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Le imposte dirette sulla ricchezza mobiliare e sul reddito : Storia, analisi, riforma

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(1)

B I B L I O T E C A D I 8 C I E N Z E SOCIALI E P O L I T I C H E

Dott. JACOPO TIVARONI

L I B B R O D-LCISNTB DI ECONOMIA P O L I T I C A .NULLA R . UNIVHRSITÀ DI PADOVA

(2)

ex lib ris

P. J anna cco ne

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Dott. JACOPO TIVARONI

L I B R R O D O C H N T S DI ECONOMIA P O L I T I C A N « L L * R . O H I V B R S N Ù ^ T P A D O V *

D E ? . J . 1 3 - 2 0

t o t e m

LE IMPOSTE DIRETTE

SULLA RICCHEZZA MOBILIARE

E SUL REDDITO

STORIA - ANALISI - RIFORMA

T O R I N O - R O M A

CASA EDITRICE NAZIONALE R O U X E V L A R E N G O

1904.

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P r e m e s s e t e o r i c h e

L

La trasformazione dei sistemi tributari e le sue eanse.

1. Tendenza verso una maggiore equità nei sistemi tri-butari moderni. — La storia dei sistemi tritri-butari dei paesi

civili in questi ultimi tempi prova che esiste una decisa tendenza ad alleggerire gli oneri falcidianti i redditi minori, per colpire quelli maggiori con più grande in-tensità.

La trasformazione subita da prima dalla finanza inglese, e che a suo tempo v e r r à esposta in questo stesso volume, le leggi finanziarie introdotte nell'Olanda, nella Prussia e nell'Austria, che applicarono l'imposta progressiva sul red-dito, accompagnata dall'esenzione di un ragionevole

mi-nimum d'esistenza, i tentativi che sempre si rinnovano

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stituendo alle antiche imposte indirette sul consumo dei generi di prima necessità quelle su generi di consumo ge-nerale, ma non assolutamente necessario, e imprimendo un considerevole sviluppo alla tassazione diretta del reddito.

2. Le cause di questa tendenza non sono pacifiche. — Ma se nessun studioso dei fenomeni finanziari pone in dubbio questo svolgimento e questa tendenza, è noto come sia sempre aperta la disputa sulle sue cause.

3. Teoria della differenziazione quantitativa e

quali-tativa dei redditi. — Una scuola finanziaria, di cui il più

insigne rappresentante è tra noi il Ricca-Salerno, trova le cause di questa crescente tassazione diretta del capitale nel fatto che « il potere del capitale sulla ricchezza pro-dotta si aumenta in tal guisa che non lascia al lavoro se non lo stretto necessario per l'esistenza. Mutata la distri-buzione della ricchezza, mutano anche le fonti immediate a cui attinge la finanza i suoi proventi... Da una parte

l'elemento quantitativo dei possessi e dei redditi privati,

che vanno differenziandosi sempre più in misura più larga, acquista un'importanza primaria in tutte le que-stioni di ordine economico. E trattandosi delle imposte la grandezza del reddito, assumendo proporzioni notevoli e assai disparate, diventa per sè stessa cagione di una tas-sazione diversa. E d'altra parte le differenze qualitative dei redditi in quanto derivano dall'origine diversa o dai modi di acquisto e si riflettono sulla loro durata, certezza e capacità di ulteriori incrementi, si accrescono di giorno in giorno e costituiscono un altro cardine della nuova tassazione riformatrice » (1).

4. Insufficienza della differenziazione quantitativa pro-vata con le curve del reddito del prof. Pareto. — Ora

questa spiegazione non sembra del tutto esauriente, perchè non è sicura una delle sue premesse: la sempre maggiore

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dei redditi.

La premessa del Ricca-Salerno, che dieci anni or sono, nel tempo in cui egli s c r i v e v a , e r a opinione c o n d i v i s a dai più a u t o r e v o l i economisti, è stata per l'epoca contempo-r a n e a dimostcontempo-rata e contempo-r contempo-r o n e a dalle contempo-r i c e contempo-r c h e del B e contempo-r n s t e i n e di altri studiosi, che hanno dimostrato non essere v e r o che ai nostri g i o r n i i r i c c h i d i v e n g a n o sempre più r i c c h i ed i p o v e r i più poveri.

In quanto ai tempi passati l'unica cosa c h e si possa dire è c h e si m a n c a degli elementi necessari per dedurne una l e g g e ; pure è riuscito al P a r e t o (1) di r i n t r a c c i a r e 1 dati s u f f i c i e n t i per c o s t r u i r e le c u r v e del reddito di a l c u n e società passate, e dal paragone tra queste c u r v e e quelle della nostra epoca risulta c h e la distribuzione della ric-chezza v a r i a assai poco da un'epoca all'altra e la propor-zione tra la r i c c h e z z a dei v a r i i strati sociali è la stessa.

O r a se per t r a r r e una legge, degna di questo nome, sa-rebbe necessario moltiplicare gli esempi, ed a v e r e a nostra disposizione c e n t i n a i a di c u r v e del reddito dei tempi pas-sati, pure gli esempi portati dal Pareto, e non contrad-detti sinora da nessun fatto, o documento, sono sufficienti, per r i f i u t a r e sino a p r o v a c o n t r a r i a di r i t e n e r e per v e r o l'affermato aumento della differenziazione quantitativa dei redditi.

5. La crescente differenziazione qualitativa dei red-diti spiega la crescente differenziazione delle imposte

di-rette. - Resta i n v e c e pacifica la c r e s c e n t e differenziazione q u a l i t a t i v a dei redditi, cosi bene l u m e g g i a t a dal R i c c a -Salerno, la quale p r o v o c a l'attuale differenziazione delle

i m p o s t e dirette, a seconda c h e esse colpiscono la r i c c h e z z a

p r o v e n i e n t e dal semplice lavoro, o dal lavoro associato al capitale, o dal possesso e s c l u s i v o del capitale e della t e r r a .

Ma se la t e o r i a del R i c c a - S a l e r n o spiega la c r e s c e n t e differenziazione della tassazione diretta, essa, v e n u t a m e n o

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tassazione del capitale e diminuisca quella del salario. 6. La confutazione della teoria della differenziazione

quantitativa del reddito porta con sè quella della scuola della utilità relativa. — Abbiamo sinora criticato

special-mente il Ricca Salerno perchè questo distinto autore è in Italia quegli che più di ogni altro si è occupato di spiegare teoricamente lo svolgimento storico delle imposte dirette; ma la confutazione della tesi del Ricca-Salerno porta con sè quella di tutta la scuola dell'utilità relativa, perchè una volta provata che non è sicura la crescente differenzia-zione quantitativa del reddito, il principio dell'utilità re-lativa resta incapace di spiegare la tendenza a correggere i sistemi tributari, mediante, sia per timidi tentativi di trasportare il peso delle imposte dalle spalle dei meno agiati a quelle dei più ricchi, perchè restando eguale la utilità relativa della ricchezza per i singoli strati sociali, eguale dovrebbe anche restare il rapporto della tassazione. Così anche il Graziani non va immune dei difetti rim-proverati alla scuola cui appartiene, sebbene egli insista nel far osservare che « la legge dell'utilità relativa esprime soltanto una tendenza, la quale si verifica se non agiscono più forti circostanze perturbatrici » (1). Ma anche per lui è il principio dell'utilità relativa quello che segna la ten-denza generale che, non ostante le molteplici condizioni perturbatrici, può, a larghi tratti, ravvisarsi nelle mani-festazioni storiche del fenomeno finanziario.

Ora il principio dell'utilità relativa che per il Graziani sembra la regola, pare a noi l'eccezione, e il principio dell'egoismo di classe, che egli ritiene come circostanza perturbatrice, sembra a noi la regola. Del resto il nostro dissidio da questo egregio autore è forse minore di quello che può apparire a prima vista; sarebbe come se egli sostenesse che nella pronuncia inglese sono più le regole che le eccezioni, e noi le eccezioni che le regole; dopo tutto si tratta di una questione di limiti, che solo

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luogo, potrebbe risolvere.

7. Anche il materialismo storico pretende di spiegare

l'intera storia della finanza. Gli argomenti del profes-sore Loria. — Un'altra dottrina, opposta a quella del

grado finale di utilità, e che pretende essa pure di spie-gare tutte le trasformazioni storiche del sistema tributario, è quella del materialismo storico, la quale sostiene che la finanza pubblica non è che lo strumento di cui la classe detentrice del potere politico si vale per soddisfare ai propri bisogni collettivi, riversandone il costo sulle altre classi. Uno dei più autorevoli interpreti di questa scuola è il Loria che, in poche pagine, splendide di forma e dense di pensiero e di erudizione, ha cercato di ricondurre tutta la storia finanziaria al principio regolatore della lotta di classe.

Tralasciando di occuparci delle epoche più remote, ecco quanto egli scrive della finanza del Medio Evo e dell'Età moderna (1). « In un primo periodo del Medio Evo quando la classe borghese è assolutamente inadatta a sopportare il tributo, l'imposta grava i soli proprietari »

Ma quando alfine la ricchezza borghese si accresce in modo che sovra di essa possa gravitare l'intero carico dei tributi (e ciò avviene a partire dal secolo xiv), è colla contribuzione delle classi borghesi ed agricole che all'in-tiero ammontare delle spese pubbliche vien sopperito

Però col mutare della classe che prevale, muta anche la costituzione finanziaria. Così a Venezia, quando domina il popolo artigiano e commerciante, l'uguaglianza tribu-taria è rigorosamente attuata. Così a Firenze, quando pre-vale la parte popolare, si introducono la tavola delle

possessioni (1346) e il catasto (1427), fonte di nuovi

ca-richi ai ricchi, e più tardi la decima la quale colpisce soltanto il reddito fondiario, mentre l'industria e il com-mercio ne vanno esenti.

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Quando poi il popolo minuto giunge a prevalere, si in-troduce l'imposta progressiva, che colpisce poderosamente i maggiori proprietari (272, 3 in nota).

E le cose non mutano sostanzialmente, benché molto ne muti la forma, nell'economia a salariati. Infatti, al pari della nobiltà, la borghesia non esita a riversare sulle classi povere le imposte ordinarie sempre crescenti (274)...

Nella prima fase dell'economia a salariati il capitale non esita a stabilire un saggio d'imposta particolarmente favorevole sulle maggiori fortune (274). E quando non è più possibile di conseguire l'immunità direttamente, essa vien conseguita dalla classe borghese per più modi indi-retti (275)...

Ma la classe capitalista non ha d'uopo di ricorrere a queste vie tortuose, per riversare l'imposta sul lavoratore; poiché essa colpisce prevalentemente il salario delle classi disagiate colle imposte sui consumi più necessari.

Mentre il capitale mobile, per quanto gigante, giunge a sfuggire all'imposta, o a buona parte di essa, il salario del lavoro, che per la sua esiguità parrebbe dovesse sfug-gire al tributo, ne rimane colpito dall'ingegnoso artifìcio delle imposte indirette, le quali afferrano la ricchezza del-l'operaio nell'atto stesso del consumo, cioè nel solo istante in cui essa possa sorprendersi (277).

Persino il crescente favore incontrato nei Parlamenti moderni dall'imposta sulle successioni e da quella pro-gressiva è interpretato dal Loria alla stregua del più rigido egoismo di classe. Infatti, a suo avviso, l'im-posta sulle successioni, in un periodo di profitto minimo, « per una parte sottrae ai contribuenti una quantità di capitale, che altrimenti si lancerebbe nelle speculazioni, per altra parte lascia inalterato il saggio generale dei fitti, impedendo cosi quella conversione di capitale pro-duttivo in capitale impropro-duttivo, che dalla riduzione del saggio del profitto discende ». E del pari, quando l'eco-nomia a salariati è automatica, una tassazione progressiva è nell'interesse dello stesso capitale maggiore.

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deprime sotto il minimo saggio il profitto del capitale maggiore, può avere questa influenza rispetto al profitto del minor capitale. Ora se questa riduzione di profitto de-termina la conversione del capitale minore in capitale improduttivo, essa nuoce allo stesso capitale maggiore, poiché provoca rivulsioni e disastri, che quel capitale stesso indirettamente colpiscono. Viceversa altrove questo tributo può stabilirsi per una ragione assolutamente op-posta, quando la condizione dei minori redditieri e degli operai è relativamente prospera, per la potenza di queste medesime classi le quali giungono ad imporsi nella legis-lazione (289).

In ogni modo, ad avviso del Loria, è sempre l'egoismo economico della classe dominante quello che determina rigorosamente l'organizzazione della finanza pubblica.

8. Gli argomenti del prof. Conigltani. — Oltre al Loria, un altro valoroso sostenitore del principio del puro egoismo come determinante del fenomeno finanziario era tra noi il Conigliani, la cui immatura dipartita costituì un vero lutto per la scienza italiana. Per questo distinto scrittore, le associazioni obbligatorie (Stato, Comuni, ecc.), « trag-gono in realtà la loro origine dalla necessità di conciliare in qualche modo le tendenze ad opposti e contrastanti massimi edonistici, avvertite da individui viventi in uno stesso ambiente e nello stesso tempo; e la conciliazione si compie appunto così, che alcuni coll'autorità loro (mo-rale o fisica, comunque avuta o fondata), impongono ad alcuni altri di modificare o di lasciare non soddisfatte le tendenze alla loro propria felicitazione individuale... L'au-torità dei governanti impone ad alcune classi il costo della soddisfazione di bisogni da esse non avvertiti. E sempre un individuo, o una classe, che, potente per ra-gioni morali, fisiche od economiche, usa della sua autorità per far si che, dato il contrasto della propria con l'altrui felicitazione, impone ad alcune classi il costo della sod-disfazione di bisogni da esse non avvertiti » (1).

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Tuttavia per il Conigliani la legge che governa la spesa è diversa da quella che governa l'entrata, perchè mentre « l'entrata trova la sua ragione di essere, la necessità della sua forma, del suo oggetto, delle sue fonti, e l'esten-sione dei suoi limiti, nella forza di autorità che il gover-nante in quel momento politico può esercitare contro la classe sociale, da cui egli vuol derivare l'entrata stessa; la spesa è retta dalla logge economica ineluttabile del va-lore, per quanto modificata nella sua azione dal concorso di molte cause politiche » (1).

Secondo il Conigliani « è questa la legge che spiega il passaggio dalla finanza patrimoniale a base di demanio, a quella a base d'imposta, e poi a quella che fa largo uso del credito: il passaggio dall'imposta personale alla reale ed il ritorno poi alla personale; la prevalenza delle imposte dirette od indirette a seconda dei varii periodi storici; l'adozione del saggio proporzionale o progressivo; la tas-sazione o l'esenzione dei redditi minimi; la trasformazione delle regalie in tasse e l'estensione odierna degli istituti sovvevuti colle tasse: tutti insomma i fenomeni storici relativi alle entrate pubbliche » (2). È noto che questa opposizione, affermata dal Conigliani, tra le leggi che reg-gono l'entrata e quelle che regreg-gono la spesa, incontrò delle critiche, a nostro avviso, non appropriate (3); ma per noi

(1) Saggi di Economia Politica e di Scienza delle Finanze, Bocca, 1893, pag. 450-451.

(2) Ibidem, pag. 451, 2.

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la dottrina del materialismo storico, sia nella forma asso-luta impressale dal Loria, come in quella modificata dal Conigliani, non riesce a cogliere l'intera realtà del feno-meno finanziario, e dissentiamo da essa non feno-meno che da quella del grado finale di utilità.

9. La vera legge della finanza pubblica. — Infatti per noi la tendenza della storia della finanza è appunto quella che viene impressa dall'egoismo di classe, ma altri ele-menti, a quello non subordinati, ma concomitanti, ven-gono a modificare l'andamento che la finanza avrebbe se fosse affidata esclusivamente al fattore dell'egoismo eco-nomico.

In altre parole l'egoismo economico è la forza princi-pale, ma vi sono forze perturbatrici, prescindendo dalle quali, riesce impossibile spiegare le cause di molti feno-meni della finanza.

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Così, ad esempio, il solo principio dell'egoismo di classe, come determinante lo svolgimento della finanza pubblica, non può completamente spiegare le riforme finanziarie, che sono la gloria dell'epoca nostra, e che sono in parte dovute a quella cooporazione spontanea e disinteressata che la borghesia liberale prestò alla classe proletaria. Solo ammettendo che l'egoismo di classe subisca l'influenza mo-deratrice e deviatrice del concetto ideale della giustizia tributaria (cfr. § 14), si può, a parer nostro, avere il vero principio regolatore della finanza pubblica (1).

Insomma per noi la tendenza della moderna finanza ad alleggerire gli oneri falcidianti i redditi minori per col-pire quelli maggiori con più grande intensità trova la sua spiegazione nell'aumentata importanza della classe operaia nei Parlamenti, la quale classe esercita la propria influenza in favore di sè medesima, come in ogni ramo della pubblica amministrazione così anche sulla finanza, e in quei sentimenti di giustizia e di benevolenza da cui è animata la classe detentrice del potere politico, i quali fanno sì che essa non opponga alle richieste degli ordini operai tutta quella resistenza che potrebbe spiegare, e che qualche volta cooperi disinteressatamente a vantaggio della stessa classe proletaria.

10. L'organismo dell'economia nazionale spiega sempre la trasformazione qualitativa delle imposte. — Ma se a

tale stregua può spiegarsi la distribuzione quantitativa delle imposte sulle singole specie dei redditi nelle varie epoche storiche, per comprenderne la trasformazione qua-litativa è necessario — come scrive il Ricca-Salerno — conoscere prima il sottostante organismo dell'economia nazionale, produttrice di reddito. Perchè il variare di questa provoca necessariamente il variare qualitativo delle imposte.

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monio. — Così l'imposta generale sul patrimonio, quale

fu adottata specialmente nei Comuni italiani del Medio Evo e che trova riscontro in tutti i periodi di coltura incipiente, tanto nell'antichità, quanto nel Medio Evo e nelle colonie moderne, non fa altro che riflettere le condizioni dell'economia, in cui prevale una grande semplicità ed ogni potere d'acquisto emana esclusivamente dal lavoro (1).

L'industria medioevale, chiusa nelle corporazioni, era organizzata sul tipo del mestiere. Erano allora molto nu-merosi i lavoratori autonomi, che producevano diretta-mente per il cliente, e non profonda nè meno la differenza di condizioni economiche tra il lavoratore ed il padrone, il quale in ogni modo lavorava sempre dietro commissione e con l'aiuto di pochi operai. A questa uniformità del red-dito dei varii ordini dei cittadini si adatta di per ciò solo l'imposta personale sul patrimonio, che si riscontra quasi da per tutto nei Comuni del Medio Evo.

In seguito, a misura che si svolge e si differenzia l'eco-nomia della produzione, si trasformano anche i tributi e all'imposta generale sul patrimonio si sostituiscono delle imposte speciali sui differenti redditi, e principalmente sul possesso fondiario.

Il possesso mobiliare viene ancora risparmiato e « la tassazione delle industrie e delle ricchezze mobiliari è ri-guardata come inopportuna, pericolosa ed ingiusta » (2).

La ragione si è che il profitto è ancora ai primordi della sua esistenza e non può sopportare una forte tassa-zione.

12. Per le imposte dirette sul prodotto. — Col sorgere e con l'invigorirsi dell'industria, della manifattura e della fab-brica, con lo svilupparsi del debito pubblico, con le associa-zioni industriali e commerciali, con le assicuraassocia-zioni, ecc., sorgono nuove forme di reddito, e nuove forme d'imposta

(1) G. RICCA-SALERNO, Storia delle istituzioni finanziarie in Italia, Palermo, 1896, pag. 26.

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mirano a farle contribuire alla pubblica spesa. Si formano così le varie imposte dirette reali sul prodotto, a seconda che esso proviene dalla terra, dai fabbricati, dalle manifat-ture, dai commerci, dalle professioni, dai capitali.

13. E per l'imposta personale sul reddito. — Ora la carat-teristica principale delle imposte reali consiste in ciò che esse colpiscono uniformemente il capitale, secondo segni esteriori, indipendentemente dal reddito che esso realmente fornisce, e che può anche essere nullo. Ma è appunto questa scissione del prodotto della persona che lo ottiene, che costi-tuisce uno dei maggiori difetti delle imposte reali.

Perchè se esse potevano vantare il pregio dell'equità in un'epoca in cui la produzione procedeva con metodi sem-plici e uniformi, e in cui per conseguenza era lieve il divario fra i prodotti di eguali misure di terreno della stessa qualità o d'industrie fornite dello stesso capitale tecnico, esse non corrispondono più allo stato della tecnica moderna in cui l'elemento personale ha acquistato un'im-portanza, mai toccata nel passato.

Ed ecco sorgere l'imposta personale sul reddito, la quale colpisce il reddito veramente ottenuto dal contribuente e non quello medio che esso potrebbe ottenere dai suoi ter-reni, dai suoi fabbricati, del suo lavoro, ecc.

14. Sull'introduzione di quest'ultima influisce anche il

concetto ideale della giustizia tributaria. — Nè

all'intro-duzione della nuova forma d'imposta è estranea l'influenza del concetto ideale della giustizia tributaria, che coopera esso pure ad imporre l'esenzione dei redditi minimi, la più lieve tassazione di quelli minori, e in qualche caso il saggio progressivo e il principio della discriminazione, attuato anche mediante un'imposta complementare e perequatrice sul patrimonio.

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per ogni cittadino che egli deve pagare sotto forma di tributo precisamente quella somma, per la quale egli non potrebbe trovare nessun altro investimento, che gli re-casse maggiore felicitazione. Infatti se non esistesse la prevalenza di una classe sull'altra, ogni contribuente di-stribuirebbe la sua ricchezza tra i bisogni individuali e quelli collettivi in guisa da raggiungere, tenuto conto del costo, il massimo effetto piacevole dalle varie applicazioni della sua ricchezza nell'appagamento dei suoi bisogni in-dividuali e collettivi, così che, ad es., a parità di costo, all'appagamento di un bisogno individuale di importanza 8, egli anteporrebbe quello di un bisogno collettivo di im-portanza 9. Spingendo all'estremo le nostre deduzioni lo-giche e ammettendo, il che non è, che ogni contribuente fosse capace di valutare la importanza relativa dei propri bisogni pubblici e privati, giusto si dovrebbe dire un si-stema tributario così organizzato che, se venisse tolta la coazione per cui i cittadini sono costretti per forza di legge al pagamento del tributo, ognuno di essi continuerebbe a versare allo Stato la stessa identica quantità di ricchezza di prima (1).

Questo è l'ideale della giustizia tributaria per i liberisti. Ma lo sarebbe anche, con un ordinamento collettivista, perchè anche in esso l'ideale in fatto di tributi sarebbe che sul prodotto del lavoro di ciascun cittadino fosse

trat-(1) La connessione logica tra il nostro concetto di giustizia tributaria e la massima kantiana, per la quale è morale « quel-l'azione, tra più possibili azioni, che più universalmente può pra-ticarsi » balza fuori limpida ed intuitiva. Difatti secondo il Kant è morale l'azione conforme all'imperativo categorico ; ossia è mo-rale ogni azione di un individuo quando è tale, che se la facessero tutti quanti, sarebbe ancora consigliabile, ossia felicitante. Noi a nostra volta diremo che è giusta quella distribuzione del carico tributario, che può essere praticata più a lungo di altre e potremmo formulare la massima che « è giusta quella distribuzione del ca-rico tributario, a differenza di altre possibili distribuzioni, che più

a l u n g o p u ò r i p e t e r s i ». (Cfr. A . BERTOLINI e M. PANTALEONI, Cenni

sul concetto di massimi edonistici individuali e collettivi, in Giornale degli Economisti, aprile 1892, pag. 288 in nota.

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tenuta dallo Stato, a titolo d'imposta, quella quantità di ricchezza, per la quale il cittadino non potrebbe trovare nessun altro investimento, che gli recasse maggiore feli-citazione.

Ma anche quei Socialisti di Stato, i quali ritengono che 10 Stato debba mediante l'imposta correggere l'odierna di-stribuzione della ricchezza, potrebbero rivendicare lo stesso ideale, nel qual caso però la sensibilità edonistica degli ordini dirigenti dovrebbe essere così squisita, che per essi 11 massimo del piacere non si trovasse in un rapporto puramente economico tra il costo e l'utilità del bene da conseguire, ma nella felicitazione altrui (dei meno agiati), ottenuta mediante un sacrifìcio (costo) proprio.

Nella storia non si conosce ancora un sistema finanziario che corrisponda a pieno alle esigenze della giustizia tribu-taria intesa come fu ora esposto, perchè l'egoismo della classe detentrice del potere politico ne ha sempre impe-dito l'attuazione. Pure questo principio ideale della giu-stizia tributaria deve essere la bussola che dirige il legi-slatore nelle sue riforme, ed è sempre alla stregua di esso che noi giudicheremo i sistemi vigenti e i e proposte riforme. 15. Piano e scopo del seguente volume. — Ed ora che abbiamo indagato quali siano le forze sotto l'azione delle quali si trasformano i sistemi tributari, passiamo a trac-ciare la storia e a fare l'analisi delle imposte dirette sulla ricchezza mobiliare nelle più importanti nazioni d'Europa

Dalla loro comparazione e dalla loro critica ritrarremo degli esempi e dei criteri, che ci saranno utili per segnare le linee direttive di una riforma della nostra imposta di ricchezza mobile.

(21)

li.

Traslazione delle imposte sulla ricchezza mobiliare.

16. Importanza dello studio della traslazione delle im-poste e sua difficoltà. — La traslazione delle imim-poste è il

capitolo praticamente più importante di tutta la scienza delle finanze, per una ragione molto semplice, perchè non si possono prevedere gli effetti economici di qualsiasi im-posta se non si conosce prima questa dottrina. Disgrazia-tamente in questo campo non è possibile seguire il metodo induttivo, a motivo delle molte cause perturbatrici che accompagnano quella principale di una mutazione d'im-posta, ed i cui effetti si intrecciano e si inviluppano cosi fittamente con quelli della mutazione d'imposta, che non è dato di separarli. Tuttavia anche con l'uso del solo metodo deduttivo si sonò ottenuti importanti risultati, i quali, se non mettono in grado di decidere, lì perii, ogni questione pratica, pure hanno tracciato le linee generali secondo le quali procede il fenomeno della traslazione.

17. La traslazione dell'imposta dipende da variazioni

di valore. — Il più notevole risultato fu di aver riconnesso i fenomeni della finanza alla teoria del valore, potendosi dire che non vi ha traslazione d'imposta che non sia cau-sata da una variazione di valore.

Infatti se non muta il rapporto tra la domanda e l'of-ferta, ossia se non muta il prezzo, che è l'espressione in moneta del valore, non vi è, nè vi può essere, trasferimento d'imposta.

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18. Per lo studio della traslazione delle imposte, è

ne-cessario distinguere il reddito della ricchezza mobiliare in interessi, profitti e salarii. — Ciò premesso, noi

stu-dieremo ora la traslazione e l'incidenza del gruppo d'im-poste che formano l'argomento del presente volume.

Come è noto, i redditi della ricchezza mobiliare si pos-sono distinguere, secondo la loro origine, in redditi del capitale, o interessi, in redditi dell'industria, o profitti, in redditi del lavoro, o salari e stipendi. E sebbene nella vita pratica, interesse, profitto e salario si trovino non di rado riuniti nel reddito di una stessa persona, pure è vantag-gioso, nel caso nostro, di studiare isolatamente gli effetti dell'imposta su ciascuna categoria di reddito: quando si saranno conosciuti isolatamente, si potranno ricercare gli effetti dell'imposta sur un reddito complesso, componendo opportunamente i risultati già ottenuti pei redditi separati. 19. Traslazione dell'imposta sull'interesse. Imposta

sul-l'interesse del capitale. — È evidente anzitutto che nessuna

traslazione può aver luogo quando l'imposta colpisce l'in-teresse, il cui saggio fu già fissato da un contratto pre-cedente l'introduzione dell'imposta. Se i capitali sono in-vestiti posteriormente all'introduzione dell'imposta, sono opposte le vicende della traslazione a seconda che si tratti di un'imposta universale e proporzionale, o limitata e spro-porzionale. Ma siccome la prima imposta è praticamente impossibile « se non altro per l'ampiezza di impiego che è offerta al capitale e che è assai più estesa del territorio, entro il quale può agire il legislatore » (1), così basterà che ci occupiamo della seconda.

In questo secondo caso, trattandosi cioè di un'imposta speciale a certi impieghi e sproporzionale, il suo variare in senso positivo o negativo modifica o no il rapporto pree-sistente tra la domanda e l'offerta di capitale? ne cambia o no il prezzo? È questo il quesito che si deve porre, perchè, lo si ripete, senza variazione di prezzo non vi ha traslazione, ma solo percussione d'imposta.

(23)

Ed è a neh« evidente che basterà sciogliere il quesito per il caso d'aumento o d'introduzione d'imposta, perchè la sua soluzione sarà vera, in senso contrario, anche per il caso opposto.

La soluzione del quesito si presenta molto facile; all'in-troduzione di una nuova imposta la domanda di capitale (ossia l'offerta d'interesse), resta quello che era p r i m a ; nessuna circostanza nuova è sopravvenuta a modificarla. Ma varia invece l'offerta di capitale, ossia la domanda di interesse, perchè, minacciato dall'imposta nell'investimento che gli era più utile, il capitale è spinto a ritirarsi dal suo impiego precedente, per emigrare ad altri, che non man-cano mai. Cosi la nuova imposta, diminuendo l'offerta del capitale, ne aumenta il prezzo ed il capitalista riesce a trasferire l'imposta sul debitore.

L'unico caso in cui questo procedimento può non avve-nire è quello, con la solita acutezza, avvertito dal Panta-l o n i , « che si tratti cioè di piccoPanta-li capitaPanta-li e d'imposta tenuissima, perchè in allora i piccoli capitali forse rinun-ciano a fare un lucro di poco maggiore di quello di cui godono, trovandosi compensati dalla tranquillità morale (e generalmente più imaginaria che reale), di avere i loro capitali sotto occhio ». Il che è evidentemente un'illusione e non si avvera che di rado.

20. Traslazione dell'imposta sul profitto. — Il profitto, in uno sviluppato sistema teorico di divisione del lavoro, quale non si è ancora dato e probabilmente non si darà mai, rappresenta esclusivamente il compenso per il rischio dell'imprenditore vero e proprio, di quella persona cioè la cui opera consiste solamente nell'assumere su di sè tutti i pericoli della produzione, garentendo rispettivamente gli interessi al capitale e i salari al lavoro, cosi di direzione come di esecuzione.

(24)

Questo il reddito complesso che noi chiameremo d'ora innanzi — tout court — profitto e del quale s t u d e r e m o la condotta di fronte all'imposta.

E qui, come nel caso dell'imposta sugli interessi, fa me-stieri distinguere a seconda che si tratta di un'imposta universale e proporzionale, o speciale a certe industrie e sproporzionale. Ma anche questa volta la prima ipotesi è praticamente impossibile, per cui basterà argomentare sulla seconda.

È utile proporre il problema come fu fatto per l'imposta sugli interessi. 11 variare dell'imposta sul profitto modifica o no il rapporto preesistente tra la domanda e l'offerta di prodotti, ne fa mutare sì o no, il prezzo ?

1. Trattisi di merci prodotte in condizione di libera concorrenza, per es., di tessuti di cotone. È evidente che se il produttore può trasferirsi ad un'altra industria, il cui

prodotto non sia soggetto a tributo, nel qual caso egli può restringere sino a z e r o la sua produzione, al consumatore non resterà altro da fare che o pagare per le merce un prezzo in cui sia inclusa anche l'imposta, o rinunciare alla merce,

Dove si vede che la maggiore o minore utilità della merce, a seconda che essa costituisce un consumo più o meno necessario, influisce sulla maggiore o minore tra-sferibilità dell'imposta, e che trattandosi di una merce poco richiesta, un aumento di tributo può produrre l'eva-sione d'imposta per il venir meno del suo oggetto.

Anche qui il caso di una diminuzione d'imposta non offre alcuna difficoltà, e si risolve in senso contrario, come il precedente.

Ma ove invece non vi sia per parte dei produttori pos-sibilità di trasferimento ad altri rami d'industria, l'offerta della merce non potrà venire ristretta, il prezzo rimarrà eguale al precedente ed i produttori dovranno subire una diminuzione di profitto eguale all'ammontare dell'imposta, a meno che il profìtto non si trovasse già al saggio mi-nimo, sul qual caso essi cesseranno dal produrre.

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compensi crescenti o decrescenti. Noi non ci occuperemo delle industrie a costi crescenti che sono quelle agricole, perchè esse escono dal limite di questo studio. Restano per ciò a considerarsi solamente le industrie a costi de-crescenti, come le manifatturiere, nelle quali le unità suc-cessive di prodotto si possono ottenere a costo men grande che le unità precedenti. Ora è noto che il monopolista nella scala dei prezzi sceglie sempre quello che gli assi-cura il massimo provento netto, combinato con il massimo consumo.

Si supponga introdotta una nuova imposta. Non è corretto affermare, come pure credono molti, che il monopolista non possa in nessun caso trasferire l'imposta, perchè ogni au-mento di prezzo dà al monopolista un provento netto in-feriore.

Ciò succederà quasi sempre, per le ragioni che esporremo in seguito, ma almeno per la teoria, si deve ammettere che il monopolista aumenterà il prezzo tutte le volte che l'au-mento dell'imposta sia tale che a lui convenga preferire un prezzo superiore al precedente, a malgrado che esso vada unito ad una diminuzione di consumo.

Se, per esempio, un produttore monopolista di fiammiferi, aveva fissato il prezzo di 50 lire per ogni 10.000 fiammi-feri, come quello che gli concedeva il guadagno massimo, che era per ipotesi di due lire, ed ora una nuova imposta di L. 1,00 per ogni 10.000 fiammiferi lo mette nella con-dizione o di aumentare il prezzo, o di perdere metà del suo guadagno, è evidente che egli aumenterà il prezzo, per es., a 60 lire, tutte le volte che il nuovo prezzo trovi un consumo abbastanza esteso per assicurargli un gua-dagno maggiore di quello al quale dovrebbe adattarsi, conservando inalterato il prezzo precedente.

Si richiami ora la legge dei compensi crescenti e la si applichi alla traslazione dell'imposta sul profitto in caso di monopolio. Se una produzione obbedisce alla legge dei compensi crescenti, la traslazione è più difficile, perchè ogni diminuzione di offerta induce aumento più che pro-porzionale di costo produttivo.

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una progressione d'imposta tale da spingere l'imprenditore monopolista a preferire un prezzo differente, sarebbe con-tradditoria ai principii generali economici che governano l'imposta, si deve conchiudere col Oraziani (1), che nor-malmente può ritenersi che un'imposta sui proventi lordi o netti di un produttore monopolista non sia trasferibile ad altri individui.

21. Traslazione dell'imposta sul salario e sugli stipendi:

10 sul salario. — Fedeli al nostro metodo poniamo anche

questa volta la questione nei soliti termini.

Quali sono gli effetti di un'imposta sul salario sul rap-porto tra la domanda e l'offerta di lavoro?

E necessario distribuire la classe operaia in parecchie categorie, a) infima, b) media, c) superiore (2).

a) Evidentemente l'imposta non ha alcuna immediata

influenza sulla domanda di lavoro quale era prima. Per quanto si riferisce alla offerta, un'imposta sul salario che colpisca l'infima classe dei lavoratori, quelli di cui ì salari si trovano al minimo, è evidente che essa deve pro-vocare una diminuzione di offerta, e quindi un aumento di salarii, ossia una traslazione sui profitti, « benché ciò non sarà se non al costo di lunga e intensa sofferenza, dovendosi ridurre l'offerta unicamente a forza di decessi, perchè mancano i capitali per l'emigrazione, e, a fortiori, per lo sciopero » (3).

Infatti se i salarii, prima dell'introduzione dell'imposta sono già ridotti al saggio minimo, la nuova imposta falci-diando anche questo salario minimo, non lascierà intatto che un salario insufficiente alla vita; nel qual caso i primi a soccombere saranno i più deboli, e poi, al prezzo del loro sacrificio, si ristabilirà l'equilibrio come si è detto.

b) Non vi è niuna ragione perchè la classe media

ope-raia possa trasferire l'imposta sul profitto degli impren-ditori, perchè nulla impedisce che l'imposta tolga quella

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porzione che è uguale alla differenza tra il saggio attuale ed il minimo.

Se però l'imposta fosse alta, allora essa, coeteris paribus, potrebbe provocare un'emigrazione di operai, nel qual caso, per la diminuzione dell'offerta, si avrebbe una traslazione a seconda dei casi, totale o parziale, dell'imposta.

c) Infine per gli operai della classe superiore, forniti di attitudini superiori e specialissime « si può dire che approfittano della legge del monopolio, di maniera che se il loro monopolio non era ancora al limite massimo segnato al grado finale di utilità che ha il loro lavoro, l'imposta è un'occasione per avvicinarlo maggiormente, ma questo rialzo di prezzo non può considerarsi una traslazione » (1).

2. Imposta sugli altri redditi personali dovuti al lavoro

mentale. — Per gli altri redditi personali che sono dovuti

al lavoro mentale e alle qualità morali bisogna osservare, col Pantaleoni, che l'offerta e la domanda di lavoro nelle professioni libere vanno soggette a innumerevoli fattori antieconomici. « Non può quindi farsi questione di trasla-zione, perchè essa suppone che la minima perturbazione dei profitti sia fortemente risentita, che ogni soldo sia cal-colato e che quindi la più leggera imposta crei una rivo-luzione, mentre l'opposto di tale condizione è quella in cui versano i professionisti » (2). Per quanto poi si riferisce allo stipendio degli impiegati, un'imposta su di essi non può trasferirsi, perchè essa non riesce ad arrestare la so-vrabbondante offerta di lavoro, ch'è causata dalla eccessiva produzione di avvocati, dottori, medici, ingegneri, ecc., e dall'attrazione che l'impiego, con la sicurezza che esso ga-rantisce, esercita su quanti non si sentono forti abbastanza per affrontare la concorrenza delle professioni libere.

22. Traslazione dell'imposta sul reddito e sul patrimonio. — Poche parole ancora sono necessarie sulla traslazione dell'imposta sul reddito e sul patrimonio.

Per quanto si riferisce all'imposta sul reddito ci sembra.

( 1 ) P A N T A L E O N I , o p . c i t .

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contro l'opinione di molti, che provenendo esso o dalla rendita, o dall'interesse, o dal profitto, o dal salario, o da extra profitti di monopolio, un'imposta su di esso debba seguire le leggi della traslazione che regolano singolar-mente questi tributi, non essendovi motivo per cui il red-dito complessivo debba subire leggi differenti delle parti che lo costituiscono. E finalmente un'imposta sul patri-monio si converte in un'imposta sul reddito quando essa non sia così grave da intaccare addirittura il patrimonio. In questo secondo caso non si avrà che un fenomeno di evasione d'imposta per il venir meno del suo oggetto.

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Le imposte dirette sulla ricchezza mobiliare

secondo la storia e il diritto positivo

1. — IN FRANCIA.

I.

L'Imposizione dell 'ancien-régime.

23. Imposizione del reddito mobiliare durante ¿'ancien-régime. — Durante l'ancien-régime, in Francia, come da-pertutto, la ricchezza mobiliare presentava relativamente poca importanza, di fronte a quella fondiaria, ed avuto riguardo alla sua relativa tenuità, essa veniva anche scar-samente soggetta all'imposta.

La talia, i ventesimi, e la capitazione erano le tre con-tribuzioni che colpivano i redditi individuali, fondiari o mobiliari che fossero (1).

24. La talia. — Con eccezione di poche provincie, dove la talia colpiva solo la proprietà reale, essa, sotto il nome di personale o mista, pesava sopra i redditi individuali di ogni origine. Non è però a credere che essa colpisse tutti

(1) R. STOURM, Le» financet de Vancien-régime, ecc., I, pag. 238

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i redditi in eguale proporzione: gli ordini privilegiati, ossia la nobiltà, il clero e l'alta burocrazia, o ne erano esenti o potevano riscattarla a condizioni molto favore-voli per essi e molto dannose per l'erario e gli altri con-tribuenti.

25. 1 ventesimi. — I ventesimi si sovrapponevano alla

talia, e si chiamavano così perchè al momento della loro

introduzione fu ordinato che a questo titolo, ogni citta-dino dovesse versare al tesoro il ventesimo del suo reddito, qualunque ne fosse l'origine. I ruoli dei ventesimi (come anche quelli della talia), separavano i ventesimi fondiari e quelli «letti d'industria, gravanti sui redditi mobiliari.

26. La capitazione. — Infine la capitazione colpiva, per la terza volta, lo stesso elemento, quello delle facoltà in-dividuali presunte, ripartendo i contribuenti in classi se-condo la loro qualità. Più tardi, nel 1701, fu data facoltà a parecchi grandi corpi dello Stato, tra cui allo corpora-zioni di mestiere, di eseguire essi stessi la ripartizione tra i loro membri.

27. Esenzioni e privilegi. — Anche in queste due im-poste troviamo esenzioni e privilegi simili a quelli della

talia. Ed anzitutto il clero aveva, a buone condizioni,

ri-scattato sin dall'origine, sia i ventesimi, sia la capitazione. Inoltre in materia di ventesimi gli altri ordini privile-giati, vale a dire la nobiltà e l'alta burocrazia, non ve-nivano già tassati mediante l'opera diretta dei soliti impiegati delle imposte, ma venivano quotati d'ufficio, graziosa perifrasi il cui vero significato era di esentare o per lo meno di oltremodo alleggerire i carichi dei maggiori contribuenti. Il ministro Necker scriveva: « Sua Maestà (Luigi XVI), ha osservato che è la classe più povera dei suoi sudditi quella che p a g a i ventesimi nella proporzione più giusta ».

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d'ac-cessorio, sotto il nome di capitazione taillable, quella degli esentati era regolata a parte dall'intendente stesso, che stabiliva d'ufficio le tasse individuali dei nobili e dei privilegiati ».

28. Le imposte sulla ricchezza mobiliare non erano

eccessive. — In ogni modo non si può dire che le imposte,

nel loro ammontare totale, pesassero troppo gravemente od ostacolassero l'incremento della ricchezza mobiliare. Infatti i beni immobili pagavano la quasi totalità delle imposte dirette e su 91 milioni per la talia, 76'/a Pe r '

ventesimi, 42 per la capitazione, la ricchezza mobiliare

figurava solo rispettivamente per 10, 2 '/, e 20 milioni (1). 29. Metodo di accertamento. — Ed un'altra osservazione merita di venir fatta sul metodo di accertamento delle imposte mobiliari deU'ancien-régime; esse miravano a colpire direttamente il reddito in sè stesso, senza ricor-rere, per la sua valutazione, a segni esteriori Erano i ripartitori che fissavano quale fosse la somma d'imposta da pagarsi da ciascun contribuente o da una intiera classe di contribuenti; questo secondo sistema veniva, per esempio, adottato per le corporazioni di mestiere.

Se ora si confronta questo metodo di accertamento con quello presentemente adottato nei paesi più progrediti dal punto di vista della finanza, non si può a meno di venir colpiti dalla grande rassomiglianza t r a di essi, quasi si avverassero anche in tali fenomeni quei corsi e ricorsi di cui parlava il Vico: dopo una lunga serie di tentativi per valutare il reddito obbiettivamente, sulla base di segni esteriori, si ritorna al sistema della ricerca diretta di esso, metodo respinto per un intero secolo, come quello che si prestava all'arbitrio più illimitato. Gli è che il progresso della tecnica finanziaria da un lato e l'affermazione sempre maggiore dell'eguaglianza dei contribuenti di fronte al-l'imposta dall'altro, hanno reso possibile il ristabilimento di metodi, che si credevano condannati per sempre e che

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tanta giustificata avversione avevano sollevato allora che erano in vigore.

L'arbitrio nella fissazione delle quote individuali d'im-posta era cosi esteso che gli stessi ordini dirigenti du-rante gli ultimi anni AeW ancien-régime si preoccupavano di dare un'altra base all'imposta. Così il ministro Necker con l'editto del 2 novembre 1877 soppresse completamente, nelle borgate, nei villaggi e nelle campagne, i così detti

ventesimi d'industria.

« E questa — dice Necker — una specie di contribu-zione che non può mai essere ripartita con qualche equità, se non con l'aiuto di una inquisizione così illimitata, che diverrebbe preferibile una stima anche arbitraria ». (Pre-fazione all'editto del 2 novembre 1777). « Sua Maestà, egli soggiunge, avrebbe voluto abolire intieramente quest'im-posizione ».

Lo stesso Necker, in una memoria presentata dieci anni dopo al l'Assemblea dei notabili rileva che « il difetto principale della capitazione è di essere arbitraria. Per impiegare utilmente la capitazione, non è dunque que-stione che di darle una base, e non se ne può trovare una nel valore delle abitazioni? Infatti ciascuno occupa comunemente una casa proporzionata al suo intero patri-monio, qualunque ne sia l'origine; il valore di una casa può dunque essere la misura di una giusta contribuzione ». È il principio che sarà applicato dalla rivoluzione e che in Francia viene ancora seguito, dell'imposizione del red-dito secondo segni esteriori.

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oggi non c'è più bisogno di una tassa speciale, tuttavia aftinché un lavoratore possa dirigere vuoi una fabbrica, vuoi un opificio, vuoi una bottega, non sono meno neces-sarie delle spese, certo nel loro ammontare differenti, ma sempre elevate relativamente a quelle che sono sufficienti per la formazione di un semplice operaio, nel significato tecnico di questa parola. Per cui si può dire che l'antica tassa non faceva che confermare quella difficoltà econo-mica del passaggio da operaio ad imprenditore, che oggi non altrimenti che allora sussiste ed è anzi aumentata. Noi conosciamo l'ammontare di alcuni di questi diritti. Così gli statuti dei gainer fourreliers del 19 luglio 1688 (art. 2), fissano i diritti di maestranza a L. 250 da versarsi nella cassa della comunità, più L. 22 da pagarsi per la lettera o diritto regio, più L. 12 ai giurati e 16 per il capo d'opera, in totale L. 300. Presso i cordiers (Statuti del 12 gennaio 1706), i diritti di accettazione si elevano a L. 110, tanto per il diritto regio, quanto per la co-munità.

Per gli scrivani la maestranza costava L. 388, di cui 200 erano da versarsi alla comunità, L. 40 da pagarsi per il diritto regio, L. 6 da pagarsi al sindaco, 4 al doyen, altrettante a ciascuno degli esaminatori, 3 all'ospitale ge-neralo.

Dove è da notare che a quest'epoca la lira in parola, ossia la lira tornese, valeva circa fr. 1,22 al poter nomi-nale dell'argento e circa fr. 3,35 al suo potere reale (1).

Negli ultimi anni dell 'ancien- regime il prelevamento operato dal re sui diritti di maestranza era stato regolato con l'editto dell'agosto 1776 a tre quarti delle spese di rap-presentanza.

Tale, nei suoi tratti essenziali, il carattere delle imposte sulla ricchezza mobiliare negli anni che precedono la ri-voluzione francese.

Ed ora allo studio delle singole imposte mobiliari create della rivoluzione e che, con modificazioni più o meno no-tevoli, si conservano anche oggidì.

(34)

II.

L'imposta personale mobiliare.

31. L'imposta mobiliare creata dall' Assemblea

costi-tuente. — 11 sistema delle imposte dirette stabilito dallMs-semblea costituente nel 1791 si componeva essenzialmente di

due imposte, aventi ciascuna per oggetto una classe speciale di redditi: l'imposta fondiaria, destinata a colpire i redditi dei terreni e dei fabbricati, cioè i redditi immobiliari,

l'im-posta personale e mobiliare, che colpiva sopratutto i

red-diti del lavoro, quelli dei capitali mobiliari, e quelli delle imprese industriali, cioè i redditi misti del capitale e del lavoro.

Per ciò che si riferisce all'imposta mobiliare essa mirava a colpire il reddito personale, desumendolo dalla spesa di

abitazione, mediante coefficienti progressivi nella misura seguente:

Un affitto di L. 100 e al disotto supponeva un reddito doppio

» » tra 100- 500 lire » » triplo » » » 500-1000 » » » quadruplo e così di seguito sino agli affitti di L. 12 000 ed oltre, considerati come il dodicesimo e mezzo del reddito del contribuente. La legge colpiva i redditi così composti di un'imposta uniformemente fissata con la quota pro-porzionale del 5"/„, o di un ventesimo, che le necessità della ripartizione potevano portare a un diciottesimo o al 5,55 %. (Articoli 16 e 18 della legge del 18 febbraio 1791).

A quest'imposta si aggiungeva la cosi detta tassa d'abi-tazione che colpiva di nuovo i valori locativi nella misura di tre centesimi del reddito determinato secondo il valore locativo dell'abitazione (1).

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Si applicò cosi, forse con una progressione eccessiva, un concetto che l'odierna indagine statistica ha dimostrato vero, che la spesa per l'affitto non è in proporzione con l'altezza dei redditi, ma che essa diviene una quota tanto più piccola del reddito, quanto più questo è maggiore.

Per garantire all'imposta mobiliare il suo carattere, era stato concesso al contribuente colpito il diritto di detrarre dalla quota d'imposta mobiliare la quota che egli eventual-mente avesse versato d'imposta fondiaria.

32. La contribuzione personale. — Inquanto alla contri-buzione personale, essa era un'imposta la cui altezza doveva essere eguale al salario di tre giornate di lavoro. Con poche modificazioni essa si è conservata sino ai nostri giorni.

33. Le due imposte nella storia. — Queste due imposte, la personale e la mobiliare, subirono diverse vicende du-rante il periodo della Rivoluziono. Ridotte da prima a metà e poi soppresse dalla Convenzione; ristabilite, ma sotto forma di tasse sui caminetti, le stufe, i domestici maschi e femmine e i cavalli, dalla reazione di Termidoro; trasfor-mate dal Direttorio in un'imposta gravante direttamente sul reddito individuale, come le antiche talie e la capita-zione, esse furono ristabilite definitivamente nel 1798, me-diante una contribuzione mobiliare ripartita puramente e semplicemente au mare le frane del valore locativo (1). Il legislatore — dice bene il Denis — evitò così una considerevole difficoltà, ma trasformò d'allora in poi l'im-posta personale e mobiliare: siccome non vi fu più valu-tazione di reddito, non fu più possibile detrarre il reddito fondiario dal reddito totale e l'imposta divenne un'imposta diretta sul consumo, che colpisce indistintamente tutte le sorgenti del reddito (2).

34. Loro assetto presènte. — Presentemente la tassa per-sonale, dove esiste, è fissata dal Consiglio generale e varia

(1) STOURM, Op. cit., p a g . 253-8.

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tra un minimo di fr. 1,50 e un massimo di fr. 4,50. Essa si connette strettamente all'imposta mobiliare ed essendo ambedue fuse in un'unica imposta di ripartizione, ne segue che quando un gran numero di contribuenti paga l'imposta personale ed il saggio ne è elevato, diminuisce il contin-gente dell'imposta mobiliare ed inversamente.

Si deve ancora notare che il contingente comunale di quest'imposta può, in tutto od in parte, essere coperto con le entrate del dazio consumo; bizzarra mescolanza

d'im-poste dirette ed indirette, che pure si presenta più volte sulla storia finanziaria antica e recente.

Esorbiterebbe dal nostro compito, che è quello di rap-presentare in pochi tratti il sistema d'imposte che colpi-scono la ricchezza mobiliare, l'esaminare quale sia il sistema di ripartizione tra i Dipartimenti dell'imposta mobiliare e quali conseguenze abbiano portato le più recenti inno-vazioni introdotte con le leggi del 10 luglio 1901 e del 29 marzo 1902; basterà qui dire che l'attuale ministro delle finanze, Rouvier, ha promesso l'abolizione di ambedue le imposte in parola, mirando egli di sostituirle con un'im-posta sul reddito.

III.

L'imposta sulle porte e finestre.

35. Sua natura. — Pochissime parole per illustrare questa bizzarra imposta, dal momento che essa, a quanto pare, dovrà scomparire tra breve. Creata dal Direttorio nel 1798, sovrapposta alla contribuzione fondiaria, dive-nuta tassa mobiliare per l'obbligo del suo pagamento im-posto al locatario, essa non rappresenta che un espediente imaginato in un momento di bisogno, per coprire un

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malgrado della straordinaria mitezza della sua tariffa, che non sorpassava allora 20 centesimi per finestra nei Comuni di meno di 5000 anime e che raggiungeva un massimo di 60 cent, per finestra dei due primi piani nelle città di 100.000 anime ed oltre, fu esposta agli attacchi della critica.

36. Ampollosa critica del consigliere Euguet. — A ti-tolo di curiosità e per dare un'idea dello stile ampolloso dell'epoca si riportano qui le obbiezioni mosse contro di essa nell'anno stesso della sua introduzione da Teodoro Francesco Huguet, membro del Consiglio degli anziani. « Non si potrebbe — grida codesto consigliere — non si potrebbe trovare un'imposta meno ributtante e menoodiosa? E che? Se per adorare la Divinità, al levare del sole, io voglio aprire una finestra all'oriente, bisognerà pagare un'imposta? Che mai? Se per riscaldare il debole corpo del mio vecchio padre io voglio praticare una finestra a mezzogiorno, bisognerà che paghi un'imposta. E che? In-fine! Se per ripararmi dai calori di termidoro, io voglio fare una finestra a settentrione, bisognerà ancora pagare un'imposta? ».

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IV.

Le imposte sul lusso.

39. Natura ed estensione di queste imposte. — In Francia vengono colpite da imposte governative talune forme di lusso e di divertimento, partendo dal concetto che esse siano una manifestazione di ricchezza da parte di chi ne gode. L'esercizio della caccia, le vetture, i cavalli, i muli, i cir-coli, le società, i luoghi di riunione, i bigliardi pubblici e privati, le carte da giuoco, i cani ed i velocipedi sono altrettante manifestazioni del lusso e del divertimento che vengono soggette al peso della tassazione.

V.

L'imposta snlle patenti.

40. Obbligo dell'appartenenza ad una corporazione

durante ¿'ancien régime. — Come già abbiamo accennato,

durante Yancien regime ognuno che volesse esercitare un'industria o un commercio, oltre che provare un tiro-cinio più o meno lungo, doveva essere accolto in una cor-porazione di mestiere, dietro pagamento di una tassa spe-ciale.

41. Il sistema perde del suo primitivo rigore. Monopolii

e privilegi. — Con l'andare dei secoli il sistema perdette

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che si sarebbe potuto avverso ad essi ripetere la rampogna Dantesca, che scrivessero i loro divieti solo per cancellarli. Del resto questi monopoli e privilegi, emessi mediante quelle lettres de maîtrise, contro cui tanto ed. invano in-veivano e protestavano le corporazioni (1), fu una delle cause del fiorire delle industrie in Francia e si devono agli homines novi dell'industria, che acquistavano l'in-gresso nel mestiere a denari sonanti, quelle fabbriche di tapezzerie, di specchi, di merletti, di drappi, di mobiglia, di gobelins che tanto alta tennero la fama dell'industria francese.

42. Origine del sistema della patente. — La Rivoluzione, che con la legge del 17 marzo 1791 abolì le giurande e le corporazioni di mestiere e proclamò la libertà di lavoro, stabilì per la prima volta il diritto di patente.

Il concetto direttivo di questa legge fu di lasciar libero ad ognuno l'esercizio dell'industria e del commercio, ma di sottoporlo ad una tassa, nell'atto in cui questo diritto veniva riconosciuto. È innegabile la contraddizione ine-rente in questi due principii, ma non si conosceva allora un metodo più pratico per colpire con l'imposta anche i redditi dell'industria e del commercio.

Gli inizii del sistema della patente furono molto, troppo semplici. La semplicità — quasi diremmo — la disinvoltura della legge che creò questa imposta, autorizza l'opinione che la Costituente non avesse una esatta conoscenza del pro-blema che voleva risolvere. La Costituente infatti si limitò a stabilire che tutti coloro che vorranno « commerciare o esercitare una professione pagheranno una tassa, fondata puramente e semplicemente sulla base già utilizzata della contribuzione mobiliare, il valor locativo ».

La tariffa stabiliva le proporzioni seguenti: due soldi per lira (10 %) del prezzo dell'affitto sino a 400 lire, due soldi sei danari per lira (12 %) da 400 sino ad 800 lire, e tre soldi per lira (15 '/„) al di sopra di ottocento lire. Ed era tutto!

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Pure si era posto così il fondamento dell'imposta sul-l'industria, basata sopra segni esteriori, la quale, a detta del Wagner, costituisce « la più speciale e la più interes-sante imposta della Francia ».

43. Suo successivo sviluppo. — Il successivo sviluppo della patente ebbe poi luogo in guisa che dapprima (legge del 22 luglio 1795, 4 thermid. in) al diritto proporzionale sul valor locativo si sostituì un diritto fìsso secondo sei classi d'industria e secondo quattro classi di popolazione locale, ma senza più saggi proporzionali secondo il valor locativo, ed in seguito si combinò la graduazione dei saggi fissi secondo le qualità dell'industria e le classi di località con il principio del saggio proporzionale secondo il valor locativo. — « Così l'imposta sull'industria fu fondata come imposta di patente secondo uno schematismo di classi e con due saggi d'imposta essenzialmente differenti, il diritto fisso, il quale si graduò secondo la specie delle industrie ed eventualmente anche secondo classi di località, e il di-ritto proporzionale secondo il valor locativo. Il susseguente sviluppo delia legislazione del secolo xix consistette nel-l'ulteriore e più minuto perfezionamento del sistema delle classi, ottenendosi con la legge del 25 aprile 1844 un as-setto relativamente stabile, mentre non si ha mai riposato nella direzione già presa di una casistica sempre più minuta, e perciò in una specializzazione sempre maggiore della classificazione e dei saggi d'imposta (1).

44. Suo assetto attuale. — Presentemente i segni este-riori secondo i quali viene presunto il reddito del contri-buente sono: la specie dell'industria, la cifra della popola-zione, la quantità del capitale ed il numero degli operai

impiegati, il valor locativo dell'abitazione e dei locali ser-venti alla professione. Tutti e quattro questi segni si basano su presupposti che sembrano essere molto verosimili, ma che non si trovano sempre nella medesima relazione con le conseguenze che se ne vogliono dedurre. L'aver scelto

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come uno degli indici la qualità dell'industria deriva dal-l'ipotesi, non certamente assurda, che un banchiere gua-dagni più di un pizzicagnolo, un produttore di tessuti di seta più di un falegname, ecc., il tener conto del numero degli abitanti proviene dal supposto che un commerciante di un grande centro faccia maggiori guadagni di quello che lavora in una piccola località; si considera poi la quan-tità del capitale ed il numero degli operai impiegati in un'industria, perchè si ritiene che ci sia un certo rapporto tra questi elementi della produzione ed il profitto, e Anal-mente si tien conto del valor locativo, perchè si ritiene che anche esso sia indice del reddito del contribuente.

45. Le quattro classi della patente. — Ecco ora le quattro classi nelle quali le professioni e le industrie vengono di-vise per gli scopi dell'imposta.

La prima classe comprende la grande massa dei com-mercianti e degli industriali ordinari e degli artigiani che impiegano degli operai « commerçants ordinaireset artisans occupants des ouvriers >. È la classe più numerosa, che com-prende a un dipresso i 5/, di tutti i contribuenti della pa-tente.

Questa prima classe si ripartisce alla sua volta in otto sottocategorie, secondo una più specificata qualificazione delle professioni.

Il diritto fisso varia a seconda delle categorie e a seconda delle località (9 classi di località).

La seconda classe comprende l'alto commercio (banchieri, agenti di cambio, imprese di vetture e di omnibus, ecc.). Anche qui il così detto diritto fisso varia secondo la

po-polazione, ma anche secondo altri indici, come, per e s , la presenza o la mancanza d'un magazzino di deposito (en-trepôt) e l'estensione dell'esercizio.

La terza classe comprende le imprese industriali pro-priamente dette (fabbriche, manifatture), ed altre grandi imprese (ferrovie, vapori, società di assicurazioni, grandi banche, forniture militari, teatri, concerti, ecc.).

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Per tutta la classe non si tien conto della popolazione della località dove si esercita l'industria, ritenendosi, ed a ragione, che l'importanza economica di tali imprese sia del tutto indipendente dalla densità della popolazione della loro sede.

Le industrie di queste tre prime classi, che per avven-tura non siano espressamente contemplate dalla legge, vengono imposte dall'Amministrazione per analogia con le affini della tariffa, e gli elenchi di tali professioni vengono proposti ogni cinque anni all'approvazione del Parlamento, ottenendosi così di mantenere l'imposizione in rapporto con lo sviluppo della industria.

La quarta classe finalmente comprende le professioni liberali, per cui vige ancora la legge del 18 maggio 1850 Questa legge sottoponendo alla tassazione la maggior parte delle professioni liberali (prima esenti), ha disposto che esse dovessero pagare solo un diritto proporzionale da '/ ad '/„ del valor-locativo. Si tratta dunque di una vera tassa mobiliare-supplem'entare, con la differenza che essa è dovuta non solo per l'abitazione, ma anche per i locali adibiti all'esercizio della professione (1).

46. Esenzioni. — Non poche professioni vengono esen-tate del tutto, così, per es., gli artisti (pittori, scultori, in-cisori, disegnatori), gli attori drammatici, i professori di scienze, lettere ed arti belle, gli editori di giornali, ecc. A giudizio del Wagner (ed anche al nostro modesto) tali esenzioni mancano di giustificazione.

Vengono anche esentati i funzionari pubblici, le persone salariate, gli operai che lavorano da soli, le assicurazioni mutue, ecc.

Aggiungiamo ancora che i profitti agricoli, calcolati dal prof. Charton (2) tra un miliardo 500 milioni e miliardo 300 milioni, sono esenti dall'imposta.

47. Regime delle società. — Le società vengono trattate in modo differente a seconda che sono anonime o in nome

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collettivo. Per le prime la società non paga che un solo diritto fìsso per ciascun stabilimento; per le seconde l'as-sociato principale paga il diritto fisso intero, e ciascuno degli associati una frazione del diritto intero, di cui il denominatore è uguale al numero degli associati, e il nu-meratore al numero stesso, diminuito di una unità. Avviene lo stesso per le società in accomandita, ma solamente per ciò che concerne i gerenti e gli associati solidali.

È finalmente molto importante di sapere che viene ge-neralmente ammesso che la patente debba avere un saggio approssimativo del 3 •/» del reddito (1).

48. Prodotto dell'imposta. — In quanto al prodotto del-l'imposta la seguente tabella che togliamo dalla « Scienza delle Finanze > del prof. Nitti (pag. 530), ci mostra quale ne sia stato lo sviluppo.

Anni dello Stato BiUncin dipartimentali Bilanci comunali Bilanci Totale

1846 36.8 4.3 5.5 47.6 1856 49.7 7.2 10.7 64.6 1866 61.7 13.6 16.8 97.5 1876 123.4 22.6 35.4 181.4 1886 107.0 26.4 40.2 173.2 1896 125.3 24.9 42.0 192.2 1898 128.7 25.9 44.3 193.0 1900 135.3 26.4 37.4 202.5 VI.

L'imposta sul reddito dei valori mobiliari.

49. I redditi mobiliari vengono imposti differentemente secondo la loro natura. — I valori mobiliari nei riguardi

dell'imposta vengono trattati in modo assai differente a seconda della loro natura.

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Mentre l'imposta colpisce con un saggio del 4 °/„ gli in-teressi delle azioni, obbligazioni, delegazioni, parti d'inte-resse delle società civili, essa risparmia gli altri investi-menti; rendite dello Stato, dei Comuni, dei Dipartimenti, crediti ipotecari, chirografari, ecc. La differenza di trat-tamento si ritrova in alcune premesse, che è opportuno di accennare. Ed anzitutto le rendite dello Stato vengono esentate e per considerazioni di principio sulla ammissi-bilità giuridica di una tale imposizione, e perchè si ritiene che il tassarli ne farebbe diminuire il valor capitale, il che porterebbe un danno allo Stato quando esso volesse ricorrere a nuovi prestiti. Altrettanto si deve ripetere per i prestiti dei Dipartimenti e dei Comuni.

Per quanto si riferisce ai debiti ipotecari e chirografari la loro immunità si deve a ciò che si ritiene che tale im-posta verrebbe trasferita dai creditori ai debitori. A suo luogo il nostro giudizio su tali esenzioni.

50. Introduzione e assetto dell'imposta. — Per quanto si riferisce alla storia di questa imposta essa data solo dal 1872, e fu introdotta perchè anch'essa contribuisse a coprire le maggiori spese rese necessarie dagli avvenimenti degli anni 1870-71.

Per ciò che riguarda il suo assetto ed il metodo di ri-scossione è da notare che soggetti giuridici dell'imposta non sono i creditori, ossia i percettori degli interessi e dei dividendi, che sono poi quelli che si vogliono tassare, ma i debitori e le società.

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VII.

I progetti di riforma tributaria.

51. Le due tendenze di questi progetti. — Dopo il 1870 i progetti di riforma tributaria si sono seguiti molto da vicino, ma nessuno di essi potè ancora giungere in porto. In questi progetti si possono notare due tendenze princi-pali: con l'una si vorrebbe adottare un'imposta generale sul reddito che sostituisse alcune delle imposte ora esi-stenti, con l'altra si vorrebbe che l'imposta generale sul reddito fosse di sovrapposizione. Il più radicale fu il progetto Doumer presentato con il bilancio del 1897, il quale mirava a dotare la Francia d'una imposta sul red-dito a tipo schiettamente prussiano.

52. Il progetto dell'attuale Ministero. — Anche l'attuale Ministero (luglio 1903) ha presentato un progetto di legge che mira a sostituire l'imposta personale-mobiliare e delle porte e finestre mediante un'imposta sul reddito.

VIII.

Cenni sulle imposte locali.

53. Entrate dei Dipartimenti. — Per avere il quadro completo, sebbene appena abbozzato nelle sue linee essen-ziali, del sistema delle imposte dirette è necessario fer-mare i tratti più caratteristici anche delle imposte locali.

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Per sopperire alle spese necessarie per adempiere ai propri còmpiti, i Dipartimenti ricorrono principalmente al metodo dei centesimi addizionali sulle imposte dirette fondiaria, personale-mobiliare, porte e finestre, patente, i Comuni attingono le loro entrate principali e dai cente-simi addizionali e dal dazio-consumo (octroi).

Per mostrare l'importanza dei centesimi addizionali, per quanto concerne le finanze dipartimentali basterà dire che « sull'insieme delle entrate dei Dipartimenti dell'eser-cizio 1898, che si sono elevate a quasi 309 milioni, i cen-tesimi addizionali, in aumento costante, figurano in questo totale per quasi 184 milioni, in seguito dello sviluppo con-tinuo della materia imponibile » (1).

54. Entrate dei Comuni. — In quanto ai Comuni dalla « Situazione finanziaria dei Comuni » pubblicata dal Mi-nistero dell'Interno per il 1897, risulta che su 36.169 Comuni,

3697 erano imposti con meno di 15 cent. 7 1 56 » » » » da 15 a 30 cent. 8936 » » » » » 3 1 a 5 0 » 11,579 » » » » » 5 1 a 1 0 0 »

4801 » » » » » oltre a 100 » Il prodotto dei centesimi comunali era di 151 milioni in cifra tonda, ossia circa il quarto delle entrate ordinarie dei Comuni, le quali si valutavano a 751.770.240 fr.

55. Prodotto dei centesimi addizionali. — Le seguenti tabelle dimostrano in centesimi dell'imposta governativa principale, l'ammontare totale dei centesimi addizionali dei Dipartimenti e dei Comuni e della loro somma (2).

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Centesimi comunali Cent, dipartimentali Centesimi complessivi a a < 8« •c « a o « M o cu s Impost a personal e mobiliar e Impost a port e e finestr e Impost a patent i Impost a fondiari a .2 ®

si

? a

n

— a o E « a Impost a port e e finestr e Impost a patent i Impost a fondiari a impost a personale-mobiliar e I mpost a port e e finestr e Impost a patent i 1 8 6 9 34.6 3 1 . 2 26.7 2 3 . 5 48.9 48.9 23.9 25.2 8 3 . 5 80.1 5 0 . 6 48.7 1 8 7 2 3 9 . 5 37.1 3 3 . 3 2 9 . 5 5 1 . 0 51.0 26.4 27.5 9 0 5 88.5 59.7 5 7 . 0 1 8 8 4 4 9 . 0 49.0 4 4 . 5 3 8 . 6 57.0 5 7 . 0 31.7 32.1 106.0 105.5 7 6 . 2 70.7

Ed inoltre si devono aggiungere degli altri centesimi addizionali per conto del Governo, i quali riescono ad elevare ad oltre i 100 centesimi per franco il peso di queste addizionali su tutte quattro le imposte dirette, t r a n n e quella sulle porte e finestre dove l'addizionale go-vernativa porta il peso dell'imposta a 95 centesimi per franco.

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2. — IN INGHILTERRA

I.

La finanza inglese nel secolo XVILI.

56. Le finanze inglesi del secolo XVIII e quelle odierne. — Nel secolo che precede la rivoluzione francese il sistema tributario del Regno Unito d'Inghilterra, Scozia ed Irlanda, sebbene sia molto lontano da quel carattere di spietata oppressione di ogni forma di ricchezza, che ebbe a rive-stire durante e dopo la grande guerra contro la Francia rivoluzionaria e napoleonide (1793-1802), pure aggrava fortemente ogni ceto di cittadini, e specialmente gli ordini inferiori.

Ai nostri giorni il sistema tributario dell'Inghilterra si presenta come quello che meno di ogni altro in Europa comprime lo sviluppo del patrimonio e del reddito della nazione e più di ogni altro tien conto dei principii della giustizia applicata all'imposta.

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