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Anche in virtù di questo atto di impulso proveniente dagli organi comunitari e considerando che una clausola generale antiabuso è stata introdotta in molti

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ordinamenti stranieri, con l’art. 5 della legge n. 23/2014, contenente disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita, il Parlamento ha delegato il Governo ad attuare l’attesa riforma in materia di elusione/abuso del diritto.

L’obiettivo perseguito dal legislatore delegante è stato quello di superare le incertezze interpretative derivanti dall’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973, recependo nel contempo le indicazioni provenienti dalla citata Raccomandazione del 2012 (espressamente richiamata tra i criteri direttivi della delega), nonché i

risultati raggiunti dalla giurisprudenza comunitaria e interna161. La correttezza di

questa constatazione risalta subito agli occhi se si legge il testo dell’art. 5, rubricato “Disciplina dell’abuso del diritto ed elusione fiscale”: sulla scorta delle pronunce della Suprema Corte e soprattutto della Corte di Giustizia, che hanno portato ad identificare l’elusione fiscale con il concetto di abuso del diritto, il citato art. 5 l. n. 23/2014 stabiliva che “Il Governo è delegato ad attuare […] la revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, in applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi, coordinandoli con quelli contenuti nella raccomandazione della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva”. Come si può notare, sebbene la suddetta Raccomandazione, in origine, aveva il semplice valore di atto di soft law, non giuridicamente vincolante per gli Stati membri, in virtù della disposizione contenuta nella legge delega essa ha acquistato piena forza legale, in quanto una sua eventuale violazione da parte del legislatore delegato avrebbe potuto essere censurata per eccesso di delega.

161 F. GALLO, Brevi considerazioni sulla definizione di abuso del diritto e sul nuovo regime del c.d.

adempimento collaborativo, in Dir. Prat. Trib. n. 6 del 2014, pag. 3 . L’Autore osserva che la nozione di

abuso del diritto desumibile dalla lettura complessiva dell’art. 5 della delega (uso distorto di strumenti giuridici aventi lo scopo prevalente di ottenere indebiti vantaggi fiscali) si pone in sintonia con la definizione fornitane dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le sentenze n. 30055, 30056 e 30057 del 2008, nelle quali pure compare il riferimento agli “indebiti vantaggi fiscali”, nonché all’ “utilizzo distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni

economicamente apprezzabili che giustificano l’operazione, diverse dall’aspettativa del vantaggio fiscale”.

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Nell’emanazione del decreto delegato, secondo la norma in esame, il Governo doveva definire la condotta abusiva come (art. 5, comma 1 lettera a) “uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione. Venivano dunque ribadite le due fondamentali caratteristiche della condotta elusiva: l’uso abnorme della strumentazione giuridica, ossia non in linea con la sua natura e la sua ordinaria finalità, e la circostanza che la condotta del contribuente è formalmente lecita, è formalmente rispettosa della legge, in quanto altrimenti sfocerebbe nel diverso fenomeno dell’evasione fiscale.

Per la prima volta il legislatore ha attribuito espressamente rilievo alla possibilità per il contribuente di conseguire un legittimo risparmio d’imposta, sulla scorta di quanto suggeriva anche la Relazione governativa di accompagnamento dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973. Stabiliva infatti la lettera b) del primo comma dell’art. 5 che, nell’attuazione della delega, il Governo doveva “garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale. Non sembra arbitrario ritenere che, con questa precisazione, il legislatore abbia voluto reagire al già commentato e criticato orientamento della Corte di Cassazione che, a partire dal 2008, ha sopravvalutato, nell’accertamento dei comportamenti elusivi, l’elemento della mancanza di valide ragioni economiche, svalutando conseguentemente tutti gli altri. Sicché, operazioni prive di valide ragioni extrafiscali soltanto per questo sono state molte volte considerate elusive, pur se tendenti a conseguire un vantaggio fiscale pienamente lecito e non ripudiato dal legislatore, ossia un legittimo risparmio d’imposta, appunto. Sembra dunque

essere stato recepito il monito proveniente dalla stessa Suprema Corte162,

allorché, nella sentenza n. 1372 del 2011, ha affermato che “L’applicazione del principio deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare una giusta linea di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente

162 Ma poi, di fatto, da essa stessa disatteso, considerando che l’evoluzione successiva della sua

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aggressiva e libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività di impresa”.

Probabilmente anche alla luce di questo l’art. 5, comma 1, lettera b) n. 1

soggiungeva che il Governo, nell’individuare la linea di confine tra elusione fiscale/abuso del diritto e legittimo risparmio d’imposta, doveva “considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva”. In tal modo, il criterio direttivo contenuto nell’art. 5 cit. descriveva l’elemento oggettivo e quello soggettivo della condotta abusiva.

Quanto al primo, si tratta del tradizionale carattere indebito dei vantaggi fiscali conseguiti. Il legislatore delegante non ha specificato cosa dovesse intendersi con questa espressione, ma tale carenza non è da enfatizzare. Bisogna infatti considerare che la legge n. 23 del 2014 era una legge delega; sarebbe spettato al Governo sviluppare e definire puntualmente il concetto in esame. Il legislatore delegante ha offerto una sola indicazione: l’elemento in questione è un requisito costitutivo dell’abuso del diritto e non avrebbe potuto essere trascurato nel predisporre il decreto attuativo.

L’elemento soggettivo è rappresentato dallo scopo di eludere l’imposta, di conseguire dei vantaggi fiscali indebiti. Questo scopo, nell’ottica assunta dalla delega, non doveva soltanto muovere ed ispirare la condotta del contribuente, non doveva essere soltanto presente, ma doveva essere anche connotato da una certa intensità. Doveva essere prevalente. Si è trattato di una precisazione da non sottovalutare per almeno due motivi.

Innanzitutto, perché sul grado di intensità dell’elemento soggettivo molto si è discusso in passato e molto continua a discutersi ancora oggi e sul punto hanno dialogato anche la Corte di Giustizia UE e la Corte di Cassazione italiana. Infatti, come si chiarirà meglio nel secondo capitolo, nella sentenza Halifax del 2006 la Corte del Lussemburgo ha fatto riferimento sia allo scopo essenziale che allo scopo esclusivo della condotta, generando un’incertezza tale da spingere la Corte di Cassazione a sollecitare, due anni dopo, dei chiarimenti, sollevando un’apposita questione di pregiudizialità europea. Nel 2008 quindi, definendo il

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caso Part Service s.r.l., la Corte di Giustizia ha chiarito che il livello minimo di abusività di una condotta, per quanto riguarda l’elemento soggettivo, è integrato dall’essenzialità dello scopo di eludere la norma tributaria. La Corte di Cassazione, sebbene nelle sue pronunce successive abbia rispettato tendenzialmente questa indicazione, a volte è parsa ancora disattenta, facendo riferimento all’esclusività o alla prevalenza dello scopo di elusione.

Il fatto che, secondo la legge delega, lo scopo di abusare del diritto doveva essere prevalente non deve essere trascurato anche per un secondo motivo. Come si specificherà nel prosieguo, su questa parte della disposizione si sono abbattute aspre critiche provenienti da parte consistente della dottrina, che chi scrive sente di condividere.

Una efficiente clausola generale antiabuso non avrebbe potuto non contemplare la scriminante invocabile dal contribuente a proprio favore, rappresentata dalla presenza di valide ragioni economiche. Ed infatti, uno specifico criterio direttivo che il legislatore delegato ha dovuto seguire nell’attuare la tanto attesa riforma ha riguardato l’esclusione dell’abuso “se l’operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali”. La norma proseguiva stabilendo che “costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente” (art. 5 comma 1, lettera b), n. 2). Nell’introdurre questa precisazione, il legislatore delegante ha recepito quasi letteralmente le indicazioni provenienti da Cass., n. 1372 del 2011 che, nell’ottica di limitare la portata potenzialmente dirompente della giurisprudenza delle Sezioni Unite, ha ribadito che, anche se il contribuente persegue dei fini non economici, come ad esempio il miglioramento organizzativo, strutturale e funzionale della sua impresa, ciò non autorizza automaticamente l’Agenzia delle Entrate a ritenere esistente sic et simpliciter l’intento elusivo. L’art. 5 ha fatto proprie queste conclusioni, assicurando al contribuente la possibilità di compiere operazioni prive di valide

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ragioni economiche (in senso stretto) ma ispirate al fine di migliorare la funzionalità della propria impresa, senza il timore di subire una contestazione

fondata da parte del Fisco. Sotto questo profilo, si è detto163 che l’art. 5 è volto a

realizzare una politica di modernizzazione riguardo l’elemento delle valide ragioni, che non devono più essere necessariamente economiche in senso stretto.

Questa era la definizione di abuso contenuta nella legge delega del 2014. La lettera c) dell’art. 5 disciplinava, peraltro senza alcuna novità, gli effetti dell’elusione fiscale. Analogamente a quanto prevedeva il combinato disposto del primo e secondo comma dell’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973 (articolo, quest’ultimo, abrogato con l’attuazione della delega), la norma prescriveva al legislatore delegato di sancire “l’inopponibilità degli strumenti giuridici di cui alla lettera a) all’amministrazione finanziaria e il conseguente potere della stessa di disconoscere il relativo risparmio d’imposta”.

La lettera d) disciplinava la ripartizione dell’onere della prova. Recependo ancora una volta le conclusioni cui ormai da tempo era pervenuta la giurisprudenza di legittimità, si è prescritto al legislatore delegato di porre a carico dell’Agenzia delle Entrate “l’onere di dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni extrafiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti”.

Una novità apprezzabile è stata rappresentata dalla norma contenuta nella lettera e), che esortava il legislatore delegato a “prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell’accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso”. Al riguardo, infatti, il previgente art. 37-bis comma 5 del D.P.R. n. 600/1973

163 M. PROCOPIO, La poco convincente riforma dell’abuso del diritto ed i dubbi di legittimità

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sanciva solo un obbligo di motivazione, a pena di nullità dell’avviso di accertamento, circa le motivazioni addotte dal contribuente a propria difesa.

Infine, la lettera f) imponeva al legislatore delegato di generalizzare, per tutte le contestazioni che riguardassero fattispecie di elusione fiscale/abuso del diritto, “specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l’amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario”.

Come anticipato nelle precedenti righe, l’art. 5 della legge delega è stato criticato da una parte consistente della dottrina per il suo riferimento allo scopo prevalente, e non essenziale, di ottenere indebiti vantaggi fiscali. Le critiche mosse appaiono condivisibili. Vi è infatti da considerare che scopo prevalente e scopo essenziale non possono essere considerate due espressioni equivalenti. Affermare che la fattispecie elusiva è integrata quando il contribuente agisce essenzialmente allo scopo di conseguire un vantaggio fiscale indebito significa

che l’abuso è configurabile, può essere contestato dal Fisco e riconosciuto dal

giudice soltanto quando lo scopo elusivo appaia l’elemento predominante ed assorbente della condotta, tale per cui, senza di esso, l’operazione non sarebbe stata compiuta, secondo la definizione dell’elemento soggettivo data dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 20030 del 2010. Invece, considerare sufficiente la mera prevalenza dello scopo abusivo significa ritenere integrata una fattispecie di elusione semplicemente quando il conseguimento di un risparmio fiscale indebito rappresenti la causa principale, più intensa, anche se soltanto di poco, rispetto a tutti gli altri motivi dell’agire. In altre parole, il giudizio di prevalenza è ben diverso dal giudizio di essenzialità e comporta un’indagine più approfondita, prima da parte del Fisco e poi da parte del giudice, sul processo intenzionale che ha spinto il contribuente ad agire. Indagine più approfondita che inevitabilmente implica una maggiore, insindacabile discrezionalità dell’accertatore, generando profonda incertezza tra gli operatori e i contribuenti.

Le perplessità sollevate rispetto all’art. 5 della legge delega di certo tengono conto di quanto è accaduto in Francia nel 2013. Con l’art. 100 della legge

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finanziaria per il 2014, il legislatore transalpino ha modificato la definizione di abuso del diritto in materia tributaria contenuta nell’art. 64 del Livre des procèdures fiscales. Prima della modifica, quest’ultima disposizione definiva come abusivi e quindi inopponibili all’Amministrazione finanziaria gli atti diretti “all’esclusivo scopo” di eludere o ridurre l’onere fiscale. Il nuovo testo considerava invece abusivi gli atti che hanno come “motivo principale” quello di eludere o di attenuare l’onere fiscale; formulazione, questa, analoga in sostanza a quella contenuta in Italia nell’art. 5 l. n. 23/2014. Ebbene, nel 2013 il Conseil Constitutionnel, con la sentenza n. 685, ha dichiarato l’incostituzionalità della nuova norma, accogliendo i rilievi formulati da 60 deputati e altrettanti senatori. A detta del giudice costituzionale francese, la nuova definizione violava una serie di valori fondamentali, quali la libertà del contribuente di scegliere la via fiscale meno onerosa, la tutela della proprietà, garantita dall’art. II della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, i principi di legalità dell’imposizione e di certezza giuridica, nonché l’obiettivo di accessibilità e di intellegibilità della legge164. E la causa di queste inaccettabili violazioni veniva

ravvisata in una parola, in un aggettivo, “principale”. Quest’ultimo avrebbe comportato infatti l’attribuzione all’Amministrazione finanziaria di un potere di apprezzamento discrezionale eccessivamente ampio, incontrollabile, mentre, come si legge nelle motivazioni della sentenza, i principi contenuti nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo impongono al legislatore di “adottare disposizioni di legge sufficientemente precise e norme non equivoche al fine di proteggere le persone da interpretazioni contrarie alla Costituzione o dal rischio di arbitrio, senza che si debba riversare sull’autorità amministrativa o giudiziaria il compito di creare regole, compito che la Costituzione assegna solo alla legge”.

Per gli stessi motivi, anche nell’ordinamento italiano il richiamo al criterio della prevalenza comportava seri dubbi di legittimità costituzionale, per contrasto con il principio di legalità dell’imposizione di cui all’art. 23 Cost., perché, se

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trasfuso nel decreto delegato, avrebbe conferito al Fisco un potere di valutazione eccessivamente ampio, suscettibile di sfociare in discrezionalità, o meglio in arbitrio, mentre la norma costituzionale è nata proprio allo scopo di proteggere i singoli dal potere discrezionale della Pubblica Amministrazione. Ma i dubbi di legittimità costituzionale riguardavano anche il contrasto con l’art. 24 Cost., che sancisce l’assoluta inviolabilità del diritto di difesa, nonché il contrasto con l’art. 53 Cost., con riguardo al principio di capacità contributiva. Se infatti il Fisco potesse spingersi fino ad accertare quale è stato il motivo prevalente che ha portato il contribuente ad agire, altissimo sarebbe il rischio di far concorrere il singolo alle spese pubbliche in base ad una volontà elusiva meramente presunta, senza che egli abbia manifestato la specifica capacità contributiva che il tributo asseritamente eluso (e quindi applicato dal Fisco) mira a colpire. Si evince allora una contraddizione interna alla stessa legge di delega. Per espressa previsione dell’art. 1 di quest’ultima, “I decreti legislativi sono adottati, nel rispetto dei principi costituzionali, in particolare di quelli di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione, nonché del diritto dell’Unione europea, e di quelli dello statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212”, ma lo stesso criterio direttivo rappresentato dalla causa prevalente della condotta presentava dei profili di illegittimità costituzionale. Il suddetto criterio non avrebbe dovuto dunque essere trasfuso nel decreto delegato di attuazione, ma sostituito con il criterio della essenzialità, in linea del resto con la giurisprudenza comunitaria e di legittimità e con quanto prevedeva la Raccomandazione europea del dicembre 2012.

La definizione di abuso del diritto contenuta nella delega fiscale ha ripreso sostanzialmente la nozione di elusione contenuta già nel primo comma dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973. Gli elementi costitutivi dell’elusione, indicati da quest’ultima disposizione, sono stati recepiti dall’art. 5 della delega, tranne apparentemente il requisito rappresentato dall’aggiramento di obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e tranne la rilevanza data al collegamento negoziale.

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Sotto quest’ultimo profilo, il legislatore delegato ha superato il problema reintroducendo in sede di attuazione della delega, come tra poco si dirà, il riferimento al collegamento negoziale. Quanto al requisito dell’aggiramento di obblighi o divieti sanciti dall’ordinamento, la carenza può dirsi soltanto apparente, in quanto tale elemento costitutivo è semplicemente formulato in maniera diversa nella delega, in particolare come uso distorto di strumenti giuridici, in linea anche con le affermazioni della giurisprudenza. Oltre i requisiti sanciti dall’art. 37-bis, la nuova norma ha recepito quasi letteralmente le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza comunitaria e di legittimità.

Riprendendo quanto si è accennato all’inizio del paragrafo, con l’art. 5 in commento il legislatore delegante ha cercato di risolvere i molteplici problemi che sono nati in materia di elusione fiscale/abuso del diritto soprattutto in virtù dell’evoluzione della giurisprudenza della Suprema Corte, primi fra tutti la errata commistione tra elusione e simulazione e la scomparsa di qualsiasi prospettiva di poter conseguire un legittimo risparmio d’imposta. Insomma, il legislatore delegante ha cercato di garantire la tanto invocata certezza del diritto, valore fondamentale di qualsiasi ordinamento giuridico. Nell’effettuare questo tentativo, però, ha utilizzato quelle stesse espressioni che già a suo tempo erano state coniate dalla Corte di Cassazione per limitare gli effetti potenzialmente dirompenti della propria giurisprudenza e quindi per riportare nel sistema… proprio maggiore certezza del diritto, peraltro senza riuscirvi (si pensi, ad esempio, al concetto indeterminato di ragioni fiscali non marginali e all’assai scarso peso dato al carattere indebito dei vantaggi fiscali, o ancora alle espressioni alquanto vaghe che riguardano la ripartizione del carico probatorio tra le parti)! Era dubbio, allora, che questo obiettivo potesse essere realizzato con successo da una norma legislativa che riprendeva i medesimi concetti dimostratisi in passato fallimentari perché insufficienti.

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Autorevole dottrina165 ha osservato perciò che il legislatore delegato non

avrebbe potuto limitarsi a trasporre in un decreto attuativo il concetto di abuso contenuto nell’art. 5 della legge delega, ma avrebbe dovuto fare un passo in avanti. In particolare, avrebbe dovuto definire puntualmente il significato delle espressioni “indebiti vantaggi fiscali” e “ragioni extrafiscali non marginali”. Si tratta, infatti, di due elementi di fondamentale importanza.

Quanto al primo, come già detto, una delle critiche dottrinali in cui sono incorse le sentenze della Corte di Cassazione degli ultimi anni è quella di aver svalutato il fondamentale elemento oggettivo rappresentato dal carattere indebito dei vantaggi fiscali conseguiti, come se il Fisco potesse recuperare a tassazione qualsiasi beneficio tributario, anche perfettamente legittimo e approvato dall’ordinamento, in mancanza di valide ragioni economiche. In questo modo i giudici di legittimità hanno trascurato che l’elemento oggettivo è uno dei fondamentali requisiti della condotta abusiva secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia. L’abuso del diritto quindi non deve essere integrato soltanto dalla mancanza di ragioni extrafiscali non marginali, ma anche dal conseguimento di un vantaggio fiscale indebito, non voluto dal legislatore e contrario ai principi dell’ordinamento fiscale e il decreto delegato di attuazione della legge delega avrebbe dovuto darne una precisa definizione, desumendola dalla giurisprudenza comunitaria.

D’altra parte, il legislatore delegato avrebbe dovuto definire il concetto di ragioni extrafiscali non marginali. A rigore, un’operazione difetta di tali ragioni o, il che è lo stesso, è priva di sostanza economica, quando non è idonea a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali indebiti. La Raccomandazione della Commissione europea faceva riferimento alla mancanza di sostanza commerciale ed introduceva alcuni indici rivelatori di questa