CARPANO
Ili J
M E N S I L E A C U R A D E L L A C A M E R A D I C O M M E R C I O I N D U S T R I A E A G R I C O L T U R A D I T O R I N ON. 206
FEBBRAIO 1 9 6 0
C O M I T A T O DI R E D A Z I O N E :
On. D o t t . G I U S E P P E A L P I N O D o t t . A U G U S T O B A R G O N I P r o f . D o t t . A R R I G O B 0 R D I N D o t t . C L E M E N T E C E L I D O N I O P r o f . D o t t . G I O V A N N I D A L M A S S O D o t t . G I A C O M O F R I S E T T I P r o f . D o t t . F. P A L A Z Z I - T R I V E L L IG . V I G L I N O - Il c o l l e g a m e n t o delle idrovie Torino-Adriatico e M a r Ligure-Svizzera
U. BARDELLI - Dighe e bacini per l'agricoltura e l'industria
A. TRINCHERI - G i o v a n i e adulti nella formazione professionale
- - Rassegna della tecnica a cura di G . F. M i -cheletti
G . L E G A - L'arredamento m o d e r n o .
- - Trasporti nel M E C - La politica dei trasporti in un m o n d o in e v o l u z i o n e - a c u r a di A. R u s s o Fra/tasi
- — I C o n v e g n o N a z i o n a l e « Pioppo e conifere a rapido incremento » - Torino 23-25 aprile 1960 E BATTISTELLI - La scelta d e l l e razze b o v i n e da
carne
Note di C R O N A C A C A M E R A L E :
C o m m i s s i o n e R e g i o n a l e per i p r o b l e m i agrari - Insedia-m e n t o D e p u t a z i o n e Borsa V a l o r i - O r d i n a Insedia-m e n t o in sede r e g i o n a l e d e g l i usi c o m m e r c i a l i e d agrari - Prove d'esame per i c a n d i d a t i a l l ' i n s c r i z i o n e nel R u o l o Camerale d e i Periti e d Esperti - C o m m i s s i o n e e l e n c o a u l o r i z z a t o interp r o v i n c i a l e s interp e d i z i o n i e r i U n i o n e d e l l e Camere d i C o m -m e r c i o , Industria e A g r i c o l t u r a d e l Pie-monte e V a l l e d ' A o s t a . ( R i u n i o n e d e l C o m i t a t o D i r e t t i v o ) _
- - Congiuntura economica del mese di g e n n a i o 1960
- - Rassegna del commercio estero torinese nel mese di g e n n a i o 1960
- - Sinossi dell'Import-Export
- - Borsa Valori - Rassegna l e b b r a i o 1960 Tra i libri ( G . B.):
F. FERRARA: Il f a l l i m e n t o D. MI A N I C A LAB RESE: M e t o -d o l o g i a statistica e statistica -d i l e n o m e n i sociali - R. BO-L A F F I : R i l e v a z i o n i d i settore e M e r c a t o c o m u n e .
G. V I G L I N O
Nella nota « Il Piemonte nel sistema idroviario
pa-dano » pubblicata nel fascicolo n. 196, Aprile 1959,
di queste « Cronache Economiche » fu fatto cenno al
problema, sinora rimasto insoluto, riguardante la quota
di allacciamento della idrovia Torino-Milano con quella
Milano-Lago Maggiore-Locarno.
Di qui la necessità di ulteriori studi per concretare
la quota di attraversamento del ponte-canale sul
Ti-cino, in quanto gli attuali progetti delle idrovie da
Torino e da Genova prevedono la quota p.a. a metri
160,50, mentre quello dell'idrovia Milano-Lago
Mag-giore, elaborato dalla Commissione Internazionale Italo
Svizzera, tale quota è a m. 170,80 sul livello del mare.
Gli enti liguri-piemontesi insistono da anni per
giungere ad una definizione, sia nei riguardi della
quota di allacciamento di cui trattasi, sia per il
rico-noscimento ufficiale della « unitarietà » del sistema
idroviario della dorsale padana da Torino all'Adriatico
e della trasversale Mar Ligure-Svizzera, per evitare
che possa concretarsi l'intendimento di un tracciato
Adriatico-Milano-Lago Maggiore-Locarno, con
possi-bile futuro prolungamento su Torino e Liguria.
Ciò porrebbe il problema idroviario
ligure-piemon-tese su un piano di inferiorità che sarebbe pernicioso
per l'economia di queste due regioni.
E' stato definito, dopo discussioni protrattesi per
lunghi anni che il canale dal Ticino al Lago Maggiore
si deve sviluppare su sponda destra Ticino.
E su questi argomenti troviamo, nelle relazioni
che l'Ing. Canalini Guido presentò in Venezia il 23
no-vembre 1958 alla Assemblea Generale della Unione
Navigazione Interna Alta Italia e il 4 luglio 1959 in
sede di Consiglio della predetta U.N.I.A.I., una
docu-mentazione inconfutabile del buon diritto degli enti
liguri e piemontesi di vedere finalmente accolte le
proprie richieste, che ci permette di seguire gli
svi-luppi della questione.
Fin dal 1917, in una riunione tenuta il 21 maggio
a Milano, i rappresentanti delle provincie di Torino,
Milano e Novara e delle città di Torino e Milano, si
trovarono d'accordo sulla opportunità di creare una
moderna via di acqua collegante i due centri tra loro,
nonché coi mari Liguri ed Adriatico e, attraverso il
Lago Maggiore, con la Svizzera e il Centro Europa.
Venne inoltre stabilito di affidare ad una
Commis-sione di tecnici l'incarico di riferire circa la soluzione
all'uopo ritenuta più conveniente.
In altra riunione del 29 ottobre 1918, mentre si
iniziavano gli studi e i progetti per il porto di Milano
e per il canale da Lodi alla foce dell'Adda, i delegati
piemontesi e lombardi approvarono all'unanimità un
ordine del giorno in cui si riconosceva che il
trac-ciato tecnicamente ed economicamente preferibile per
il collegamento del Canale Torino-Milano col Lago
Maggiore era quello di sponda destra Ticino, con
ri-serva di ulteriori studi più particolareggiati circa il
tronco Novara-Lago Maggiore. In un successivo
Con-vegno del 29 marzo 1919, vennero precisati gli
ac-cordi in base ai quali restò convenuto che le provincie
di Torino e Novara, nonché il Comune di Torino,
avreb-bero fatto compilare a loro spese il progetto del canale
da Torino al Ticino, mentre gli enti milanesi si
assu-mevano l'onere per il tronco Ticino-Milano. Allo studio
per il tronco Novara-Lago Maggiore, in sponda destra
Ticino, avrebbero congiuntamente provveduto tecnici
milanesi e piemontesi e le spese assunte a metà dagli
enti delle due regioni.
congiungente Cascina Galdina-Turbigo, ove il corso
d'acqua presenta un andamento rettilineo contenuto
in un solo ramo di non grande ampiezza e dove è
consentito tenere il canale ad una quota relativamente
bassa con conseguente minor costo del manufatto.
Nel novembre del 1922 si ebbe lo scioglimento
del Consorzio Portuale di Milano e vennero sospesi i
lavori iniziati fin dal 1919 e così si determinò un
ar-resto dell'attività milanese per la navigazione interna.
In Piemonte invece le iniziative proseguirono dando
anche vita nel 1923 ad un « Comitato Italo-Svizzero »
e il 5 ottobre dello stesso anno avvenne, da parte della
Provincia di Torino, la presentazione al Ministero dei
Lavori Pubblici del progetto di massima
Torino-Novara-Sponda Ticino.
Di poi, anche in Piemonte, in relazione
all'atteg-giamento assunto dal governo nei confronti del
pro-blema idraulico italiano, ogni iniziativa fu
abbando-nata, nè valse a ravvivare l'attività idroviaria la
riu-nione del predetto Comitato Italo-Svizzero, tenuta in
Torino nel 1925.
E la stasi idroviaria durò fino al 1940, in cui,
ces-sato l'atteggiamento ostile del regime, si risvegliarono
i sostenitori della navigazione interna.
Fu nel 1940 che il Genio Civile di Milano,
prescin-dendo dagli accordi e riconoscimenti sopra citati,
re-dasse un progetto di canale da Milano al Lago
Mag-giore con tracciato su sponda sinistra del Ticino. Da
parte sua il « Comitato di Navigazione Interna » con
sede a Novara, avendo trovato troppo oneroso e di
molto difficile attuazione questo tracciato, rielaborò
il progetto con tracciato in sponda destra e fece uno
studio dell'allacciamento del tronco da Novara al
Ponte Ticino e Milano presentandone il progetto nel
1943.
Frattanto veniva costituito il 25 giugno 1941, presso
la Camera di Commercio di Torino il « Comitato
Idro-via Torino-Lago Maggiore », che riprese le iniziative
idroviarie. Il progetto Torino-Sponda Ticino fu
riela-borato e nell'aprile 1942 presentato al Ministero dei
LL.PP. a cura della Provincia di Torino.
Con legge 24 agosto 1941 veniva costituito il
« Consorzio del Canale Milano-Cremona».
riunione, tenuta a Milano nello stesso anno presso
la Deputazione Provinciale, venne ribadita anche da
altri Enti.
Il 28 aprile 1946, la ricostituita Unione Nazionale
Idrovie Alta Italia (U.N.IA.I.) approvò le deliberazioni
prese in diversi convegni per il tracciato su sponda
destra Ticino.
Nel 1946 prende forma concreta l'iniziativa sorta
a Vercelli per un canale navigabile Locarno-Genova
e gli Enti convenuti deliberano di costituirsi in
Con-sorzio per presentare la domanda di concessione per
la costruzione dell'idrovia Locarno-Genova con inizio
da sponda destra Ticino.
Peraltro i sostenitori del tracciato su sponda sinistra
non desistettero dal sostenere la propria tesi tanto che
i Governi Italiano e Svizzero decisero nel 1946 di
affidare ad una Commissione internazionale lo studio
del progetto per unire la dorsale padana
(Torino-Milano-Venezia) al Lago Maggiore e alla Svizzera.
Per dimostrare in modo inoppugnabile la
conve-nienza di adottare il tracciato in sponda destra Ticino,
il Consorzio per l'idrovia Mar Ligure-Valle
Padana-Svizzera provvide ad aggiornare il precedente
proget-to di massima dei tronchi « Porproget-to di Novara - Cascina
Galdina - ponte su Ticino e Cascina Galdina - Lago
Maggiore » e a redigerlo in forma definitiva.
Nel 1953 la predetta Commissione internazionale
stabilì, dopo lunghi ed accurati studi, che il tracciato
su sponda destra Ticino è il più conveniente e ritenne
possibile l'attraversamento del fiume tra le quote 154
e 170,80: accennò genericamente « alla necessità non
solo di non pregiudicare il divisato prolungamento
della dorsale padana fino a Torino, ma di raccorciarsi
ad essa nel modo migliore ». Stabilì peraltro
l'attra-versamento del Ticino a quota 170,80.
Gli Enti liguri-piemontesi, non appena ne furono
a conoscenza, mossero vivaci lagnanze, sia per il fatto
che la generica dizione permetteva di considerare
eventuali i canali navigabili interessanti le loro
re-gioni, quali futuri prolungamenti della dorsale padana,
sia per l'elaborazione del progetto del canale
Milano-Lago Maggiore senza l'intervento dei loro tecnici,
con-trariamente alle intese intercorse di uno studio in
co-mune, tanto da fissare una quota di attraversamento
del Ticino inattuabile senza grave pregiudizio delle
progettate idrovie del Piemonte e Liguria.
Sta di fatto che il canale Torino-Novara-sponda
Ticino, progettato dalla Provincia di Torino,
d'accor-do con i diversi Enti piemontesi interessati, in unione
col Consorzio per il Canale Mar Ligure-Valle
Padana-Svizzera, giunge alla sponda del fiume a quota p.a.
160,50.
Una Commissione Tecnica, nominata in adunanza
tenutasi a Torino e promossa dai Provveditori alle
OO.PP. delle regioni piemontese e lombarda, ha
com-piuto uno studio specifico, che esclude la possibilità
pratica di aprire il canale piemontese a quota
supe-riore a metri 160,50. Lo studio è stato trasmesso al
Ministero del LL.PP. per le determinazioni di
compe-tenza. Non resta che l'abbassamento a tale quota del
ponte-canale sul Ticino, cosa tecnicamente possibile
ed ammessa dalla Commissione Internazionale
Italo-Svizzera che, come si è detto, ritenne possibile
l'at-traversamento fra le quote 154 e 170,80.
Si noti che il Canale Torino-Ponte Ticino, dalla
Dora Baltea a Cascina Galdina (km. 73) si svolge in
zontale a quota 160,50 e potrebbe proseguire in
oriz-zontale per altri 30 km. circa.
Per elevarsi a quota 170,80 si dovrebbe costruire
per l'allacciamento una inammissibile conca in
risa-lita di m. 10,30, per poi ridiscendere e pervenire a
Milano a quota 105,90. Ciò indipendentemente dal
costo di costruzione, dalle soggezioni, dai perditempi
e spese, che derivano dall'esercizio di una conca.
Da informazioni pervenute all'Amministrazione
Provinciale di Torino risultò che la quota 170,80 era
stata fissata in quanto uno studio, effettuato nel 1953 a
cura del Consorzio per il canale Milano-Cremona,
avrebbe dimostrato la possibilità che il canale
piemon-tese venisse tenuto a tale livello. Detta
Amministra-zione potè prendere visione di tale progetto solo nel
dicembre 1958 e dall'esame emerse che, a prescindere
da altri numerosi gravissimi inconvenienti, il
proget-tato canale avrebbe impegnato le piste dei reattori
dell'ampliando campo di aviazione di Cameri.
Il predetto Consorzio, di ciò avvertito, provvide
a studiare una variante del tracciato portandolo a
valle del Campo di Cameri, pur mantenendo la quota
del canale a m. 170,80, con la costruzione, in
prossi-mità della Città di Novara, sul lato nord, di una
rile-vata della lunghezza di circa 18 km. e di una altezza
da 10 a 12 metri per oltre 10 km.
E' evidente che tale soluzione non può trovare
accoglimento da parte degli enti liguri-piemontesi,
anche senza considerare altri inconvenienti relativi ad
attraversamenti di corsi d'acqua e di linee ferroviarie
e stradali.
Si precisa che accordi in tal senso risultano
dal-l'ordine del giorno votato all'unanimità dal Congresso
di Ferrara del 20-22 maggio 1948, confermato dal
Con-vegno di Padova del 6 giugno 1949 e approvato a
larga maggioranza dal Consiglio d'Unione
Naviga-zione Interna Alta Italia del 5 giugno 1952.
E sulla unitarietà del sistema idroviario padano e
sulla necessità di risolvere il problema
dell'attraver-samento del Ticino l'ing. Canalini, a nome degli Enti
liguri-piemontesi, presentò specifiche relazioni al
Con-siglio dell'U.N.I.A.I. del 23 novembre 1958, e del
4 luglio 1959.
Il Consiglio Generale in quest'ultima seduta, cui
presiedeva il Sottosegretario On. Gatto, dopo serrata
discussione alla quale hanno preso parte numerosi
rappresentanti degli Enti interessati e dopo
l'inter-vento del Presidente del Magistrato del Po, ing.
Pava-nello, approvò il seguente ordine del giorno:
IL CONSIGLIO D E L L ' U N I O N E
DI NAVIGAZIONE INTERNA DELL'ALTA ITALIA
Udita
la relazione svolta dal Cav. del Lav. Ing. Giudo
Cana-lini a nome e per conto degli Enti piemontesi e liguri
interessati al sistema idroviario padano e le
osserva-zioni in merito sollevate a verbale dall'ing. Mario Tanci,
ricordato
il proprio voto, ripetutamente espresso, per ottenere
dal Governo la sollecita presentazione del disegno di
legge già all'esame ministeriale che statuisca-.
- che la linea navigabile denominata idrovia padana
secondo il tracciato Torino-Novara-Milano-Adriatico,
con la trasversale Lago Maggiore-Mar Ligure,
costi-tuisce un tutto organico da realizzarsi gradualmente
nel tempo in ordine alle disponibilità del
finanzia-mento delle opere e tenuto conto delle necessità
eco-nomiche delle varie regioni interessate, e che l'idrovia
padana viene interamente classificata fra le linee
navi-gabili di 2" classe;
rilevato
che i progetti per la dorsale padana
Torino-Novara-Ticino e per il canale Lago Maggiore-Torino-Novara-Ticino
presen-tano una discordanza circa la quota eli attraversamento
del fiume;
delibera
a) di riconfermare le proprie precedenti
deter-minazioni, nel senso di considerare nella sua unitarietà
il sistema idroviario padano costituito dalla dorsale
Torino-Novara-Milano-Adriatico con la trasversale Mar
Ligure-Valle Paclana-Svizzera;
b) eli rinnovare, nella forma più efficace, l'invito
al Governo per la presentazione del provvedimento
di legge tendente alla classifica di tale tracciato;
c) di interessare il Ministero dei LL.PP. affinchè
voglia affrettare il riesame — già intrapreso dai
dipen-denti organi — del problema relativo
all'attraversa-mento del Ticino.
E l'azione svolta ha avuto il suo effetto in quanto
il 12 settembre u.s. il Presidente del Magistrato del
Po, Ing. Pavanello, richiamandosi al voto sopra
ripor-tato, approvato dal Consiglio dell'U.N.I.A.I., nella
seduta del 4 luglio 1959, convocò a Parma l'Ing.
Canalini, che aveva illustrato nella sua relazione le
giuste lagnanze degli Enti liguri-piemontesi e l'Ing.
Tanci, Presidente del Consorzio Milano-Cremona, che
prese parte ai lavori della Commissione Tecnica
Italo-Svizzera.
L'Ing. Pavanello dichiarò che, prima di procedere
alla nomina di una Commissione di studio, aveva
vo-luto rivolgere un cortese invito all'lng. Tanci e
al-l'Ing. Canalini, in qualità di esponenti degli interessi
id roviari delle loro regioni, affinchè si trovasse una
via di intesa, attraverso uno studio tecnico, che,
pre-scindendo da ogni altra considerazione, tenesse conto
dei reali interessi delle tre regioni:
Lombardia-Pie-monte-Liguria.
L'Ing. Tanci, dopo avere accennato allo stato
attua-le dei rapporti tra Italia e Svizzera in tema idroviario,
affermò che, a seguito di ulteriori studi compiuti dal
Consorzio Idrovia Milano-Cremona, è risultato come
sia possibile spostare una conca da valle a monte del
Ticino e stabilire la quota di pelo acqua dal ponte
canale di questo fiume a m. 160,80.
Consegnò inoltre al Presidente del Magistrato
del Po una planimetria sulla quale l'ubicazione del
ponte canale sarebbe rimasta invariata e il tronco di
canale dal Ticino a Cascina Valderenne verrebbe
spo-stato di poco a valle senza apprezzabile maggior costo.
Il Presidente Ing. Pavanello si mostrò molto
soddi-sfatto per una così rapida soluzione di un annoso
problema.
L'accordo raggiunto avrà una notevole importanza
in quanto, come disse esplicitamente l'on.le Gatto,
nella riunione del 4 luglio 1959, se si vuole sperare
di ottenere una favorevole considerazione presso il
Governo, è indispensabile che ci si metta d'accordo
almeno sui programmi che non importano un
sacri-ficio di interessi, ed aggiungiamo noi, come si
verifi-cava nel caso discusso.
E' stato così compiuto un passo, che si può dire
decisivo, verso la realizzazione, che si confida non
debba essere a troppo lunga scadenza, del
collega-mento idroviario da Venezia a Torino con
contem-poraneo inserimento nel sistema del collegamento
idroviario dal Mar Ligure alla Svizzera. Un tutto
tec-nicamente organico, strumento sicuro di sviluppo
indu-striale ed economico, che potrà svolgere una molto
proficua funzione negli scambi, favorendo il trasporto
delle merci di massa.
tra il Nord e Centro-Europa e il Tirreno e l'Adriatico,
secondo le rotte naturali per merci provenienti o dirette
all'Est, al Medio Oriente, al Mediterraneo.
Ma non sarà mai abbastanza ripetuto che i
tenta-tivi sinora fatti di ottenere realizzazioni parziali, direi
regionali, non possono che nuocere perchè al Governo
occorre un piano generale, concordemente accettato
dagli interessati, che con lungimiranza debbono
ren-dersi conto di ciò che può e di quello che non può
essere raggiunto.
In base a tal piano generale il Governo potrà, a
ragion veduta, prendere le decisioni per passare alle
realizzazioni con una saggia giustizia distributiva, per
tratte e nel tempo, secondo i concetti tecnici ed i
principi economici, che sono stati stabiliti attraverso
i numerosissimi studi compiuti e in base alle
conclu-sioni di Congressi e di Convegni, nei quali i problemi
inerenti al piano generale sono stati ampiamente
di-scussi.
La Svizzera ha sempre dimostrato il suo vivo
inte-resse per il collegamento con idrovie al porto di
Vene-zia e al Mar Ligure.
Riferisce la « Rivista Tecnica della Svizzera
Ita-liana » nel fascicolo 532 — n. 1-1960, che la
Sotto-commissione giuridico-economica finanziaria, detta
« Sottocommissione Giuridica », creata allorché la
« Sottocommissione Tecnica » ebbe a concludere i
suoi lavori con la Relazione Generale rassegnata il
15 novembre 1956, ha recentemente concluso a Roma
i suoi lavori con un progetto di convenzione, con gli
atti accessori relativi, per la disciplina e l'esercizio
della navigazione interna sull'idrovia Lago
Maggiore-Adriatico.
Gli argomenti, oggetto di esame, sono stati i
se-guenti:
1) Condizioni e regolamentazione giuridica della
navigazione.
2) Ripartizione delle spese di costruzione,
ge-stione e manutenzione.
3) Organi di gestione e vigilanza.
4) Indagini sulle ripercussioni dell'opera sulla
economia generale dei trasporti.
5) Schema di convenzione.
I Presidenti delle Delegazioni dei due Paesi, venuti
in possesso degli elaborati predisposti dalle
Sotto-commissioni Tecnica e Giuridica, potranno portare
l'intero problema dell'Idrovia Adriatico-Lago
Maggio-re all'esame della Commissione Italo-Svizzera. Dopo
di che essi saranno quanto prima in grado di sottoporre
le conclusioni dell'ampio lavoro svolto alle supreme
Autorità responsabili dei due Paesi.
Non dovrà peraltro accadere che i problemi
idro-viari, inerenti al Piemonte e Liguria, non abbiano a
figurare negli accordi definitivi tra i due Governi
Italiano e Svizzero
•
c a p a m i l a n t o
CSocietà per Sezioni
T O R I N O
V I A S. A N T O N I N O , 57
DIGHE E BACINI
PER AGRICOLTURA ED INDUSTRIA
U. B A R D E L L I
Vogliamo trattare qui dei bacini
costruiti nelle zone collinari, per
irrigare anche pochi ettari di
terre-no, a sostegno della difficile
econo-mia delle aziende agricole che vi
risiedono.
Il tipo di bacino collinare, può
es-sere usato anche in pianura, sia
dal-l'industria che per altri scopi.
Alle difficoltà generali
dell'econo-mia agricola collinare, oggi, si
ag-giungono quelle generate dalle
ne-cessità di perfezionamento che il
Mercato Comune Europeo, ed in
ge-nerale la sempre crescente
concor-renza, impongono: vasti mercati,
specializzazione, spedizioni lontane,
e tutte le altre cause minori, vogliono
regolarità di produzione, uniformità
di prodotti ed in genere una attività
ben ordinata. Anche l'agricoltura
sarà soggetta ai processi di
unifica-zione, tanto caratteristici
dell'indu-stria meccanica.
I bacini collinari e montani sono
pertanto indispensabili se si vuole
ottenere prodotti che siano accettati
da mercati sempre più difficili. La
unificazione dei prodotti, la
sicurez-za — anche se relativa — con cui
si deve fare la produzione
impon-gono che la massima alea, quella
della mancanza di pioggia nei mesi
aridi, venga a cessare, ed in tal senso
si provveda mediante accumuli
idri-ci a portata di mano, dietro la diga
del laghetto artificiale.
La tecnica moderna ci ha già
mo-strato la via alla costruzione di tali
laghetti, laddove le difficoltà
co-struttive non sono eccessive. Anche
nei terreni eminentemente calcarei,
oppure a sufficiente tenore di tale
materia, le dighe si possono fare
assai facilmente, e la loro
impermea-bilizzazione non rappresenta una
difficoltà speciale se abbiamo a
di-sposizione una sufficiente quantità
di argilla, il grande mezzo di
im-permeabilizzazione di qualsiasi
al-tro materiale usato nella costruzione
delle dighe. Abbiamo citato il
ma-teriale calcareo. Potremmo
aggiun-gere quello sabbioso e ghiaioso: le
argille possono facilmente
imper-meabilizzare anche tali strutture
po-rosissime di per sè stesse. Siccome
si è proceduto alla formazione di
la-ghetti partendo inizialmente dalle
regioni che hanno a disposizione
molta argilla, non si può affermare
che vi siano state difficoltà in tali
lavori.
Laddove le argille abbondano,
difficoltà costruttive non si possono
incontrare.
Invece dove tale abbondanza non
esiste, si è costretti a trattare la
im-permeabilizzazione delle masse
po-rose, comprendendovi anche il
fon-do del bacino, per uno spessore a
volte grande.
Ci si chiede, immediatamente, se
i terreni naturalmente impermeabili,
sono i più adatti allo sviluppo
del-l'agricoltura: ossia se le acque
accu-mulate in laghetti in zona argillosa,
vengano utilizzate colla massima
ef-ficienza in tali terreni impermeabili,
circostanti. Non possiamo rispondere
positivamente. Perchè le zone
argil-lose non sono le più adatte allo
svi-luppo delle colture agrarie:
inten-diamo qui le grandi estensioni,
co-me quelle delle note argille
plioce-niche, in Toscana, specialmente,
do-ve nel Volterrano do-vengono dette
- mattaione »: tradizionali terreni
difficilissimi.
Tali argille hanno una storia
ve-ramente interessante. Esse sono
sta-te portasta-te alla superficie dalla
ero-sione del terreno sabbioso che
sovra-stava, fertilissimo, e che è ancora
conosciuto bene, perchè
nell'Asti-giano è quello che dà vita alle
fa-mose viti. Sotto tali terreni ottimi,
sono le argille sterili, oggi alla
super-ficie: inutilizzabili, salate, difficili,
franose.
Pertanto, le regioni in cui si fanno
laghetti collinari colla massima
fa-cilità non sono quelle che possono
maggiormente giovarsi dell'uso
del-l'acqua che il laghetto accumula.
Bisogna, oggi, passare alla
forma-zione di laghetti nelle zone, porose,
permeabili, dove anche il terreno
circostante presenta quelle
proprie-tà, che sono ben adatte alla coltura
di vari prodotti agricoli.
E qui la dilficoltà della
impermea-bilizzazione delle dighe e dei bacini
— maggiore assai di quelle dovute
alla costruzione, — si fa sentire,
preponderantemente.
E' appunto in previsione della
diffusione che prenderanno i
laghet-ti nelle zone porose, che siamo
in-dotti a trattare a fondo l'argomento
della impermeabilizzazione, per
por-tare il beneficio dell'accumulo
d'ac-qua, ovunque. Tale opera di tenuta
delle acque si deve considerare alla
base della riuscita dell'agricoltura,
in collina, specialmente.
Alcune operazioni di
impermea-bilizzazione sono già note. Lo
spar-gimento alla superficie di argille,
sotto forma di polveri finemente
ma-cinate, viene fatto comunemente.
Le argille, anche le comuni
ar-gille calanchive — quelle di cui
par-lavamo prima — possono venire
es-siccate al sole, dopo averle ridotte a
fette sottili, per poi essere
polveriz-zate in appositi mulini. Si
conserva-no tali argille in sacchetti di carta,
in tutto uguali a quelle che si usano
per il cemento e, quando necessario,
si aprono e se ne estrae l'argilla
pol-veriforme, che viene sparsa, senza
inumidirla, sulla superficie da
trat-tare.
Si possono anche formare dei
grandi mucchi di argilla in polvere,
per poi passare l'aratro a dischi
mul-tipli e rovesciare la terra per
mesco-larvi l'argilla impermeabilizzante.
Se le argille normalmente trovate
non bastano, si usi un materiale
al-tamente impermeabilizzante, la
ben-tonite, in piccola parte,
mescolan-dola a quelle. La betonite è
un'ar-gilla speciale. E' un normale
pro-dotto del commercio, e per usi del
genere ha un prezzo accessibile.
Do-po mescolata la bentonite, si ari,
come detto sopra.
Quando arriverà l'acqua di
riem-pimento del bacino, l'argilla
bento-mtica si gonfierà improvvisamente
aumentando di dieci volte il proprio
volume a secco; ed anche l'altra
ar-gilla, mescolata, si dilaterà,
quan-tunque meno; ma aiuterà
efficace-mente ad impermeabilizzare la
mas-sa poromas-sa di detriti mas-sabbiosi che
co-stituisce la diga o il fondo del bacino.
Questa impermeabilizzazione è
solo superficiale. Interessante
quan-to sufficiente, non riesce, spesso a
dare tenuta e stabilità alla diga; e
l'acqua si infiltra lungo la superficie
di contatto di questa col bacino,
ossia lungo la base della diga.
Nel paramento a monte della
di-ga, laddove esso si interseca colla
superficie pianeggiante del bacino,
ivi ha luogo la massima pressione
dell'acqua, che è pari a tutta
l'altez-za che vi grava. Invece, nelle parti
della diga più a valle — sempre al
piano di contatto fra diga e bacino,
— la pressione è minore; ma sempre
tale da fare uscire dal paramento a
valle della diga, acqua, smorzata di
pressione, ma che rappresenta
sem-pre una perdita per il contenuto del
bacino. L'opera di
impermeabilizza-zione dovrà essere volta ad impedire
la filtrazione di acqua, nel
paramen-to a monte.
Tale effetto si raggiunge in pieno
mediante iniezioni di
impermeabi-lizzante. Le iniezioni si fanno per
mezzo di pozzetti di 2-3 pollici di
dametro. Essi sono tubi di acciaio a
punta, battuti nel terreno se questo
è sciolto; ma infissi, dopo
perfora-zione, se il terreno è compatto o
roc-cioso.
I pozzetti di iniezione si
dispon-gono in fila alla intersezione del
pa-ramento a monte della diga, col
pia-no di fondo del laghetto, laddove,
appunto, la facilità di fuga delle
acque è massima, e verranno
colle-gati con un tubo collettore, che è
unito ad una pompa a pistone, che
aspira la miscela di argilla ed acqua
nelle proporzioni adatte, e la fa
in-filtrare nel terreno, a grande
pres-sione.
Si procede con gli accorgimenti
che la tecnica della
impermeabiliz-zazione per mezzo di iniezioni
sug-gerisce. Si principia con l'iniettare
miscela leggerissima di argilla ed
acqua; per poi passare,
gradatamen-te. a renderla più densa, fino alla
densità di 1,2, che è un massimo che
si deve raggiungere solo alla fine
della operazione, quando il terreno
è stato tutto permeato dalla miscela
leggera di acqua ed argilla, che si
trasporta in virtù di tale leggerezza
più lontano dal punto di iniezione,
con vantaggio per la
impermeabiliz-zazione.
Così la penetrazione di argilla è
massima, e la massa di terreno
in-teressato all'operazione è pure
mas-sima. E' necessario che le argille
siano sempre di natura colloidale
perfetta, da accertarsi innanzi
usar-le, perchè esse debbono rimanere
sospese nell'acqua. Ed ancora, e
questo è assai importante: la miscela
delle argille secche e polverulente
coll'acqua, deve essere fatta colla
massima rapidità, affinchè l'effetto
di rigonfiamento abbia luogo fuori
della massa da impermeabilizzare
solo in piccolissima parte, lasciando
tutto il benefico rigonfiamento nella
fase successiva, allorquando
l'argil-la è iniettata, in sospensione
acquo-sa, nella masacquo-sa, turandone così tutte
le porosità.
Abbiamo trattato del materiale
impermeabilizzante. Innanzi tutto
dell'acqua ed argilla in normale
so-spensione. Abbiamo, poi, trattato di
tale miscela con aggiunta di
bento-nite. Si deve usare la miscela di
ben-tonite pura ed acqua, solo nei casi
difficili.
Un'altra qualità di argilla che
deve attirare la nostra attenzione, è
la attapulgite; che è argilla che
re-siste, in sospensione colloidale,
an-che in presenza di acqua salata.
Es-sa viene fornita da case americane
specializzate, e viene trattata come
la bentonite, nelle miscele.
Le acque salate hanno la dannosa
proprietà di fare deflocculare,
cade-re le argille normali ed anche le
bentonitiche, in presenza loro.
Questa miscela, però, produce un
allungamento del tempo di presa
del cemento, da correggersi
coll'ag-giunta di un 2-3% di cloruro di
cal-cio che ne riduce il tempo di presa al
valore normale.
L'attrezzatura per le operazioni
di impermeabilizzazione è semplice
e provata da decenni. Parliamo però
di una attrezzatura che si scosta dai
normali mescolatori che hanno una
parte ruotante e che agitano l'acqua
ed il cemento.
Il mescolatore di cui diamo
noti-zia è forse poco conosciuto anche
fra i cementisti, perchè viene usato
specialmente nelle
impermeabiliz-zazioni dei pozzi di petrolio, che
sono relativamente solo da poco in
uso nel nostro Paese. Esso è
compo-sto da un imbuto di 1,5 m. di
dia-metro, che riceve dall'alto l'argilla
in polvere, o la miscela di argilla
comune e bentonite, o di cemento,
puro o mescolato come detto. Il
tut-to in polvere. Il cloruro di calcio va
mescolato all'acqua.
Dalla parte inferiore del
mescola-tore vi è una entrata di acqua sotto
pressione, circa 10-15 atm., che trae
in basso e mescola la polvere
col-1 acqua. La idratazione avviene
im-mediatamente.
Il moto dell'acqua è dato da una
pompa a pistone. Un'altra pompa a
pistone inietta immediatamente la
miscela nel pozzetto di iniezione, e
l'operatore prosegue al
pompag-gio fino che è necessario, nei
termi-ni accennati qui sopra.
Nella figura si noti la strozzatura
costituita dal cilindro forato, che
re-gola la quantità di acqua che passa
a data pressione e che produce i
moti turbolenti che mescolano
effi-- «, •"»_•••/effi--
«•
• • • .
» • • . / cemento |
V _
1.
Mescolatore acqua-argilla
M E S C O L A T O R E : A C Q U A - A R G I L L A m. 1,50 - A r r i v o d e l l ' a c q u a : t u b o 4 p o l i . adatta p e , le i n i e z i o n i le r i c o o r i t u r » , r . " * b°l a C C a d i p r o d o t t a :cacemente la polvere, riducendo il
tutto a sospensione colloidale,
pron-ta per l'iniezione.
Il tempo necessario alla mescola
di un sacco di 40 chili di polvere di
argilla o cemento, è di sei-sette
se-condi. E' il mescolatore più efficace
che si trovi in uso nei cantieri
ame-ricani, dove viene specialmente
usa-to quanusa-to si voglia
impermeabilizza-re per iniezione gli stati porosi,
ac-quiferi, che non debbono venire in
contatto collo strato petrolifero, per
non inquinarlo.
Il mescolatore illustrato serve per
tutte le operazioni di
impermeabi-lizzazione con cemento. Nelle
galle-rie forzate, per il trasporto di acqua,
per la produzione di boiacca di
ce-mento che viene diretta con getti
potenti contro le pareti di roccia da
impermeabilizzare, nelle opere di
costruzione di cemento armato,
ot-tenute disponendo la miscela di
sab-bia e ghiaia in appositi cassoni, per
poi fare entrare a pressione la
mi-scela di cemento ed acqua che
pro-viene, appunto, dal mescolatore che
abbiamo descritto.
L'estendersi della costruzione di
laghetti artificiali, anche in terreni
permeabili come sono quasi tutti i
terreni collinari e montani, alla base
delle Alpi e degli Appennini, si deve
mettere in relazione colla possibilità
di produrre impermeabilizzazioni
si-cure, poco costose, facili e rapide,
così come già avvenne in altri Paesi,
in cui si sono fatti lavori su larga
scala e con risultati soddisfacenti.
SOCIETÀ PER A Z I O N I j f . J \
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S t a b i l i m e n t o : F O R N O C A N A V E S E - T e l e f o n o 7 1 . 4 5
TRIBUNA LIBERA
C H I M I I ADULTI
NELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE
A . T R I N C H E R I
Per conseguire compiutamente l'elevazione
cultu-rale, tecnica e lavorativa di tutto il popolo italiano
nelle sue varie classi e categorie occorrono nel Paese
due distinti ordinamenti: il primo, quello scolastico
ordinario nelle sue varie ramificazioni, per i giovani
che si dedicano esclusivamente allo studio, affidato al
Ministero dell'istruzione il quale è pure impegnato
nella lotta contro l'analfabetismo; il secondo un
ordi-namento speciale per apprendisti e per lavoratori
gio-vani ed adulti, affidato ad apposito istituto nazionale
para-statale, sotto la vigilanza del Ministero del lavoro.
Così l'opera dello Stato per il popolo italiano sarebbe
completa per ciò che riguarda l'educazione,
l'istru-zione e la preparal'istru-zione al lavoro.
Vediamo di illustrare le finalità e le caratteristiche
di quello che dovrebbe essere un sistema organico di
formazione professionale per le masse lavoratrici
ita-liane.
Tra i compiti principali di uno Stato moderno e
socialmente avanzato poniamo quello di creare la
pos-sibilità di una formazione umana e lavorativa anche
per quegli elementi che sono andati al lavoro in
gio-vane età e che comunque non hanno potuto seguire
un'istruzione regolare prima di entrare nella vita
pro-duttiva o che infine si trovano nella necessità di
cam-biare attività lavorativa. Si presenta dunque la
neces-sità di curare e di migliorare la preparazione
profes-sionale degli elementi che pur disponendo del titolo
di studio elementare o medio inferiore si avviano o
si trovano al lavoro senza aver seguito dei corsi
speci-fici per il mestiere che esercitano e che d'altra parte
non possono per necessità di vita, attendere troppo a
lungo una confacente sistemazione lavorativa.
Il problema della formazione professionale dei
la-voratori ha vaste dimensioni perchè si estende
dall'ad-destramento dei giovani in attesa di prima occupazione
o parzialmente occupati alla preparazione degli adulti
che si sono fermati alla manovalanza, dalla
riqualifica-zione dei lavoratori che mutano attività,
all'aggiorna-mento di quelli che vogliono seguire l'incessante
pro-gresso tecnico. A questi compiti, complessi e delicati,
va necessariamente preposto un organismo pubblico
che abbia mezzi e poteri e che inoltre sia responsabile
di fronte allo Stato.
Quella culturale e tecnica non è la meno
impor-tante tra le varie assistenze e previdenze di cui
bene-ficiano i lavoratori; a questo fine sinora si è operato
in modo frammentario e disorganico; è necessario
in-vece creare l'Istituto Nazionale per l'addestramento
dei lavoratori, analogamente a quanto si è fatto per la
Previdenza Sociale, per l'assicurazione contro gli
infor-tuni, per l'assicurazione malattie, ecc. Naturalmente
iniziative private ed enti morali possono pure dare un
contributo all'opera addestrativa che però deve avere
un inquadramento definito e a carattere nazionale.
Le scuole aziendali non risolvono il problema della
formazione professionale di massa; a parte il fatto che
vengono istituite solamente dalle grandi imprese, in
esse si realizza nella maggior parte dei casi la
specia-lizzazione delimitata che serve per lo più in modo
esclusivo alla stessa impresa e non sempre consente
una preparazione idonea per il passaggio del
lavora-tore ad altre imprese e magari all'estero.
Anche nelle città più progredite ed evolute come
Torino, Milano, Genova, vi sono ancora decine di
mi-gliaia di giovani e di lavoratori che non hanno nè una
istruzione post-elementare, nè una preparazione
pro-fessionale i quali o già lavorano come possono od
atten-dono un'occupazione. Qui si presenta la necessità di
un'opera di ricupero di grande portata civile ed
eco-nomica.
Non si possono abbandonare in Italia centinaia di
migliaia di lavoratori ad occupazioni generiche,
sem-pre meno offerte dall'attività economico-produttiva; in
questo campo può solamente operare un organismo
agile e duttile che sappia adattare la sua azione
tecnico-didattica alle notevoli esigenze di tempo e di luogo e
alla mentalità dei giovani meno fortunati nella vita.
La formazione professionale dei lavoratori presenta
principalmente due campi abbastanza distinti: gli
ap-prendisti ed i lavoratori adulti; fermiamoci per ora a
questo secondo settore.
La formazione professionale degli adulti assume
caratteri particolarmente delicati e complessi; si tratta
anzitutto di riqualificare elementi che hanno cessato
di svolgere una certa attività lavorativa e che
deside-rano essere utilizzati in un nuovo lavoro, oppure di
qualificare manovali che aspirano a compiere un lavoro
qualificato.
lavoro; così in un periodo normalmente non superiore
ai sei mesi l'allievo adulto deve ricevere un primo
adde-stramento sufficiente per iniziare proficuamente il
tiro-cinio pratico presso le imprese; potrà successivamente
giungere alla qualifica con i corsi aziendali o seguendo
corsi serali.
Per i lavoratori che proseguono nel lavoro da tempo
intrapreso, si presenta la necessità del dinamico
evol-versi della tecnica di un periodico aggiornamento;
anche i commercianti hanno sentito questa necessità
e infatti da alcuni anni seguono dei brevi corsi di
ag-giornamento per mettersi al corrente delle innovazioni
che interessano la loro professione. L'utilità del
perfe-zionamento e dell'aggiornamento in campo
professio-nale si presenterà sempre più notevole in avvenire.
Un popolo che, quale unica materia prima
abbon-dante ha l'intelligenza, deve saper utilizzare al
mas-simo i suoi talenti soprattutto nell'esplicazione della
capacità lavorativa da cui dipende in larga parte lo
sviluppo economico.
L'ideale vero ma astratto, sarebbe quello che il
giovane andasse al lavoro già preparato dagli istituti
professionali o dai centri di addestramento; purtroppo
le condizioni economiche di molte famiglie italiane
richiedono che il ragazzo, compiuto il 14° anno di età
vada a lavorare: occorre quindi vedere di far
coesi-stere l'attività lavorativa del giovane apprendista e la
formazione professionale del medesimo.
Il giovane dai 14 ai 18 anni che non prosegue gli
studi regolari, sia che trovi subito un'occupazione, sia
che resti in attesa della medesima, dovrebbe seguire
dei corsi di preparazione professionale; detti corsi
pos-sono essere ad orario completo e cioè con svolgimento
in tutti i giorni della settimana per i non occupati
mentre necessariamente sono attuabili con orario
ridot-to per gli occupati.
La formazione professionale dei giovani lavoratori
deve essere obbligatoria e realizzata attraverso due
ordini di corsi:
1) Corsi complementari (o di grado secondario).
Questi corsi servono per gli elementi che hanno
sola-mente seguito le scuole elementari e che abbisognano
di una istruzione di base oltreché dei primi elementi
tecnico-professionali; tali corsi per la limitatezza
del-l'orario devono essere contenuti nelle materie da
sce-gliere tra quelle più necessarie alla professione: così
il meccanico ha bisogno di disegno e di geometria e il
cameriere deve conoscere l'italiano e almeno una
lin-gua estera: si giunge così ad una cultura integrativa ed
a una prequalificazione e cioè al minimo indispensabile
per la vita produttiva moderna.
2) Corsi di qualificazione (o di grado medio
supe-riore); questi corsi sono indicati per gli elementi che
già posseggono la licenza media o che hanno terminato
i corsi complementari: si insegnano e si esercitano le
materie strettamente inerenti alla professione con cenni
di legislazione sociale e di deontologia.
Un terzo grado di carattere superiore denominabile
magistero professionale è pure auspicabile, su un
piano però del tutto facoltativo. L'addestramento
pra-tico professionale non deve rappresentare nè una via
per i meno intelligenti, nè una strada chiusa per gli
elementi di spiccata capacità volti
contemporaneamen-te alla concentrazione mentale ed alla realizzazione
produttiva. Ecco perchè l'addestramento
pratico-pro-fessionale va conseguito in vari ordini e gradi in modo
da consentire al lavoratore volenteroso di giungere ai
vari livelli secondo le sue possibilità naturali. Ecco
perchè la formazione professionale dei lavoratori deve
avere tre gradi: secondario, medio-superiore, superiore
con la possibilità per gli elementi più volenterosi e più
naturalmente dotati di percorrere tutti e tre i gradi.
Insistiamo sul concetto sopra esposto e
particolar-mente sull'opportunità di non escludere uno sbocco
propriamente superiore come avviene in Francia ove
esiste un istituto nazionale delle scienze applicate cui
si può accedere con la promozione ottenuta nei corsi
livello medio superiore.
Da un anno e mezzo in Italia è in corso un
espe-rimento su vasta scala per la preparazione degli appre
n-disti privi del titolo di istruzione professionle
richie-sto. Questi giovani ricevono (o dovrebbero ricevere)
in azienda l'insegnamento pratico e vanno a scuola un
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giorno alla settimana per tre ore al fine di ricevere
le nozioni culturali e tecniche indispensabili per
l'at-tività produttiva. In Germania tale insegnamento
ob-bligatorio si svolge due giorni alla settimana con
quattro ore per giorno.
Come abbiamo premesso l'ideale sarebbe che i
giovani si presentassero alle imprese già qualificati
o almeno già addestrati; sino a quando ciò non
diven-terà una realtà, l'insegnamento complementare risulta
necessario per ovviare alla più grossa ignoranza
gene-rale e specifica da parte di ingenti masse di giovani.
Ci sembra però che l'obbligo dell'istruzione
comple-mentare potrebbe essere esteso a tutti i giovani che
compiuto il 14 anno di età non proseguono gli studi
ordinari.
L'obbligatorietà della frequenza deve diventare
effettiva, con multe e licenziamento all'allievo che
senza giustificazione non frequenta regolarmente;
evi-dentemente l'allievo che viene a scuola dopo aver
già faticato mezza giornata in officina o in bottega
non si trova nelle migliori condizioni fisiche e mentali
per apprendere con profitto. Sotto questo aspetto il
giorno settimanale di scuola come avviene in Svizzera
è preferibile; però la mezza giornata o le due mezze
giornate disturbano meno il ritmo produttivo.
Il maggior sacrificio delle imprese che si
prive-rebbero di un giorno di lavoro dovrebbe venir
com-pensato, oltreché dall'attuale esenzione o riduzione
di oneri sociali, pure da un semestre di tirocinio
gra-tuito cui dovrebbero sottostare i giovani che
arriva-no all'impresa privi di istruzione professionale e come
tali incapaci di rendimento.
L'obbligatorietà dell'addestramento professionale e
particolarmente la frequenza ai corsi anche da parte
di coloro che sono già al lavoro rappresenta per il
nostro Paese una innovazione che richiede del tempo
per essere compresa nel suo giusto valore. Una
oppor-tuna propaganda presso le famiglie e presso le imprese
consentirà adesioni più larghe e più convinte. Un
incentivo per la frequenza ai corsi professionali per i
giovani può venire collegando la corresponsione degli
assegni familiari con la dimostrata frequenza ai corsi
stessi, sia come condizione vincolante, sia come
diffe-renziazione di entità in relazione agli anni di
frequen-za, nel senso che ad ogni anno di frequenza con
promozione il genitore dell'apprendista percepisca una
maggiorazione di assegni. In sostanza l'obbligatorietà
deve essere accompagnata non solo da penalità, ma
pure da incentivi che suscitino l'interesse dei giovani
e delle loro famiglie.
Il problema delineato oltre a rivestire grande
rile-vanza economico sociale ha i caratteri dell'estrema
urgenza; infatti già oggi in Italia, oltreché all'estero si
presenta (come avevamo previsto su queste colonne)
una sensibile scarsità di mano d'opera qualificata e
specializzata; è dunque ora che sia compiutamente
definita la struttura istituzionale per poter avviare al
mercato del lavoro le nuove generazioni.
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M A N I F E S T A Z I O N I A C A R A T T E R E T E C N I C O , P E R II, 10(ì«, I N I T A L I A
Una eentrale elettrica magncloidrodiiiamica
La ricerca di mezzi, per la produzione di energia
elettrica senza ricorrere alla soluzione normale di
turbogeneratori, ha portato ad alcuni recenti
miglio-ramenti in diversi settori degli studi in tale campo.
L'attenzione è stata rivolta alla magnetoidrodinamica,
connessa all'azione reciproca fra un campo magnetico
e gas jonizzati.
La Magnetoidrodinamica offre una potenzialità
superiore del 25%, per quanto concerne il rendimento
termico nella produzione di elettricità. Un impianto
su scala sperimentale di laboratorio, realizzato dalla
AVCO EVERETT RESEARCH LABORATORY,
pre-dispone un passaggio di gas ad alta temperatura e ad
alta velocità, attraverso un forte campo magnetico,
per la produzione di energia elettrica. In questo modo,
l'armatura di un generatore normale sarebbe sostituita
con un flusso di gas caldi jonizzati. La jonizzazione
di alcune miscele di gas, che le rendono elettricamente
conduttrici, può essere ottenuta riscaldandole a
3000-5000 gradi Farenheit (ossia, 1500-2800 gradi
Centri-gradi).
In un articolo La Magnetoidrodinamica per lo
svi-luppo della energia futura, di Philip Sporn e Arthur
Kantrowitz (direttore del Laboratorio della AVCO
EVERETT) si propone appunto un programma per
un impianto, che utilizzi gas di combustione normali
a 3500 gradi Farenheit. Dopo la produzione di 360
Megawatt di corrente elettrica continua nel
genera-tore magnetoidrodinamico, i gas passerebbero ad un
<jf«£fMrojf
pur LI EVO Eriepq/A
THItllCA SlCOHbARIA
CAUCHA Z>/ COMBUSTIONE
O
ff£A TTOR £ nUCLCAKS
COMPffEJSOq*
rigeneratore, che parzialmente preriscalderebbe l'aria
all'ingresso. Un superriscaldatore, un preriscaldatore
e alcune sezioni di evaporazione, permetterebbero
inoltre di utilizzare la restante parte di calore, e
chiu-dere il ciclo, azionando turbina a vapore. Queste, a
loro volta, condurrebbero un compressore ad aria, e
il vapore sarebbe ulteriormente utilizzato da un
turbo-generatore a bassa pressione: combinazione che
ag-giungerebbe altri 97 Megawatt di energia elettrica
alternata. In questo ciclo, le turbine, le caldaie, il
compressore, il generatore di corrente alternata, il
riscaldatore e apparecchi ausiliari sono di tipo
nor-male, e non rappresentano speciali problemi di
pro-getto. La attrezzatura magnetoidrodinamica pone
tut-tavia una serie di problemi speciali di ricerca e
note-voli difficoltà in relazione ai gas ad alta
tempera-AlLO SCAMBIATOSI
CAMPO MA^MET/CO
FLUSSO DEL CjAS
F I G U R A 2 - La c o r r e n t e e l e t t r i c a è p r o d o t t a d i r e t t a m e n t e da un llusso d i gas s u r r i s c a l d a t o e i o n i z z a t o , che attraversa il c a m p o m a g n e t o i d r o d i n a -m i c o . Il gas c a l d o sostituisce il c i r c u i t o n o r -m a l e d i ar-matura d e i g e n e r a t o r i
e l e t t r i c i .
tura in campo elettromagnetico, ed ai rimanenti
mate-riali, che devono resistere a temperature molto elevate.
Fortunatamente, i problemi sono di interesse anche
per lo sviluppo di procedimenti nucleari, e nel settore
della missilistica. Permane tuttavia — almeno allo
stato presente delle ricerche — una seria limitazione
nel procedimento della magnetoidrodinamica per la
produzione di corrente: il costo. Altre limitazioni
tec-niche, sono connesse con la valutazione della stabilità
di sviluppo della corrente nei gas, con gli effetti
del-l'elettrodo, e con altri fenomeni. In aggiunta, i materiali
devono essere preparati, sì da resistere a temperature
che toccano i 2800 gradi Centigradi.
Un gruppo di aziende americane ha tuttavia posto
allo studio (sia teorico, sia sperimentale) le possibilità
di applicazioni pratiche di questo nuovo principio per
la produzione di energia elettrica.
(Medianical Engineering)
Il cannello a p l a s m a
Qualche mese addietro, la Rivista francese La
ma-chine moderne aveva riportato diffuse notizie, su un
prodotto, che definiva « l'ultimo nato della tecnica:
il cannello a plasma». Le notizie concernevano,
tut-tavia, i risultati di una ricerca scientifica di laboratorio,
e costituivano una specie di « anteprima »; non si
trattava infatti di costruzione effettiva, quantunque si
profilasse una produzione addirittura « in serie ». Ed
infatti, tale produzione ha ora avuto inizio. In
consi-derazione dell'importanza del ritrovato, mette conto
descriverne in sunto le principali caratteristiche. A
titolo cronicistico, gioverà ricordare che l'origine della
invenzione ha carattere romanzesco, essendo
colle-gata alla avventurosa rapina nella Banca d'Inghilterra
a Londra: in quella incredibile occasione furono
for-zate in pochi minuti casseforti blindate, giudicate
asso-lutamente inattaccabili. Solo un cannello assoasso-lutamente
eccezionale poteva permettere un'impresa del genere:
si trattava del cannello a plasma. Paragonabile, per
dimensioni, ad un cannello comune, il cannello a
plasma sviluppa una temperatura dell'ordine di
15-16.000 C, portando perciò istantaneamente in fusione
i materiali più refrattari.
Che cosa è il plasmaP Volendo semplificare la
de-scrizione, si potrebbe sostenere che sia uno speciale
« status » della materia, nel senso che un gas, elevato
a tali temperature, non risponde più in alcun modo
alle leggi note sui gas. E' come se le molecole «
esplo-dessero » nei loro atomi costitutivi, i quali si
cari-cano elettricamente, e formano un « plasma » di joni
carichi e di elettroni liberi. Un plasma cosiffatto diviene
sensibile al campo magnetico, e può essere «
coman-dato », come la fiamma di un arco elettrico,
accele-randolo o rallentandolo in uno spazio ristretto.
Ecco la procedura. Si forza un gas compresso, a
grande velocità, attraverso un arco elettrico,
alimen-tato da un normale generatore per saldatura. L'arco
elettrico è collocato in una camera di piccola
dimen-sione, nella quale viene iniettato gas, che tende a
raffreddarlo. Tale azione eleva la temperatura
dell'ar-co, in quanto riduce la conducibilità della zona
ester-na; un successivo effetto « magnetico-idrodinamico »
accresce ulteriormente la resistenza del passaggio di
corrente, ed il plasma si innalza a fortissime
tempera-ture. Si fanno intervenire pressioni che proiettano con
forza il plasma attraverso l'ugello, sotto forma di un
lungo dardo di particole, violentemente eccitate. Nel
momento in cui gli atomi del gas si trasformano in
joni, una grande quantità di energia viene assorbita
dall'arco tramite il plasma, con caratteristiche
rever-sibili. Neil' istante in cui gli joni colpiscono la superficie
di un pezzo, sviluppano un calore intorno ai 15.000
gradi (e, con ulteriore perfezionamento, superano i
25.000 °C).
Già sono stati costruiti due tipi di cannello a
plasma, raffigurati nello schema a) e b) (fig. 3). Primo
tipo, denominato ad arco in contatto: dopo l'ugello,
l'arco ed il getto del gas si allungano sino al pezzo;
CATODO ©
processo-base per il taglio dei metalli. Secondo tipo,
denominato ad arco limitato: il gas si arresta
all'estre-mità sino a che, violentemente riscaldato, ne
fuo-riesce; impiego nella metallizzazione e nella proiezione
di materiali diversi, posti in fusione (fig. 4).
Vantaggi: concentrazione di potenza,
particolar-mente importante, quando si tevono tagliare i metalli
con perdita minima (cioè, con fiamma quanto più
pos-sibile ristretta); concentrazione energetica, per
acce-lerare particelle metalliche in operazioni di
rivesti-mento; taglio molto netto, con fenditura sottilissima
su lastre di alluminio di cm. 2,5, alla velocità di varie
centinaia di metri all'ora. La gamma di potenza,
utilizzabile per lavorare con cannelli a plasma, è
pra-ticamente altrettanto estesa, quanto quella del lavoro
ad arco libero: va da qualche watts (nella saldatura
di materiali poco spessi) sino a molti megawatts
(per le prove dei razzi).
L'adozione dei nuovi cannelli permette la
solu-zione di problemi prima insoluti nell'industria
metal-lurgica, sopra tutto per lavori di rivestimento. In tal
caso, il metallo (o la sostanza da lavorare) è
prepa-rato sia in filo, sia in polvere, ed introdotto nell'arco.
Il materiale passa immediatamente allo stato fluido
o plastico, e si trova sospinto dal gas ad una velocità
di 15.000 km/h, per depositarsi sul pezzo, verso il
quale è diretto. La forza ne è tale, che la lega risulta
estremamente intima. Dal tungsteno puro, al
molib-deno, allo zirconio, tutti i carburi duri e persino i
metalli preziosi possono essere proiettati in egual
modo; le materie inorganiche fondono senza
decom-porsi. Naturalmente sono realizzabili anche
rivestimen-ti a strarivestimen-ti sovrapposrivestimen-ti.
Queste caratteristiche giustificano il pieno
suc-cesso del cannello a plasma nelle industrie che ne
hanno deliberato l'adozione, padroneggiando in tal
modo materiali, sinora considerati non lavorabili.
Nuovo tornio verticale automatico
a cinque mandrini
Un nuovo tipo di tornio verticale (fig. 5) è stato
progettato e costruito dalla ditta HASSE & WREDE,
WESTBERLIN, per lavorazioni di serie, secondo
pro-grammi prestabiliti.
La macchina consta di 1 basamento, con 1 tavola
circolare ed 1 montante inclinato, sul quale si trova
la testa, con 2 slitte. La testa è dotata di un cambio
ad ingranaggi, per 12 velocità dei mandrini portapezzi,
e di 1 motore di comando. Inoltre, vi è un gruppo
per l'avanzamento. Sui due lati del montante; si
tro-vano altre 2 slitte, che ricevono il moto dalla testa,
attraverso pignone e cremagliera. Le slitte hanno un
dispositivo a copiare idraulico, per le torniture di
forma. Ognuna delle 4 slitte ha la possibilità di una
corsa di accostamento rapida, per ridurre i tempi
passivi.
250 mm.). La tavola compie rotazioni di 1/5 di giro
ad ogni fase di lavoro. Le lavorazioni avvengono su
4 stazioni, mentre la quinta serve per il carico del
pezzo e lo scarico a lavorazione ultimata. Quando
il mandrino giunge nella stazione di carico e scarico,
si ferma automaticamente. L'autocentrante si apre, per
scaricare il pezzo, e per consentire all'operatore di
sostituirlo con un pezzo nuovo. Soltanto dopo che
l'autocentrante ha bloccato il pezzo, la tavola può
essere fatta ruotare alla stazione successiva.
Il bloccaggio della tavola è idraulico, ed un
dispo-sitivo elettrico di sicurezza impedisce l'inizio della
lavorazione, sino a quando la tavola non sia stata
bloccata. Poiché, inoltre, l'asse di rotazione della
tavola appare inclinato, rispetto alla verticale, lo
sca-rico dei trucioli è reso più facile.
I vantaggi che sono elencati per questo tornio,
nelle applicazioni alle lavorazioni di grande serie,
sono costituiti: dalle possibilità di impiego
contem-poraneo di molti utensili; dalla eliminazione dei tempi
passivi di carico e scarico dei pezzi, poiché questi
ven-gono sostituiti, durante il ciclo di lavoro; dalla
esecu-zione contemporanea di lavorazioni di tornitura,
fora-tura, alesafora-tura, allargafora-tura, copiatura.
Infine, grazie ad un nuovo tipo di comando a
programma, si possono regolare rapidamente le
velo-cità di taglio, gli avanzamenti, i percorsi di lavoro,
riducendo sensibilmente i tempi di attrezzaggio.
Rappresentante per l'Italia: R. Mayer, corso Galileo
Ferraris 63, Torino.
— costo dell'utensile: comprende anche il costo di
riaffilatura, e cresce con l'aumentare della velocità
di taglio, in quanto — a parità di volume di truciolo
asportato — sono richieste affilature più numerose;
— costo della sostituzione dell'utensile: cresce con la
velocità, in quanto il numero di sostituzione
l'utensile risulta più elevato, quando la durata
del-l'utensile si riduce.
Nell'articolo sono altresì descritti i metodi di prova
per utensili, tipo punte elicoidali, relativi alla misura
della durata dell'utensile, in rapporto alla velocità di
taglio ed all'avanzamento. L'Autore, seguendo metodi
statistici, ricava dati generali interessanti, a seguito di
una serie di prove, su gruppi di 18-24 pezzi. Un
gra-fico, che può essere utile a chi deve stabilire le
condi-zioni di lavoro delle macchine utensili, è riportato
20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220
VELOCITA' DI TAGLIO RELATIVA
Come valutare i eosti degli utensili
In un articolo di Karl I. Oxforcl, direttore delle
Ricerche presso la National Twist Drill & Tool Co.,
apparso sulla rivista « American Machinist » (gennaio
1960), sono indicati alcuni metodi, per la valutazione
dei costi degli utensili, in relazione alla loro durata,
ed al numero delle affilature.
Il costo di produzione viene basato sulle seguenti
voci:
— costo di lavorazione: corrisponde al tempo attivo
di macchina, e viene ridotto con la riduzione del
tem-po di macchina, oltre che con l'aumento della
velo-cità di lavoro;
— costo per il carico e lo scarico dei pezzi: ossia, costo
dovuto al tempo passivo, quando la macchina non
lavora;
nello stesso articolo. Il grafico (qui riprodotto in fig. 6)
mette in relazione il costo per pezzo (riferito alla
velo-cità di taglio), come risultato della somma dei vari
costi, sopra ricordati.
Notizie in breve
PEZZI FUSI IN ACCIAIO — La « Biitish Steel Founders
Associatimi », che ha sede in Inghilterra, a Sheffield, ha
comu-nicato una notizia, di considerevole interesse per i
produt-tori di acciaio, e per le industrie metalmeccaniche. Trattasi
di pezzi fusi in acciaio, che sostituiscono pezzi forgiati,
rispetto ai quali presentano i seguenti vantaggi: maggior
durata, robustezza e leggerezza; riduzione nei costi e nella
manutenzione. Si afferma che il loro impiego consente
mag-giore libertà ai progettisti, i quali si troverebbero davanti a
soluzioni meno impegnative, circa i problemi meccanici e
termici, oltre ad una semplificazione delle difficoltà, connesse
con il logoramento e le distorsioni. « Al giorno d'oggi —
pre-CatdLio
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CO.NTROLI ATE I L M A R C H I O