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I successivi sviluppi della giurisprudenza di legittimità dopo le pronunce delle Sezion

L’evoluzione immediatamente successiva della giurisprudenza di legittimità

(anni 2008-2009)111 è stata caratterizzata da una sostanziale continuità rispetto

alla posizione su cui si sono attestate le Sezioni Unite nel 2008.

Con il passare del tempo, però, la Cassazione sembra essersi resa conto della portata potenzialmente dirompente della giurisprudenza inaugurata con le tre sentenze del 2008. Gli anni seguenti, dunque, hanno registrato un tentativo di

110 A. CONTRINO, Il divieto di abuso del diritto fiscale, in Dir. prat. trib., 2009, pag. 474. 111 Oltre alle pronunce già citate, cfr. anche Cass. n. 1465, 8481, 8487 del 2009.

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ridimensionamento non tanto della nozione di abuso del diritto, quanto della sua applicazione pratica112.

Ci si riferisce, innanzitutto, alla sentenza n. 20030/2010, riguardante un caso in cui dei contratti di soccida erano stati stipulati al fine di eludere il prelievo comunitario sulle quote latte. La parte della sentenza che più interessa è quella riguardante l’onere della prova degli elementi costitutivi dell’abuso. Riprendendo Cass. n. 1465/2009, la Corte ha affermato che grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di fornire la prova del disegno elusivo e delle modalità di manipolazione o alterazione degli schemi negoziali classici, considerati irragionevoli in una normale logica del mercato. Il contribuente, invece, ha l’onere di allegare e provare l’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti, di reale spessore, che giustifichino operazioni così strutturate.

Per quanto riguarda la definizione di abuso, è rilevante che con la pronuncia in esame la Cassazione abbia chiarito che lo scopo di conseguire un vantaggio fiscale deve configurarsi come l’elemento predominante ed assorbente della condotta. In questo modo il concetto di abuso si pone maggiormente in linea con quello elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, la quale, quanto all’elemento soggettivo, fa riferimento allo scopo essenziale di ottenere un vantaggio fiscale. In passato, invece, la Suprema Corte era stata a volte alquanto imprecisa e altalenante, facendo riferimento ora all’esclusività, ora alla prevalenza o essenzialità dello scopo elusivo preso di mira dal contribuente.

La Cassazione ha continuato però a non tener conto dell’elemento oggettivo, rappresentato dallo sviamento della finalità perseguita dalla norma elusa e quindi

dal carattere indebito dei vantaggi fiscali conseguiti113, dando rilevanza

preminente alla mancanza di valide ragioni economiche extrafiscali. Ciò ha provocato la reiterazione di critiche da parte della dottrina quasi unanime. Come è stato accennato, la conseguenza di questo orientamento è che, ogniqualvolta il

112 G. MELIS, Lezioni di diritto tributario, cit., pag. 109.

113 È vero, infatti, che in alcune pronunce è comparso qualche riferimento al profilo oggettivo dell’abuso,

ma si è trattato di cenni rapidissimi, non specificati ulteriormente e comunque non contenuti nell’enunciazione del principio di diritto.

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contribuente si trovi dinnanzi a due operazioni, ugualmente idonee a perseguire un dato effetto economico, egli può scegliere la via fiscalmente meno onerosa solo se l’operazione può giustificarsi con ragioni ulteriori e diverse da quella del risparmio fiscale, quantunque quest’ultimo non sia considerato dal legislatore come indebito114.

Si è confermata inoltre la tendenza, inaugurata dalle decisioni del 2008, ad un ricorso smodato al principio non scritto dell’abuso del diritto, anche quando nei casi concreti fosse applicabile l’art. 37-bis. D.P.R. 600/1973. Con una successiva sentenza, n. 22994 del 2010, è sembrato registrarsi un revirement della Corte di Cassazione, la quale, seppure in un obiter dictum, ha inteso il principio antiabuso come norma di carattere generale e l’art. 37-bis come norma speciale, destinata a trovare applicazione, in luogo del primo, rispetto a tutte le fattispecie verificatesi dopo la sua entrata in vigore. Hanno affermato, infatti, i giudici di legittimità che “non è lecito al contribuente trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto (seppur non contrastante con specifiche disposizioni, almeno fino all’entrata in vigore del menzionato d. lgs. n. 358 del 1997) di strumenti giuridici idonei a procurargli un vantaggio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili diverse dalla mera aspettativa di quel vantaggio”. In realtà si è trattato di una pronuncia isolata, che non ha dato realmente inizio ad un cambio di rotta, quanto meno immediato.

La tendenza criticata si è rinvenuta infatti anche in interventi più recenti115,

scontrandosi ancora con la critica della dottrina. Quest’ultima ha osservato che, quando ad una stessa fattispecie siano applicabili, in astratto, tanto il principio di natura pretoria di abuso del diritto, quanto una clausola antielusiva specifica, sarebbe quest’ultima a dover prevalere. Diversamente, l’Amministrazione finanziaria eserciterebbe un potere che le è stato sottratto dal legislatore, il quale ha sentito il bisogno, appunto, di codificare la suddetta clausola. Inoltre, il Fisco violerebbe valori fondamentali dell’ordinamento giuridico, quali il principio di

114 A. RENDA, cit., pag. 1318.

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legalità (art. 23 Cost.), di affidamento e di certezza del diritto. Un ricorso sempre più eccessivo al principio di origine giurisprudenziale avrebbe potuto non rendere più concretamente applicabile la norma antielusiva specifica, relegandola a tamquam non esset.

Ma un ricorso indiscriminato al principio antiabuso è consistito soprattutto nell’utilizzarlo per colpire le fattispecie più varie, quali simulazione, interposizione, comportamenti antieconomici ecc., che con l’elusione fiscale

hanno poco o niente a che fare116 e che danno luogo invece ad evasione. Ciò ha

portato autorevole dottrina a parlare dell’abuso del diritto come un “onnivoro contenitore”, che “mescola fenomeni aventi natura distinta e diversa”117. Nella

stessa sentenza n. 22994 del 2010 si è affermata la sostanziale identità, ai fini dell’applicazione del principio antiabuso, tra operazioni fittizie, derivanti dalla simulazione di specifici atti, ed operazioni elusive. Questa affermazione non può

essere assolutamente condivisa. Come è stato osservato118, la simulazione

presuppone l’esistenza di due operazioni, quella simulata e quella dissimulata, l’una fittizia e non realmente voluta, l’altra reale. Nel caso dell’elusione, invece, l’operazione è unica ed è realmente voluta dalle parti, non ha carattere fittizio. La Corte di Cassazione, inoltre, pare non aver considerato che simulazione ed

elusione producono due forme di inopponibilità antitetiche tra loro119; mentre la

prima rende il negozio simulato inefficace sia tra le parti e sia nei confronti dei terzi che ne subiscano un pregiudizio (come il Fisco, che non può attuare la propria pretesa impositiva), dovendosi avere riguardo soltanto agli effetti prodotti dal negozio dissimulato, l’elusione comporta invece la sola irrilevanza per l’Agenzia delle entrate, un soggetto terzo, dell’operazione posta in essere, ferma restando a tutti gli altri effetti la validità della fattispecie concreta.

116 In questo modo, il concetto italiano di elusione si avvicina a quello francese, che ha carattere

onnicomprensivo. Sul punto, si veda il terzo capitolo.

117 G. FALSITTA, Spunti critici e ricostruttivi sull’errata commistione di simulazione ed elusione

nell’onnivoro contenitore detto “abuso del diritto”, in Riv. Dir. trib., 2010, pag. 365; nello stesso senso,

A. FEDELE, Assetti negoziali e “forme d’impresa”, in Riv. dir. trib., 2010, pag. 1093.

118 G. FRANSONI, Abuso di diritto, elusione e simulazione: rapporti e distinzioni, in Corr. Trib., 2011,

pag. 18.

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Fortunatamente, un ripensamento è sembrato provenire da una successiva sentenza, la n. 3947 del 2011, in cui i supremi giudici hanno affermato che il principio dell’abuso del diritto si applica rispetto ad “operazioni non simulate, ma realmente volute ed immuni da invalidità”, anche se sono “effettuate essenzialmente allo scopo di trarne un vantaggio fiscale”.

Altro importante arresto giurisprudenziale è stato rappresentato dalla sentenza n. 1372 del 2011, ispirata anch’essa a suggerire particolare prudenza

nell’applicazione del principio dell’abuso del diritto120.

In primo luogo, la Cassazione ha specificato ulteriormente che “Incombe all’Amministrazione finanziaria l’onere di spiegare, anche nell’atto impositivo, perché la forma giuridica (o il complesso di forme giuridiche) impiegata abbia carattere anomalo o inadeguato rispetto all’operazione economica intrapresa, mentre è onere del contribuente provare l’esistenza di un contenuto economico dell’operazione diverso dal mero risparmio fiscale”.

In secondo luogo, ha ribadito ed anzi rafforzato il monito già rivolto in precedenza all’Amministrazione finanziaria, affermando che “L’applicazione del principio deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare una giusta linea di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività di impresa”.

Per l’ennesima volta, nonostante un rinvio espresso alla giurisprudenza comunitaria sviluppatasi sul tema dell’abuso del diritto, la Suprema Corte ha trascurato l’elemento oggettivo, dato dal carattere indebito, contrario alle finalità perseguite dalla norma elusa, del vantaggio fiscale ottenuto tramite l’operazione elusiva; per l’ennesima volta, i supremi giudici si sono disinteressati di effettuare una verifica in tal senso, nel decidere dell’elusività o meno della fattispecie sottoposta al loro esame.

In conclusione, volendo ricavare degli elementi comuni dalla variegata giurisprudenza che si è sviluppata a partire dalla sentenza n. 20030/2010, essi

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sono rappresentati innanzitutto dall’esigenza di delimitare la portata potenzialmente dirompente derivante dalle decisioni rese a Sezioni Unite nel 2008. A tal fine, la Corte si è concentrata sui profili che riguardano l’onere della

prova degli elementi costitutivi del fenomeno elusivo/abusivo121. La più

equilibrata ripartizione, rispetto al passato122, dei carichi probatori tra

contribuente e Amministrazione finanziaria è stata accolta da parte della dottrina come “un avvio di revisione lodevolissima di orientamenti giurisprudenziali pregressi”123.

Ma soprattutto un elemento comune delle varie sentenze della Corte è stato rappresentato da un utilizzo improprio del principio generale antiabuso, sia nel senso di snaturarlo rispetto al concetto originario elaborato dalla Corte di Giustizia, fondato anche sul carattere indebito dei vantaggi fiscali, sia nel senso di utilizzarlo in maniera assorbente e prevalente rispetto all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, sia, infine, nel senso di ricomprendervi, come fosse un contenitore “onnivoro”124

, le fattispecie più varie che con l’elusione in senso stretto non hanno niente a che vedere.

Va rilevato come le conclusioni cui è giunta la Suprema Corte con le tre pronunce rese a Sezioni Unite nel 2008 sono state confermate dalla Corte di Giustizia UE, per quanto riguarda l’inapplicabilità del divieto comunitario di abuso del diritto nel settore dei tributi non armonizzati. In particolare, con l’ordinanza n. 18055 del 2010 la Corte di Cassazione ha sottoposto una questione interpretativa mediante rinvio pregiudiziale alla Corte lussemburghese. A quest’ultima la Suprema Corte ha chiesto, appunto, se nei settori non armonizzati possa trovare applicazione il principio comunitario di abuso del diritto. La Corte

del Lussemburgo, con la sentenza 3M/ITALIA125, ha ricordato che è vero che la

121 Nello stesso senso, oltre Cass. n. 1372/2011, si muovono Cass. n. 22716/2011 e Cass. n. 12622/2012. 122 In passato la Corte di Cassazione era stata a volte incerta e non molto precisa al riguardo.

123 A. MARCHESELLI, La Cassazione limita la nozione di elusione all’aggiramento dello scopo della

legge, in Corr. trib., 2010, pag. 3376; nello stesso senso A. LOVISOLO, La specificità del comportamento del contribuente in buona fede salva dall’abuso del diritto, in GT – Riv. giur. trib., 2011,

pag. 169.

124 G. FALSITTA, op. ult. cit., pag. 365. 125 C – 417/10 del 2012.

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materia delle imposte dirette ricade nella competenza degli Stati membri, ma questi ultimi devono esercitarla nel rispetto del diritto dell’Unione Europea; tuttavia, a dispetto delle premesse, ha concluso “che nel diritto dell’Unione non esiste alcun principio generale dal quale discenda un obbligo per gli Stati membri di lottare contro le pratiche abusive nel settore della fiscalità diretta”, quando queste ultime non coinvolgano il diritto comunitario.