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L’accesso ai servizi per l’infanzia, scolastici ed extra-scolastici.

STRATEGIE DI CONCILIAZIONE

2. L’accesso ai servizi per l’infanzia, scolastici ed extra-scolastici.

Nelle famiglie incontrate al momento delle interviste, tutti i figli secondo la loro età, frequentavano l’asilo nido, la scuola dell’infanzia, la scuola dell’obbligo, la scuola superiore o l’università. La possibilità d’accesso ai servizi per l’infanzia e scolastici si traduce in un aiuto e in un tempo prezioso per le donne lavoratrici. All’interno di queste strutture le madri possono affidare i propri figli a istituzioni ritenute competenti a contribuire alla formazione dei propri figli.

Per quanto riguarda l’introduzione dei bambini piccoli all’asilo nido, come già emerso nel secondo capitolo, esiste una disparità di offerta sul territorio per chi vive in città (Padova) e chi vive in paesi più piccoli della provincia. Per coloro che hanno partorito in Italia o che siano riuscite a ricongiungere i figli piccoli in tempi relativamente più brevi, l’inserimento è stata fatto in asili nido comunali oppure, nei comuni più piccoli, in asili convenzionati con il comune di residenza che rimborsa così parte delle spese. Le rette delle strutture private risultano, invece, proibitive per le famiglie con una fascia di reddito medio-bassa.

L’asilo nido comunale è visto come l’alternativa ottimale in mancanza di una rete di solidarietà familiare che possa condividere la cura con le madri lavoratrici.

[I]: Sei soddisfatta dell’asilo nido?

[Lei]: Sì perché così il bambino è impegnato a giocare con altri bambini, a socializzare, imparare cose nuove, visto che prima stando a casa si annoiava e seconda cosa non è come anni fa che i nonni ti aiutano e ti fanno, visto che ho un lavoro dovevo trovare una soluzione. E lui è abbastanza contento di andare all’asilo e imparare cose nuove.

(Marika, 27 anni, Romania, coniugata, colf)

Si è osservato un alto grado di soddisfazione da parte delle madri nei confronti dell’offerta formativa degli asili nido in cui erano inseriti i figli. Nonostante ciò, appena i tempi di lavoro lo permettano, si cerca di ritirare il bambino dalla struttura il prima possibile (ad esempio alle 12.30 piuttosto che alle

16.00) per poter passare più tempo insieme a lui. Inoltre, dall’osservazione partecipante in uno degli asili nido frequentati dai figli delle intervistate, emergono uno stretto controllo operato dalle madri sulla cura effettuata dalle educatrici, sulla manutenzione dell’ambiente in cui i bambini trascorrono le giornate e sulla preparazione dei cibi e la richiesta di colloqui con coloro a cui affidano i figli è periodica (spesso anche in presenza dei padri, soprattutto quando questi abbiano maggiore dimestichezza con la lingua). Forte è anche la partecipazione delle madri immigrate alle attività che ruotano intorno alla struttura (organizzazione di feste, gite, incontri tematici, ecc.). L’asilo nido (ma anche la scuola dell’infanzia e la scuola dell’obbligo), se in grado di coinvolgere i genitori in attività che esulano la mera cura giornaliera dei figli, può rappresentare uno spazio in cui maturano pratiche d’inclusione delle famiglie immigrate alla vita sociale del territorio. Purtroppo si riscontra una difficoltà sempre maggiore ad individuare tempi per l’organizzazione di queste attività che non collidano con quelli del lavoro dei genitori e garantiscano la partecipazione di tutti. La sempre maggiore estensione di lavori a turno, nel corso del week-end e in orari “non- standard” costituisce un ostacolo alla partecipazione delle famiglie.

Quest’ultima osservazione ci introduce ad un importante elemento emerso nel corso delle interviste: a fronte dell’organizzazione dei tempi del lavoro, i tempi di accesso/uscita ai servizi possono rivelarsi inadeguati. Seppure i servizi permettano la copertura di buona parte dell’orario di lavoro dei genitori e la gran parte preveda la possibilità di accesso anticipato e di posticipo dell’orario di uscita, spesso queste misure appaiono insufficienti per le donne che lavorano in orari “atipici”. Se le donne incontrate che svolgono lavoro domestico presso le famiglie talvolta possono contrattare informalmente sull’orario, chi è assunta presso cooperative non ha questi margini di libertà e deve ricorrere ad altre soluzioni di conciliazione informali (l’affidamento temporaneo ad altri familiari, amici o babysitter).

[Lei]: Per trovare la babysitter ci ho messo un po’ di tempo perché gli orari del mio lavoro, come ti dicevo prima, sono dalle sette e quindi dalle sei e

mezza alle otto non c’era nessuno a portare i bimbi al nido. Finalmente questa babysitter è venuta fuori e mi ha permesso di incastrare gli orari di mio marito con i miei.

(Eva, 34 anni, Romania, coniugata, infermiera)

Questo problema d’incongruenza tra orari di lavoro non-standard e l’organizzazione dei servizi riaffiora anche per quanto le scuole dell’obbligo. A monte, vi è la diversa concezione alla base dell’istituzione della scuola dell’obbligo e dei servizi per l’infanzia: l’una volta primariamente a garantire il diritto all’istruzione, i secondi indirizzati a permettere la conciliazione tra lavoro e famiglia. Di fatto, però, anche le scuole primarie e secondarie di primo grado costituiscono uno strumento di conciliazione per le donne lavoratrici.

[Lei]: Loro entrano a scuola alle otto fino alle quattro perché facciamo orario continuato qua. Io ho solo la differenza di due ore e la vicina veramente gentilissima per fortuna i suoi vanno con i miei fanno stessa classe e quando lei va a prendere i suoi porta anche i miei.

(Aisha, 33 anni, Marocco, coniugata, assistente familiare)

Nel caso di Maria, sua figlia frequenta la scuola secondaria di primo grado ed è costretta a lasciarle autonomia di gestione, non senza preoccupazioni:

[Lei]: L’accessibilità degli orari… dovrebbe iniziare la scuola alle 7 del mattino. Una pre-accoglienza la trovi alle 7.25 che infatti mia figlia quest’anno la portavo, la lasciavo davanti a scuola, aspettava quei cinque, dieci minuti e poi entrava. Perché anche a scuola lei non la lasciavano entrare prima. Te ne vai anche con un po’ di ansia perché i tempi come adesso pensi “Dio cosa può succedere”, magari la vedono ogni giorno che è sempre lì che aspetta. Sempre questa angoscia, ti fai le paranoie. Poi lei può andare anche da sola in bici qui in Chiesa che è un attimo ma io ho sempre paura.

(Maria, 29 anni, Colombia, nubile, assistente familiare)

Le scuole primarie e secondarie di secondo grado scontano poi un’ulteriore rigidità in termini d’orario. Infatti, è frequente nei piccoli comuni della provincia

che le scuole elementari coprano solo l’orario parziale, prevedendo il rientro all’ora di pranzo, l’entrata anticipata ma non l’uscita posticipata. Questo non rappresenta un problema per le donne che lavorano a tempo parziale, che anzi molto spesso scelgono questa formula di rientro nel mercato per potersi prendere cura personalmente dei propri figli il pomeriggio e potersi adeguare all’organizzazione dei servizi. Per coloro che invece, lavorano a tempo pieno, ne conseguono numerose difficoltà. Di qui nasce l’esigenza e l’importanza dell’accesso dei figli ai servizi di doposcuola, pre-scolastici o extra-scolastici. Nella città di Padova, esiste una buona offerta (anche se con delle disparità tra i diversi quartieri) di questo tipo di servizi grazie alle iniziative promosse dal Comune, alla vivacità delle associazioni no-profit e alle attività delle parrocchie. Dalla ricerca emerge una minore offerta, invece, nei piccoli comuni della provincia, dove spesso le attività extra-scolastiche che non prevedono una retta sono organizzate solo dalle parrocchie.

[Lei]: L’unica cosa che fanno è in Chiesa, ogni venerdì, che si riuniscono tutti i bambini e stanno lì dalle quattro fino alle sei e mezza.

(Maria, 29 anni, Colombia, nubile, assistente familiare)

L’accesso ai servizi extra-scolastici diventa ancor più importante nel corso delle vacanze estive. Infatti, il costo dei centri-estivi viene considerato proibitivo dalla maggior parte delle madri intervistate. Per coloro che vivono nella provincia, gli unici centri-estivi economicamente accessibili sono quelli organizzati ancora una volta dalle parrocchie ma riescono a coprire solo una parte della giornata e del periodo estivo.

[Lei]: Adesso che è in vacanza è un po’ più difficile perché tante volte deve stare un po’ da sola finché arrivo. Comunque il centro estivo se la porti una settimana ti costa 180 euro una settimana. Costa tantissimo… allora un po’ sta da mia mamma e un po’ sta con me. Poi gli altri centri estivi che costano poco, come quello della parrocchia, hanno gli orari che io purtroppo causa

del lavoro non posso portarla. Hanno gli orari dalle 8 di mattina fino a mezzogiorno e io come faccio a andare e a tornare. Allora non ce la faccio.

(Maria, 29 anni, Colombia, nubile, assistente familiare)

[I]: D’estate quando non c’è la scuola?

[Lei]: E’ dura. Dopo alla scuola direttamente vanno al centro estivo

(parrocchiale) fino però al 10 luglio e chiude. Allora devi cercare un altro

modo. A dire la verità è una lotta. Quando hai scuola hai un ritmo stabile, ti organizzi, chiedi gente per darti una mano ad esempio miei amici da’ una mano per portarli a casa quando non ci sono…

[I]: Il territorio offre qualche alternativa fino a settembre? [Lei]: Sì, però devi pagare e sono costosi.

(Aisha, 33 anni, Marocco, coniugata, assistente familiare)

Ecco allora che in quest’ambito possono acquisire un ruolo fondamentale a supporto della conciliazione i servizi sociali territoriali, permettendo di accedere gratuitamente a servizi extra-scolastici a pagamento che altrimenti non sarebbero accessibili a famiglie con un reddito più basso e supportando così le madri lavoratrici.

[Lei]: Le mie figlie, assistente sociale le ha messe in collegio. Nel senso che andavano ancora di metà giornata in una scuola privata senza pagare niente. Io dico si sono prese cura di mie figlie che sono straniere puoi immaginare delle altre.

(Alina, 51 anni, Bosnia Erzegovina, coniugata, operatrice socio-sanitaria)

Tra le intervistate, se vi sono coloro che riconoscono il valore dell’aiuto offerto dalla figura dell’assistente sociale nell’affrontare problematiche di conciliazione tra lavoro e famiglia, vi sono anche alcune testimonianze in cui è emersa una difficoltà a rapportarsi con le soluzioni che sono state proposte loro. Nel caso di Juliet, l’inserimento in attività extra-scolastiche ed extra-familiari è visto come un’espropriazione dei compiti connessi al proprio ruolo di madre. Dolores, madre sola, senza una rete di solidarietà familiare in Italia e sulla quale grava tutto il peso del sostentamento economico, in una situazione di estrema vulnerabilità, non percepisce nell’assistente sociale una figura di supporto ma

piuttosto di ulteriore ostacolo poiché contesta le soluzioni che ha trovato per conciliare lavoro e cura del figlio (Dolores spesso lavora nelle ore notturne ed è costretta a lasciare solo a casa il bambino).

[Lei]: Dei servizi sociali bene. Ho trovato qualche aiuti. Pagato la luce, un po’ di aiuto. Però assistente sociale mi ha detto che il Comune non ha soldi però manda i miei bambini al centro estivo. Ma i soldi per pagare l’educatrice ce li ha, crea lavoro per loro. E mamma non ha lavoro perché non da’ alla mamma quei soldi per educare bambini perché mamma educare bambini come altri.

(Juliet, 43 anni, Nigeria, coniugata, operaia)

[Lei]: Sono limitata a lavorare per l’età, per la malattia, per il figlio, per questioni di legge. Sembra che tutto è colpa mia. Anche con assistente sociale… non posso lavorare di più e non posso lasciare mio figlio a casa. Una contraddizione.

(Dolores, 41 anni, Perù, divorziata, impiegata)

Nonostante le difficoltà che vi possano essere nelle relazioni tra utente e servizio sociale, rimane il fatto che per diverse donne intervistate in situazione di vulnerabilità economica e sociale, l’assistente sociale rimane una figura di riferimento e di supporto a vari livelli. In particolare, nella ricerca è emerso il suo ruolo nel promuovere la formazione professionale delle donne intervistate e nel favorire la conciliazione attivando la rete dei servizi e dell’associazionismo locale sul territorio.

Un’ultima osservazione richiede di soffermarci nuovamente sul discorso relativo alla scuola dell’obbligo e di come questa rappresenti per le donne intervistate uno strumento di conciliazione e un’istituzione alla quale affidare parte della formazione dei propri figli. Nel corso della ricerca, infatti, le madri immigrate dimostrano di avere nei confronti della scuola delle aspettative relative anche alla sfera educativa che possono venire disattese. In parte tali aspettative si costruiscono in relazione e in opposizione all’offerta del sistema scolastico del paese d’origine e sono espressione di una determinata cultura dei servizi. In parte, nascono dall’intersecarsi delle rappresentazioni in merito alle funzioni educative

attribuite al ruolo dei genitori con la percezione dell’istituzione scolastica quale sostituta nella cura dei figli per gran parte della giornata.

[Lei]: Da noi c’era molta più educazione che partiva anche da scuola, anche da casa e anche da scuola. Qua i ragazzi sono un po’ più liberi, non hanno tanto rispetto verso gli insegnanti, noi ci dicevano che dobbiamo rispettare quelli più grandi qua invece non c’è tanto questa cosa nella scuola. C’è da casa sì, ma dalla scuola non tanto. C’è l’insegnamento sì, ma ci vorrebbe forse un po’ di … spiegare ai ragazzi…

(Liliana, 35 anni, Moldova, coniugata, colf)

[Lei]: La scuola difficile perché diciamo che io là le potevo pagare la scuola privata e quindi andando alla scuola pubblica, non è che è male ma c’è una differenza grossa. Perché là si prendono molto cura. La scuola privata hanno una particolarità che si prendono cura di ogni ragazzo, tipo se il ragazzo non si presenta a scuola subito chiamano a casa. Entro le otto e mezza, nove chiamano a casa: il bambino, il ragazzo non si è presentato a scuola. Allora uno se è casa con la febbre sennò è in marina. Si, un po’ più accurato.

(Marta, 48 anni, Colombia, divorziata, operatrice socio-sanitaria)

[Lei]: Io sono contentissima delle scuole dove è andata mia figlia, sono stati così gentili, che forse questa possibilità non davano a mia figlia in Iran, ma qui mi hanno dato.

(Samira, 51 anni, Iran, divorziata, assistente familiare)

3. L’organizzazione della cura dei figli e le strategie informali per la