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L’organizzazione della cura dei figli e le strategie informali per la conciliazione

STRATEGIE DI CONCILIAZIONE

3. L’organizzazione della cura dei figli e le strategie informali per la conciliazione

Per quanto riguarda l’organizzazione della cura dei figli e come questa venga condivisa all’interno (e non solo) dei nuclei familiari e della famiglia estesa, i mutamenti che la migrazione inserisce in quest’ambito possono essere molteplici e si differenziano innanzitutto per il fatto di avere figli prima o dopo il processo migratorio, in base ai modi e alle fasi successive dello stesso e alle risorse disponibili.

Per le donne che diventano madri nel paese d’origine e successivamente migrano, si è visto come si siano profilate esperienze di maternità transnazionale. Quando le madri emigrano, spesso portano con sé prima le figlie o i figli maggiori che possono trovare più chance di inserimento lavorativo e solo successivamente i figli più piccoli in età scolare. I fattori principali che portano a non ricongiungersi ai figli più piccoli in tempi rapidi sono la mancanza di caregivers nel paese d’immigrazione congiuntamente alla necessità di lavorare, le difficoltà nel processo di regolarizzazione della propria posizione giuridica e nel successivo raggiungimento dei requisiti necessari per il ricongiungimento de jure. Così, la cura dei figli che era affidata primariamente a loro, viene affidata ad altre figure dell’entourage familiare rimaste nel paese d’origine. Nella letteratura strutturalista e sui legami familiari transnazionali si è per lo più sottolineato come l’ambito della cura resti prerogativa delle donne della famiglia estesa. Allo stesso modo in questa ricerca emerge, nelle interviste, il ruolo fondamentale delle nonne e delle zie quali caregivers sostitutive. Accanto a loro, però, viene attribuito anche agli uomini di famiglia un ruolo molto più attivo di quanto si possa presupporre: mariti, nonni, fratelli, zii, vengono investiti dei compiti materiali di organizzazione della cura dei figli. Inoltre, è da mettere in evidenza come è spesso riconosciuto dalle madri emigrate il supporto dato ai figli (adolescenti) dalle reti amicali sia loro che dei figli stessi, quindi a figure esterne alla cerchia prettamente familiare.

[I]: Quando l’hai dovuta lasciare a casa, mi dicevi che è rimasta con tuo marito…

[Lei]: Si, avevo marito e la mia sorella che vedeva anche di lei (la figlia

minore). No che stava sempre. E’ stata un po’ dura perché lei era più con le

sue amiche ma brave, non per andare in giro. Ha trovato in loro un supporto. Poi sono tornata a casa la prima volta dopo un anno e mezzo e poi la sentivo ogni giorno: la mattina e la sera, anche qualche giorno se stava male anche 10 volte al giorno la chiamavo per vedere come sta, come fa. E’ stata dura finché non l’ho portata di qua, è stata dura.

[I]: Nel momento in cui tu eri in Italia e tua figlia in Iran, chi la accudiva? [Lei]: Mio marito, i miei genitori, i miei fratelli.

[I]: Il fatto che la accudissero e l’allevassero delle altre persone, anche se familiari, questo ti dava delle ansie o ti sentivi sicura? C’era sempre accordo?

[Lei]: Sinceramente, siccome mio marito è una brava persona, un bravissimo uomo, io sono divorziata ma non significa che è cattivo. Era bravissimo e perciò mi fidavo di lui. Non ero molto preoccupata che lei poteva succedergli qualcosa, poi ho miei amici e miei fratelli che già avevo spiegato a loro che dovete stare attenti ai bisogni di mia figlia, quando è il suo compleanno festeggiatela, quello che ho fatto io per undici anni dovete fare voi. Allora io ho detto dovete fare tutto quello che ho fatto io. Lo so che manco io a lei e lei mi manca tantissimo e chissà quanti danni ha creato anche questo.

(Samira, 51 anni, Iran, divorziata, assistente familiare)

Ciò a cui non rinunciano le madri è far sentire la propria sollecitudine attraverso le rimesse e il proprio supporto piscologico attraverso i viaggi, i regali e le numerose telefonate. L’esperienza della lontananza fisica dai propri figli piccoli è ricordata come un periodo di forte sofferenza tanto che in molti casi si è osservata la difficoltà, quasi il rifiuto, di rievocare questo periodo in maniera approfondita.

Gli ostacoli posti dal dislocamento dei membri della famiglia attraverso i confini sono poi compensati dalla successiva fase di ricongiungimento. Sono soprattutto le madri sole, una volta ricongiunti i figli, che riassumono su di sé gran parte delle responsabilità di cura temporaneamente affidate ad altri. Si tratta anche delle donne che lavorano più ore nel corso del giorno e che quindi affrontano le maggiori difficoltà di conciliazione.

Per le donne intervistate che, invece, hanno vissuto la gravidanza e la maternità in Italia, come si è visto, la prima conseguenza diretta è stata l’uscita involontaria dal mercato del lavoro nei primi anni di vita dei figli. Se da un lato una simile situazione ha permesso loro di dedicarsi totalmente alla cura dei figli piccoli, dall’altro l’assenza del loro reddito aggiuntivo al nucleo familiare ha determinato un impoverimento economico. Inoltre, nei casi in cui lo stato di

disoccupazione si sia protratto per diversi anni, proprio perché involontario, ha portato alcune di loro a vivere un periodo connotato negativamente (unitamente a situazioni di isolamento e alla mancanza di una rete di solidarietà familiare) causando talvolta forme di depressione.

[Lei]: […] qua si fa fatica a trovare lavoro quando hai un bambino. Quando sentono che hai un bambino è come se hai una malattia.

(Marika, 27 anni, Romania, coniugata, colf)

[Lei]: […] dopo la gravidanza della Z. (prima figlia) sono stata un anno e mezzo a casa e dopo la sua nascita mi sono trasferita qua. E sai trasloco, una bambina piccola, dura a trovare un lavoro. Due anni e mezzo sono andata giù in Marocco e poi sono tornata. Prima della nascita di A. (seconda figlia) ho provato a cercare. Trovo orari però no continuato e lascio mia figlia da una signora e dopo torno a casa più presto possibile perché mio marito lavora. Dopo nascita di A. ho smesso di lavorare perché sai, come fai con due bambini. Sono stata quasi un anno a casa e dopo ho iniziato a lavorare un po’.

(Aisha, 33 anni, Marocco, coniugata, assistente familiare)

Nel caso di Aisha le molteplici difficoltà incontrate con l’avvento della prima figlia l’hanno indotta ad intraprendere una strategia di ritorno temporaneo al paese d’origine. Queste donne non si sono però rassegnate e hanno investito o continuano ad investire tempo ed energie anche nella formazione o in lavori saltuari ed informali. La maggior parte di coloro che riescono a rientrare nel mercato del lavoro vi rientrano in lavori a tempo parziale che possano permettere di dedicarsi ai figli per almeno parte della giornata. Questa scelta in alcuni casi è volontaria, in altri è percepita come involontaria, causata dagli effetti della crisi economica sull’occupazione, dall’assenza di altre persone o servizi che possano sostituirle nell’accudimento o da un calcolo familiare di quelli che possano essere i costi e le opportuità nell’intraprendere un lavoro a tempo pieno.

In generale quando il nucleo familiare riesce a stabilirsi nel paese d’immigrazione e le madri sono occupate, l’organizzazione della cura dei figli si

modella intorno a quelli che sono i tempi e l’organizzazione del proprio lavoro e di quello svolto dai familiari eventualmente coinvolti nell’accudimento.

Le modalità e i tempi in cui ci si occupa dei propri figli sono influenzate anche dall’organizzazione dei servizi scolastici, per l’infanzia ed extra-scolastici presenti sul territorio, dall’età dei figli e dal connesso grado di autonomia loro concesso e non da ultimo dal reddito in quanto strumento per l’accesso a servizi di accudimento a pagamento. Come si è visto, le maggiori difficoltà d’organizzazione nascono negli orari “extra-scolastici”, nelle situazioni eccezionali (ad esempio per malattia del figlio) e nel periodo delle vacanze estive, eventi che spezzano le routine organizzative. Dall’incongruenza tra i tempi dei servizi e i tempi del lavoro scaturiscono così forme di condivisione della cura dei figli con altre figure.

Nei casi delle madri sole incontrate e che lavorano a tempo pieno, l’accudimento dei figli al di fuori dell’orario scolastico viene condiviso con altri parenti della famiglia estesa presenti in Italia (rispettive madri, fratelli, zii o figli maggiori) che non lavorano o hanno orari di lavoro diversi che permettono un’alternanza nella presenza. I padri, in seguito alle separazioni o ai divorzi, sono del tutto assenti (nella maggior parte dei casi risiedono in un’altra nazione) o intrattengono rapporti poco frequenti, anche quando la separazione sia avvenuta in modo pacifico ed essi contribuiscano economicamente al mantenimento dei figli.

In assenza di un supporto parentale e qualora il tipo di lavoro e il rapporto con i propri datori lo permetta, i figli sono portati appresso dalle madri durante le ore lavorative. Quando, invece, i figli sono pre-adolescenti o adolescenti viene richiesta loro una maggiore autonomia di gestione e in alcuni momenti della giornata possono venire lasciati soli a casa.

[Lei]: Io ho degli orari un po’, purtroppo, sono come vogliono loro e non come vorrei io. Perché io inizio alle sette... è un anno che inizio alle sette e mezza ma prima iniziavo sempre alle sette del mattino. Prima vivevo con mio fratello e mio zio, allora loro non lavoravano ed erano loro che portavano, andavano a prendere a scuola mia figlia. Perché io all’inizio lavoravo dalle sette fino alle due del pomeriggio, riiniziavo alle tre e alle

quattro poi fino alle nove, nove e mezza di sera. Allora mia figlia in pratica la vedevo prima di andare a lavoro che dormiva e quando tornavo da lavoro che dormiva ancora.

[I]: Adesso come ti sei organizzata per gestire tua figlia quando lavori?

(Maria al momento dell’intervista vive sola con la figlia)

[Lei]: Ancora adesso gli chiedo il piacere a mio zio, a mia mamma, a mio fratello, mio zio, il marito di mia mamma perché anche loro hanno orari di lavoro a turno.

(Maria, 27 anni, Colombia, nubile, assistente familiare)

[I]: Come ti sei organizzata per gestire tuo figlio quando lavori?

[Lei]: Me lo porto con me. Anche adesso che fa vacanze ho la libertà di portarlo con me anche alle riunioni. O adesso è più grande (11 anni), ci sono meno problemi col marito e allora lo posso lasciare un po’ a casa da solo. [I]: Hai l’aiuto di qualcun altro?

[Lei]: In quel periodo c’era la zia del mio ex marito, mi ha aiutato tanto ma da quando ci siamo lasciati non c’è più nessuno.

(Dolores, 41 anni, Perù, divorziata, impiegata)

[I]: Facendo la badante come ti sei organizzata con lei? (Samira coabitava

con i propri datori di lavoro e dopo aver ricongiunto la figlia di 14 anni ha deciso di sistemarla in un appartamento in affitto)

[Lei]: Lei andava a scuola, io lavoravo però la famiglia mi aveva dato la possibilità che quando la bambina voleva poteva venire, che è una cosa bellissima di questa famiglia e apprezzo moltissimo

[I]: Se c’erano delle emergenze ed era malata?

[Lei]: Non sono mai rimasta a casa perché lei si arrangiava da sola, poi c’era anche mio marito con lei. La bambina è arrivata prima, poi nel 2003 è arrivato mio marito poi nel 2006 è andato via. 2007 è venuto di nuovo in Italia, è rimasto un mese, due mesi e poi è andato via. Poi si arrangiava, se aveva mal di gola andava anche dal medico da sola. (Samira, 51 anni, Iran,

divorziata, assistente familiare)

Le madri coniugate condividono la cura primariamente con i propri coniugi. Il grado di coinvolgimento dei mariti sembrerebbe dipendere soprattutto dai tempi di lavoro degli stessi. Nelle famiglie in cui gli orari di lavoro tra i coniugi riescono a compensarsi, quando non è presente la madre, il padre s’investe delle medesime responsabilità. Nelle testimonianze emerge come la cura dei padri non si limiti al solo accudimento o al gioco con il bambino ma anche ad altre mansioni

domestiche ed extra-domestiche connesse al lavoro familiare quali la preparazione dei pasti, la pulizia dei bambini, l’accompagnamento a scuola e così via. Spesso sono gli stessi padri che intrattengono le relazioni di mediazione tra la famiglia e le istituzioni, la scuola, i servizi, soprattutto nei casi in cui abbiano una maggiore padronanza della lingua italiana rispetto alle madri.

La crisi economica ha avuto un impatto notevole sulla redistribuzione delle responsabilità di cura verso i figli. In quasi tutte le famiglie incontrate ha determinato una diminuzione delle ore lavorative dei padri e questo ha permesso loro di essere più presenti nell’ambito familiare consentendo un riequilibrio tra i generi nelle attività. In alcune famiglie le madri rimangono le “menti organizzatrici” delle diverse attività, soprattutto quelle più pratiche e strumentali (fare la spesa, pulire, ecc.), in altre i padri si autogestiscono e prendono iniziativa autonomamente, trasponendo la volontà di essere utili e di supportare la famiglia dall’ambito lavorativo all’ambito familiare.

[I]: In che modo tuo marito ti aiuta ad accudire e allevare i figli?

[Lei]: Si, mio marito mi aiuta tanto. Quando è libero va fuori, prepara da mangiare. Quando c’è spazio libero si organizza lui e neanche non serve mamma.

(Liliana, 35 anni, Moldova, coniugata, colf)

[I]: Qualcun altro ti aiuta? (nella gestione dei figli)

[Lei]: Si, certe volte in tarda serata magari io preparo da mangiare e il mio compagno gli fa la doccia, lo mette a letto e gioca con lui.

(Ester, 29 anni, Romania, coniugata, colf)

[I]: C’è qualcuno che ti aiuta nel gestire i figli? [Lei]: No, solo mio marito.

[I]: In cosa ti aiuta?

[Lei]: Prepara da mangiare per bambini, li veste, anche qualche lavoro di casa. Li accompagna alla scuola, parla con maestre, gioca con loro.

(Juliet, 43 anni, Nigeria, coniugata, operaia)

Rimane da indagare in che modo i padri s’identifichino nel proprio ruolo, quali responsabilità assegnino alla propria figura e quali aspettative abbiano nei

confronti delle proprie mogli. Le madri intervistate conferiscono idealmente alla figura di padre gli stessi compiti e funzioni della madre escludendo una divisione di genere nei confronti delle attività di supporto affettivo, materiale ed educativo che si dovrebbero riservare ai figli. Di fatto, però, molte di loro delineano nei loro racconti la figura del padre come sostitutiva o aggiuntiva alla propria nell’ambito del lavoro familiare. Il maggiore coinvolgimento dei mariti è vissuto spesso come temporaneo ed essi sono primariamente descritti alla ricerca di un lavoro a tempo pieno per supportare economicamente la famiglia, quindi più legati ad una rappresentazione tradizionale dell’uomo di famiglia procacciatore di reddito.

Talvolta nei racconti possono emergere anche situazioni di tensione coniugale come nell’esperienza di Aisha che sembrerebbe disattendere le aspettative del marito:

[Lei]: […]A parte che mio marito è un po’ arrabbiato: «ma tutta la giornata fuori! E questi figli!» […]

(Aisha, 33 anni, Marocco, coniugata, assistente familiare)

Nei casi in cui i mariti lavorino a tempo pieno, le madri lavoratrici incontrate tendono a ricercare lavori a tempo parziale, in particolare la mattina mentre i figli frequentano la scuola o l’asilo nido, per potersi poi dedicare a loro nel resto della giornata. Chi lavora a tempo pieno ricorre alla presenza di familiari se presenti (nonni, zii, figli maggiori) o di persone esterne alla famiglia per garantire l’accudimento dei figli. Nel primo caso, la condivisione coinvolge più generazioni all’interno della stessa famiglia e il carico si distribuisce in base al grado di autonomia e di autosufficienza dei membri. Ad esempio, alla sorella maggiore di dieci anni potrà essere chiesto di vestire il fratellino piccolo, di accudirlo per un certo tempo e non magari di preparargli il pasto come farebbe la nonna o il fratello adulto dello stesso.

Nel caso del ricorso all’aiuto di persone esterne alla cerchia familiare, queste possono essere vicine di casa con cui si è riuscite a creare una relazione di fiducia e di reciprocità, madri i cui figli frequentano la stessa scuola oppure

connazionali alle quali si offre ospitalità presso la propria abitazione. Il ricorso a

babysitter si è riscontrato in un solo caso. Nel resto delle famiglie la disponibilità

di reddito è stata dichiarata insufficiente ad accedervi. Nella stessa famiglia che vi ha fatto ricorso, il padre svolge due lavori e la madre intervistata ha raccontato di progettare l’accensione di un mutuo per una casa più grande in cui sarebbe stato possibile ospitare anche la babysitter contraccambiando, così, il suo servizio con la garanzia di un alloggio e un salario più contenuto.

[I]: Come ti sei organizzata per gestire i figli quando lavori?

[Lei]: Bella domanda. Per trovare la babysitter ci ho messo un po’ di tempo perché gli orari del mio lavoro, come ti dicevo prima, sono dalle sette e quindi dalle sei e mezza alle otto non c’era nessuno a portare i bimbi al nido. Finalmente questa babysitter è venuta fuori e mi ha permesso di incastrare gli orari di mio marito con i miei. E veramente ci troviamo molto bene. E’ diventata un’amica, come una seconda mamma per i miei figli.

[I]: Viene solo la mattina?

[Lei]: Sì, solo mattina e nei momenti di bisogno quando i bambini sono ammalati. Lei riesce a giostrarsi un attimo con il suo lavoro. Sennò se sono proprio in difficoltà c’è un’altra mamma proprio disponibile che mi aiuta.

(Eva, 34 anni, Romania, coniugata, infermiera)

[Lei]: Il figlio primo di essere figlio… non c’è una roba più preziosa del figlio... per esempio io due anni fa ho avuto un problema. Certi giorni devo fare orario continuato e non abbiamo scelta. Poche persone e tanto lavoro e devi farlo […] Per fortuna ho trovato una ragazza, cerco di accontentarla, lei sta a casa mia sta con loro, io chiamo.

[I]: Come una babysitter?

[Lei]: Sì, più o meno. Sta con loro, gli dà una mano a fare i compiti. Perché durante l’anno io non ho problemi. Loro entrano a scuola alle otto fino alle quattro perché fanno orario continuato qua (la scuola elementare). Io ho solo la differenza di due ore e la vicina veramente gentilissima per fortuna i suoi vanno con i miei, fanno stessa classe e quando lei va a prendere i suoi porta anche i miei. Ascolta Aisha non ti preoccupare sono qua fin quando arrivi. Mi tocca qualche volta che vado fino alle sette. Da Padova fino a qua è un’altra ora ed entro alle otto. Adiamo fino a Martellago, verso Venezia perché se c’è un servizio devi farlo. Però devi cercare un modo per gestirli. Ma anche i bambini quando sentono che la mamma è in difficoltà, la Z. (la

figlia maggiore di 10 anni) mi dispiace che adesso non c’è perché è al

Grest… lei fa sempre: «mamma non ti preoccupare mi arrangio».

(Aisha, 33 anni, Marocco, coniugata, assistente familiare)

Quindi la capacità di costruire una rete amicale si tradurrebbe in un’altra risorsa importante per le donne immigrate lavoratrici a cui manchi una rete familiare di sostegno. E’ da segnalare che una parte delle intervistate non riconosce nel proprio network sociale presente nel paese d’immigrazione un sostegno nella cura dei figli. In parte le amiche e gli amici avrebbero problemi di conciliazione simili da affrontare; in parte rivelano situazioni d’isolamento o mantenimento delle relazioni sociali limitatamente all’entourage familiare.

Un periodo particolarmente critico per l’organizzazione dell’accudimento dei figli è rappresentato dal periodo estivo. Di fronte alla chiusura temporanea del servizio scolastico, alla scarsità di servizi alternativi o alla loro inaccessibilità economica, le famiglie immigrate spesso rispondono facendo coincidere le ferie dal lavoro o coniugando il mantenimento del legame con le famiglie d’origine nel paese di provenienza con le necessità di cura dei figli. Così i figli, in base alla disponibilità economica e alla lontananza, possono essere mandati a trascorrere le vacanze dai nonni.

[I]: Quando durante l’estate non c’era la scuola?

[Lei]: Era più difficile perché la scelta non era molta, non ci sono molte cose per ragazzi.

[I]: Non c’erano centri estivi?

[Lei]: No, neanche adesso e chi ce li ha costano tanto che la gente comune non se li può permettere quindi l’estate stava a casa, io ovviamente facevo coincidere le mie ferie con questo periodo, magari potevo permettermi di prendere un mese di ferie e andavamo insieme in Colombia a trovare i nonni.

(Marta, 48 anni, Colombia, divorziata, operatrice socio-sanitaria)

Si delinea così una quotidianità familiare in cui si combinano in maniera articolata risorse formali e informali e si alternano, nell’accudimento e nella cura dei figli, molteplici figure interne ed esterne alla cerchia familiare. Al fine di poter

essere presenti anche sul mercato del lavoro, le madri cercano la condivisione delle proprie responsabilità rivolgendosi prima alle persone più vicine (mariti) e qualora assenti per molteplici motivi, cercano più lontano (parenti della famiglia estesa) fino ad attivare le proprie reti amicali e in rari casi il mercato. Difficilmente la disponibilità di reddito (a differenza delle donne italiane) permette di affacciarsi al mercato dei servizi di cura a pagamento ed è per questo ci s’indirizza sull’attivazione delle proprie reti relazionali. Altrimenti la prospettiva rimane quella del ritiro dal mercato del lavoro per riassumere