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Nel settore della fiscalità, un primo tentativo di elaborare in maniera compiuta la teoria dell’abuso del diritto è stato effettuato con la sentenza Emsland- Stärke253 254. Occorre premettere che essa ha riguardato una fattispecie di abuso

in senso stretto, in quanto non è stato invocato l’esercizio di una libertà fondamentale per giustificare l’aggiramento della normativa nazionale, in contrasto con la ratio della libertà stessa, ma la condotta del contribuente è stata considerata abusiva perché ha eluso una norma di diritto comunitario derivato contenuta in un regolamento, creando in maniera artificiale le condizioni necessarie per ottenere un beneficio fiscale da essa previsto.

Il caso riguardava una società tedesca, la Emsland-Stärke appunto, che

esportava in Svizzera alcuni prodotti ottenendo dalle autorità doganali nazionali

251 CGCE, 3 marzo 2005, Fini H, causa C-32/03; ID., 12 gennaio 2006, Optigen, cause riunite C-354/03,

C-355/03 e C-484/03; Halifax, cit. Contrario a questa possibilità è stato l’AG KOKOTT, 8 febbraio 2007,

Kofoed, causa C-321/05, par. 67.

252 P. PIANTAVIGNA, cit, pag. 91.

253 CGCE, 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke, causa C-110/99, in Raccolta, 2000, p. I-11569.

254 P. PISTONE, Il divieto di abuso come principio del diritto tributario comunitario e la sua influenza

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il beneficio delle restituzioni alle esportazioni, previsto dal regolamento comunitario n. 2730/79. Quindi re-importava in un paese comunitario la stessa merce versando i relativi dazi doganali, ma in misura inferiore alla metà dei

ristorni ricevuti. Il risultato dell’operazione complessiva, dunque, era

l’ottenimento di un evidente vantaggio fiscale.

L’articolo 9 del regolamento condizionava il versamento delle restituzioni alla presentazione della prova che il prodotto avesse effettivamente lasciato il territorio geografico della Comunità Europea. Se, tuttavia, sussistevano seri dubbi circa la destinazione effettiva del prodotto, o qualora il prodotto poteva essere reintrodotto nella Comunità per effetto della differenza tra la restituzione applicabile per il prodotto esportato e l’ammontare dei dazi all’importazione applicabili a un prodotto identico, l’art. 20 del regolamento subordinava il versamento delle restituzioni alla prova (da fornire tramite la presentazione di appositi documenti) che il prodotto fosse stato esportato in un Paese terzo ovvero che fosse stato ivi immesso in consumo.

Detto ciò, nel caso concreto vi era la prova inequivoca che i prodotti esportati venivano immediatamente re-importati nell’area doganale comunitaria, attraverso gli stessi mezzi di trasporto impiegati per la loro esportazione, ed in tale ambito venivano destinati all’utilizzazione definitiva. Non era quindi difficile provare che si trattava di un’operazione rivolta ad ottenere un premio all’esportazione in contrasto con gli obiettivi comunitari, attraverso la creazione artificiosa delle condizioni che consentissero l’applicazione del regolamento europeo.

Sulla base di questa constatazione, l’ufficio doganale centrale di Aburgo-Jonas (lo HZA) revocava le decisioni di concessione della restituzione all’esportazione e chiedeva il rimborso della restituzione stessa, in precedenza riconosciuta come spettante, incontrando l’opposizione della Emsland-Stärke. Giunta la causa dinnanzi al Bundesfinanzhof, quest’ultimo decideva di sospendere il giudizio e di proporre alla Corte di Giustizia della Comunità Europea due specifiche questioni pregiudiziali, le quali tuttavia non affrontavano il tema dell’abuso del diritto. È stata infatti la Commissione Europea ad affermare per prima, nelle sue

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osservazioni, che “date le circostanze della causa principale, la questione dovrebbe essere esaminata sotto il profilo dell’abuso di diritto”. A tal fine essa ha citato l’art. 4 del regolamento comunitario n. 2988/95, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee, a norma del quale “gli atti per i quali si stabilisce che hanno per scopo il conseguimento di un vantaggio contrario agli obiettivi del diritto comunitario applicabile nella fattispecie, creando artificialmente le condizioni necessarie per ottenere detto vantaggio, comportano, a seconda dei casi, il mancato conseguimento oppure la revoca del vantaggio stesso”. Consapevole del fatto che il detto regolamento non era ancora in vigore all’epoca dei fatti della causa principale, la Commissione ha asserito che la citata disposizione dovesse essere considerata come “l'espressione di un principio generale del diritto già vigente nell'ordinamento giuridico comunitario”. A suo avviso, tale clausola generale antiabuso esisteva già in quasi tutti gli Stati membri ed aveva trovato applicazione nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, benché questa non l'aveva espressamente riconosciuta come principio del diritto comunitario. A tal proposito, venivano richiamate una serie

di sentenze255 dei giudici lussemburghesi dalle quali la Commissione riteneva

potersi ricavare la suddetta clausola generale.

Affrontando specificamente la tematica dell’abuso, la Corte ha affermato che per la configurazione dell’istituto è necessario il ricorrere di due elementi, l’uno

di carattere oggettivo, l’altro di carattere soggettivo256. Quanto al primo, è

necessario che da un insieme di circostanze oggettive risulti che “nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comunitaria, l'obiettivo perseguito dalla detta normativa non è stato raggiunto”; per quanto concerne il secondo, il giudice comunitario stabiliva che esso “consiste nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria

255 Si tratta delle sentenze 11 ottobre 1977, causa 125/76, Cremer (Racc. pag. 1593), 27 ottobre 1981,

causa 250/80, Töpfer e a. (Racc. pag. 2465), e 3 marzo 1993, causa C-8/92, General Milk Products (Racc, pag. I-779), nonché alle conclusioni dell'avvocato generale Tesauro nella causa Pafitis e a. (sentenza 12 marzo 1996, causa C-441/93, Racc. pag. I-1347).

256 A. MARCHESELLI, Equivoci e prospettive della elusione tributaria,tra principi comunitari e principi

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mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento”.

Dalla pronuncia in esame risulta, dunque, che l’elemento oggettivo è stato da subito individuato in un aggiramento dell’obiettivo e quindi della ratio della normativa comunitaria. A sommesso avviso di chi scrive, benché la Corte non abbia utilizzato l’espressione “vantaggio fiscale indebito” (requisito fondante l’abuso del diritto anche secondo l’ordinamento italiano), la necessaria ricorrenza di quest’ultimo si desumeva implicitamente dalla descrizione dell’elemento oggettivo. È chiaro, infatti, che ottenendo un vantaggio finanziario tramite uno sviamento della finalità della normativa comunitaria (la Corte richiedeva che “l'obiettivo perseguito dalla detta normativa non è stato raggiunto”), si connota il beneficio ricevuto di una caratterizzazione indebita.

L’elemento soggettivo è stato identificato con la finalità, perseguita dal contribuente, di ottenere un vantaggio previsto dalla normativa stessa tramite la creazione artificiosa delle necessarie condizioni e quindi tramite un uso distorto di strumenti giuridici.

Entrambi gli elementi costitutivi dovevano ricavarsi tramite un’indagine basata sugli elementi oggettivi della singola fattispecie. Se ciò è stato specificato solo in relazione all’elemento oggettivo, vi è comunque da rilevare che, quando ha definito l’elemento soggettivo, la Corte non ha fatto solo riferimento alla finalità elusiva perseguita dal contribuente ma ha specificato che tale finalità dovesse essere perseguita tramite una creazione artificiosa delle condizioni necessarie per applicare la normativa comunitaria. In altre parole, l’esistenza di una obiettiva costruzione artificiosa costituisce una presunzione della ricorrenza di una finalità elusiva. Ne deriva che anche l’elemento soggettivo deve essere accertato sulla base di elementi oggettivi, ossia avendo riguardo alla presenza di

una costruzione di puro artificio e di un uso distorto di strumenti giuridici257.

Del resto, i semplici motivi soggettivi che sono alla base del compimento di un’operazione, restando nella sfera puramente interiore del soggetto, qualora non

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emergano trovando riscontro in fatti oggettivi non possono assumere rilevanza giuridica. In aggiunta, occorre rilevare che le caratteristiche spiccatamente documentali dell’istruttoria amministrativa tributaria mal si conciliano con la

necessità di individuare l’intima volontà dell’autore di un’operazione elusiva258.

È chiaro, dunque, che anche la valutazione dell’elemento soggettivo deve essere condotta sulla base di elementi obiettivi.

Risulta, da quanto detto, che nella sentenza Emsland-Stärke la teoria dell’abuso del diritto è stata delineata con un carattere preminentemente

oggettivo259, essendo, l’abuso, sostanzialmente identificato con lo sviamento

rispetto alle finalità della normativa comunitaria di cui si invoca l’applicazione. Conseguentemente, il divieto di abuso del diritto funge, nell’ottica espressa dalla Corte, da strumento per la corretta determinazione dell’ambito di applicazione della normativa stessa.

In conclusione, secondo la decisione in commento il concetto di abuso del diritto comunitario in ambito fiscale poggia su tre elementi: la contrarietà della fattispecie concreta all’obiettivo perseguito dalla disciplina comunitaria secondaria, la artificiosità delle operazioni (dalla quale si desume la volontà elusiva) e l’ottenimento di un vantaggio finanziario conseguentemente

indebito260. La connotazione dell’abuso in senso preminentemente oggettivo

emerge in tutta la sua chiarezza.

Infine, in questa decisione i giudici lussemburghesi hanno soltanto indirettamente affrontano il tema della ripartizione del carico probatorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente. Mentre la Commissione ha sostenuto che la prova degli elementi costitutivi dell’abuso gravi in ogni caso sull’Amministrazione finanziaria, con il correttivo per cui nei casi più gravi “sarebbe possibile anche un «principio di prova» il quale porti eventualmente ad un'inversione dell'onere della prova”, la Corte non ha ripetuto espressamente

258 C. ATTARDI, Abuso del diritto e giurisprudenza comunitaria: il perseguimento di un vantaggio

fiscale come scopo essenziale dell’operazione elusiva, in Dir. prat. trib., n. 4/2008, pag. 11.

259 P. PISTONE, op. ult. cit., pag. 315. 260 A. ZANETTI, cit., pag. 15.

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questa affermazione, ma in occasione della descrizione dei due elementi costitutivi dell’abuso ha considerato implicito che essi debbano essere portati

all’esame del giudice nazionale da parte dell’Amministrazione finanziaria261.