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La fattispecie di abuso in senso stretto è stata elaborata, parimenti in via pretoria dalla Corte di Giustizia, in tempi più recenti rispetto alla categoria dell’abuso in senso lato. In materia fiscale, tuttavia, la prima sentenza in cui la Corte ha definito compiutamente la teoria antiabuso riguarda proprio un caso di abuso in senso stretto235.

Come anticipato, in base a questa particolare forma di elusione un soggetto cerca di trarre impropriamente vantaggio dall’uso distorto di situazioni giuridiche

soggettive attribuite a privati da disposizioni di diritto comunitario secondario236.

Queste ultime sono costituite dai provvedimenti (soprattutto direttive) introdotti dalla legislazione comunitaria per favorire il processo di integrazione fra gli

Stati237. Ne deriva che l’applicazione del divieto comunitario di abuso del diritto

in senso stretto è circoscritta al campo della fiscalità armonizzata, la cui disciplina è resa uniforme dalle varie direttive e dai diversi regolamenti emanati nel corso del tempo.

In questo ambito, attesa la unitarietà di disciplina a livello europeo, il contribuente che intenda porre in essere un comportamento elusivo non ha bisogno di servirsi di un espediente, quale l’abuso di una libertà garantita dal Trattato, per aggirare la normativa interna. Al contrario, egli tenta di aggirare direttamente la norma comunitaria secondaria attributiva di un vantaggio fiscale, ponendosi artificiosamente, in maniera contraria alla ratio di questa, nelle

235 Cfr. infra, par. 2.5.

236 CGCE, causa Diamantis, cit., par. 33.

237 F. GALLO, Mercato unico e fiscalità: aspetti giuridici del coordinamento fiscale, in Rass. trib, 2000,

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condizioni in presenza delle quali quel vantaggio spetterebbe. Ciò carica tale vantaggio dell’elemento dell’indebito.

Anche la teoria dell’abuso in senso stretto è stata elaborata in via pretoria dalla Corte di Giustizia. Tuttavia, non si può trascurare che lo stesso legislatore comunitario ha avvertito il pericolo che le direttive emanate nel settore della fiscalità armonizzata potessero essere aggirate in maniera elusiva e dunque ha inserito, all’interno delle stesse, alcune misure self-protective, le quali autorizzano gli Stati membri a negare i benefici previsti dalla direttiva di riferimento nei casi in cui essi vengano ottenuti tramite un abuso. Si badi, tuttavia, che tali misure sono molto diverse dalle norme antiabuso previste nelle varie legislazioni nazionali. Mentre queste ultime disposizioni antielusive, in ossequio al principio di certezza del diritto, cercano di definire l’istituto dell’elusione fiscale/abuso del diritto in maniera puntuale nei suoi elementi costitutivi, le prime autorizzano genericamente gli Stati membri a negare (tramite l’emanazione di apposite norme interne che disciplinino i relativi presupposti) i benefici previsti da una direttiva in caso di abuso, ma non definiscono in alcun modo l’istituto. Un’inversione di tendenza, come si vedrà, è stata inaugurata dalla citata direttiva “anti-elusione”, approvata dall’Ecofin il 12 luglio 2016, che contiene la formulazione di una clausola generale antiabuso e che, dunque, individua puntualmente i requisiti costitutivi dell’abuso del diritto.

Un riferimento alle principali norme antiabuso contenute nelle direttive è utile, ai fini di questa opera, in quanto esse presentano delle rilevanti differenze terminologiche che creano delle problematiche nella definizione del rapporto frode – evasione – elusione - abuso del diritto.

Ad esempio, mentre gli articoli 11, 19, 80 e 394 della direttiva IVA238

abilitano gli Stati membri ad adottare le misure necessarie a prevenire “l’elusione e l’evasione fiscale”, implicando, per quel che qui interessa, l’equiparazione tra elusione fiscale ed abuso del diritto, al contrario gli articoli 131 e 158, par. 2, fanno riferimento al contrasto delle fattispecie di “evasione, elusione e abuso”.

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L’art. 15, comma 1, della “direttiva fusioni”239 stabilisce che gli Stati membri

possono rifiutare di applicare in tutto o in parte alcune sue disposizioni o revocare un beneficio da essa previsto e già concesso, quando risulti che l’operazione di riorganizzazione societaria “ha come obiettivo principale o come uno degli gli obiettivi principali la frode o l'evasione fiscale. … Il fatto che una delle operazioni di cui all'articolo 1 non sia effettuata per valide ragioni economiche … può costituire la presunzione che quest'ultima abbia come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali la frode o l'evasione fiscali”.

A sommesso avviso di chi scrive, la disposizione in esame risulta rilevante per almeno tre profili. Innanzitutto, dal punto di vista terminologico, essa rinvia alla coppia concettuale “frode-evasione fiscale”, dunque vi è da ritenere che nel concetto di frode assunto a questi fini rientrano anche le ipotesi di abuso: se, infatti, il termine frode fosse interpretato in maniera restrittiva e limitato ai soli casi di diretta violazione della norma tributaria, sarebbe pleonastico il riferimento

alla evasione fiscale240. Del resto, l’art. 15 in commento è frutto di una traduzione

dalla lingua francese, la quale distingue tra fraude e évasion, sostanzialmente

corrispondenti in Italia all’elusione ed evasione fiscale241

. La soluzione qui prediletta è suffragata, tra l’altro, dal confronto dei testi della direttiva come tradotti nelle altre lingue ufficiali dell’Unione: da ciò risulta infatti che lo scopo della disposizione in commento è quello di prevenire e/o contrastare ogni forma di abuso.

In secondo luogo, l’art. 15 della “direttiva fusioni” dimostra che fin dal 1990 (anno in cui essa è stata emanata), il legislatore europeo ha considerato l’elemento soggettivo, quindi lo scopo elusivo perseguito dal contribuente, come uno dei fondamentali requisiti costitutivi del fenomeno abusivo. In più, l’art. 15 chiarisce il grado di intensità che deve caratterizzare il suddetto elemento

239 Direttiva 90/434/CEE, modificata dalla Direttiva 2009/133/EC. 240 P. PIANTAVIGNA, cit, pag. 90.

241 V. LIPRINO, Il difficile equilibrio tra libertà di gestione e abuso di diritto nella giurisprudenza della

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soggettivo, non richiedendo che quello di eludere l’imposta sia l’unico fine che spinga il contribuente ad agire ma facendo riferimento ad un obiettivo “principale” o ad uno degli obiettivi “principali”.

In terzo luogo, la disposizione citata introduce un concetto fondamentale ai fini della successiva elaborazione della teoria dell’abuso ad opera della Corte di Giustizia: si tratta del concetto di valide ragioni economiche. Nell’ottica adottata dal legislatore comunitario, la assenza di queste ultime costituisce una mera

presunzione dell’esistenza dell’elemento soggettivo242.

L’art. 1, par. 2, della direttiva “madre figlia”243, relativa al regime fiscale

applicabile alle società “madri e figlie” di Stati membri diversi, disponeva che essa “non pregiudica la applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare frodi o abusi”. Al contrario di quanto detto con riferimento alla “direttiva fusioni”, in questo caso era necessario adottare un’interpretazione restrittiva del concetto di frode, volto a ricomprendere solo le ipotesi di diretta violazione di norme tributarie, quindi le ipotesi di evasione. Va peraltro considerato che la disposizione in commento è stata di recente modificata dalla Direttiva 121/2015, la quale ha introdotto una vera e propria definizione di abuso del diritto, come si chiarirà nel prosieguo.

Al pari della direttiva “madre figlia”, anche la direttiva sulla tassazione di

interessi e royalties infragruppo244 fa riferimento al contrasto delle frodi o abusi.

Inoltre, anch’essa dà risalto all’elemento soggettivo dell’abuso, mutuando la relativa espressione (“obiettivo principale” o “uno degli obiettivi principali”) contenuta nella “direttiva fusioni”.

Da questa breve rassegna risulta che il contrasto dell’elusione fiscale/abuso del diritto (oltre che dell’evasione) costituisce da sempre uno degli obiettivi perseguiti dal legislatore europeo e quindi dalle citate direttive. Una questione problematica e discussa in dottrina, tuttavia, riguarda il significato da attribuire

242 Cfr., nello stesso senso, G. ZIZZO, Abuso del diritto, scopo di risparmio d’imposta e collegamento

negoziale, in Rass. trib., n. 3/2008, pag. 877.

243 Direttiva 90/435/CEE, sostituita dalla direttiva 96/2011/UE. 244 Direttiva 2003/49/CE.

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alla positivizzazione, ad opera del diritto comunitario derivato, del canone antiabuso.

Secondo una parte minoritaria della dottrina245, la circostanza che il legislatore

dell’Unione abbia avvertito l’esigenza di prevedere apposite clausole antiabuso deporrebbe nel senso della inesistenza a livello comunitario di un principio generale antielusivo.

Secondo, invece, la tesi maggioritaria246, le specifiche clausole antiabuso

contenute nel diritto derivato non sarebbero altro che il riflesso di un più generale

principio antielusivo operante nell’ordinamento dell’Unione247. Esse, in altre

parole, non andrebbero considerate come delle circoscritte e settoriali eccezioni alla regola generale per cui l’esercizio di un diritto è sempre legittimo, ma al contrario quest’ultima regola non deve essere considerata affatto come un dogma. Tale posizione è stata fatta propria anche dalla Corte di Giustizia, la

quale, nella nota sentenza Halifax248 in materia di IVA, ha affermato che

l’applicazione della norma comunitaria non può “estendersi fino a comprendere i comportamenti abusivi degli operatori economici, vale a dire operazioni realizzate non nell’ambito di transazioni commerciali normali, bensì al solo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto comunitario”. Inoltre, come ha sottolineato l’Avvocato Generale P. Maduro nelle conclusioni al

caso Halifax249, il principio generale antielusivo è stato applicato in diverse aree

del diritto, sintomo questo della sua portata generale e non limitata ai soli casi in

cui è positivizzato in una norma specifica. Più di recente, nel caso Foggia250 del

2011, la Corte del Lussemburgo ha espressamente riconosciuto che il previgente art. 11 della direttiva fusioni (attuale art. 15) “riflette il principio generale del diritto comunitario per cui l’abuso del diritto è proibito”.

245 Cfr. O. ROUSELLE – H. M. LIEBMAN, The Doctrine of Abuse of Community Law; the Sword of

Damocles Hanging Over the Head of EC Corporate Tax Law?, in Eur. Tax., 2006, pag. 564.

246 A. SAGAN, The misuse of a European Company according to Article 11 of the Directive 2001/86/EC,

in European Business Law Review, 2010, pag. 25; nello stesso senso, P. PIANTAVIGNA, cit, pag. 90.

247 Questo orientamento è stato condiviso anche dalla Commissione europea, nelle osservazioni presentate

alla Corte di Giustizia nel caso Emsland-Stärke. Sul punto, v. infra, par. 5.

248 CGCE, 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax, par. 69. Sul punto, v. infra, par. 6 o 7. 249 CGCE, Halifax, cit., par. 62.

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Da quanto detto, risulta che nessun ostacolo si frappone alla qualificazione delle specifiche norme antiabuso come espressione di un più generale principio di contrasto all’elusione fiscale. La suprema istanza comunitaria, oltre ad avallare questa tesi, ha riconosciuto che la presenza di una clausola specifica antiabuso

non impedisce in ogni caso l’applicazione del principio generale251. Il diritto

comunitario non considera la norma specifica come una eccezione ad esso, ma

come uno strumento per garantire la sua effettività252.