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Affrontando la figura di Didone all’interno dell’intera vicenda dell’Eneide è forse bene porre in primo luogo l’attenzione su due aspetti: la dimensione d’autonomia propria della regina rispetto ad

§3 Catullo e il Seneca tragico: analogie con la Didone virgiliana

1. Affrontando la figura di Didone all’interno dell’intera vicenda dell’Eneide è forse bene porre in primo luogo l’attenzione su due aspetti: la dimensione d’autonomia propria della regina rispetto ad

Enea («sia per quanto riguarda […] la sua vicenda storica, sia per quanto riguarda la sua trasformazione mitica e artistica»1) e lo sbilanciamento che la critica ha talvolta dimostrato verso un’interpretazione esageratamente/esclusivamente ‘sentimentale’ nella lettura – specie del IV libro – della storia della regina fenicia2. È comunque una coincidenza significativa il fatto che Enea senta pronunciare per la prima volta il nome di Didone dalla bocca di Venere3 (Eneide, I, 335-342):

Tum Venus: […]

Imperium Dido tyria regit urbe profecta, Germanum fugiens. Longa est iniuria, longae

Ambages, sed summa sequar fastigia rerum.

AC

[…] Or n’è capo e regina Dido che, da l’insidie del fratello Fuggendo, è qui venuta. A dirne il tutto Lunga fôra novella e lungo intrico.

VA RCO

[…] Dido, sfuggita

Alle insidie fraterne, i Tirj suoi

Qui trasportati regge. Or lunga e oscura Del suo soffrir fora la storia. Ond’io Breve ti narro e le cagioni e il frutto. †

Didone regge il comando, partita da Tiro per fuggire il fratello. Lunga storia d’offese, lungo intrico, ma seguirò i sommi capi.

Al primo aspetto, inoltre, è legata la questione della fondazione della città di Cartagine. A questo proposito, molto interessanti sono le testimonianze fornite da Dionigi il Periegeta (II secolo d. C.) nella Periegesi, dal già citato Prisciano di Cesarea (V secolo d. C.) nella parafrasi di quest’ultima opera ed anche da Eustazio di Tessalonica (XII secolo d. C.) nei Commentarii: tutte e tre le fonti parlano della leggenda della pelle di bue scaltramente utilizzata da Didone4. Nel rapporto tra quest’ultima ed Enea cruciale è il concetto di fides (sancito dal giuramento di cui si è visto il parallelo con quello tra Medea e Giasone) e il tradimento che tale valore subisce.

Questo è in stretta relazione con i problemi interpretativi posti dal termine dextera5 nei versi 307-

308 del IV libro:

1 P. BONO-M.V. TESSITORE, op. cit., p. 59.

2 «Emphasis has been placed on Dido as a sentimental heroine at the expense of a fact obvious to every reader of the

poem, namely that Vergil also presents her as a political woman, the ruler of a city destined to be the rival of Rome», RICHARD C. MONTI, The Dido episode and the Aeneid, Leiden, Brill, 1981, p. 1.

3 Cfr. E. PARATORE, Commento al libro I dell’Eneide, in VIRGILIO, Eneide (libri I – II), traduzione di Luca Canali,

Milano, Mondadori (Fondazione Lorenzo Valla), 1978, p. 180.

4 Cfr. Appendice I. 5

Il concetto di dextera nel preciso significato di mano destra ricorre molte volte nel poema virgiliano: «in the majority of the cases the word [dextera] merely designates the right hand in its functional aspect (e.g. engaged in battle, greetings, celebrating rites). In contrast to these altogether expected uses, the term appears a number of times as the palpable expression of an individual’s trustworthiness within the context of various types of personal and political relationships», RICHARD C. MONTI, op. cit., p. 5. Gli unici riferimenti riportati dal Thesaurus Linguae Latinae (Leipzig, Teubner Verlagsgesellschaft, vol. V, 1, 1975, p. 934) al contesto del matrimonio citati per la ‘voce’ dextera sono tratti dall’Amphitruo plautino (per dexteram tuam te, Alcumena, oro ,opsecro / da mihi hanc veniam, ignosce, irata ne sies, vv. 923-924 sono le ironiche parole di Giove supplichevole travestito da Anfitrione) e dalle Metamorfosi ovidiane (XIV, 294-298), in relazione all’incontro di Ulisse con Circe (ille domum Circes et ad insidiosa vocatus / pocula conantem virga mulcere capillos / reppulit et stricto pavidam deterruit ense. / Inde fides dextraeque datae thalamoque receptus / coniugii dotem sociorum corpora poscit). Visto l’ironico uso dei termini Coniugium e dos, il passo può essere una dimostrazione a contrario della stretta della mano destra come reciproco patto di fedeltà.

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Nec te noster amor nec te data dextera quondam Nec moritura tenet crudeli funere Dido?

AC

[…] E del mio amore,

de la tua data fé, di quella morte che ne farà la sfortunata Dido, punto non ti sovviene e non ti cale?

VA RCO

[…] Nulla

Te non rattiene omai? Né data destra; né amor giurato; né Dido infelice, Che ne morrà di cruda morte? Ahi fero!

Né il nostro amore, la destra, che tu pur m’hai data, né può tenerti Didone, che morrà crudelmente?

e poco oltre (versi 314-315)

Mene fugis? Per ego has lacrimas dextramque tuam te

(Quando aliud mihi iam miserae nihil ipsa reliqui)

AC

[…] E me lasci, e me fuggi?

Deh! Per queste mie lagrime, per quello che tu della tua fé pegno mi desti (poiché a Dido infelice altro non resta che a sé tolto non aggia) […]

VA RCO

Forse me sfuggi?Ah! Per queste mie lagrime Per questa destra tua, (da ch’io null’altro Per me stessa, ahi me misera! serbava)

Me fuggi? Oh per queste mie lagrime, per la tua destra (quando null’altro io stessa ho lasciato a me misera)

similmente al secondo emistichio del verso 597 En dextra fidesque! pronunciato dalla ormai sconvolta regina cartaginese. Sebbene sia stata sicuramente accolta nel mondo romano, nello specifico dell’episodio di Didone l’associazione tra dextera/dextra e l’idea di fides6 ha anche dato adito a interpretazioni troppo assolute7. Nonostante sin dall’età repubblicana l’utilizzo della mano destra, specie in alcune occasioni particolari, abbia simbolicamente rappresentato la fides e a ciò connesso, amicitia,

clientela e anche hospitium, lo stringersi le mani destre è stato piuttosto raramente inteso come

suggello di fedeltà matrimoniale: «if dextera in Aeneid IV.307 and 314 means conjugal fidelity, it would be an anomalous usage»8. Da questa constatazione derivano problemi di natura interpretativa circa il vero senso del lamento di Didone e l’effettiva natura della fides tradita. Il termine

dextera/dextra viene piuttosto inteso da Virgilio9 ‒ in linea con quanto genericamente fatto in età repubblicana – all’interno di più ampi contesti di relazioni interpersonali, non esclusivamente politici. Da un punto di vista di testimonianze relative alla storia di Roma questo può essere

6 Cfr. P. BOYANCÉ, La Main de Fides, in «Latomus - Hommage à Jean Bayet», 1964, pp. 101-105. 7

Cfr. G. AMEYE: «Énée est impie pour Didon parce que les serments d’amour, dextra, fides, sont sacrés pour elle», in “Eadem impia Fama…detulit”, «Revue des Études Latins», vol. 44, 1966, p. 325 n°1.

8 RICHARD C. MONTI, op. cit., p. 4.

9 Ricorrente è l’associazione tra il concetto di fides e quello di foedus «as the symbol of the assumption of obbligations

in political relationships», ivi, p. 6. A dimostrazione di ciò bastino i versi di Amata che tenta di dissuadere Latino dal proposito di matrimonio dinastico di Enea con Lavinia, ricordandogli le sue responsabilità verso Turno (quid tua sancta fides? Quid cura antiqua tuorum / et consanguineo totiens data dextera Turno? VII, 365-366) e quelli di Diomede che esorta i Latini a costituire un’unica alleanza con Enea ([…] coeant in foedera dextrae / qua datur […] XI, 292-293). A sua volta, particolarmente stringente è la relazione polisemica tra foedare e foedus: «Foedare è un termine che Virgilio usa con parsimonia: esso è limitato alla sola Eneide, in cui occorre undici volte. Raramente testimoniati anche l’aggettivo e l’avverbio corrispondenti, foedus (in cinque passi eneadici e in uno delle Georgiche) e foede (due volte entrambe nell’Eneide) […]. Prima di fare il suo ingresso nella poesia epico-didascalica con Lucrezio, [questa famiglia lessicale] è ristretta ai testi drammatici, comici in particolare […]. I testi virgiliani confermano sostanzialmente tale semantica di foedare, oltre che di foedus e foede. Vi emerge però una significativa connessione di questa voce con il tema della morte dell’eroe. In tre passi (II, 286; VII, 575; XII, 99) essa è infatti usata per descrivere il volto, o il capo, di un guerriero defunto, sfigurato dal dileggio del nemico ed imbrattato di sangue e/o di polvere», M. RIVOLTELLA, Le forme del morire. La gestualità nelle scene di morte dell’ “Eneide”, Milano, Vita e Pensiero, 2005, pp. 8-9.

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documentato ad esempio in Livio, quando lo storico parla del primo leggendario incontro tra Latino ed Enea10, mentre l’uso del termine quale garanzia di fiducia ed affidabilità è ben frequente in Cicerone11. In virtù di ciò è allora possibile ipotizzare che alla base del dolore di Didone, particolarmente esemplificato nel suo lamento (IV, 371-378) vi possa essere anche una venatura di natura politica, vista anche l’assistenza fornita alla flotta troiana. Questo non deve però neanche portare a dimenticare che quello della regina fenicia resta comunque il suicidio di un’amante abbandonata12.

2.

È allora dalla natura dei rapporti e dall’utilizzo di alcuni termini particolari, afferenti alla sfera

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