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L’improcrastinabile intervento del legislatore

Come risulta dalla ricostruzione operata nei paragrafi precedenti, in Italia il problema del contrasto del fenomeno elusivo è rimasto a lungo irrisolto e, per alcuni aspetti, lo è ancora oggi.

Dopo le “sentenze gemelle” pronunciate dalle Sezioni Unite nel 2008, in materia di tributi armonizzati operava il generale divieto comunitario di abuso del diritto, elaborato e sviluppato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea a partire dalla celebre sentenza Halifax.

Quanto ai tributi non armonizzati, oltre alle norme antielusive specifiche operava l’art. 37.-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, che però non era una clausola realmente generale, idonea a contrastare tutte le potenziali fattispecie elusive, ma poteva applicarsi unicamente alle specifiche operazioni indicate nel suo terzo comma, ove queste presentassero gli elementi strutturali dell’elusione. Al di fuori dell’ambito di applicazione della norma da ultimo menzionata e sempre nel settore dei tributi non armonizzati (almeno fino alla citata sentenza della Cassazione n. 405/2015), operava il generale principio dell’abuso del diritto, che la Suprema Corte ha rinvenuto direttamente nei principi costituzionali di capacità contributiva e progressività. Si è visto infine che un problema specifico è posto dall’art. 20 della legge di registro, in relazione al quale le soluzioni elaborate non sono state univoche.

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Come è facile comprendere, il sistema non garantiva la certezza del diritto e generava grande insoddisfazione e disorientamento tra operatori ed interpreti, in quanto i contorni dell’elusione/abuso del diritto non erano ben definiti (e non lo sono ancora oggi) e nella prassi imprenditoriale molte volte era difficile individuare l’esistenza di fattispecie di elusione nonché il diritto applicabile. Ciò era dovuto alla continua evoluzione della giurisprudenza in materia, apparsa molte volte confusionaria e contraddittoria. A questo si aggiungeva che le posizioni dell’Agenzia delle Entrate e le soluzioni dottrinali non sono state e non sono tutt’oggi sempre concordanti. Ma il “ruolo supplente” dei giudici, soprattutto di legittimità, nonché i diversi orientamenti della dottrina e dell’Amministrazione finanziaria sono stati necessitati dall’inerzia del legislatore nell’introdurre una clausola generale antiabuso, sulla scorta di quanto è avvenuto invece in altri Paesi.

Tutto ciò ha provocato a lungo un senso di profondo disorientamento nei contribuenti, come risulta confermato da una lettera indirizzata già nel 2012 al Ministro dell’Economia dai presidenti di ABI, ANIA e Confindustria, con la quale questi ultimi hanno chiesto l’intervento del Parlamento affinché ponesse fine alla situazione venutasi a creare. Si leggeva nello scritto che “La certezza delle regole assume un ruolo di assoluto rilievo” per il miglioramento dei rapporti tra Fisco e contribuente. “L'utilizzo dell'abuso del diritto tributario negli accertamenti fiscali può avere effetti devastanti sui bilanci delle imprese rendendo ancor più difficile, per queste ultime, realizzare l'obiettivo di una fuoriuscita dalla crisi economica”. Inoltre “l'utilizzo, quasi indiscriminato, nelle attività di accertamento della teoria dell'abuso del diritto come se la stessa potesse corrispondere ad un parametro oggettivo sulla base del quale decidere l'applicabilità o meno di norme del diritto tributario positivo a fattispecie concrete, finisce per assimilare la nozione di risparmio fiscale a quella di elusione”.È invece inammissibile che le scelte degli imprenditori siano censurate sol “perché non sono quelle più onerose in termini di imposte dovute”. In questo modo si pregiudicano “gravemente beni fondamentali quali la certezza del

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diritto, l’affidamento e la prevedibilità dell’operare di accertatori e giudici” e si raggiunge un grado di rischio fiscale che, oltre ad essere superiore a quello fisiologicamente accettabile in un ordinamento avanzato, è tale da “bloccare qualsiasi pianificazione fiscale”. A minare ancor di più l’assetto complessivo del sistema era la circostanza che gli atti di accertamento in materia di abuso “riguardano comportamenti posti in essere quando nell’ordinamento nessuno neanche sospettava dell’esistenza di questo principio”.

D’altra parte, non solo dal campo imprenditoriale, ma anche dai tecnici del diritto, sono state avanzate delle perplessità circa l’opportunità che il legislatore intervenisse emanando una clausola realmente generale, in quanto quest’ultima avrebbe dovuto necessariamente avere una latitudine talmente ampia da poter ricomprendere qualsiasi fattispecie potenzialmente elusiva e dunque non avrebbe risolto il problema della tutela della certezza del diritto.

La stessa Corte di Giustizia UE, nella sentenza 3M ITALIA già citata159, ha

escluso che nel campo delle imposte reddituali il diritto dell’Unione Europea

obblighi gli Stati membri ad adottare una misura generale antiabuso160.

Insomma, anche le proposte riguardanti i possibili strumenti di contrasto del fenomeno elusivo non sono state univoche. Comunque, sulla base dell’evoluzione verificatasi negli ultimi anni, può concludersi che è prevalsa la via dell’elaborazione di una clausola generale antiabuso.

La Commissione UE, prendendo atto della sempre più crescente diffusione del fenomeno elusivo, nel dicembre 2012 ha raccomandato agli Stati membri di adottare una appropriata clausola generale antielusiva. Si tratta della Raccomandazione del 6/12/2012 sulla pianificazione fiscale aggressiva. Essa conteneva direttamente la seguente proposta di norma generale antiabuso:

“Una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale deve essere ignorata. Le autorità nazionali devono

159 Sul punto, si veda il paragrafo 1.12

160 E. ALTIERI, La codificazione di una clausola generale antielusiva: giungla o wild west?, in Rass.

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trattare tali costruzioni a fini fiscali facendo riferimento alla loro sostanza economica”. A modesto parere di chi scrive, la definizione di abuso contenuta nella Raccomandazione era apprezzabile. Dalla lettura del punto appena citato, infatti, emergono chiaramente i tre fondamentali elementi costitutivi della fattispecie abusiva/elusiva: l’uso abnorme e distorto di strumenti giuridici (costruzione di puro artificio), il risultato indebito perseguito (scopo di eludere l’imposizione) e la circostanza che il suddetto risultato derivi “essenzialmente” dalla costruzione artificiosa. È inoltre rilevante che la clausola antiabuso in esame facesse riferimento alla “sostanza economica” dell’operazione o delle serie di operazioni, così autorizzando le Amministrazioni finanziarie dei vari Stati membri dell’UE ad esaminare le fattispecie poste in essere dal contribuente anche sotto il profilo economico, non solo sotto quello giuridico.

Il punto 4.3 stabiliva che “Una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale”. A questo punto, la Commissione ha specificato le situazioni in presenza delle quali l’operazione può essere considerata priva di “sostanza commerciale”, tra le quali spicca il caso in cui “la qualificazione giuridica delle singole misure di cui è composta la costruzione non è coerente con il fondamento giuridico della costruzione nel suo insieme”, e il caso in cui “la costruzione o la serie di costruzioni è posta in essere in un modo che non sarebbe normalmente impiegato in quello che dovrebbe essere un comportamento ragionevole in ambito commerciale”.

Secondo il punto 4.5, “la finalità di una costruzione o di una serie di costruzioni artificiose consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali del contribuente, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali che sarebbero altrimenti applicabili. Leggendo questo punto, a prima vista potrebbe affermarsi che esso facesse riferimento all’elemento soggettivo dell’elusione fiscale, rappresentato dallo scopo personale del contribuente di ottenere un vantaggio fiscale. In realtà, da una più attenta analisi emerge che la Commissione europea ha voluto specificare non l’elemento soggettivo, bensì quello oggettivo, rappresentato dal risultato

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necessariamente indebito che viene prodotto dalla condotta del contribuente. Ciò risulta confermato dalla specificazione “a prescindere da eventuali intenzioni personali del contribuente”, la quale esclude il riferimento, appunto, allo scopo personale del soggetto passivo.

Il punto 4.6, riguardo al significato dell’avverbio “essenzialmente”, chiariva che “una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri perlopiù irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso”.

Analogamente al modus operandi imposto già dall’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973 all’Amministrazione finanziaria, anche la Raccomandazione europea, al punto 4.7, stabiliva che le autorità nazionali, al fine di accertare l’esistenza di un vantaggio fiscale, “sono invitate a confrontare l’importo dell’imposta dovuta dal contribuente, tenendo conto della o delle costruzioni, con l’importo che lo stesso contribuente dovrebbe versare nelle stesse circostanze in assenza della o delle costruzioni”. Secondo l’auspicio della Commissione, dunque, l’Amministrazione finanziaria dovrebbe procedere ad un confronto tra l’operazione asseritamente artificiosa, concretamente posta in essere, e quella che il contribuente avrebbe dovuto compiere secondo normali logiche di mercato, per trarne le dovute conseguenze in merito alla qualificazione o meno della condotta come abusiva.