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L’accesso ai servizi per l’infanzia

CONCILIAZIONE TRA LAVORO E FAMIGLIA QUALI IMPLICAZIONI PER LE DONNE

3. Le politiche di conciliazione in Italia

3.1 L’accesso ai servizi per l’infanzia

Sul versante dell’offerta dei servizi per l’infanzia, la situazione è altrettanto sconfortante. Secondo i dati Istat (2013b) per l’anno scolastico 2011/2012, la percentuale di Comuni che offrono il servizio di asilo nido o di trasferimenti alle famiglie per usufruire di servizi privati si attesta al 48,1%, con forti differenze a livello territoriale. Le regioni che contano più dell’80% dei Comuni coperti dal servizio sono solo l’Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia Giulia e la Valle d’Aosta; Lombardia, Veneto, Toscana e la provincia di Trento oscillano tra il 60% e l’80% di copertura, mentre la Calabria ha il livello di copertura più basso al 13%. La quota di domanda soddisfatta rispetto al potenziale bacino di utenza (bambini residenti tra i zero e i due anni), però, è in media pari all’11,8%. A causa delle restrizioni imposte dal “Patto di stabilità”, degli effetti della crisi economica e della riduzione dei trasferimenti statali a favore delle politiche sociali si assiste, nel complesso, ad una diminuzione della capacità di spesa e della spesa effettiva dei Comuni per i servizi per l’infanzia. Dall’altro lato, si assiste nell’ultimo anno anche ad un calo delle iscrizioni, tanto che in diverse città alcuni asili nido comunali non riescono a coprire tutti i posti offerti. Dietro questo fenomeno sta sicuramente l’impatto della crisi economica sulle capacità di spesa delle famiglie e sul livello di occupazione delle madri che rende l’iscrizione al nido del proprio figlio non conveniente in termini di costi e benefici. Maggiore è, invece, la partecipazione alle scuole dell’infanzia comunali e statali che richiedono uno

sforzo economico minore da parte delle famiglie. Nel caso delle scuole dell’infanzia, più che per gli asili nido, negli ultimi anni l’offerta pubblica è sempre meno sufficiente ad accogliere tutti i bambini che ne fanno richiesta. La crisi ha sicuramente influito, dal momento che le famiglie non possono più permettersi le rette delle scuole paritarie, ma è anche in atto probabilmente un mutamento culturale. Infatti, buona parte dei bambini esclusi dalle graduatorie delle scuole pubbliche, veniva e viene ancora tutt’oggi assorbita dalle scuole paritarie. In Italia, le scuole paritarie sono in larga parte ad impostazione cattolica, legate alle parrocchie locali disseminate nel paese. Vuoi per questioni di spesa maggiore, vuoi perché aumenta la presenza di bambini immigrati di religione diversa, vuoi perché cresce la fetta di popolazione che predilige la laicità dell’insegnamento, aumentano le iscrizioni alle scuole pubbliche mentre quelle alle scuole paritarie entrano in crisi. Nel caso in cui un bambino immigrato, la cui famiglia non sia di religione cattolica, non rientrasse nelle lunghe liste d’attesa della scuola pubblica, avrebbe molto probabilmente due sole vie davanti a sé: rimanere escluso da questo servizio o frequentare una scuola paritaria di stampo cattolico. E’ ovvio come il contesto educativo in questo caso contenga degli elementi di discriminazione intrinsechi in quanto viene negato il diritto alla continuità della propria educazione familiare religiosa, un contesto nel quale vi è una sorta di colonialismo culturale forzato a discapito degli immigrati.

Infine, è utile ricordare ai fini dell’analisi dei tempi della conciliazione, che le scuole dell’obbligo elementari si dividono tra quelle che offrono il servizio con orario ridotto (fino alle ore 12.00 senza servizio di mensa) e quelle a “tempo pieno” (fino alle 16.00 con servizio mensa). Nelle grandi città c’è una maggiore concentrazione di scuole che adottano il tempo pieno, mentre nei piccoli comuni questa opzione risulta minore, con una serie di conseguenze in termini di conciliabilità, per le madri e i padri che lavorano più di cinque ore al giorno. Dall’altra parte, però, si assiste negli ultimi anni da parte delle famiglie italiane ed immigrate in condizioni di disagio economico, ad una difficoltà nel provvedere

alla spesa per il servizio mensa, che le porta a prediligere scuole con orario ridotto.

A proposito dell’accesso dei minori stranieri agli asili nido e alle scuole dell’infanzia, negli ultimi anni si è assistito ad una serie di atti di discriminazione da parte delle amministrazioni locali che hanno escluso i minori senza permesso di soggiorno o hanno determinato requisiti per l’accesso in base all’anzianità di presenza sul territorio nazionale o comunale.24 Nel 2007, il Comune di Milano ha deciso di escludere dalle scuole dell’infanzia i minori stranieri “irregolari”. Con l’ordinanza dell’11 febbraio 2008, il Tribunale di Milano ha stabilito che si trattava di una misura discriminatoria in quanto anche la scuola materna rientra tra i servizi educativi il cui accesso è garantito a tutti i minori stranieri (Codini, 2008). Nonostante la pronuncia in merito del Tribunale di Milano, nel 2012 nel Comune di Borgomanero (Novara) è stato inserito quale requisito per l’iscrizione alle scuole dell’infanzia, il possesso di cittadinanza italiana25. Nel 2010 nel Comune di Bologna e nel Comune di Padova, per l’iscrizione agli asili nido, si richiedeva che i bambini non comunitari fossero in possesso di permesso di soggiorno (www.meltingpot.it, 14 aprile 2010).

Ancora, tra il 2010 e il 2013, nei Comuni di Ciampino (Roma), Trieste, Talentino (Macerata) è stato introdotto quale criterio per ottenere maggiori punti nelle graduatorie d’iscrizione alle scuole dell’infanzia e agli asili nido, l’anzianità di residenza nel territorio comunale di almeno uno dei due genitori (www.asgi.it). L’introduzione discrezionale di tali requisiti produce effetti discriminatori in base alla cittadinanza che colpiscono non solo i diritti fondamentali di tutela dell’infanzia e della genitorialità, ma anche il diritto alla conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa.

                                                                                                               

24 L’art. 38 del d. lg. 286/1998 dichiara che “i minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all’obbligo scolastico”, dal momento che questo corrisponde ad un diritto fondamentale del minore e in quanto tale sussiste indipendentemente dalla “regolarità” del soggiorno. Inoltre, lo stesso articolo stabilisce che “le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, in accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica” si applicano anche ai minori senza permesso di soggiorno (Codini, 2008).

Concludendo, anche per quanto riguarda l’accesso e la fruibilità dei servizi dedicati alla prima infanzia, per una donna straniera che debba conciliare lavoro e famiglia, il percorso sembra molto difficile, ostacolato dalla struttura carente dell’offerta dei servizi e dalle azioni delle amministrazioni locali che mettono in atto diversi espedienti per escluderli da diritti fondamentali che spettano a tutti in eguale misura.

3.2 Il ricongiungimento familiare come strumento di conciliazione per le