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La questione della conciliazione alla luce delle migrazioni internazional

CONCILIAZIONE TRA LAVORO E FAMIGLIA QUALI IMPLICAZIONI PER LE DONNE

2. La questione della conciliazione alla luce delle migrazioni internazional

Nell’analisi delle domande, delle azioni, delle difficoltà che incontrano le donne nel tentativo di ricomporre e dare senso al patchwork quotidiano delle esperienze, delle risorse e dei tempi nel lavoro e nella famiglia, come abbiamo in

parte visto, influiscono diversi fattori: i modelli culturali di genere e intergenerazionali in cui sono inserite, le politiche sociali sviluppate nel paese in cui vivono, l’offerta e l’accessibilità dei servizi del territorio, l’organizzazione dei rapporti di lavoro e, non meno importante, la classe sociale di appartenenza. Tutti questi elementi vanno a comporre un sistema di vincoli ed opportunità per la conciliazione che differenzia le donne tra loro, crea disuguaglianze e una molteplicità di modi diversi di vivere questa condizione di doppia presenza nella famiglia e nel mercato. Quest’alto grado di differenziazione tra le donne trova un nuovo elemento di complessità se si considera la situazione delle donne immigrate e quindi il fenomeno delle migrazioni internazionali. Qual è il sistema di vincoli ed opportunità di conciliazione per le donne immigrate? Quali le difficoltà, i bisogni, le strategie che mettono in atto in tal senso? In che termini la condizione d’immigrata incide nel definire la questione della conciliazione?

In epoca contemporanea le migrazioni internazionali portano alla luce nuove domande di conciliazione tra sfera professionale e sfera familiare, in particolare per quanto riguarda la gestione dei carichi di cura. Solitamente quando si affronta la questione della conciliazione, l’elemento critico è costituito dalla dimensione del tempo, cioè si presuppone che il luogo in cui si svolge il lavoro e quello in cui vive la famiglia si trovino relativamente vicini. Alla luce dei movimenti migratori, però, l’analisi si amplia a tenere conto della dimensione dello spazio. Le famiglie che migrano attraversano diverse fasi in cui i membri che vi appartengono si ritrovano dislocati in più paesi se non in più continenti e, anche nel momento in cui riescono a ricongiungersi nel paese d’emigrazione, il resto della parentela spesso rimane nel paese d’origine. In ogni fase della migrazione cambiano gli equilibri, i bisogni, gli adattamenti delle famiglie e la distanza fisica rimane un fattore cruciale che impedisce fisicamente di prestare cura o diversi tipi di aiuto ad altri membri della famiglia, siano essi i figli o i genitori anziani. I problemi maggiori nascono quando ad emigrare sono le donne, madri (ma anche figlie) e non i figli o non tutti, perché è proprio sulle donne che gravano le maggiori aspettative in termini di responsabilità di cura; esse lasciano dietro di sé un vuoto

nell’ambito del lavoro familiare, di cui raramente gli uomini si fanno carico (Perreñas, 2002). Nell’ultimo decennio, il filone di studi legato all’approccio del transnazionalismo è quello che si è maggiormente focalizzato sulla questione. Le ricerche in quest’ambito analizzano i processi e le pratiche attraverso i quali i membri delle famiglie migranti mantengono tra loro le relazioni sociali attraverso i confini nazionali - tra paese d’origine e paese d’arrivo - mantenendo legami di solidarietà intrafamiliare e intergenerazionale (Tognetti Bordogna, 2012; Kraler, Kofman, 2011; Bonizzoni, 2009). Questi studi si sono sviluppati con l’emergere di due fenomeni fondamentali: primo, il crescente numero di madri che migrano separandosi dai propri figli e venendo meno alle aspettative di cura e di responsabilità insite nei modelli di divisione di genere presenti nelle diverse culture e nei diversi paesi (Bonizzoni, 2009). Secondo, lo sviluppo delle tecnologie di comunicazione (telefono, internet, ecc.) e di trasporto, a costi più accessibili, che possono consentire oggi di mantenere i legami affettivi a distanza (Tognetti Bordogna, 2012).

Parte della letteratura sul tema si è focalizzata sull’analisi della “maternità transnazionale” ovvero su come le donne migranti gestiscano le relazioni con i propri figli rimasti nel paese d’origine. Emerge come queste madri siano portatrici di un nuovo modo di intendere la maternità e le proprie responsabilità, non più solo connesse alle tradizionali attività di cura che richiedono una presenza fisica, ma anche legate al sostentamento economico della famiglia (Hondagneu-Sotelo, Avila, 1997). Gli oneri della cura quotidiana sono demandati e assunti da altre donne della rete parentale (nonne, sorelle, cognate, figlie maggiori); nello stesso tempo le madri lontane fanno sentire la propria vicinanza ai figli attraverso l’uso delle telecomunicazioni, l’invio di regali, denaro e andando a trovarli quanto più spesso sia loro possibile. Questo tipo di relazioni non sono prive di tensioni e sentimenti di perdita per queste donne che ogni giorno tentano di essere presenti laddove non possono esserlo, cercando di partecipare da lontano alle questioni che riguardano i loro figli, organizzando e negoziando le modalità della cura con i

caregiver sostitutivi, facendo sentire il proprio affetto attraverso la voce, i regali,

le visite e le rimesse (Bonizzoni, 2009).

Negli studi sul transnazionalismo è stato dato molto spazio anche alle ripercussioni che la migrazione delle madri o entrambi i genitori ha sui figli left

behind, mentre è quasi del tutto assente l’attenzione ai bisogni di cura dei genitori

anziani, al modo in cui venga affrontata e gestita la questione da parte dei figli emigrati e degli stati in cui essi rimangono a vivere (Kofman, Kraler, 2011).

La vita familiare transnazionale può costituire una fase temporanea della migrazione precedente al ricongiungimento familiare ma in certi casi rischia di diventare anche un modo permanente di mantenere i legami familiari, come emerge dalle storie di vita delle assistenti familiari in Italia (Chiaretti, 2005). Se poi allarghiamo ulteriormente lo sguardo a considerare i genitori anziani, che il più delle volte rimangono nel paese d’origine, allora gran parte delle famiglie e delle donne immigrate mantiene relazioni transnazionali nel corso di tutta l’esperienza migratoria. Laddove la vita professionale si svolge nel paese d’immigrazione e la famiglia o parte di essa rimane nel paese di provenienza, la conciliazione tra questi due ambiti di vita è possibile solo attuando delle strategie a distanza e attraverso una divisione delle responsabilità con altre donne appartenenti alla rete parentale o assunte per svolgere questo ruolo. Entro questa cornice, le differenti modalità con cui i carichi di cura vengono gestiti attraverso i confini dipendono dalle aspettative dei singoli membri della famiglia e dalla disponibilità di risorse per la cura presenti nei diversi settori: nelle reti familiari, nell’offerta di servizi a livello statale, del mercato, della comunità e del volontariato, sia nel paese di provenienza che in quello d’arrivo. Per le donne che provengono dai paesi al di fuori dell’Unione Europea, un ruolo centrale è svolto anche dalle leggi che regolano i ricongiungimenti familiari, nella misura in cui queste ostacolano la possibilità di riunire i membri di una famiglia in un unico luogo e quindi di soddisfare le esigenze di cura dei propri familiari nel paese in cui si svolge la propria attività lavorativa. Le leggi sui ricongiungimenti familiari stabiliscono i requisiti minimi che permettono di godere del diritto all’unità

familiare, di fatto rendendo un diritto fondamentale della persona, un diritto stratificato, che limita le possibilità di prendersi cura dei propri cari a chi ha un determinata cittadinanza, un certo status giuridico e un certo livello di risorse economiche.

Per uno studio approfondito di come la questione della conciliazione tra lavoro e famiglia tocca le donne che intrattengono legami di tipo transnazionale sarebbe necessario analizzare non solo il contesto di arrivo in cui esse sono inserite ma anche quello d’origine: le politiche sociali e l’offerta di servizi a sostegno delle madri, dei bambini e degli anziani e i modelli di divisione di genere presenti in ciascun paese o area d’emigrazione. Non è questa la sede per un approfondimento di questo tipo, ma basti ricordare che in molti paesi in via di sviluppo il supporto pubblico a bambini e anziani bisognosi di cura è quasi del tutto assente e sembrerebbe esserci un generale disconoscimento del ruolo dello stato in questo senso, mentre una parte importante nel colmare questo vuoto è svolta dalle Organizzazioni Non Governative (Kofman, Raghuram, 2009). M. Chossudovsky (2002) ci mostra come in gran parte di questi paesi, l’intervento del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale attraverso programmi e prestiti di aggiustamento strutturale, prestiti per la trasformazione di sistema e prestiti d’emergenza, abbia portato allo smantellamento dei settori sociali - vanificando tutte le conquiste raggiunte in epoca post-coloniale e lasciando ampio spazio di manovra alle ONG occidentali.

Per quanto riguarda, invece, i paesi dell’Est europeo, in cui tradizionalmente vi era stata un’alta presenza di servizi per l’infanzia e di politiche a favore della conciliazione, con il crollo dell’Unione Sovietica, essi hanno visto da un lato ridursi l’offerta di servizi pubblici e dall’altro lasciare ampio spazio alle cure offerte dalla famiglia allargata (Naldini, Saraceno, 2011). Questa sorta di “rifamilizzazione” delle cure è una tendenza che tocca in modo disomogeneo i paesi dell’ex blocco sovietico; in alcuni è stata data maggiore espansione al sistema dei congedi e meno ai servizi dell’infanzia, in altri si riscontra una carenza

di entrambi. Anche per quanto riguarda la cura degli anziani, i suoi costi e i suoi carichi gravano sostanzialmente sulle famiglie (Ibidem).

Ora, per molte donne immigrate vita professionale e vita familiare si svolgono prevalentemente nel paese d’immigrazione e l’esperienza della transnazionalità costituisce una parentesi (obbligata) o si limita ai rapporti mantenuti con il resto della famiglia estesa. Per avere un quadro completo dei termini in cui si costruisce la questione della conciliazione per le donne immigrate è necessario ancorare le dinamiche transnazionali ai processi in atto nel paese d’immigrazione. Per questo, limitando il campo di analisi al panorama italiano, nei prossimi paragrafi si cercherà, innanzitutto, di delineare quali siano gli strumenti di conciliazione a disposizione delle donne immigrate alla luce delle politiche di conciliazione adottate e delle leggi sull’immigrazione che regolano l’accesso agli stranieri ai diritti sociali del paese. In secondo luogo, si evidenzierà in che modo lo sviluppo del lavoro flessibile, come si è andato profilando in Italia, influisce in termini di conciliazione sulle donne immigrate.