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La responsabilità di cura verso i genitori anziani ed altri familiar

LAVORO E FAMIGLIA TRA RAPPRESENTAZIONI E REALTA’

3. Le dimensioni della vita familiare

3.2 La responsabilità di cura verso i genitori anziani ed altri familiar

Le pratiche di cura nei confronti di familiari esterni al mero nucleo convivente emergono nelle interviste come eterogenee, influenzate da numerosi fattori quali la posizione di anzianità e di potere (economico e decisionale) delle donne intervistate all’interno della famiglia estesa, la naturalizzazione di determinati modelli di genere, le tacite aspettative e i contratti di genere e intergenerazionali, il fatto che i parenti si trovino nel paese d’immigrazione o siano rimasti in quello d’origine e il loro livello di autosufficienza.

Nelle interviste emerge principalmente la responsabilità percepita nei confronti dei genitori anziani (o dei nonni che sono stati in passato caregivers sostitutivi) che continuano a risiedere nel paese d’origine e che talvolta vivono una situazione di vulnerabilità economica e sociale. Quando i genitori sono fisicamente autosufficienti, le pratiche transnazionali di cura si concentrano sulle rimesse (nelle interviste le donne evidenziano che spesso il denaro inviato è indirizzato a coprire le spese mediche), sull’invio di medicinali e sulle visite almeno annuali (qualora il reddito e il costo del viaggio lo permettano) che possono diventare sempre più frequenti man mano che ci si accorge del bisogno di assistenza del parente anziano. Sovente nelle testimonianze raccolte, quando i genitori anziani si ammalano gravemente, si tenta di attuare il ricongiungimento nel paese d’immigrazione per permettere loro un migliore accesso alle cure mediche ed assisterli nel percorso della malattia. Questo anche quando il ricongiungimento determinerebbe un impoverimento economico dell’intero

nucleo familiare. Nei casi incontrati, sebbene partecipino al sostegno economico dei genitori e dei suoceri entrambi i coniugi (nelle coppie sposate) o gli eventuali fratelli, sono poi le figlie o le mogli dei figli ad occuparsi dell’assistenza pratica del malato. Le pratiche di cura e l’assistenza degli anziani possono essere condivise anche dalle nipoti degli stessi e il loro coinvolgimento emotivo e il loro senso di responsabilità possono essere molto intensi soprattutto nei casi in cui i nonni siano stati i caregivers sostitutivi nel periodo di assenza dei genitori nel paese d’origine.

[I]: Si prende cura di altri familiari?

[Lei]: Di mia mamma ho preso la cura perché è stata malata di cancro. Io e le mie figlie. Non è mai stata cambiata da nessuno, solo di noi. In ospedale l’abbiamo accompagnata fino alla morte. E’ morta tra le mie braccia alle 6 di mattina. Con le mie figlie abbiamo sempre fatto cambio, siamo state vicino in quest’anno terribile ma sono contenta che l’abbiamo accompagnata noi.

(Alina, 51 anni, Bosnia-Erzegovina, coniugata, operatrice socio-sanitaria)

Quando i genitori sono autosufficienti, lavorano e hanno un proprio reddito, le donne intervistate percepiscono la loro responsabilità nei loro confronti come una questione che dovranno affrontare in futuro e nel presente si limitano a mantenere i legami attraverso le telefonate, i regali e le visite.

[Lei]: Supporto economico no perché i miei genitori non hanno bisogno, quasi quasi che ho bisogno più io. Loro hanno i propri mezzi. Sono speciale perché non dimentico mai il compleanno, il giorno della mamma o quello che a lei piace e per me è bello potergli fare un regalo. Me ne prendo cura in altri aspetti, chiedo come stanno e così.

(Marta, 48 anni, Colombia, divorziata, operatrice socio-sanitaria)

[Lei]: Ancora non sono incontrata con queste cose, malattie così. Sono giovani ancora. Si, ci penso per avanti, dopo serve fare un altro passo. Perché adesso sono giovani, ma arriverà il punto in cui dobbiamo pensare noi a queste cose.

Nell’esperienza di Samira trapela come la scelta della migrazione abbia creato incomprensioni, disatteso aspettative tra genitori e figli; così il rapporto quotidiano di cura che si è andato instaurando in lunghi anni di convivenza con gli anziani che assiste è andato a compensare, se non sostituire, il vuoto prodotto dalle tensioni esistenti con la famiglia d’origine.

[Lei]: Forse i miei genitori non mi ascoltano perché sono la figlia. Gli anziani sono così purtroppo: quando c’è una persona che viene da fuori ascoltano di più. Anche con la badante quando si dice che diventa una di famiglia perché la ascoltano anche meglio.

(Samira, 51 anni, Iran, divorziata, assistente familiare)

Le responsabilità di cura possono essere sentite non solo verso i genitori ma anche nei confronti di altri familiari, in stretta relazione al ruolo di anzianità ricoperto all’interno della famiglia estesa o/e a precisi modelli culturali di riferimento. Anna e Juliet, seppure provenienti da due aree geo-culturali molto diverse tra loro (Moldavia e Nigeria), affermano che in quanto sorelle maggiori “hanno il dovere” di prendersi cura dei genitori anziani, dei fratelli minori e dei nipoti quando questi ne esprimano la necessità. In entrambe le testimonianze il pronome usato per descrivere questo “obbligo morale” è il “noi”; si tratta di un dovere e nello stesso tempo di un valore condiviso all’interno di una collettività. In particolare, Juliet fa rientrare esplicitamente questa norma sociale all’interno di un tacito contratto di solidarietà tra i membri della comunità originaria di appartenenza. Un contratto che acquista un’importanza prioritaria laddove non vi sia uno stato sociale che possa prendersi carico della sopravvivenza degli anziani (Balsamo, 2006).

[I]: Ti prendi cura di altri familiari?

[Lei]: Noi sempre aiutiamo nostri familiari perché i miei genitori non ci sono più da tanti anni ma ho due fratelli e una sorella, ovviamente anche nipoti. Ho anche una sorella di qua. Noi cerchiamo sempre di aiutare e quando hanno difficoltà ancora di più.

[Lei]: Anche finanziamenti, anche dolcetti anche vestiti, anche per i bambini e anche quando hanno qualche difficoltà, soldi.

(Anna, 53 anni, Moldova, divorziata, operatrice socio-sanitaria)

[Lei]: Si, ho aiutato i miei fratelli nel mio paese. Noi siamo nove in famiglia perché mio papà ha sposato un’altra donna. Per forza devo aiutare. Io sono Igbo (ovvero appartiene ad uno dei tre maggiori gruppi etnici nigeriani). Nel mio paese proprio devi aiutare per forza perché stesso sangue, anche gli anziani devi aiutare. Come qua quando diventi vecchio vai in casa di riposo, nel nostro paese no. Noi dobbiamo prendere, tenere te quando sei vecchia. [I]: In che modo li aiuti?

[Lei]: Quando ce l’hai qualcosa da dare a loro. Io sono la più grande della mia famiglia. Io quando ce l’hai qualcosa da dare a loro, la dò. Sempre cercare fuori qualcosa da dare, quando non uso più qualcosa la dò a loro. Loro più piccoli e penso a loro.

(Juliet, 43 anni, Nigeria, coniugata, operaia)

Data la sovente lontananza fisica, la solidarietà familiare è espressa ancora una volta attraverso forme di aiuto economico (si ribadisce così una tendenza ad “economizzare” le pratiche di sostegno) e poi i regali e altri beni materiali come il vestiario per i bambini piccoli.

Infine, è possibile che le donne immigrate riescano a costruire una rete di solidarietà e di scambio nel paese d’immigrazione con persone estranee alla propria parentela, andando a riempire così l’assenza del network parentale. Dolores percepisce le proprie responsabilità di cura nei confronti di persone con cui intrattiene legami amicali e relazioni dense di reciprocità.

[I]: Ti prendi cura di altri parenti?

[Lei]: Solo un po’ economicamente qua di due famiglie africane che al suo momento mi hanno aiutata, mi hanno ospitata nel momento di scappare

(Dolores è stata vittima di violenza da parte dell’ex-marito). Molto meno di

un tempo ma se non hanno da pagare la gita per i figli o una spesa, gli dò quello che posso. Quello sì, ho tante persone, amici che cerco di aiutare.

Dalla ricerca emergono quindi due questioni generali. La prima concerne la cura dei genitori anziani, un’esigenza che nasce nel corso degli anni in relazione al loro stato di autosufficienza economica e fisica. Da un lato, per tutte le donne intervistate, la cura dei genitori assume il valore di una norma sociale interiorizzata ed esse condannano sul fronte opposto il modello socio-culturale italiano che tenderebbe, a loro avviso, a relegare gli anziani in situazioni di isolamento dalle proprie famiglie e dal resto della società. D’altro canto la distanza fisica e geografica tra i membri introduce pratiche “nuove”, indirizzate primariamente al sostegno di tipo economico. E’ solo nel momento della malattia e della non autosufficienza fisica del parente che s’inizia a progettare e a negoziare con lo stesso (infatti, non è sempre detto che il genitore anziano sia disposto ad allontanarsi definitivamente dal proprio paese d’origine) un suo eventuale ricongiungimento al fine di offrire l’assistenza di cui necessita. Dalla ricerca non sono emerse forme di organizzazione della cura degli anziani alternative a quelle informali basate sulla solidarietà familiare. Questo è imputabile sia a modelli culturali che pongono la cura dell’anziano da parte dei familiari come valore all’interno della società sia al fatto che nei paesi dai quali provengono le donne intervistate vi sia l’assenza (o una struttura debole) di un

welfare che assuma questo onere o parte di esso. L’unico strumento formale che

viene attivato in maniera differenziata in base alle discriminanti poste dalla normativa è quello del ricongiungimento familiare che fa da ponte poi al ritorno nell’informalità delle pratiche di assistenza.

In secondo luogo, s’introduce qui il tema dei processi di kin-scription (Stack, Burton, 1993) ovvero di quei «fenomeni di inclusione di persone non legate da vincoli di parentela in densi circuiti di solidarietà e scambio» tipici della sfera familiare (Bonizzoni, 2009, p. 31). Molte donne immigrate, in assenza di un

network parentale, possono attivare dei rapporti più o meno densi di reciprocità,

aiuto, scambio e solidarietà con persone estranee all’entourage familiare, “amici” o, nel caso delle assistenti familiari, con gli stessi “assistiti”. Ne consegue che, soprattutto in contesti caratterizzati da un elevato grado di discontinuità e

mutamento, è necessario considerare la parentela anche come una rappresentazione soggettiva dell’individuo che assegna ruoli e funzioni alle persone che lo circondano e con cui attiva dei legami. Una struttura dinamica di legami di solidarietà che nel tempo e nello spazio viene costruita e modellata dagli individui attraverso pratiche sociali che possono anche includere persone non consanguinee, assegnare ruoli diversi da quelli definiti normativamente alle varie figure parentali (ad esempio i nonni caregivers che sono percepiti e trattati dai nipoti come genitori) fino anche ad escludere parenti coi quali pur esistono vincoli di sangue.