Come anticipato, il c.d. abuso in senso lato riguarda principalmente il settore della fiscalità non armonizzata. In questo contesto, il contribuente cerca di sfruttare le asimmetrie e le frizioni che si rinvengono tra normativa nazionale e libertà comunitarie; egli, invocando la copertura di una libertà fondamentale garantita dal Trattato, pone in essere un comportamento che formalmente è conforme ad una norma interna attributiva di un vantaggio fiscale, il quale ultimo, però, per le modalità con cui è ottenuto e guardando alla sostanza dell’operazione complessiva, si pone in contrasto con l’obiettivo perseguito dalla libertà fondamentale stessa. La contrarietà alla ratio di una norma comunitaria primaria connota il vantaggio fiscale ottenuto di un carattere indebito. In altre parole, il soggetto agente sfrutta il principio del primato del diritto comunitario ed invoca, per l’operazione posta in essere o che intende porre in essere, la protezione offerta da una libertà fondamentale, il cui esercizio tuttavia non è conforme alla finalità per cui essa è stata pattiziamente prevista all’interno del
Trattato203. Conseguentemente, in questo modo il privato elude una norma di
diritto interno ma ancor prima abusa di una libertà fondamentale sancita dal diritto comunitario primario. Tale condotta concretizza il fenomeno del c.d. “cross-border shopping”.
Va rilevato che le pronunce iniziali della Corte di Giustizia in materia di abuso del diritto hanno riguardato proprio la accezione più lata dell’espressione. Esse, tuttavia, non hanno interessato la materia fiscale bensì altri rami del diritto.
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La prima decisione con cui la Corte ha affrontato il tema dell’abuso è stata la
sentenza Van Binsbergen del 1974204, relativa alla libertà di prestazione dei
servizi205. Si trattava di un caso in cui ad un avvocato olandese, che aveva
trasferito la propria residenza in Belgio, è stata negata la possibilità di conservare lo stato giuridico di rappresentante in giudizio innanzi ai giudici olandesi essendo, tale qualifica, riservata ai soli avvocati residenti in Olanda. La Corte ha escluso che il cambiamento di residenza di un prestatore di servizi rivolti al suo Stato di provenienza possa essere utilizzato, invocando il principio della libera prestazione dei servizi, al fine di evitare l’applicazione delle regole professionali del suo Stato di origine, nell’ambito del quale i suoi servizi pur continuino ad essere prestati ed eseguiti. In questa prospettiva, le misure adottate da parte dello Stato di origine al fine di escludere tale eventualità sono state considerate legittime, proprio perché giustificate dal fine di reprimere condotte abusive delle libertà comunitarie. Più precisamente, con tale sentenza è stato affermato l’inedito principio dell’esistenza di un divieto di “aggirare” le norme degli ordinamenti degli Stati membri attraverso l’esercizio delle libertà riconosciute dai Trattati europei206. Il fine di contrastare pratiche abusive può, nell’opinione
della Corte, giustificare una compressione delle suddette libertà.
Il principio è stato ribadito in altre sentenze, rese nelle cause Commissione c. Belgio, Veronica e TV 10207 e riguardanti la valutazione della legittimità di
misure interdittive della libera prestazione dei servizi e della trasmissione di programmi televisivi. Il contributo interpretativo apportato dalla Corte di Giustizia ai fini del contrasto del fenomeno elusivo è stato talmente rilevante che
quando, nel 1997, è stata modificata la direttiva “Televisione senza frontiere”208,
204 CGCE, 3 dicembre 1974, Van Binsbergen, causa C-33/74. 205 F. PEDROTTI, cit., pag 1019.
206 A BELLACIN e G. BIZIOLI, L’abuso del diritto tributario: profili internazionali ed europei, pag 200;
A. ZANETTI, Note in materia di abuso del diritto sul piano fiscale, in Il Commercialista Veneto, 2013, pag. 14.
207 Il riferimento è, rispettivamente, alle sentenze della Corte di giustizia del 16 dicembre 1992,
Commissione c. Regno del Belgio, causa C-211/91, in Raccolta, 1992, pagg. I-6757; del 3 febbraio 1993, Veronica, causa C-148/91, in Raccolta, 1993, pagg. I-487; del 5 ottobre 1994, TV10, causa C-23/93, in Raccolta, 1994, pagg. I-4795.
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il legislatore comunitario ha riconosciuto espressamente la legittimità di misure antiabuso previste dalle legislazioni nazionali, recependo e consolidando in tal modo gli arresti della giurisprudenza della Corte. Più in particolare, la nuova versione della direttiva209 ha riconosciuto la legittimità di interventi inibitori,
posti in essere da uno Stato membro, volti ad evitare un aggiramento abusivo degli obblighi derivanti dalla disciplina nazionale relativa ai contenuti pluralistici e non commerciali dei programmi televisivi. Per quel che qui interessa, è rilevante osservare che, conformemente alle espressioni dell’Avvocato generale Lenz, utilizzate nel sopra citato caso TV 10, la prova del comportamento abusivo si riteneva integrata quando la volontà di “evadere” la normativa dello Stato
destinatario dei servizi televisivi risultava da specifiche circostanze oggettive210.
Sebbene inizialmente l’affermazione del principio comunitario antiabuso sia stata limitata al tema della libertà di prestazione dei servizi, successivamente esso è stato esteso alle altre libertà fondamentali.
In materia di libertà di stabilimento, nella sentenza Knoors 211 il giudice
comunitario ha affrontato il caso di un idraulico olandese che, avendo maturato in Belgio le proprie qualifiche tecniche, rivendicava il diritto di esercitare la propria attività professionale in Olanda. I giudici del Lussemburgo, accogliendo le ragioni delle autorità olandesi, hanno affermato che “non si può non tener conto dell’interesse legittimo che uno Stato membro può avere per impedire che, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, taluni suoi cittadini tentino di sottrarsi abusivamente all’imperio delle leggi nazionali in materia di preparazione professionale”212
.
In materia di libera circolazione dei lavoratori e regimi di sicurezza sociale, nella sentenza Paletta213 la Corte ha affrontato il caso in cui i membri di una
famiglia italiana, impiegati in Germania, in occasione delle vacanze estive
209 La quale, a sua volta, è stata sostituita da un’altra direttiva emanata nel 2010.
210 S. M. CARBONE, Brevi riflessioni sull’abuso del diritto comunitario: commercio internazionale ed
esercizio delle libertà individuali, 2011, pag. 3.
211 CGCE, 7 febbraio 1979, Knoors, causa C-115/78.
212 Un principio simile è stato affermato nelle sentenze CGCE 3 ottobre 1990, Bouchoucha, causa C-
61/89 e CGCE, 7 luglio 1972, Singh, causa C-370/90.
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trascorse in Italia presentavano sistematicamente regolari certificati medici con cui rimandavano il rientro al lavoro. Nella sentenza citata si legge che “il datore di lavoro poteva fornire elementi probatori che consentiranno, eventualmente, al giudice nazionale di accertare la sussistenza di un comportamento abusivo o fraudolento” del lavoratore214.
In tema di libera di circolazione delle merci, con la sentenza Leclerc 215 la
suprema istanza comunitaria ha affermato che i motivi che giustificano una deroga al divieto delle restrizioni quantitative all’importazione tra gli Stati membri e che sono individuati dall’art. 36 TFUE devono essere interpretati in maniera restrittiva, non potendo tale deroga essere estesa “a scopi che non siano espressamente enumerati”. Tuttavia, un’eccezione che legittima gli Stati membri ad introdurre una restrizione quantitativa all’importazione è stata identificata con i casi in cui quest’ultima sia volta al solo fine di eludere la legge.
Con l’estensione del principio comunitario antielusivo a tutte le libertà fondamentali garantite dal Trattato, la Corte ha esportato la nozione di abuso (in
senso lato) in settori del diritto come il diritto societario216, la sicurezza
sociale217, il cabotaggio marittimo218 e la politica agricola comune219.
Occorre comunque rilevare che in queste sentenze non è stata fornita una specifica definizione di abuso del diritto, né sono stati puntualizzati gli elementi costitutivi dell’istituto; al contrario, la Corte ha parlato genericamente del concetto di “aggiramento” e si è limitata ad affermare il principio per cui i
singoli non possono avvalersi abusivamente del diritto comunitario220. Non a
caso, la giurisprudenza Van Binsbergen non è stata indicata dalla dottrina come
214 In tema di libertà di circolazione dei lavoratori, un principio antiabuso è stato espresso anche nella
sentenza CGCE, 10 gennaio 1985, Leclerc, causa C-229/83.
215 CGCE, 10 gennaio 1985, Leclerc, causa C-229/83
216 CGCE, 12 maggio 1998, Kefalas, causa C-367/96; ID., 23 marzo 2000, Diamantis, causa C-373/97. 217 CGCE, causa Paletta, cit.
218 CGCE, 6 aprile 2006, Agip Petroli, causa C-456/04.
219 CGCE, 11 dicembre 1977, Cremer, causa C-125/76; ID., 3 marzo 1993, General Milk Products, causa
C-8/92; ID., 9 settembre 2003, Milk Maeque and National Farmers’ Union, causa C-137/00; ID., 11 gennaio 2007, Vonk Dairy Products, causa C-279/05.
220 A. RIZZO e M. TOLLA, Dall’elusione fiscale all’abuso del diritto – I confini del lecito risparmio
d’imposta tra normativa vigente e interpretazioni giurisprudenziali, in IPSOA, 2014, pag. 21; S. M.
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l’enunciazione di un generale principio antiabuso in ambito comunitario, ma più genericamente ed in maniera indeterminata come il riconoscimento di un
“circumvention principle”221, “evasion principle”222 o “Van Binsbergen
principle”223. Il concetto di abuso veniva individuato soltanto in termini negativi,
come eccezione alle previsioni del Trattato sulle libertà di circolazione224, le
quali ultime potevano essere compresse soltanto nella misura in cui la loro limitazione, attuata tramite forme di contrasto dei fenomeni elusivi, fosse funzionale alla realizzazione del Mercato unico.
È interessante notare, inoltre, che per individuare le ipotesi di abuso la suprema istanza comunitaria ha adottato la prospettiva del Mercato interno: in virtù di essa, sono elusive quelle operazioni intracomunitarie che innanzitutto si pongono in contrasto con le finalità per le quali l’ordinamento giuridico comunitario le tutela (ossia con la realizzazione del Mercato unico, appunto) e
che soltanto di riflesso provocano un aggiramento della disciplina nazionale225.
In altre parole, nella sua indagine sulla ricorrenza di un abuso la Corte non ha guardato e non guarda primariamente alla elusione della disciplina nazionale rilevante, ma al compimento di un’operazione che confligge in primo luogo con la ratio della tutela comunitaria.
Un’ultima notazione su questa prima giurisprudenza della Corte di Giustizia riguarda l’iniziale ampia apertura, definita da molti come eccessiva226, a favore
della utilizzazione delle tecniche antiabuso. In virtù di tale orientamento, in un primo momento sembrava che tutte le situazioni rivolte ad impiegare le libertà comunitarie al fine di evitare l’applicazione della disciplina altrimenti rilevante
221 In questo senso, cfr. L. H. HANSEN, The Development of the Circumvention Principle in the Area of
Broadcasting, in Legal Issues of European Integration, 1999, pag. 111.
222 J. HORNLE, Country of origin regulation in cross-border media: One step beyond the freedom to
provide services?, in International and Comparative Law Quarterly, 2005, pag. 115.
223 B. RIS M. PULLEN, Advocate General reinforces the principle of country of origin control under the
Television without Frontiers Directive, in EC Law Review, 1996, pagg. 456-457.
224 Ciò emerge, ad esempio, dalle sentenze CGCE, 12 luglio 2005, Schempp, C-403/03; ID., 13 dicembre
2005, Mark & Spencer, causa C-446/03; ID., 14 novembre 2006, Kerchaert-Morres, C-513/04
225 P. PIANTAVIGNA, cit, pag. 67.
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potessero essere considerate come abusive del diritto comunitario227. Ad
esempio, per quanto riguarda il settore del diritto societario, una apertura assoluta ai fini dell’applicazione delle misure antielusive (una “carte blanche”, come è
stata definita228) è stata costituita dalla sentenza Daily Mail229. Con riferimento al
caso in cui una società inglese aveva trasferito la propria sede principale in Olanda, la Corte, accogliendo la posizione delle autorità inglesi, ha considerato abusiva l’operazione in quanto, si è affermato, era volta ad eludere il pagamento delle imposte inglesi sulle plusvalenze azionarie.
Una opportuna inversione di tendenza è stata inaugurata con la citata sentenza Centros230, relativa parimenti al campo del diritto societario. Il caso riguardava
una società costituita in Inghilterra da parte di un cittadino danese, al fine di avvantaggiarsi del regime societario esistente in tale Stato ed evitare, in tal modo, la applicazione della legislazione danese sul capitale minimo delle società. Tuttavia, la neocostituita società era destinata ad operare in Danimarca ed in quest’ultimo Stato aveva la propria sede principale ed effettiva. Mutando posizione rispetto al passato, la Corte di Giustizia ha giudicato legittimo il comportamento della società inglese ed ha considerato le misure antiabuso, previste dalla legislazione danese e finalizzate a garantire la applicazione del regime societario nazionale, come contrastanti con gli odierni articoli 49 TFUE, relativo alla libertà di stabilimento, e 54 TFUE, il cui primo comma equipara le società incorporate in uno Stato membro ed aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il centro di attività principale all’interno dell’Unione alle persone fisiche aventi la cittadinanza di uno degli Stati membri. Anche nella sentenza in esame i giudici del Lussemburgo hanno ribadito il principio secondo cui i soggetti privati “non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario”; tuttavia essi hanno precisato che, nel valutare l’abusività della condotta, è sempre necessario aver riguardo alle
227 S. M. CARBONE, cit., pag. 4. 228 S. M. CARBONE, cit., pag. 4.
229 CGCE, 27 settembre 1988, Daily Mail, causa 81/87, in Raccolta, 1988, pagg. 5483. 230 CGCE, causa Centros, cit.
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“finalità perseguite dalle disposizioni comunitarie”. Ciò premesso, la Corte ha statuito che “la scelta di costituire una società “nello Stato le cui norme societarie […] sembrino meno severe e di creare succursali in altri Stati membri non può costituire di per sé un abuso del diritto di stabilimento”. Al contrario, tale scelta costituisce espressione di un “diritto […] inerente all’esercizio, nell’ambito di un mercato unico, della libertà di stabilimento”; spingendosi ancora oltre, la suprema istanza comunitaria ha affermato che la circostanza che la società non svolga alcuna attività nello Stato della sua sede e della sua costituzione “non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un comportamento abusivo e fraudolento”, che consenta allo Stato in cui di fatto svolga la sua attività principale di negare ad essa di fruire delle disposizioni comunitarie
relative al diritto di stabilimento231. Anche la semplice intenzione di fruire di una
normativa fiscale più conveniente costituisce una ragione “apprezzabile” per spiegare la delocalizzazione di uno stabilimento, senza che soltanto per questo
tale scelta imprenditoriale possa essere tacciata di abusività232.
Se da un lato con questa sentenza (la quale è stata confermata in pronunce successive, riguardanti sempre la materia societaria233) è stato chiarito che non
tutte le condotte che si fondano sulle libertà comunitarie con il fine di evitare l’applicazione di una disciplina nazionale possono essere considerate come abusive del diritto comunitario, dall’altro lato la definizione di abuso rimaneva ancora indeterminata nei suoi elementi costitutivi e ciò provocava proprio gli
effetti giurisprudenziali contraddittori pocanzi descritti234. Emergeva, dunque,
l’esigenza di definire in maniera chiara ed univoca il concetto di abuso del diritto, da una parte garantendo una formulazione dotata di parametri certi e prevedibili, dall’altra evitando di comprimere eccessivamente l’esercizio delle libertà fondamentali garantite dai Trattati.
231 Nello stesso senso, CGCE, 10 luglio 1986, Segers, causa C-79/85. 232 CGCE, causa Centros, cit., par. 27.
233 CGCE, 30 settembre 2003, Inspire Art, causa C-167/01; CGCE, 29 aprile 2004, Commission v.
Portugal, causa C-171/02.
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