secolo scorso168, su varie analogie che sembrano legare la figura della regina cartaginese ad Antigone. Il destino di entrambe è segnato da lutti – il marito nel primo caso, padre, madre e fratelli nel secondo – e da sofferenze, a causa dell’assassinio di Sicheo per Didone, per la maledizione gravante sulla casa di Edipo per Antigone. Un destino sempre al centro del conflitto tra umana e divina volontà. Inoltre, in entrambi i casi la schiacciante supremazia di un più ampio e profondo disegno contrasta con una passione terrena. Ambedue mostrano ancora un simile rapporto affettivo nei confronti delle sorelle Anna e Ismene. Se del personaggio e del comportamento di Didone si è avuto modo di vedere alcuni tratti mascolini, similmente, Ismene ricorda alla sorella le limitazioni proprie della loro natura di donna
162 ARISTOTELE, Dell’arte poetica, XIII.2.22. 163 Ivi, XIII.2.20-21.
164 J. B. MOLES, Aristotle and Dido’s “hamartia”, in «Greece&Rome», XXXI, n°1, April 1984, p. 49. 165
Riguardo a cui l’autore, secondo Moles (ivi, p. 51) “fa un passo fuori dal campo della narrazione e pronuncia il proprio giudizio”.
166 Ibidem. Secondo G. WILLIAMS (Tradition and Originality in Roman Poetry, Oxford, Clarendon Press, 1968, p. 379) in
questa frase di Didone si potrebbe suonare quasi riconoscere un’eco di quanto detto, in Tucidide (II.12.3), dall’ambasciatore spartano alla fine dell’ultimo consulto di pace prima della guerra del Peloponneso: «ἡ ἡµέρα τοῖς Ἕλλησι µεγάλων κακῶν
ἄρξει».
167 R. H. KLAUSEN, Aeneas und die Penaten, Hamburg und Gotha, im Verlag von Friederich und Andreas Perthes, 1839-
1840, I, 512.
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(“Bisogna tener presente questo: siamo nate donne, non fatte per combattere contro gli uomini”169), ed ambedue hanno avuto modo di dimostrare la loro assoluta lealtà, l’eroina tebana condividendo l’esilio del padre per tutta la durata della vita di Edipo, la regina d’origine fenicia con la sua estrema fedeltà al marito assassinato. Le due situazioni drammatiche pongono le due donne al centro di un momento di crisi: Antigone, come accennato dalla versione eschilea dei Sette contro Tebe, è posta di fronte all’alternativa tra l’obbedienza all’editto creonteo che vieta la sepoltura di Polinice e la sua volontà, o imperativo morale, di adempiere il proprio compito nei confronti del fratello morto; Didone si trova di fronte alla sempre più drammatica percezione che la passione crescente per Enea possa far vacillare la volontà di tener fede alla sacralità del voto nei confronti del coniuge defunto: «in each case, the problem has to do with obligations to the dead»170. Benché entrambe avvertano il bisogno di metter al corrente di questi drammi interiori le persone a loro più care171, anche per riceverne consiglio, sia in un caso che nell’altro – senza troppa esitazione nel caso di Antigone, con maggior travaglio psicologico per quel che concerne Didone – la decisione finale sembra sin dall’inizio già determinata; alla luce di ciò non stupisce una certa somiglianza nei termini con cui le protagoniste rivolgono alle proprie sorelle:
ὦ κοινὸν αὐτάδελφον Ἰσµήνης κάρα,
(Antigone, 1)
“Anna soror, quae me suspensam insomnia terrent […] Anna, fabeor enim, miseri post fata Sychaei
Coniugis et sparsosfraterna caede penatis, […] (Eneide, IV, 9-29).
La grandezza delle due donne emerge ancor più alla luce dei consigli, alquanto limitati e poco comprensivi del dissidio lacerante l’animo delle più profonde personalità delle congiunte: Ismene infatti, alla rivelazione da parte di Antigone di voler onorare il fratello con l’estremo rito, dopo aver posto inquieta il quesito in merito (ἢ γὰρ νοεῖς θάπτειν σφ᾽, ἀπόρρητον πόλει
;
172), avverte la sorella dei possibili rischi, rispetto alla più passivamente tranquilla obbedienza alla legge:νῦν δ᾽ αὖ µόνα δὴ νὼ λελειµµένα σκόπει ὅσῳ κάκιστ᾽ ὀλούµεθ᾽, εἰ νόµου βίᾳ ψῆφον τυράννων ἢ κράτη παρέξιµεν.
(Antigone, 58-60) 169 Antigone, 61-62.
170 T. DE GRAFF, op. cit., p. 149.
171 Se Ismene rischia la vita recapitando all’esiliato Edipo importanti messaggi, al quale rimane fedele, esattamente come
nei confronti della sorella, Anna preferisce schierarsi al fianco di Didone, sebbene – per quel che è dato sapere dall’Eneide – tra lei e il fratello Pigmalione non ci furono mai particolari contrasti. Proprio il rapporto Didone-Anna, con particolare riferimento al ruolo del(la) confidente, è visto come modello per tutta una serie di scrittori epici rinascimentali d’area britannica, da L. WANN, The Rôle of confidant(e) in the Renaissance Epic («Zeitschrift für Englische Philologie», Volume 1927, Issue 51, p. 63 e passim).
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mentre Anna, mossa da meri interessi d’ordine pratico e incurante o inconsapevole dei veteris vestigia
flammae173 che ritornano a scuotere la sorella, le domanda:
solane perpetua maerens carpere inventa, nec dulcis natos, Veneris nec praemia noris? id cinerem aut manis credis curare sepultos? […] Nec venit in mentem, quorum consederis arvis? […] Quid bella Tyro surgentia dicam
Germanique minas? (Eneide, IV, 34-44)
Una differenza fondamentale sta però nel fatto che se l’eroina del ciclo tebano, nonostante quel che ne pensi Ismene, rimane irremovibilmente ferma nei suoi propositi, dal momento che εἴκειν δ᾽ οὐκ
ἐπίσταται κακοῖς174, Didone invece cede, non tanto in nome della concretezza alla base dei ragionamenti di Anna, bensì perché si accorge che, rispetto alla pur nobile fedeltà a Sicheo, la forza della nuova passione risulta sempre più soverchiante, nonostante a causa di questa finirà omnino capta
ac deserta175. Condivisibile è l’opinione di De Graff176 secondo cui entrambe le sorelle consigliere, se peccano di incomprensione nei confronti dei drammi che affligono Antigone e Didone, non vengono mai loro meno per quel che riguarda la lealtà. Al rifiuto posto da Antigone a Ismene circa il diritto di scegliere tra la gloria o una sorte avversa, quest’ultima sostiene:
µήτοι, κασιγνήτη, µ᾽ ἀτιµάσῃς τὸ µὴ οὐ
θανεῖν τε σὺν σοὶ τὸν θανόντα θ᾽ ἁγνίσαι (Antigone, 544-545)
e come estrema dimostrazione d’affetto ammette la sua impossibilità di vivere, privata della sorella177. Un simile tono di rimprovero si può cogliere, seppur non in modo altrettanto diretto, nelle parole di Didone:
Tu lacrimis evicta meis, tu prima furentem
His, germana, malis oneras, atque obicis hosti (Eneide, IV, 548-549).
Una certa similitudine, inoltre, è possibile riscontrarla tra i tentativi di Ismene di moderare la collera di Creonte e l’intercessione presso Enea che tenta Anna178. Infine, sulla scorta di quanto già osservato da
173 VIRGILIO, Eneide, IV, 23. 174 SOFOCLE, Antigone, 472. 175 VIRGILIO, Eneide, IV, 330. 176
T. DE GRAF, op. it., p. 149.
177 καὶ τίς βίος µοι σοῦ λελειµµένῃ φίλος; (Antigone, 458). Alla domanda, all’interno dell’incalzante sticomitia, segue subito
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Otto Ribeck179, è anche possibile ipotizzare un ulteriore legame tra il quarto libro del poema virgiliano e la tragedia sofoclea, con un trait d’union costituito da alcuni frammenti superstiti dell’Antigona di Accio:
ποίαν παρεξελθοῦσα δαιµόνων δίκην; τί χρή µε τὴν δύστηνον ἐς θεοὺς ἔτι βλέπειν; τίν᾽ αὐδᾶν ξυµµάχων; ἐπεί γε δὴ
τὴν δυσσέβειαν εὐσεβοῦσ᾽, ἐκτησάµην.
(Antigone, 921-924)
iam iam neque di regunt
neque profecto deum supremus rex curat hominibus (Antigona, fr. 5)180
[…] iam iam nec maxima Iuno
Nec Saturnius haec oculis pater aspicit aequis (Eneide, IV, 371-372)