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Come è stato anticipato, il leading case in tema di abuso del diritto in senso

lato è rappresentato dalla sentenza Cadbury Schweppes307, pronunciata il 12

settembre 2006 anch’essa dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia.

Al di là della definizione di abuso da essa ricavabile, la quale, a dir la verità, non presenta profili di novità rispetto alla sentenza Halifax308, la decisione in

commento è molto importante in quanto ha applicato il divieto comunitario di abuso del diritto al settore delle imposte dirette, in cui manca una normativa

completamente armonizzata a livello europeo309.

Si è trattato del primo caso in cui la Corte di Giustizia ha giudicato della compatibilità delle norme nazionali (britanniche) sulle controlled foreign companies (CFC legislation) con le libertà fondamentali garantite dal Trattato310

(in particolare con la libertà di stabilimento). Va detto che il regime statale sulle CFC ha una finalità difensiva delle basi imponibili nazionali ed è volto a

306 P. PIANTAVIGNA, op. ult. cit, pag. 103.

307 CGCE, 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes, causa C-196/04, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2007, pag.

13, con nota di S. CIPOLLINA, CFC legislation e abuso della libertà di stabilimento: il caso Cadbury

Schweppes.

308 S. M. CARBONE, cit., pag. 7

309 S. M. CARBONE, cit., pag. 7; P. PISTONE, Il divieto di abuso come principio del diritto tributario

comunitario e la sua influenza sulla giurisprudenza tributaria nazionale, cit., pag. 319; P.

PIANTAVIGNA, op. ult. cit, pag. 80.

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contrastare l’elusione fiscale internazionale, nello specifico lo spostamento dei

profitti verso Paesi a bassa fiscalità311. È un regime che strutturalmente ha natura

discriminatoria312, in quanto restringe sia la libertà di stabilimento in altri Stati

membri del contribuente residente, sia la libertà di spostamento di capitali di residenti verso altri Stati membri o Stati terzi. È evidente dunque che la finalità che lo ispira, ossia la salvaguardia dell’Erario dello Stato di residenza, si pone in contrasto con le libertà fondamentali del diritto dell’Unione e con il generale

principio di non discriminazione313. La Corte è stata chiamata, di conseguenza,

ad effettuare un bilanciamento tra le libertà fondamentali (in particolare la libertà di stabilimento) e il diritto degli Stati membri di contrastare operazioni cross- border artificiali, volte allo spostamento dei profitti in paesi a bassa fiscalità.

Procedendo ad esporre brevemente i fatti del caso, secondo il diritto tributario inglese una società fiscalmente residente nel Regno Unito è ivi soggetta all'imposta societaria sul suo reddito mondiale. Il reddito mondiale comprende gli utili conseguiti dalle succursali per mezzo delle quali la società residente esercita le sue attività al di fuori di detto Stato. Al contrario, la società residente non è in linea di principio tassata per gli utili delle controllate estere al momento in cui vengono realizzati, né è tassata per i dividendi ad essa distribuiti, i quali sono tassati solo in capo alle controllate stesse. Infatti, per evitare una doppia imposizione, la legislazione fiscale del Regno Unito riconosce alla società residente un credito fino a concorrenza dell'imposta assolta dalla controllata estera al momento in cui ha realizzato gli utili. Tuttavia, è prevista un'eccezione alla regola generale secondo cui una società residente non è tassata per gli utili di una sua controllata: quando quest’ultima è soggetta, nello Stato di stabilimento, ad un livello di tassazione sensibilmente inferiore rispetto a quello vigente nel

311 Si tratta, secondo la terminologia anglosassone, del c.d. “profit shifting to low tax jurisdictions”. 312 P. PIANTAVIGNA, op. ult. cit, pag. 75.

313 M. HELMINEN, Is There a Future for CFC-Regimes in the EU?, in Intertax, 2005, pag. 121; M.

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Regno Unito314 e la controllante detiene più del 50% del suo capitale sociale, gli

utili della controllata sono attribuiti alla controllante e tassati in capo ad essa. Detto ciò, il caso di specie riguardava il gruppo societario Cadbury Schweppes, la cui omonima società madre, fiscalmente residente nel Regno Unito, aveva costituito, per quel che qui interessa, due controllate in Irlanda. Queste ultime erano la Cadbury Schweppes Treasury Services (in prosieguo la «CSTS») e la Cadbury Schweppes Treasury International (in prosieguo la «CSTI») e la loro attività consisteva nel raccogliere fondi e nel metterli a disposizione delle altre società del gruppo. Stando alla decisione di rinvio, le due controllate irlandesi erano state stabilite a Dublino unicamente perché le loro attività di finanziamento del gruppo Cadbury Schweppes potessero beneficiare del regime fiscale ivi vigente. Tenuto conto dell'aliquota fiscale ad esse applicata, gli utili conseguiti dalla CSTS e dalla CSTI risultavano soggetti a un “livello inferiore di tassazione” nel significato accolto dalla legislazione inglese sulle CFC. Di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria inglese richiedeva alla controllante il pagamento della somma equivalente all’imposta societaria sugli utili realizzati dalla CSTI nell'esercizio terminato il 28 dicembre 1996. L'avviso d'imposta concerneva solo gli utili realizzati da quest'ultima società giacché, per quello stesso periodo, la CSTS aveva subito delle perdite. Da parte sua, la controllante impugnava l’avviso di accertamento affermando che la legislazione sulle CFC fosse contraria agli allora vigenti articoli 43 CE (sulla libertà di stabilimento), 49 CE (sulla libera prestazione dei servizi) e 56 CE (sulla libera circolazione dei capitali).

Il giudice londinese, di fronte al quale la causa era stata incardinata, dichiarava di avere una serie di incertezze sull’applicazione del diritto comunitario: in particolare, si domandava “se, nello stabilire e finanziare società in un altro Stato membro al solo scopo di beneficiare di un sistema tributario più favorevole

314 Tale livello inferiore sussiste in ogni esercizio contabile in cui l'imposta pagata dalla controllata è

inferiore ai 3/4 dell'imposta che sarebbe stata pagata nel Regno Unito, qualora i suoi utili fossero stati tassati in quest’ultimo Stato. Anche quando è applicabile, la normativa inglese sulle CFC prevede comunque una serie di deroghe, in presenza delle quali la controllante non è tassata per gli utili prodotti dalla controllata.

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di quello in vigore nel Regno Unito, la CS abbia abusato delle libertà fondamentali istituite dal Trattato CE”. In virtù di questo ed altri dubbi, il giudice londinese decideva di sospendere il giudizio nazionale e proporre alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale, con cui chiedeva “Se gli artt. 43 CE, 49 CE e 56 CE ostino ad una normativa tributaria … che, in determinate circostanze, tassa una società residente a titolo degli utili di una controllata avente sede in un altro Stato membro ove è soggetta a un minor livello impositivo”.

In risposta al quesito pregiudiziale, la Corte ha innanzitutto ricordato che “è giurisprudenza costante che rientrano nell'ambito di applicazione materiale delle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento le disposizioni nazionali che si applicano alla detenzione da parte di un cittadino… di una partecipazione … nel capitale di una società stabilita in un altro Stato membro ... tale da conferirgli una sicura influenza sulle decisioni della società e da consentirgli di indirizzarne le attività”. Dunque, atteso che la legislazione inglese in tema di CFC concerne la tassazione, a determinate circostanze, degli utili di controllate stabilite fuori del Regno Unito nelle quali una società residente detiene una partecipazione che gliene assicura il controllo, “tale legislazione dev'essere perciò esaminata alla luce degli artt. 43 CE e 48 CE”. Infatti, “ammesso ch'essa abbia … effetti restrittivi sulla libera prestazione dei servizi e sulla libera circolazione dei capitali, tali effetti sarebbero l'inevitabile conseguenza di un possibile ostacolo alla libertà di stabilimento. … Prima di esaminare la legislazione sulle CFC alla luce degli artt. 43 CE e 48 CE occorre rispondere al quesito preliminare del giudice del rinvio, se cioè il fatto per una società stabilita in uno Stato membro di costituire e di finanziare società in un altro Stato membro al solo scopo di beneficiare del regime fiscale più favorevole quivi in vigore costituisca un abuso della libertà di stabilimento”.

A questo punto, la Corte ha richiamato la distinzione tra divieto di abuso in senso lato e divieto di abuso in senso stretto, affermando che “i cittadini di uno Stato membro non possono tentare, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, di

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sottrarsi abusivamente all'impero delle loro leggi nazionali, né possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario”.

Fatta questa premessa, la Corte ha ribadito il diritto dei singoli di effettuare operazioni anche volte al solo fine di ottenere un legittimo risparmio

d’imposta315: “un cittadino comunitario, persona fisica o giuridica, non può,

tuttavia, essere privato della possibilità di avvalersi delle disposizioni del Trattato solo perché ha inteso approfittare dei vantaggi fiscali offerti dalle norme in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede”. Il principio è importante e rispecchia ciò che, qualche mese prima, era stato

sostenuto anche nel caso Halifax316. Tuttavia, mentre in quell’occasione i giudici

comunitari avevano riconosciuto il diritto dei singoli di esercitare le prerogative riconosciute dal diritto comunitario derivato anche al solo fine di procurarsi un legittimo vantaggio fiscale, con la sentenza Cadbury Schweppes si è sostenuto qualcosa di parzialmente diverso e nuovo: i singoli possono agire al solo scopo di procurarsi un legittimo risparmio d’imposta esercitando, in maniera a ciò strumentale, anche le libertà fondamentali garantite dal Trattato e non solo le facoltà riconosciute dal diritto secondario. Applicando tale principio al caso di specie, i giudici lussemburghesi hanno affermato che “quanto alla libertà di stabilimento, la Corte ha già dichiarato che la circostanza che la società sia stata creata in uno Stato membro per fruire di una legislazione più vantaggiosa non costituisce per se stessa un abuso di tale libertà”317. Ne conseguiva che il

fatto che la società residente nel Regno Unito avesse deciso di costituire le sue controllate in Irlanda, al fine di beneficiare del favorevole regime fiscale che tale stabilimento comportava, non costituiva di per sé un abuso e quindi non precludeva alla società madre la possibilità di invocare gli allora vigenti artt. 43 CE e 48 CE.

315 Cfr. P. PIANTAVIGNA, op. ult. cit, pag. 84. 316 Cfr. supra, par. 6, pag. 34.

317 Cfr., in tal senso, sentenze Centros, cit., punto 27, e 30 settembre 2003, causa C-167/01, Inspire Art,

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Fatta questa premessa, la Corte ha poi affrontato la questione pregiudiziale vera e propria, ossia se “gli artt. 43 CE e 48 CE ostino all'applicazione di una normativa come quella sulle CFC”. Innanzitutto, all’espletamento di questa verifica non ostava il fatto che la legislazione britannica avesse ad oggetto la tassazione dei redditi societari, quindi la materia non armonizzata delle imposte dirette. Infatti, la Corte ha da subito chiarito che “secondo una giurisprudenza costante, se è vero che la materia delle imposte dirette rientra nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario”318. Detto ciò, al fine di verificare la compatibilità

delle norme britanniche sulle CFC rispetto alla libertà di stabilimento essa ha

applicato il c.d. migrant/non migrant test319, consistente nella comparazione tra

l’ipotesi in cui la controllante abbia una controllata in uno Stato membro con livello impositivo tale da non far scattare l’applicazione delle norme CFC e l’ipotesi in cui, viceversa, il livello impositivo dello Stato di stabilimento della controllata sia talmente basso da far scattare l’applicazione delle norme in questione320.

Dunque, essa ha concluso che “nel caso di specie, è pacifico che la legislazione sulle CFC comporta una disparità di trattamento fra le società residenti, in funzione del livello di tassazione applicato alla società in cui esse detengono una partecipazione tale da assicurargliene il controllo. … Tale disparità di trattamento crea uno svantaggio fiscale per la società residente cui è applicabile la legislazione sulle CFC”. Il trattamento fiscale differenziato, ostacolando la costituzione da parte di una società inglese di una propria controllata in uno Stato membro dove vige un livello di tassazione inferiore,

318 Cfr. sentenze 29 aprile 1999, causa C-311/97, Royal Bank of Scotland, Racc. pag. I-2651, punto 19; 7

settembre 2004, causa C-319/02, Manninen, Racc. pag. I-7477, punto 19, e 13 dicembre 2005, causa C- 446/03, Marks & Spencer, Racc. pag. I-10837, punto 29.

319 T. O’SHEA, Marks and Spencer v. Halsey (HM Inspector of Taxes): Restriction, Justification and

Proportionality, in EC Tax Review, 2006, pag. 66-82. Si tratta di un test che ha trovato applicazione in

relazione a diversi altri casi, riguardanti la libera circolazione dei lavoratori (Terhoeve, causa C-18/95), la cittadinanza europea (Pusa, causa C-224/02), la libera prestazione dei servizi (Eurowings, causa C- 294/97), la libera circolazione dei capitali (Verkooijen, causa C-35/98), la libertà di stabilimento (De

Lasteyrie du Saillant, causa C-9/02), e le perdite cross-border (Marks and Spencer, causa C-446/03).

320 P. PISTONE, L’abuso del diritto nella giurisprudenza tributaria della Corte di Giustizia dell’Unione

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secondo l’opinione espressa dalla Corte integra “una restrizione alla libertà di stabilimento nel senso degli artt. 43 CE e 48 CE”. La disparità di trattamento crea uno svantaggio fiscale per la società inglese cui è applicabile il regime CFC rispetto, da un lato, ad una società residente che abbia costituito una controllata nel Regno Unito e, dall’altro, ad una società inglese che abbia costituito una controllata in uno Stato membro il cui livello impositivo non determina

l’applicazione del regime sulle controllate estere321. … Una restrizione del

genere può essere ammessa solo per ragioni imperative di interesse generale” e nei limiti necessari a soddisfare tali ragioni, tra le quali è compresa la “lotta a pratiche abusive”. Infatti, “una misura nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artifìcio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato”. La Corte ha confermato, sotto questo profilo, l’orientamento già espresso nella sentenza Halifax. In quella occasione, essa aveva affermato che il contrasto del fenomeno elusivo/abusivo rientrava nell’obiettivo della sesta direttiva comunitaria in materia di IVA. Spingendosi ancora oltre, nel caso Cadbury Schweppes (dato che non veniva in rilievo la applicabilità di una direttiva, bensì di una libertà garantita dal Trattato) la suprema istanza comunitaria ha avuto modo di riconoscere che il contrasto del fenomeno elusivo costituisce un motivo imperativo di interesse generale, tale da giustificare persino la restrizione di una

libertà fondamentale322.

Quanto, per quel che qui interessa, alla definizione dei requisiti costitutivi dell’abuso, la Corte ha ripreso la bipartizione in elemento oggettivo e soggettivo

teorizzata già nelle sentenze Emsland-Stärke ed Halifax323 (adattandola, come è

ovvio, al caso di specie).

Sotto il profilo dell’elemento oggettivo, nei due casi in ultimo menzionati esso era stato descritto come uno sviamento rispetto alle finalità della norma

321 P. PIANTAVIGNA, op. ult. cit, pag. 77.

322 Cfr. AG LEGER, 2 maggio 2006, Cadbury Schweppes, cit., par. 85; cfr. R. DE LA FERIA,

Prohibition of Abuse of (Community) Law: The Creation of a New General Principle of EC Law through Tax, cit., pag. 430; F. MENTI, cit., pag. 7.

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comunitaria di diritto derivato di cui si invoca l’applicazione. Dato che nel caso Cadbury Schweppes a venire in rilievo erano non norme di diritto derivato ma disposizioni contenute nel Trattato, l’elemento oggettivo è stato descritto come lo sviamento dello scopo perseguito dalla disposizione di diritto primario che sancisce la libertà di stabilimento. Infatti, la Corte ha chiarito che l’elemento in questione è integrato quando, “nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dall'ordinamento comunitario, l'obiettivo perseguito dalla libertà di stabilimento … non è stato raggiunto”. Anche nella decisione in esame il giudice comunitario ha specificato che la circostanza appena descritta deve risultare da elementi obiettivi. A modesto avviso di chi scrive, la descrizione dell’elemento oggettivo è più simile a quella teorizzata nella sentenza Emsland-Stärke che nella pronuncia Halifax (nonostante quest’ultima fosse stata emanata soltanto qualche mese prima rispetto alla sentenza qui in commento) in quanto la Corte ha fatto riferimento allo sviamento della finalità di una norma di diritto comunitario ma non ha parlato espressamente di vantaggio fiscale indebito, contrario alla ratio

della disposizione che si cerca di aggirare324. Questa differenza, tuttavia, non

sembra da sopravalutare, in quanto in altre parti della sentenza il comportamento abusivo è stato definito come quella costruzione puramente artificiosa destinata ad eludere l’imposta, oppure ad eludere la normativa dello Stato membro interessato. È chiaro che il verbo “eludere” rinvia, in questi casi, ad un aggiramento della normativa fiscale nazionale e quindi all’ottenimento di un vantaggio fiscale indebito.

Quanto all’elemento soggettivo, esso consiste “nella volontà di ottenere un vantaggio fiscale”. Al riguardo, i giudici lussemburghesi sono stati meno precisi rispetto alla sentenza Halifax nel descrivere il requisito intenzionale della condotta. Non è stato chiarito espressamente, infatti, se l’incidenza del fine elusivo ai fini del compimento dell’operazione debba essere esclusiva o possa essere anche “solo” essenziale. In maniera soltanto indiretta si può dedurre che la Corte ha considerato le pratiche abusive come caratterizzate dalla finalità

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esclusiva di eludere l’imposta. Nel paragrafo 63, infatti, si legge che “il fatto che nessuna delle eccezioni previste dalla legislazione sulle CFC possa trovare applicazione e che la volontà di ottenere uno sgravio fiscale abbia ispirato tanto la costituzione della CFC quanto la conclusione di operazioni tra quest'ultima e la società residente non può essere sufficiente a concludere per l'esistenza di una costruzione di puro artificio destinata unicamente a eludere l'imposta”. In tal modo, però, i giudici comunitari sono caduti in contraddizione rispetto alla precedente posizione espressa nel caso Halifax, in occasione del quale si è precisato che basta un fine elusivo essenziale a permettere di qualificare una condotta, pur munita dell’elemento oggettivo, come abusiva.

Inoltre, non si è chiarito che l’elemento intenzionale deve essere ricavato da circostanze obiettive. Al di là di quelle che possono considerarsi delle imprecisioni della sentenza in commento, è indubbio che l’elemento soggettivo debba riflettersi in fatti oggettivi posti in essere dal contribuente, in quanto altrimenti esso non sarebbe in grado di influenzare il modo in cui si attua il prelievo tributario325.

Rispetto alle due precedenti decisioni in tema di elusione, un elemento di novità sembra essere rappresentato dal richiamo fatto alle “costruzioni di puro artificio”, definite da alcuni come la questione centrale del ragionamento della

Corte326. È infatti con questa espressione che il giudice comunitario ha fatto

riferimento alle pratiche abusive327. Nella sentenza si legge che “una misura

nazionale che restringe la libertà di stabilimento è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato. … La constatazione dell'esistenza di una tale costruzione richiede, infatti, oltre ad un elemento soggettivo … elementi oggettivi”.

325 Cfr. P. PISTONE, op. ult. cit., pag. 219.

326 “This concept was the core issue of their reasoning” (A. ZALASINSKI, Proportionality of Anti-

Avoidance and Anti-Abuse Measures in the EC’s Direct Tax Case Law, in Intertax, 2007, pag. 319); cfr.

AG LEGER, Cadbury Schweppes, cit., par. 57.

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Ai fini dell’integrazione di un comportamento abusivo è dunque necessaria la presenza di una tale costruzione, oltre ai tradizionali elementi oggettivo e soggettivo. Come è stato affermato, la Corte ha sancito l’equivalenza tra l’abuso delle libertà fondamentali e le costruzioni di puro artificio: “abuso ed artificiosità sono stati considerati dai giudici come concetti strettamente connessi”328.

A sommesso parere dello scrivente, una costruzione di puro artificio consiste nell’elemento rappresentato dall’uso distorto di strumenti giuridici, fondamentale per la prova dell’elemento soggettivo e per la ricorrenza di quello oggettivo, dunque per l’ottenimento di un vantaggio indebito. Nei casi di abuso in senso lato (come quello che qui ci occupa), una forma giuridica viene utilizzata in maniera anomala ed artificiosa invocando in maniera strumentale la copertura di una libertà garantita dal Trattato. Abusando di questa libertà, il contribuente riesce ad ottenere un vantaggio che è indebito poiché, per le modalità oggettive e