato campo, oppure articoli che concernono la politica dei vari servizi.

Ambedue questi campi sono importanti; ma spesso quello che è possibile fare in un comune del Nord o del Centro è del tutto utopistico in un comune meridionale ( tanto quanto il resoconto di quel che accade in Scandinavia), e la preoccupazione per la politica dei servizi è basilare, ma non è il solo campo di cui dobbiamo e possiamo interessarci.

Naturalmente, la ragione principale dello scarso successo dei servizi sociali italiani dal punto di vista degli utenti e dei professionisti che vi lavoravano, era proprio la scarsa chiarezza della politica dei servizi, che spesso invece implicava indirizzi contrastanti con quelli che la metodologia professionale presupponeva. Tuttavia, una chiara elaborazione della politica, pur inducendo il problema del come, non può

(9)

necessariamente prevederne tutte le articolazioni. E ’ possibile oggi, ci sembra, dare questa maggiore attenzione ai problemi di metodo, appunto perché cominciano ora ad esistere le condizioni di base per occuparsene. L ’errore — se così si può chiamare — commesso in precedenza era stato un errore di prospettiva: un eccessivo interesse nel come della professione, prima che ci fossero le condizioni istituzionali per poter mettere in pratica certi modi di fare e di rendere servizi.

Il primo logico era, indubbiamente, la trasformazione istituzionale; compito questo preminentemente dei politici. ( Tuttavia, non dobbiamo neppure trascurare il fatto che m a buona parte delle critiche all’assetto istituzionale esistente, ed una buona parte degli esperimenti alternativi all’assetto istituzionale esistente, sorsero perché esistevano gli assistenti sociali). Ma esiste il rischio di perdere il senso della trasformazione e del cambiamento, se perdiamo di vista il fatto che si è voluto cambiare per avere servizi non semplicemente diversi, ma migliori. Non è possibile scindere il modo di lavorare dalla struttura in cui si lavora; questo abbiamo imparato in tanti anni e a nostre spese. Ma non possiamo in eterno centrare il nostro interesse sul cambiamento di istituzioni e di politiche, e trascurare i problemi di metodo e di modo di lavorare.

Pur vero è che ogni generazione tenta con lodevole sforzo di inventare di nuovo l’ombrello (e ad ogni generazione l’ombrello cambia un poco di forma, se non di funzione). Quel che non possiamo in alcun modo fare è di evitare la pioggia senza ricorrere ad un qualche strumento di protezione: salvo naturalmente rimanere a casa e negare insieme l’esistenza della pioggia e dell’ombrello.

La raccolta di articoli che presentiamo nasce non solo dal desiderio di confronto e di scoperta di quel che fanno gli altri di fronte a problemi analoghi, se non identici. Nasce anche dal bisogno, sentito in modo preciso dalla équipe di insegnanti del CEPAS, di strumenti didattici aggiornati e utilizzabili. Chi scrive ricorda ancora gli articoli raccolti dalla Commissione Tecnica dell’AAI per uso delle scuole di servizio sociale: sembra oggi quasi materiale archeologico. Serve, dunque, del materiale nuovo per dare inizio a discussioni e dibattiti: e riteniamo che ormai la professione sia sufficientemente matura, per sapere scegliere criticamente cosa può essere utilizzato e che cosa invece va respinto. Ma non riusciamo ad immaginare un esercizio più utile di quello che si basa sulle risposte possibili a domande semplici come « Perché in questo caso l’assistente sociale si comporta così? Quali sono i valori sociali, le remore, i tabù che rendono un’azione simile possibile/ impossibile qui da noi? Quali sono le caratteristiche della struttura che la permet­ tono, o che la renderebbero impossibile? A che tipo di politica sociale si riferisce? Si tratta di una politica possibile/ desiderabile da noi? » e così via. In certo senso, in queste discussioni si può anche dimenticare il punto di partenza: l’importante è di suscitarle, di aiutare gli studenti a riflettere e pensare criticamente, utilizzando i concetti che sono forniti dalle materie di base studiate nel corso: sociologia, antro­ pologia, psicologia, diritto.

Parlare di questi problemi è diventato possibile anche perché sono gli studenti stessi ad essere cambiati. Se per alcuni anni è stato veramente difficile per gli

(10)

insegnanti indurre gli allievi a scendere dal generale al particolare, ora la cosa e non solo possibile, ma richiesta. Una delle possibili ragioni è probabilmente da ritrovarsi nel fatto che il tirocinio oggi è un’esperienza assai piu disorientante e difficile che non per il passato.

La rigidità e la ristrettezza di funzioni di molti degli enti ora scomparsi aveva una serie di effetti sugli studenti, che in parte erano negativi ed in parte positivi. La reazione era spesso vissuta in chiave anti-autoritaria e di opposizione, ma esisteva un qualcosa contro cui lottare, contro cui era possibile battersi, e la stessa esperienza di questa lotta aveva — poteva avere — un effetto maturante. Ora, questo muro contro cui battere la testa spesso non esiste più, e si ha invece la sensazione di una barriera elastica, contro cui ci si può battere, perché non costituisce un limite preciso all’azione. Molti degli allievi si trovano sul campo senza precise indicazioni delle aspettative da parte dell’ente di quel che devono fare con gli utenti. È difficile trovare un livello di lavoro, sapere se si fa troppo o troppo poco, se quel che si fa è quello che è considerato accettabile o no. E specialmente, nessuno o quasi da indicazione sul come le cose vadano fatte.

Molti sono gli slogan e le frasi fatte ( « responsabilizzare l’utente » ; « deisti­ tuzionalizzare l’anziano » ; « non discriminare contro il delinquente, il malato di mente, l’handicappato, il diverso »).

Linee generali sacrosante, ma in pratica, come si fa? E oggi gli allievi deside­ rano sapere come si fa; vogliono fare delle esperienze di tirocinio che abbiano un senso preciso e non siano vaghe aspirazioni. Nella pratica, è pur sempre necessario parlare con un bambino, aiutare una donna a decidere se abortire o no, trovare il modo di evitare per l’anziano il ricovero in istituto mobilitando tutte le risorse che ci sono nel vicinato e nella comunità E non c’è dubbio che queste cose si possono far bene e far male. Il colloquio col bambino può diven­ tare un monologo; la decisione della donna può essere veramente la sua o essere una forzatura; l’anziano può trovarsi meglio in casa sua perché veramente ci sono vicini che visitano, aiuti concreti ai problemi quotidiani, o può essere ancora più isolato e abbandonato che nel vecchio ricovero.

Imparare a far le cose per bene costa fatica e riflessione; non è un fatto di intuizione artistica, e neppure di formazione politica soltanto. È un esercizio costante a porsi domande scomode, si può imparare, ma va insegnato.

Gli articoli che abbiamo raccolto per la maggior parte, come si è detto, affron­ tano problemi specifici (e sono stati scelti, naturalmente, perché concernono pro­ blemi rilevanti per i nostri servizi).

Sarebbe importante ed interessante dilungarsi su questo tema: e cioè, quanto vi sia di generico e quanto di specifico nella preparazione e nell’attività di assi­ stenti sociali che si occupano costantemente di gruppi specifici di clienti. È oppor­ tuno pensare ad una unità di servizi socio-sanitari come composta di persone intercambiabili, e di persone che hanno un carico di lavoro misto, o di una équipe di persone ciascuna delle quali ha una competenza specifica?

(11)

Quello dell’operatore unico o meno, ci sembra di nuovo un problema mal posto, una domanda sbagliata. Ci sembra del tutto evidente che^ non tutti facciamo le stesse cose, siamo capaci di fare le stesse cose, e che non è possibile aspettarsi da una stessa persona competenze in tutti i possibili campi, dal sanitario al giuridico, al sociale.

È anche evidente, d’altro canto, che la frammentazione esistente in precedenza nelle competenze dei vari enti grandi e piccoli — l’esistenza di enti diversi per bambini, bambini orfani, bambini orfani di guerra, bambini orfani di guerra mi­ norati, ecc. — era assurda, dispendiosa e improduttiva.

Ci sembra necessario notare, tuttavia, che la cosa importante è che il servizio da rendere all’utente sia il migliore possibile. Questo significa, tra l’altro, che l’utente ha diritto ad essere trattato come una persona intera, non soltanto come « categoria » particolare; che ha diritto a non avere troppo persone fra i piedi; e che ha diritto anche a ricevere il servizio che gli occorre da persone veramente competenti ad aiutarlo.

Non è cioè l’operatore che deve essere polivalente o generico: è il servizio o ente che deve avere, nel suo personale, elementi competenti a prestare tutti i servizi necessari alle persone di quella particolare comunità.

Ma in pratica resta pur sempre vero che l’esperienza è un fattore insostituibile. È soltanto dopo avere veduto e trattato e cercato di aiutare un numero notevole di persone con un certo tipo di problema che si diventa più accorti nel notare certe caratteristiche comuni, nel notare quello che rende quella situazione speciale e diversa da ogni altra.

Non si tratta di applicare delle etichette a ciascun cliente (cosa del resto tut-t’altro che facile. Chi di noi ha mai incontrato il tipico «isterico », il tipico « delinquente » ? Non esistono in realtà, sono costrutti della nostra mente, una sorta di stenografia, per indicare una serie di caratteristiche personali, spesso legate ad una serie di eventi nella vita personale...). Ma non c’è dubbio che capire a fondo che cosa si può fare per aiutare una persona ad accettare, ad esem­ pio, una grave minorazione fisica subita in età adulta — aiutare il processo di lutto e di dolore — è abbastanza diverso che non l’aiutare una persona in con­ dizioni di depressione nevrotica; indubbiamente un operatore preparato può capire quello che sarebbe necessario, ma non è sempre e necessariamente in grado di produrre in modo effciente il lavoro richiesto.

Accanto a questi problemi diciamo così più legati alla capacità di trattare con il singolo (buona parte del tempo di un assistente sociale è infatti speso in questo modo), ci sono poi problemi di carattere più generale che fanno pensare all’utilità di una certa specificità nelle mansioni dei vari operatori di una équipe. La conoscenza delle risorse esistenti, e, cosa ancora più importante, il saper valutare criticamente quanto e come ciascuna di queste risorse può essere utilizzata nel modo migliore, richiede una rete di contatti istituzionali^ e comunitari che comporta una notevole spesa di tempo e di energia. Non c’è dubbio che lavorando in una certa zona geografica, è necessario conoscere personalmente una serie di istituzioni e di operatori specifici, quali assistenti sanitarie, medici,

(12)

rettori di scuola, visitatrici scolastiche, piccoli gruppi di attività ricreative, ecc. Occorre conoscere queste persone abbastanza intimamente per poter valutare, ad esempio, quale peso dare, quale priorità dare ad un allarme che ci derivi da una di esse, ad una segnalazione urgente. Occorre saper valutare quale tipo di approc­ cio ciascuna di queste persone può avere nei confronti dei vari casi della vita- quale tipo di approccio, ad esempio, un gruppo ricreativo potrebbe avere nei confronti di un ragazzo estremamente chiuso o viceversa molto aggressivo e « indisponente ».

Ma questa conoscenza diretta trova necessariamente un limite sia nel fatto che la giornata ha ventiquattro ore, sia nel fatto che le persone si conoscono veramente solo lavorandoci insieme. Se un assistente sociale si deve occupare simultaneamente di ragazzi e di vecchi, di donne in gravidanza a rischio, di omo­ sessuali, di bambini maltrattati dai genitori e di difficoltà scolastiche, di alloggi inadatti e di ospedali malfunzionanti, inevitabilmente avrà contatti minori con le risorse specifiche di ciascun campo, e quindi maggiori difficoltà nel valutare l’uso sensato di ciascuna delle risorse.

Ora non c’è dubbio che questo — almeno a nostro giudizio — è il campo specifico dell’assistente sociale. Il lavoro che lo distingue dallo psicologo, o dal sociologo (anche quando questi operatori lavorano in campo «applicato» anziché di «ricerca di b ase») è appunto nella considerazione e nell’uso delle risorse, e nel modo con cui aiuta l’utente a servirsene per il suo particolare problema. (È inteso che quando si parla qui di utenti, non è necessariamente una sola persona alla volta che intendiamo; può trattarsi anche di piccoli gruppi, o di gruppi abbastanza grandi di cittadini).

Non si tratta — lo ripetiamo — di mantenere « buoni rapporti » con una serie di operatori diversi. Questo è ovvio, e non occorre neppure sottolinearlo; e fra l’altro, possono benissimo prodursi occasioni in cui occorre viceversa proprio il contrario: non il buon rapporto, ma la denuncia, quando qualcosa non funziona. Non esiste omertà per un assistente sociale, ma altro tipo di considerazioni! Il vero problema sta nell’offrire la risorsa giusta alla persona o persone giuste. Sapere se un certo gruppo di animazione potrebbe in realtà aiutare un certo gruppo di bambini, oppure no, non è una ricetta: dipende da quanto si conoscono i bambini in questione, ed il gruppo di animazione in questione.

Proporre uno scambio di alloggi fra due famiglie, significa sapere bene come queste reagirebbero al cambiamento di ambiente, e per ambiente dobbiamo essere abbastanza specifici da sapere indicare le zone di rischio del cambiamento (scuola? amicizie? trasporti? ecc.).

È certamente più facile conoscere le risorse specifiche in un certo settore di lavoro, che non familiarizzarsi con le risorse specifiche di un intero territorio in tutti i possibili campi di lavoro; e questo anche perché molto spesso alcune delle risorse necessarie sono al di fuori della zona geografica di lavoro. Nessuno opera in zone così bene organizzate da poter trovare tutte le risorse in loco (salvo forse isole felici che rappresentano un’eccezione anziché la regola); anzi, per certi tipi di problemi, è in genere previsto che le risorse specifiche abbiano una

(13)

articola-zione territoriale più ampia, e quindi siano localizzate al di fuori di quella

particolare zona geografica. .

È proprio per riportare l’attenzione degli assistenti sociali operanti e dei futuri assistenti sociali sulla questione delicata dei settori di lavoro, che abbiamo voluto scegliere una serie di articoli su argomenti specifici. Notare quanto è delicato e minuzioso il lavoro da fare nel parlare con un bambino in difficoltà, con un handicappato, con i familiari di uno schizofrenico, non significa tornare alla vecchia divisione del lavoro. Né significa necessariamente isolarsi in un lavoro ripetitivo, perché in un lavoro di relazioni, com’è quello dell’operatore sociale, ogni costella­ zione familiare e sociale ha problemi interconnessi: è difficile pensare ad un individuo con un problema personale che non sia legato anche alla sua famiglia, al suo lavoro, al suo ambiente (se esistesse, probabilmente non sarebbe un pro­ blema che ci riguarda!) Significa, invece, rendersi conto di quanto c’è da impa­ rare; significa anche, tra l’altro, rendersi conto dei propri interessi, perché ogni diverso operatore può — ci sembra legittimamente — avere interesse diverso a lavorare con adolescenti, con malati, con anziani o altri gruppi specifici.

E infine non è forse superfluo ricordare un’altra cosa, altrettanto importante: i gravi problemi del territorio sono gravi appunto perché incidono sulla vita di tante persone, ciascuna delle quali, individualmente, ha diritto ad una vita decente, ad una certa sicurezza, alla certezza che i servizi esistano, e siano forniti in modi adeguati.

Er n e s t a Ro ge rs Va c c a

(14)

. . ‘ '■ - \ - ' . , ■ ■ ' il < -V ^ ‘ ’ ’ - ,

(15)

Alcuni concetti nella pratica del servizio sociale

d i Anne M inaban e Alien P in cns

Compito del servizio sociale è promuovere i valori sottesi ai fini e ai mezzi della professione. Questi valori, che riflettono i più ampi valori della società, sono i seguenti:

1. La gente dovrebbe avere accesso alle risorse che le occorrono per soddi­ sfare le varie esigenze della vita, per alleviare i mali, per realizzare le proprie aspirazioni.1

2. Le operazioni tra persone tendenti ad assicurare ed utilizzare le risorse dovrebbero consolidare la loro dignità, individualità e auto-determinazione.

3. La realizzazione di questi valori dovrebbe costituire la reciproca respon­ sabilità del singolo cittadino e della collettività sociale. La responsabilità della società comprende la promozione di quelle condizioni in cui i cittadini abbiano possibilità di adempiere, per il vantaggio reciproco, alle responsabilità sociali, e di partecipare al processo democratico.

Le finalità del servizio sociale scaturiscono dal compito che la società ha asse­ gnato alla professione perché si faccia carico di determinati problemi sociali, e dalla percezione che la professione ha di quanto promuove o ostacola la realizza­ zione del suo compito.2 I concetti che si usano per specificare gli obiettivi devono concentrare l’attenzione sulle realtà che il servizio sociale deve affrontare, devono esprimere le funzioni o i contributi propri del servizio sociale come professione, e devono offrire una ragione di identità agli operatori. Nel presente articolo due concetti chiave vengono usati nella trattazione degli obbiettivi del servizio sociale: le risorse e l’interazione tra la gente e l’ambiente sociale.

Per risorsa si intende qualsiasi strumento usato per raggiungere degli scopi, per risolvere dei problemi, per alleviare dei mali, per far fronte alle esigenze della vita o per realizzare aspirazioni e valori.3 Le risorse possono essere tangibili, come il denaro, il cibo, la casa, le cure quotidiane; oppure non tangibili, come la cono­ scenza, il coraggio, la speranza, l’amore, lo status. Alcune risorse possono essere consumate o utilizzate direttamente o mediamente per risolvere un problema o soddisfare un bisogno; così il cibo, in quanto risorsa per risolvere il problema della

Traduzione dell’articolo " Conceptual Framework for Social Work Practice ” , pubblicato in

Social Work (Journal of thè « National Association of Social Workers », USA), voi. 22, n. 5, sett. 1977, pp. 347-352. Alcuni passi relativi alla formazione e specializzazione sono stati omessi, in quanto non trovano un parallelo nella situazione italiana.

(16)

fame. Altre risorse non sono usate direttamente, ma come mezzo per ottenerne altre; per esempio il fatto di sapere dove ottenere buoni alimentari o assistenza finanziaria. Le risorse non hanno valore per se stesse; sono utili solo se finalizzate alla soluzione di un problema o al raggiungimento di uno scopo.

Il denaro, per esempio è una risorsa potenziale per il cibo. Ma il suo valore è limitato se non vi è la possibilità di usarlo: per esempio, se una persona anziana è impossibilitata a recarsi in un negozio o al ristorante.

L ’uso delle risorse comporta di solito l’interazione con altri. Il secondo con­ cetto chiave, quello dell’interazione fra la gente e l’ambiente sociale, illumina questa interdipendenza. L ’interazione avviene secondo vari sistemi, che compren­ dono la rete informale e naturale di aiuto dato dalla famiglia, dagli amici, dai vicini; gruppi più formali ed organizzati come le associazioni tra genitori e insegnanti, le associazioni di quartiere, i sindacati, le società mutue; ed infine la rete dei servizi, pubblici e privati, per la sanità, l’assistenza sociale, l’istruzione pubblica. Questi sistemi sono indicati come « sistemi di risorse », mediante i quali la gente ottiene, sviluppa, mobilita, partecipa, scambia ed usa le risorse. Attraverso questi sistemi la gente e la società adempiono alle loro reciproche responsabilità.

Usando i concetti di risorse e di interazione con l’ambiente sociale, si possono identificare cinque aree di problemi che interessano il servizio sociale. Un problema grave è quello della possibile inesistenza di un « sistema di risorse » di cui si ha bisogno: può esserci carenza di mezzi di trasporto o di servizi a domicilio per gli anziani di una comunità; i genitori di bambini handicappati possono non avere un gruppo o una organizzazione cui rivolgersi per condividere le loro preoccupa­ zioni e organizzare un’azione collettiva; una comunità può mancare di centri o gruppi organizzati per adulti ritardati mentali; un anziano rimasto vedovo può essere privo di qualsiasi sistema naturale di aiuto su cui appoggiarsi.

Quando i sistemi di risorse esistono, un secondo ordine di problemi può derivare dalla mancanza di collegamenti tra la gente e gli stessi sistemi, oppure dalla man­ canza di collegamenti tra i vari sistemi. Così per esempio, una ragazza giovane può non sapere dove informarsi sul controllo delle nascite o può essere scoraggiata dal farlo dalle procedure per l’ammissione in un consultorio; un dipartimento re­ gionale di servizio sociale può non essere al corrente delle persone della comunità che hanno bisogno di buoni alimentari.

Un terzo ordine di problemi scaturisce dall’esame dell’interazione fra le persone che già fanno parte di un sistema di risorse. In questa prospettiva, gli utenti degli enti di servizio sociale, i pazienti in ospedale, gli scolari e i loro genitori, sono considerati come parte di un sistema di risorse; cioè sono parte dell’ente di servizio sociale, dell’ospedale o della scuola. Problemi di interazione sorgono, per esempio, quando non si consultano gli ospiti di una casa per anziani sui programmi di rin­ novamento della casa stessa. Se un padre è disoccupato, mentre la madre trova un lavoro, si possono creare tensioni nei ruoli familiari. Procedure inadatte a livello decisionale possono ostacolare gli sforzi dei membri di un movimento di punta interessato alla qualità ed efficienza dei servizi a favore delle madri nubili.

(17)

Conflitti interni tra i leaders di un comitato di quartiere possono assorbire tutte le energie dei membri, distogliendoli dai loro compiti. La procedura usata per il reclutamento dei bambini in un programma di corsi di sostegno in una scuola può peggiorare le loro difficoltà di inserimento imponendo loro l’etichetta di « scolari ad apprendimento lento ».

Le interazioni esistenti tra i sistemi di risorse rappresentano una quarta fonte di problemi. Una associazione di genitori affidatari può avere motivi di risenti­ mento verso certi enti che si occupano di assistenza all’infanzia ma che non danno ascolto alle loro preoccupazioni. La partecipazione della polizia in un programma contro la droga può far sorgere dei dubbi agli interessati sulla riservatezza delle loro comunicazioni con gli assistenti sociali. Un assistente sociale può aiutare una madre a trovare un’occupazione meglio retribuita, per scoprire poi che è stata esclusa dalle prestazioni di un altro ente di assistenza all’infanzia perché guadagna troppo. Un cliente può venir indirizzato al servizio di emergenza di un ospedale soltanto per sentirsi dire che non può essere assistito perché non risiede nella città.

Un quinto ordine di difficoltà riguarda l’individuo in relazione alle sue risorse o capacità interne di affrontare o risolvere i suoi problemi. Una ragazza non sposata che scopre di essere incinta può essere così stravolta dai suoi problemi da non sapere da che parte cominciare ad affrontarli; un uomo uscito di prigione può essere preoccupato dall’impressione che farà in una intervista per un posto di lavoro; un insegnante può sentirsi frustrato di fronte agli alunni che disturbano la classe.

L ’identificazione di queste aree problematiche connesse al compito del servizio sociale porta ad individuare corrispondentemente cinque obiettivi principali della pratica del servizio sociale, che devono essere perseguiti per la realizzazione dei valori professionali:

1. Aiutare e sviluppare nuovi sistemi di risorse per andare incontro ai bisogni della gente.

2. Stabilire collegamenti iniziali tra persone e sistemi di risorse, e tra i vari sistemi, per renderli reciprocamente accessibili.

3. Facilitare l’interazione tra individui nell’ambito dei sistemi di risorse per promuovere un funzionamento efficace ed umano, rendendoli sensibili ai bisogni della gente.

4. Facilitare le interazioni in atto tra sistemi di risorse per rendere questi sistemi capaci di funzionare efficacemente insieme.

5. Aiutare le persone a sviluppare ed utilizzare in maniera efficace le loro risorse interne atte ad affrontare e risolvere i problemi.

Che c o sa fann o g li a ss iste n ti so ciali

Vi sono almeno due modi efficaci per descrivere quello che gli assistenti sociali fanno per raggiungere i loro obiettivi. Il primo, è quello di specificare i compiti e le attività che possono collegarsi ad uno o più obbiettivi del servizio sociale.

(18)

Il secondo, è quello di identificare i compiti e le attività che costituiscono il pro­ cesso di cambiamento pianificato, o di soluzione di problemi,^ impiegato dagli assistenti sociali nel perseguimento di un qualsiasi obbiettivo. L ’elenco che segue illustra il primo tipo di approccio. I compiti e le attività elencate per ciascun obbiettivo rappresentano soltanto alcuni esempi tipici.

1. Aiutare a sviluppare nuovi sistemi di risorse.

__ Organizzare reti « naturali » di aiuto, come un programma tipo « telefono amico » rivolto agli anziani che vivono da soli, e da essi realizzato.

__ Testimoniare in un’udienza pubblica il bisogno di un nuovo servizio. __ Scrivere una proposta per finanziare un nuovo programma.

__ Assistere un gruppo di cittadini nella formazione di un comitato di quartiere.

2. Stabilire collegamenti iniziali tra persone e sistemi di risorse, e tra i vari sistemi di risorse.

Individuare, localizzare e fornire informazioni alle persone che possono bene­ ficiare di un sistema di risorse.

__ Aiutare le persone a superare le barriere psicologiche che si interpongono all’utilizzazione o alla partecipazione ad un sistema di risorse.

— Adoperarsi per cambiare le procedure di ammissione ed altre disposizioni che, in pratica, escludono persone che hanno bisogno di una determinata risorsa.

__ Sviluppare un meccanismo di riferimento tra due sistemi di risorse, come un centro di quartiere e una scuola pubblica.

3. Facilitare l’interazione tra individui nell’ambito dei sistemi di risorse.

— Aiutare una famiglia a sviluppare un metodo più idoneo per risolvere i conflitti o le dispute.

__ Sviluppare un meccanismo per l’immissione degli utenti nel processo deci­ sionale di un ente, per esempio un comitato di lungo-degenti in un istituto.

__ Aiutare il personale di una istituzione per l’infanzia a sviluppare ed usare il lavoro di équipe.

— Aiutare i membri di un comitato di quartiere a trattare i problemi di dis­ senso interno.

4. Facilitare le interazioni in atto tra sistemi di risorse.

__ Coordinare i servizi messi a disposizione di una persona o di una famiglia da più enti diversi.

(19)

— Fornire informazioni agli enti di assistenza all’infanzia circa nuove disposi­ zioni legislative che possono modificare i loro rapporti di lavoro con il tribunale minorile.

— Aiutare coloro che si occupano dei programmi contro la droga e la polizia a ridefinire i loro rapporti reciproci.

5. Aiutare le persone a sviluppare ed utilizzare in maniera efficace le loro risorse interiori atte ad affrontare e risolvere i problemi.

— Aiutare le persone a chiarire la natura delle difficoltà da fronteggiare. — Aiutare i singoli individui nell’identificazione delle loro risorse interne. — Aiutare le persone a considerare modi alternativi di risolvere un problema. — Insegnare come comunicare.

Questo elenco di compiti e di attività illustra come, per raggiungere gli obbiet­ tivi professionali, gli assistenti sociali debbano cimentarsi in un vasto raggio di attvità — dall’intervento legislativo al counseling con le famiglie — e come deb­ bano trattare con molti e diversi sistemi di risorse. Anche se è utile elencare le attività sotto obiettivi specifici, per mettere in evidenza come le attività degli assistenti sociali siano direttamente collegate alle finalità del servizio sociale, si deve ricordare che una determinata attività può servire a più di un obiettivo alla volta. Inoltre, data la natura interazionale dei collegamenti che esistono entro le persone e tra le persone e i loro sistemi di risorse, un compito specifico che crea una variazione in un aspetto di un sistema può determinare variazioni reci­ proche in diversi altri sistemi, raggiungendo così anche altri obiettivi.

Un secondo tipo di approccio per descrivere che cosa fanno gli assistenti sociali è mettere in relazione i compiti e le attività con il processo di soluzione dei pro­ blemi o con il processo di cambiamento programmato per il raggiungimento di un qualsiasi obiettivo. I modelli relativi alla soluzione di problemi comportano per la maggior parte qualche variazione delle componenti o fasi seguenti: 1) individua­ zione di una situazione sociale disturbante e impegno iniziale con le persone legate alla situazione, 2) definizione del problema e programmazione dell’intervento, 3) intervento, 4) valutazione e conclusione. Tale modello potrebbe implicare che l’assistente sociale si muove secondo una sequenza logica attraverso le varie fasi; in realtà, in qualsiasi momento l’assistente sociale può trovarsi impegnato in compiti relativi a più di una fase, e procedere quindi in modo più ciclico che lineare. Questi modelli sono però utili nell’aiutare l’assistente sociale all’identifi­ cazione dei compiti da affrontare in ogni processo di soluzione dei problemi o di cambiamento programmato.

Si possono specificare compiti e attività per ciascuna fase. Nella fase di defini­ zione e programmazione, per esempio, si possono elencare compiti quali la deter­

(20)

minazione delle motivazioni e resistenze, l’individuazione delle priorità, le deci­ sioni circa gli obiettivi, la presa in considerazione di azioni alternative, lo sviluppo di un piano, le « contrattazioni ». Si tratta certamente di un modello di soluzione dei problemi — e compiti relativi — comune a molte professioni: la sua singo­ larità nel caso del servizio sociale sta nel fatto che è un modello elaborato nel contesto stesso delle finalità del servizio sociale.

R icon oscim en to del serv izio so ciale

Gli assistenti sociali esercitano la professione sotto la garanzia di due tipi di riconoscimento professionale. Il primo è un riconoscimento formale, che conferisce a un individuo il diritto di offrire servizi e intraprendere determinate attività — per esempio un’inchiesta sul maltrattamento dei bambini — in qualità di assistente sociale. È questo il tipo di riconoscimento cui si riferisce la « Definizione opera­ tiva della pratica del servizio sociale » del 1958, che definisce il riconoscimento (sanction) come « permesso di fonte autorevole; incoraggiamento, approvazione, so­ stegno ».4 In base a questa definizione il riconoscimento del servizio sociale può derivare da una delle tre seguenti entità, o dalla loro combinazione: enti pubblici, enti privati riconosciuti e la professione organizzata, la quale stabilisce i requisiti della formazione e della pratica professionale. Negli USA, a partire dal 1958, gli Stati dotati di una legislazione che riconosce il servizio sociale hanno aggiunto un’ulteriore forma di riconoscimento ufficiale per gli assistenti sociali.

Il riconoscimento ufficiale è qualche cosa che gli assistenti sociali posseggono prima di impegnarsi nell’attività professionale. Di contro, abbiamo il secondo tipo di riconoscimento, il riconoscimento per « contrattazione », che deriva all’assistente sociale dalla sua interazione nel corso di azioni specifiche volte al cambiamento programmato. Questo tipo di riconoscimento rappresenta un accordo di collabora­ zione, in contrasto ad un permesso d’autorità, e viene accordato dai clienti e dalle altre persone con le quali un assistente sociale deve trattare.

L ’assistente sociale può considerare come cliente un individuo, una famiglia, un gruppo, un organismo o una comunità solo quando questi sia il reale utente di un servizio, ed abbia volontariamente accettato un accordo operativo o « con­ trattazione » con l’assistente sociale stesso. In questa prospettiva il cliente può essere quindi il direttore di un ente, un altro professionista, un legislatore, una famiglia — qualsiasi persona o gruppo che ha bisogno e vuole l’aiuto dell’assistente sociale, e nei confronti del quale da parte dell’assistente sociale viene deciso che debba essere il principale beneficiario della sua azione. Nel processo di ricerca del riconoscimento e dell’accordo operativo con l’utente, l’assistente sociale è guidato dai valori del servizio sociale, che sottolineano il diritto delle persone all’auto-determinazione e alla partecipazione nelle decisioni che le riguardano. È anche guidato dalla consapevolezza che le persone porteranno a termine più facilmente l’azione diretta al cambiamento se avranno riconosciuto, sancito, questa

(21)

azione, e se saranno state coinvolte nella definizione degli scopi del cambiamento e nella scelta dei metodi per raggiungerli.

Le stesse finalità del servizio sociale portano gli assistenti sociali ad intervenire, entro molti sistemi, con persone che non sono clienti: essi quindi devono cercare anche, quando sia possibile, di ottenere il riconoscimento da parte di chi rappre­ senti un obiettivo dell’azione diretta al cambiamento, e da parte di altre persone, entro i loro sistemi di azione, con le quali lavorano per raggiungere gli scopi dei clienti. Se gli assistenti sociali non possono ottenere questo riconoscimento da parte di chi rappresenta un obiettivo dell’azione per il cambiamento, è probabile che questi opponga resistenza agli sforzi per raggiungere gli scopi dei clienti; saranno allora necessarie negoziazioni e strategie che comportano l’uso del conflitto.

Il riconoscimento implica dover rendere conto: l’assistente sociale deve render conto a coloro che gli hanno accordato il riconoscimento, i quali a loro volta hanno anche la facoltà di decidere il disconoscimento. Per garantire la affidabilità dell’assistente sociale, un ente può muovergli rimproveri o licenziarlo, un comitato può negargli una ratifica, un’associazione professionale può censurarlo come membro. Il cliente, così come concede il riconoscimento, deve anche avere la possibilità di ritirarlo, ponendo termine al lavoro fatto insieme, richiedendo un altro assistente sociale, presentando un esposto all’ente.

Due sono le conseguenze che derivano dal riconoscimento visto in questa pro­ spettiva. In primo luogo, quando gli assistenti sociali ritengono che il loro riconoscimento derivi unicamente dagli organismi da cui dipendono, dagli enti pubblici, dalle organizzazioni professionali, si considerano responsabili solo nei loro riguardi. Se però vedono i loro clienti come fattore essenziale di riconosci­ mento e quindi si considerano responsabili anche nei loro confronti, devono essere espliciti circa gli scopi del lavoro da fare insieme, i compiti che ciascuno porterà avanti, le condizioni nelle quali lavoreranno. Queste intese sono specificate in una « contrattazione » o accordo operativo. Anche se le contrattazioni vengono ridi­ scusse con il variare delle situazioni, i clienti sanno di che cosa possono ritener responsabili gli assistenti sociali.

L ’altra conseguenza riguarda il conflitto che può derivare da una molteplicità di fonti di riconoscimento, entro la quale l’assistente sociale può trovarsi come in una trappola, per di piu con l’eventualità che una delle parti in gioco decida di ritirare il suo riconoscimento. L ’etica del servizio sociale sottolinea il diritto delle persone all’auto-determinazione, alla dignità e all’accesso alle risorse. Le fina­ lità della professione spingono gli assistenti sociali ad intervenire all’interno e tra vari sistemi di risorse, compresi gli enti e gli organismi pubblici che li impiegano e che hanno la veste per riconoscerli. Se gli assistenti sociali vedono i loro stessi datori di lavoro come obbiettivi nell’azione diretta al cambiamento, possono essere fatti oggetto di disconoscimento da parte di essi. Se d’altra parte non rispettano i valori del servizio sociale né le sue finalità, possono essere fatti oggetto di disconoscimento da parte dei clienti e delle organizzazioni professionali.

Anche se gli assistenti sociali non potranno mai risolvere completamente il dilemma creato da diversi riconoscimenti in conflitto tra loro, proprio questi

(22)

riconoscimenti di diversa origine offrono loro l’opportunità di usarne uno come leva nei confronti dell’altro. Un assistente sociale potrà, per esempio, valersi del rico­ noscimento di origine professionale per protestare contro la politica di un ente che richieda una condotta professionale non conforme all’etica.

Conoscenza e cap acità

Per adempiere alle finalità del servizio sociale, gli assistenti sociali hanno bisogno di conoscenze e capacità, così da migliorare la comprensione dei problemi posti dalla professione, portare avanti i compiti specifici e le attività legate agli obiettivi professionali, impegnarsi nel processo di soluzione dei problemi.

Le conoscenze specifiche necessarie a organizzare il pensiero e sviluppare la facoltà di capire le situazioni interessanti la professione, comprendono l’informa­ zione circa le esigenze della vita cui tutti devono far fronte e le esigenze particolari cui devono far fronte le persone con problemi sociali; circa le risorse di cui la gente ha bisogno per soddisfare le esigenze della vita; circa il funzionamento e le politiche dei sistemi di risorse della società; circa l’efficienza delle reti di aiuto naturali e informali; circa i fattori che influiscono sui collegamenti tra le persone nell’ambito dei sistemi e tra i vari sistemi; circa lo sviluppo della politica sociale; circa lo sviluppo di strutture che aiutino a vedere una situazione sociale nella sua globalità e a capire i rapporti tra esigenze della vita, risorse, collegamenti tra i sistemi e entro i sistemi.

Per portare avanti compiti e attività specifiche in modo da raggiungere le finalità del servizio sociale sono necessarie competenza teorica e capacità nei settori seguenti:

— Relazioni e comunicazioni interpersonali, quali fare interviste e guidare riu­ nioni di gruppo.

— La comunicazione formale; per esempio, scrivere una proposta per ottenere un prestito, testimoniare in una pubblica udienza, scrivere relazioni comprensibili a tutti.

— La formazione e il mantenimento di sistemi di risorse, quali la formazione di una rete naturale di aiuto, saper trovare persone per un comitato, coordinare un’équipe interdisciplinare.

— Le trattative entro un sistema o tra vari sistemi, per esempio tramite la mediazione di conflittualità, il patrocinio, l’ottenimento di una risorsa da un altro sistema.

—- L ’insegnamento e la consulenza, cioè aiutare altre persone ad acquisire e sviluppare le competenze citate e le altre necessarie ad una efficace soluzione dei problemi.

Per applicarsi al processo di soluzione dei problemi, gli assistenti sociali hanno bisogno sia della comprensione a livello teorico di tale processo che della capacità di raccogliere dati, di valutare, di istituire sistemi di azione, di saper chiudere

(23)

i rapporti con un altro sistema. Alla base di tutte le conoscenze e capacità sta la capacità per eccellenza: saper usare la conoscenza. L ’acquisizione di conoscenze e di perfezionamento nell’uso di un certo tipo di tecniche non crea di per sé un professionista competente. L ’elemento decisivo è dato dall’uso creativo delle conoscenze e delle abilità personali e professionali in situazioni particolari al fine di raggiungere le finalità del servizio sociale.

Alcune im p licazio n i

Gli assistenti sociali che faticosamente cercano di adempiere al compito del servizio sociale e di raggiungerne le finalità, che credono nel valore di ottenere il riconosci­ mento da parte dei clienti e delle altre persone coinvolte nell’azione diretta al cambiamento e che hanno conoscenze di fondo e capacità nell’ambito del servizio sociale, trasferiscono tutti questi elementi nella loro attività pratica. Consideriamo, per esempio, un assistente sociale che lavori in una nuova istituzione per adulti ritardati mentali. Concentrerà la sua attenzione sull’intera situazione sociale e sulle risorse necessarie a tutti coloro che sono collegati alla situazione. Sarà attento alle interazioni tra i ricoverati e il personale; tra ricoverati e ricoverati; tra il personale e le famiglie; nell’ambito delle famiglie; tra le famiglie, i ricoverati e le risorse della comunità; tra il personale dell’istituto e le risorse della comunità.

Qual’è l’azione da lui svolta? Fornisce informazioni ai ricoverati presenti o potenziali e alle loro famiglie circa altre possibili sistemazioni di soggiorno e di lavoro per adulti ritardati mentali, aiutandoli a vedere più chiaramente le possi­ bilità di scelta e le eventuali conseguenze delle loro decisioni. Aiuta il personale addetto all’andamento dell’istituto ad aumentare la sua disponibilità alla collabo- razione attraverso un’istruzione ed un sostegno informali, ed aiutando ad organiz­ zare un’istruzione formale per il personale in servizio. Promuove un comitato di genitori per aiutarli a discutere le proprie reazioni nei confronti del ricovero in istituto dei figli, dà consigli sul funzionamento dell’istituto, raccoglie fondi per esso, sostiene le modifiche legislative che garantiscano l’assistenza ai ritardati mentali. Organizza classi speciali di educazione sessuale per i ricoverati; aiuta i ricoverati e il personale a programmare le attività ricreative; stabilisce, mantiene e coordina i collegamenti tra l’istituto e certe risorse della comunità, quali i posti di lavoro protetto, le classi speciali di insegnamento, i programmi ricreativi co­ munitari.

Tanti assistenti sociali per anni hanno seguito questo tipo di approccio alla pratica professionale. Altri invece si sono dedicati a modificare gli individui e le famiglie o a modificare l’ambiente. Questa dicotomia nella pratica del servizio sociale, ha portato alcuni assistenti sociali ad agire nello stesso campo degli psi­ chiatri, degli psicologi, dei terapisti. Gli assistenti sociali entrano in competizione con questi professionisti sia per la posizione economica che per quella sociale, armati di sottili distinzioni a sostegno delle loro funzioni speciali per proteggere la loro identità. Altri assistenti sociali sono entrati in lizza con i programmatori sociali, i pubblici amministratori, i sociologi, imbattendosi in problemi analoghi.

(24)

Tuttavia il punto di vista sulle finalità del servizio sociale presentato in questo articolo conferisce al servizio sociale stesso la sua prospettiva peculiare, e fornisce agli operatori la specifica identità di assistenti sociali. Questo punto di vista dà anche modo all’assistente sociale di sapere quali compiti e quali attività debbano essere svolte per raggiungere gli obiettivi del servizio sociale in un ambiente di lavoro o nell’occupazione. Diversamente, le esigenze burocratiche e la politica dell’ente possono imporre all’assistente sociale il modo in cui esplicare il suo ruolo, indipendentemente dal suo giudizio professionale. Un assistente sociale che segua nella pratica il tipo di approccio descritto e che abbia acquisito le conoscenze e le capacità di cui si è detto, possiede tutta la costellazione di conoscenze, atteggia­ menti, capacità che costituiscono la base del lavoro sociale.

Le situazioni sociali che interessano il servizio sociale richiedono che gli assi­ stenti sociali siano tutti polivalenti. Molte situazioni, inoltre, richiedono anche conoscenze specializzate; numerosi assistenti sociali vogliono acquisire una pre­ parazione di grado superiore come specializzati o come polivalenti: ci pare che tutti gli assistenti sociali possono trovare un’identità e uno scopo nella loro professione polivalente se la natura delle loro specializzazioni nel servizio sociale non li allon­ tana dalle finalità e dagli obiettivi della professione.

An n e M i na ha n e Al l e n Pincus Scuola di Servizio Sociale, Università del Wisconsin, Madison

Note

1 II concetto di « esigenze della vita » (life tasks) è stato usato da Bartlett per indicare le richieste imposte alle persone da varie situazioni dell’esistenza. H.M. Bartlett, The Common Base of Social Work Practice, NASW, New York, 1970, p. 96.

2 Per una elaborazione dei concetti presentati in questa parte dell’articolo, v. A. Pincus e A. Minahan, Social Work Practice: Model and Method, Peacock, Itasca, 111. 1973, cap. 1.

3 Vedi M. Siporin, Introduction to Social Work Practice, MacMillan, New York, 1975, pp. 22-25.

4 Subcommittee on the Working Definition of Social Work Practice for the Commission on Social Work Practice, NASW, " Working Definition of Social Work Practice ”, riportato in H.M. Bartlett, " Toward Clarification and Improvement of Social Work Practice ”, Social Work, voi. 3, aprile 1958, p. 6.

(25)

Servizio sociale e partecipazione

d i M aria D al P r a Ponticelli

Se scorriamo la storia del servizio sociale vediamo che l’interesse per la promo­ zione della partecipazione dei cittadini ai problemi della propria comunità è un elemento fondamentale e ricorrente nello sviluppo della professione: dalla parte­ cipazione individuale dell’utente a piani d’intervento che lo riguardano in prima persona nella dimensione individuale del servizio sociale, alla partecipazione della comunità per la conoscenza e risoluzione dei propri problemi, alla partecipazione delle persone alla vita di gruppo come mezzo per lo sviluppo personale e sociale.

Tralasciando ogni altro aspetto, in questa sede ci interessa approfondire 1 azione dell’assistente sociale per la promozione della partecipazione dei cittadini alla vita della propria comunità come mezzo per lo sviluppo sociale della comunità stessa; tale obiettivo costituisce l’elemento fondamentale del cosiddetto « Servizio sociale di comunità ».

Al momento attuale il servizio sociale è sempre piu orientato ad un azione che ha come elemento qualificante la « territorialità », cioè lo sviluppo della comunità locale attraverso l’attuazione di una politica dei servizi sul territorio e che ha come obiettivo di fondo la promozione di una partecipazione popolare sempre piu attiva alla programmazione, attuazione e gestione dei servizi stessi.

Il servizio sociale quindi è profondamente coinvolto nel processo di decen­ tramento e nel conseguente processo di sviluppo della partecipazione popolare. Per rendersi conto però degli sbocchi operativi per il servizio sociale in tale coinvolgimento, occorre analizzare un po’ piu a fondo il concetto di partecipa­ zione per capire le forme di partecipazione che si intende sviluppare, a quali obbiettivi tendono e con quali strumenti e in quali sedi il servizio sociale può contribuire allo sviluppo di una partecipazione che sia realmente strumento di sviluppo della comunità locale.

L a p artecip azio n e p o p o lare. P ro b le m i e p rosp ettive

La necessità di una partecipazione più vasta ed attiva dei cittadini alla vita poli­ tica nazionale e locale è divenuta in questi anni un’esigenza avvertita in tutti gli stati democratici.1 Le cause di questo fenomeno sono molteplici e complesse; certamente gli avvenimenti degli anni 1968-70 hanno contribuito notevolmente a portare alla ribalta questo problema, soprattutto attraverso la critica profonda e documentata dell’incapacità degli strumenti di « democrazia indiretta » a

(26)

soddi-sfare le esigenze della collettività di poter intervenire nel processo di sviluppo sociale del Paese, di poter contribuire a rendere meno profondo il distacco fra amministrati e amministrazione, di poter realizzare concretamente il dettame costi­ tuzionale che affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli che « impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese » (art. 3 Cost.) e soprattutto di attuare il principio costituzionale secondo il quale « la sovranità appartiene al popolo » (art. 1 Cost.).

Il tema della partecipazione è di così vasta portata e contiene così molteplici implicazioni, sia a livello del singolo cittadino, sia dei gruppi sociali, che dell’ap­ parato stesso dello Stato, che può e deve essere affrontato sotto diverse prospet­ tive e nell’ambito di numerose discipline. Questo spiega la difficoltà di affron­ tare un tema del genere e la necessità di finalizzare subito l’obiettivo che ci si propone parlando in questa sede di partecipazione. La difficoltà diventa infatti ancora più grande nel momento in cui si parla di partecipazione in rapporto al servizio sociale, dato che l’assistente sociale può essere contemporaneamente inte­ ressato alle varie dimensioni del problema.

Vediamo i diversi tagli che possono essere dati al problema e la scelta che possiamo fare dovendo affrontare il problema del rapporto fra servizio sociale e partecipazione per lo sviluppo della comunità locale.

In modo molto schematico potremo dire che la sociologia affronta il tema della partecipazione al fine di evidenziare ed esaminare le motivazioni sociali e indivi­ duali che la determinano, cioè il perché la gente partecipa ed anche il rapporto fra composizione della popolazione (sesso, età, professione, classe sociale) e la partecipazione stessa. Esamina anche il grado di partecipazione, cioè i fattori socio-ambientali-culturali che contribuiscono in senso positivo o negativo alla parte­ cipazione e al tipo di partecipazione (professionismo politico, partecipazione civile alla politica, apatia, disinteresse, ritualismo, ecc.). S’interessa inoltre del problema delle sedi di partecipazione (istituzioni, movimenti, partiti, gruppi), delle moti­ vazioni che li originano, del loro peso nella struttura sociale della comunità. Viene affrontato inoltre dalla sociologia il contenuto della partecipazione, dal consenso, alla collaborazione, alla gestione, vista soprattutto nelle sue motiva­ zioni e caratterizzazioni.2

Esiste poi un taglio più propriamente socio-politico sotto il quale si può esami­ nare il problema della partecipazione e che forma oggetto degli studi di scienza della politica, di sociologia della politica, ecc. L ’interesse di tali scienze per il problema della partecipazione riguarda essenzialmente i fenomeni relativi alla crisi del potere, ai limiti della rappresentatività, agli strumenti di democrazia diretta ed indiretta, ai partiti e agli altri strumenti di aggregazione socio-politica che permettono la partecipazione.3

La partecipazione può anche essere studiata sotto il profilo psico-sociale come analisi del formarsi, trasformarsi ed esprimersi degli atteggiamenti individuali e di gruppo nei confronti della « cosa pubblica » come motivazione per la parte­ cipazione; a questo livello ci si può ricollegare a tutto il problema della forma­

Riferimenti

Documenti correlati

La persona, considerata al contrario come un membro della comunità locale, ha modificato questo concetto facendo risaltare le risorse e le competenze degli individui che

I dati statistici nudi, ri­ guardanti la delinquenza giovanile e il delitto, sono difficilmente utilizzabili sen­ za complesse elaborazioni : mancano infatti i

Riconosciuta la necessità della in­ tegrazione continua dell’indagine ur­ banistica e di quella sociale, ricono­ sciuta anzi l’inscindibilità di questi momenti di

Evidentemente, dice l’au­ tore dell’articolo, questa ten­ denza non ha vere fonda- menta: tanto la ricerca ap­ plicata che la pura hanno lo stesso rapporto con

Così la-C ostitu en te ha ribad ito la validità del p rin cipio della divisione dei poteri e vi ha m odellato l’ordinam ento della Repubblica attribuendo al

In questo capitolo ci limiteremo a considerare i bisogni delle comunità così come vengono studiati in termini di amministrazione dell’assistenza o di

Ma nelle piccole biblioteche, nelle biblioteche che sono semplicemente un servizio di un ente, di una istituzione, di un centro (ed è il caso della maggior parte

□ Richiede la prestazione agevolata ed allega dichiarazione sostitutiva unica (D.S.U.)