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Un’ulteriore tappa che ha segnato lo sviluppo del divieto di abuso del diritto nella giurisprudenza tributaria della Corte di Giustizia è stata rappresentata dalla

sentenza Kofoed342, pronunciata in data 5 luglio 2007. Tale decisione è stata

importante non in quanto abbia apportato delle novità in punto di definizione degli elementi costitutivi dell’abuso, i quali sono rimasti quelli analizzati fino a

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questo punto, ma perché ha affrontato il tema della applicabilità del principio antiabuso, risultante dalla giurisprudenza comunitaria ma anche, in via settoriale, dal previgente art. 11 della direttiva fusioni, al settore delle imposte dirette, nell’ipotesi in cui uno Stato membro non abbia appositamente adottato una disposizione di recepimento della norma da ultimo richiamata. Più precisamente, con la sentenza in commento la Corte di Giustizia ha affermato l’inesistenza di

una clausola generale antiabuso nel settore dell’imposizione diretta343.

Il caso riguardava una controversia sorta tra il sig. Kofoed e l’Amministrazione finanziaria danese, in ordine all'assoggettamento all'imposta sul reddito di uno scambio di quote sociali. Venendo ad esporre i fatti della causa principale, i sigg. Kofoed e Toft detenevano in parti uguali la totalità del capitale sociale della Cosmopolit, una società a responsabilità limitata di diritto danese. II 26 ottobre 1993 essi acquistavano ciascuno una delle due azioni che componevano il capitale sociale della società a responsabilità limitata di diritto irlandese Dooralong. Quest’ultima aumentava successivamente il suo capitale sociale, emettendo 21 000 nuove azioni. Il 29 ottobre 1993 i sigg. Kofoed e Toft scambiavano tutte le quote sociali da essi detenute nella Cosmopolit contro tutte le nuove azioni detenute nella Dooralong. A seguito di tale scambio, essi possedevano dunque 10 501 azioni della Dooralong ciascuno. Quest'ultima disponeva, dal canto suo, dell'intero capitale sociale della Cosmopolit. Il primo novembre 1993, la Dooralong incassava un dividendo versato dalla sua consociata Cosmopolit, da poco acquisita. Il 3 novembre 1993, l'assemblea generale della Dooralong decideva a sua volta di distribuire un dividendo, di ammontare poco inferiore a quello del dividendo ricevuto due giorni prima dalla Cosmopolit, ai suoi due soci. Nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno 1993, il sig. Kofoed precisava che lo scambio di quote sociali detenute nella

343 M. ANDRIOLA, Quale incidenza della clausola anti-abuso comunitaria nella imposizione sui redditi

in Italia?, in Rass. trib., n. 1/2008, pag. 274; G. ZIZZO, Abuso del diritto, scopo di risparmio d’imposta e collegamento negoziale, in Rass. trib., n. 3/2008, pag. 876; M. POGGIOLI, Il modello comunitario della “pratica abusiva” in ambito fiscale: elementi costitutivi essenziali e forza di condizionamento rispetto alle scelte legislative ed interpretative nazionali”, in Riv. dir. trib., n.9/2008, pag. 260; M.

VILLANI, L’abuso del diritto: incomprensione o incertezza delle scelte di fondo, in Riv. dir. trib., n. 5/2012, pag. 109.

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Cosmopolit contro nuove azioni nella Dooralong doveva essere esentato dall'imposta: egli, in particolare, invocava l’applicazione del regime di neutralità fiscale risultante dal combinato disposto degli artt. 2, lettera d), e 8, n. 1, della

direttiva fusioni344. L'Amministrazione fiscale danese non condivideva tale

posizione, ritenendo che la distribuzione del dividendo a favore del sig. Kofoed dovesse essere considerata come facente parte dell'operazione di scambio di quote sociali, rendendo in tal modo non applicabile l’esenzione prevista dalla direttiva. Infatti, L'art. 2, lett. d), della direttiva 90/434 definisce lo “scambio di azioni” come “l'operazione mediante la quale una società acquista nel capitale sociale di un'altra società una partecipazione il cui effetto sia quello di conferirle la maggioranza dei diritti di voto di questa società, mediante l'attribuzione ai soci dell'altra società, in cambio dei loro titoli, di titoli rappresentativi del capitale sociale della prima società ed eventualmente di un saldo in contanti che non superi il 10 % del valore nominale o, in mancanza di valore nominale, della parità contabile dei titoli consegnati in cambio”. In altre parole, secondo l’Amministrazione finanziaria danese la distribuzione del dividendo da parte della società Dooralong nei confronti dei suoi due soci doveva essere considerata come parte dell’operazione di scambio di azioni, in particolare come saldo in contanti; dato che nel caso di specie l’ammontare del dividendo superava la soglia del 10% del valore nominale dei titoli consegnati in cambio, l’operazione posta in essere dai contribuenti non ricadeva nel campo di applicazione dell’art. 2, lettera d, della direttiva e non poteva beneficiare del regime di neutralità da essa previsto. Dopo che il giudice di prime cure aveva accolto la pretesa dell’Amministrazione finanziaria, il caso è stato deferito ad una Corte d’appello danese, la quale decideva di sospendere il giudizio sottoponendo alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: “Se l'art 2, lett d), della direttiva 90/434/CEE ... debba essere interpretato nel senso che non ha luogo alcuno "scambio di azioni" ai sensi di tale direttiva qualora i partecipanti all'operazione di scambio, contemporaneamente

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all'accordo sullo scambio, manifestino, pur senza vincolarsi giuridicamente, la comune intenzione di deliberare, nella prima assemblea generale della società acquirente successiva allo scambio, una distribuzione di utili in misura superiore al 10 % del valore nominale dei titoli ceduti in occasione di tale scambio, e tali utili vengano poi anche effettivamente distribuiti”. In sostanza, la questione pregiudiziale verteva innanzitutto sulla corretta interpretazione dell’operazione concretamente posta in essere e sulla sua qualificazione o meno, ai sensi della direttiva, come operazione di scambio di azioni. In secondo luogo, il giudice del rinvio chiedeva se l'Amministrazione fiscale avrebbe potuto reagire ad un eventuale abuso del diritto, benché il legislatore nazionale non avesse adottato provvedimenti specifici per trasporre l'art. 11 della direttiva 90/434, il quale ultimo disponeva che “uno Stato membro può rifiutare di applicare in tutto o in parte le disposizioni dei titoli II, III e IV di tale direttiva o revocarne il beneficio qualora risulti che l'operazione di scambio di azioni ha come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali la frode o l'evasione fiscale”.

Con riferimento alla prima questione, la Corte ha qualificato l’operazione come scambio di partecipazioni ai sensi dell’art. 2, lettera d), della direttiva fusioni e ha riconosciuto l’applicabilità dell’art. 8, n. 1. Il giudice comunitario, tuttavia, ha rigettato la tesi che la successiva distribuzione dei dividendi integrasse un “saldo in contanti” superiore al 10%, previsto dall’art. 2, lettera d), della citata direttiva, non sussistendo “alcun indizio che dimostri che il dividendo di cui trattasi abbia formato parte integrante della contropartita da pagare da parte della Dooralong per l’acquisizione della Cosmopolit”. Nell’opinione espressa dal giudice europeo, dunque, ciò che assume rilevanza è che le prestazioni pecuniarie abbiano “carattere di vera e propria contropartita dell’operazione di acquisizione, e cioè le prestazioni convenute a titolo obbligatorio come complemento dell’attribuzione di titoli rappresentativi del capitale sociale della società acquirente, e ciò indipendentemente dagli eventuali motivi alla base dell’operazione”. E’ stato quindi ribadito l’orientamento espresso già nel caso Halifax, secondo cui, al fine di stabilire se una determinata

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operazione rientra o meno nella definizione fornita da una direttiva comunitaria, sono del tutto irrilevanti i motivi soggettivi per cui il contribuente la pone in

essere345. Egli può anche agire al solo fine di ottenere un vantaggio fiscale;

ciononostante, l’operazione continuerebbe a fruire del regime previsto dalla direttiva (se ne soddisfa, ovviamente, i requisiti), in quanto l’applicazione delle disposizioni di quest’ultima prescinde dai motivi soggettivi perseguiti, “siano essi finanziari, economici o puramente fiscali”346.

Dunque, data l’irrilevanza dei fini perseguiti dal contribuente e dato che il dividendo incassato dal signor Kofoed non aveva costituito parte integrante della contropartita da pagare da parte della Dooralong per l’acquisizione della Cosmopolit, la Corte ha concluso per la piena riconducibilità dell’operazione nell’ambito di applicazione del combinato disposto degli artt. 2, lettera d), e 8, n. 1, della direttiva 90/434/CEE.

“Tuttavia, poiché il giudice del rinvio e il governo danese sottolineano ripetutamente che il detto scambio di quote sociali è stato effettuato senza alcuna ragione commerciale e al solo scopo di realizzare economie di natura fiscale, ci si deve altresì porre la questione dell’applicazione del detto art. 8, n. 1, nell’ipotesi di un eventuale abuso del diritto”. A questo punto, dunque, i giudici lussemburghesi sono passati ad esaminare la seconda pregiudiziale posta dal giudice del rinvio. Con riferimento a tale secondo profilo, che è quello che più interessa ai fini di quest’opera, la Corte di Giustizia ha riconosciuto che “l'art. 11, n. 1, lett. a), della direttiva 90/434 riflette il principio generale di diritto comunitario secondo il quale l'abuso del diritto è vietato. I singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme di diritto comunitario. L'applicazione di queste ultime non può essere estesa sino a comprendere pratiche abusive, ossia operazioni effettuate non nell'ambito di normali transazioni commerciali, ma unicamente allo scopo di beneficiare abusivamente

345 G. ZIZZO, op. ult. cit., pag. 876; M. ANDRIOLA, cit., pag.276. 346 Leur-Bloem, C-28/95.

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dei vantaggi previsti dal diritto comunitario”347348. Con tale prima affermazione è

stato richiamato il principio generale, proprio dell’ordinamento dell’Unione, di divieto di abuso del diritto comunitario, caratterizzato dall’elemento dell’uso distorto (“operazioni effettuate non nell’ambito di normali transazioni commerciali”), dall’elemento soggettivo (“unicamente allo scopo”) e da quello oggettivo (“beneficiare abusivamente [cioè in maniera indebita, ndr] dei vantaggi previsti dal diritto comunitario”). Tale ultimo riferimento, rivolto al beneficio abusivo dei vantaggi previsti dal diritto comunitario, è coerente con la circostanza che il caso di specie verteva su un’ipotesi di abuso in senso stretto, in cui il contribuente ha cercato di ottenere in maniera indebita un vantaggio fiscale previsto dalla normativa comunitaria di diritto derivato, non abusando di una libertà fondamentale garantita dal Trattato ma creando in maniera artificiosa le condizioni per beneficiare dell’applicazione di una normativa comunitaria secondaria. Come è agevole notare, inoltre, nel descrivere l’elemento soggettivo la Corte di Giustizia ha parlato di uno scopo esclusivo, non essenziale, di porre in essere un abuso. Anche con la sentenza in commento, dunque, non è stato chiarito definitivamente se la soglia di abusività di una condotta scatti quando il fine elusivo è essenziale (potendo concorrere quindi con motivazioni extrafiscali) oppure quando tale fine è esclusivo. Infatti, nel caso in esame la Corte ha espressamente preteso che il fine di ridurre il carico impositivo sia l’unico scopo perseguito dal contribuente (di talché, ove le parti siano in grado di allegare e provare l’esistenza di motivazioni extrafiscali, anche di carattere marginale, l’abuso del diritto non sarebbe configurabile), mentre la direttiva fusioni, all’art. 11 (attuale art. 15), è chiara nello stabilire che gli Stati membri possono negare i benefici da essa previsti quando l’evasione o l’elusione costituiscano l’obiettivo

347 Kofoed, cit., par.38.

348 Cfr. in questo senso, sentenze 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros, Racc. pag. I-1459, punto 24; 21

febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a., Racc. pag. I-1609, punti 68 e 69; 6 aprile 2006, causa C- 456/04, Agip Petroli, Racc. pag. I-3395, punti 19 e 20, nonché 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I-7995, punto 35).

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principale o uno degli obiettivi principali dell’operazione compiuta dal contribuente349.

Richiamati gli elementi costitutivi dell’abuso, il giudice lussemburghese ha affermato che “in via preliminare, occorre chiedersi se, in mancanza di una specifica disposizione nazionale che trasponga l'art. 11, n. 1, lett. a), della direttiva 90/434 … quest'ultima disposizione possa tuttavia trovare applicazione”. Nonostante l’ordinamento europeo imponga agli Stati membri di adottare ogni provvedimento necessario per garantire la attuazione delle direttive e nonostante il principio di certezza del diritto osti alla circostanza che da una direttiva non attuata derivino degli obblighi in capo ai singoli (di modo che una direttiva non attuata non può mai essere fatta valere da uno Stato membro nei confronti dei singoli), “occorre tuttavia sottolineare, in primo luogo, che, secondo la formulazione stessa dell'art. 249, terzo comma, CE, gli Stati membri hanno la scelta della forma e dei mezzi di attuazione delle direttive che meglio permettono di garantire il risultato a cui mirano queste ultime. … Pertanto, purché la situazione giuridica derivante dai provvedimenti nazionali di trasposizione sia sufficientemente precisa e chiara per consentire ai singoli interessati di conoscere la portata dei loro diritti e obblighi, la trasposizione di una direttiva nel diritto interno non esige necessariamente un'azione legislativa in ciascuno Stato membro. Allo stesso modo, come ha rilevato l'avvocato generale al paragrafo 62 delle sue conclusioni, per la trasposizione di una direttiva può essere sufficiente, in taluni casi, a seconda del contenuto di quest'ultima, un contesto normativo generale di modo che non è necessaria una formale ed esplicita riproduzione delle disposizioni nazionali. In secondo luogo, occorre ricordare che tutte le autorità di uno Stato membro, quando applicano il diritto nazionale, sono tenute ad interpretarlo per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo delle direttive comunitarie, al fine di conseguire il risultato perseguito da queste ultime. Orbene, se è vero che tale obbligo di

349 V. LIPRINO, Il difficile equilibrio tra libertà di gestione e abuso del diritto nella giurisprudenza della

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interpretazione conforme non può giungere sino al punto che una direttiva, di per se stessa e indipendentemente da una legge nazionale di trasposizione, crei obblighi per i singoli ovvero determini o aggravi la responsabilità penale di coloro che trasgrediscono le sue disposizioni350, è tuttavia riconosciuto che lo

Stato può, in linea di principio, opporre un'interpretazione conforme della legge nazionale nei confronti di singoli”. … Spetta dunque al giudice del rinvio esaminare se nel diritto danese esiste una disposizione o un principio generale sulla cui base l'abuso del diritto è vietato ovvero se esistono altre disposizioni sulla frode o sull'evasione fiscale che possano essere interpretate conformemente all'art. 11, n. 1, lett. a), della direttiva 90/434 e, pertanto, giustificare la tassazione dello scambio di quote sociali di cui trattasi. Se del caso, spetta al giudice del rinvio verificare se, nella causa principale, ricorrano le condizioni per l'applicazione di tali disposizioni nazionali”.

In sintesi, con la sentenza in esame la Corte ha chiarito innanzitutto che l’art. 11 della direttiva (attuale art. 15) riflette il generale principio, di origine pretoria, che vieta l’abuso del diritto comunitario e dunque tale disposizione deve essere letta in conformità alla giurisprudenza della suprema istanza dell’Unione. In secondo luogo, quanto alla applicabilità di questo articolo in un ordinamento interno che non l’ha appositamente recepito, è stato chiarito che uno Stato membro non ha l’obbligo di adottare, a tal fine, un’apposita e nuova misura legislativa. Ad attuare la direttiva e, in particolare, l’art. 11 può essere sufficiente anche una norma generale antiabuso già vigente nello Stato membro in

questione351, purché essa sia conforme al canone della certezza del diritto.

Qualora tale norma esista, essa deve comunque essere interpretata dalle autorità nazionali in conformità al contenuto dell’art. 11 della direttiva e, soprattutto, dato che esso riflette il principio generale antiabuso di origine pretoria, in conformità a tale principio. Infine, spetta al giudice nazionale verificare se una tale

350 È questo il risultato della c.d. “giurisprudenza degli effetti diretti” delle direttive nei confronti dei

singoli Stati membri. Cfr. M. ANDRIOLA, cit., pag. 277.

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normativa interna già esista nello Stato membro in questione e, se del caso, stabilire se nella fattispecie concreta ricorra una fattispecie di abuso del diritto.

È interessante notare, ad avviso di chi scrive, che nel caso in esame la Corte di Giustizia ha implicitamente negato la diretta applicabilità, nel settore delle

imposte dirette, del principio giurisprudenziale di divieto di abuso del diritto352, a

differenza delle conclusioni cui a volte è pervenuta invece la Corte di Cassazione italiana353. È evidente infatti che, se il divieto di abuso di fonte comunitaria

avesse portata generale, il giudice lussemburghese non avrebbe avuto la necessità

di rinviare alle norme antielusive nazionali354. Da questa sentenza sembra

emergere che il divieto giurisprudenziale di abuso del diritto può esplicare la propria efficacia negli ordinamenti nazionali solo in quanto riflesso in specifiche misure comunitarie antiabuso, come l’art. 11 della direttiva fusioni, ed esclusivamente nell’ipotesi in cui tali specifiche misure siano state appositamente

trasposte negli ordinamenti statali355 oppure possano trovare applicazione per il

tramite di un’interpretazione orientata del diritto nazionale356

. Questa conclusione è in linea con le osservazioni dell’Avvocato Generale, secondo cui, appunto, l’esistenza di una espressa disposizione nella direttiva non consente di fare applicazione diretta del principio generale di divieto di abuso del diritto, sia per ragioni di certezza giuridica e sia perché la diretta operatività del principio

rischierebbe di ostacolare l’armonizzazione della materia357. Dunque, il giudice

comunitario ha sostanzialmente affermato che, in mancanza sia di un provvedimento interno di attuazione della direttiva che di una norma interna antiabuso, uno Stato membro non ha la possibilità di contrastare le pratiche volte ad utilizzare le disposizioni della direttiva in maniera abusiva, al fine cioè di

352 P. PISTONE, Il divieto di abuso come principio del diritto tributario comunitario e la sua influenza

sulla giurisprudenza tributaria nazionale, cit., pag. 314; M. ANDRIOLA, cit., pag. 274; M. POGGIOLI,

cit., pag. 260; M. VILLANI, cit., pag. 109.

353 Cfr. Cass. n. 8772/2008, n. 25374/2009, n. 1465/2009. In senso opposto, invece, cfr. Cass. SS. UU. N.

30055 e 30057 del 2008.

354 G. ZIZZO, op. ult. cit., pag. 876. 355 M. POGGIOLI, cit., pag. 260.

356 P. PISTONE, L’abuso del diritto nella giurisprudenza tributaria della Corte di Giustizia dell’Unione

europea, cit., pag. 223.

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aggirare l’imposizione fiscale358. Permettendo al contribuente, in tali casi, di

servirsi di uno strumento di diritto comunitario derivato a fini elusivi, la soluzione prospettata dalla Corte si pone in pieno contrasto con il principio, consolidato nella sua giurisprudenza, secondo cui non si può invocare il diritto

dell’Unione Europea nell’ambito di pratiche abusive359.

L’orientamento espresso nel caso Kofoed è stato confermato360 più di recente

dalla sentenza Zwijnenburg, pronunciata il 20 maggio 2010. In questa fattispecie, il contribuente aveva utilizzato il regime previsto dalla direttiva fusioni, che avrebbe garantito un’esenzione da imposta all’operazione da lui posta in essere, al fine di aggirare un’imposta, quella sui trasferimenti, diversa da quelle rientranti nel campo di applicazione della direttiva medesima. Il giudice olandese, dunque, decideva di sospendere il giudizio e proporre alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale: “se lart. 11, n. 1, lett. a), della direttiva 90/434 debba essere interpretato nel senso che le agevolazioni da questa stabilite possono essere negate al soggetto passivo che ha previsto, mediante una costruzione giuridica comprendente una fusione di imprese, di prevenire la riscossione di un’imposta quale quella di cui trattasi nella causa principale, vale a dire le imposte sui trasferimenti, mentre quest’imposta non è considerata da tale direttiva”. L’Amministrazione finanziaria olandese, infatti, data la mancanza di una disposizione nazionale che consentisse di rifiutare il beneficio dell’esenzione dalle imposte sui trasferimenti in caso di fusione di imprese e nelle ipotesi in cui si stabilisse che l’esclusione della detta imposta costituisce la ragione prevalente della fusione, si proponeva di fare diretta applicazione dell’art. 11, n. 1, lett. a), della direttiva 90/434 in modo da riscuotere l’imposta sulle società in compensazione delle escluse imposte sui trasferimenti, contrastando la asserita pratica elusiva posta in essere dal contribuente.

358 P. PISTONE, op. ult. cit., pag. 223. 359 P. PISTONE, op. ult. cit., pag. 223. 360 P. PISTONE, op. ult. cit., pag. 223.

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La Corte di Giustizia ha osservato che l’ordinamento dell’Unione Europea non implica una completa armonizzazione del diritto tributario e che l’imposta sui trasferimenti, oggetto di aggiramento nel caso concreto, non rientra nell’ambito applicativo della direttiva. Sulla base di questa premessa, si è quindi concluso che “in tali circostanze, il beneficio delle agevolazioni stabilite dalla direttiva 90/434 non può essere negato, in applicazione dell’art. 11, n. 1, lett. a), di quest’ultima, per compensare il mancato pagamento di un’imposta come quella di cui trattasi nella causa principale”. Ragionando in questo modo, però, ancora una volta la Corte è giunta alla conclusione che la direttiva fusioni può essere