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Se si tiene presente la versione epitomizzata che Marco Giuniano Giustino fornisce delle Historiae

Philippicae di Pompeo Trogo, Didone non sarebbe morta gettandosi nella pira ardente, bensì

lasciandosi cadere sulla spada181, la cui provenienza, come detto chiaramente nel versi 646-647 del IV libro182, è certamente troiana. Questo, definito appunto come «Schwert-Motiv» da Eckard Lefèvre183, è un cruciale denominatore comune tra la vicenda della regina fenicia e la fine di Aiace Telamonio, con particolare riferimento alla tragedia sofoclea. Ad avvalorare la presenza di alcune analogie tra il suicidio di Didone e quello di Aiace, si possono citare due passi di Macrobio e Servio184, cui si può aggiungere tuttavia il commento di Juan Lodovico de la Cerda, che scrisse a proposito:

178 Per Anna la tragedia consiste nel constatare amaramente che Didone decide di morire sola, rendendo vano tutto l’affetto

verso di lei in ogni momento dimostrato: quid primum deserta querar? Comitemne sororem / sprevisti moriens? Eadem me ad fata vocasses, / idem ambas ferro dolor atque eadem hora tulisset. (Eneide, IV, 677-679).

179 O. RIBBECK, (edidit) TRAGICORUM ROMANORUM FRAGMENTA, Leipzig, Teubner, 1897, p. 178.

180 Cit. in Sophocles (ed. by D. Greene and Richard Lattimore), Chicago&London, University of Chicago Press, 1969,

XXXIX. In queste pagine viene ribadita la fondamentale osservazione fatta da Ribbeck che non c’è certezza che le parole siano effettivamente pronunciate dalla protagonista. A proposito dei consigli elargiti da Ismene alla sorella, il secondo frammento della medesima tragedia di Accio quanto magis te isti modi esse intellego / Tanto, Antigona, magis me par est tibi consumere et parcere viene connesso da Macrobio (Sat. VI.2.17) con le parole pronunciate da re Latino a Turno […] (Eneide, XII, 19-21) quantum ipse feroci / virtute exsuperas, tanto me impensius aecum est / consumere atque omnis metuentem expendere casus.

181 «sumpto gladio, pyram conscendit atque ita ad populum respiciens ituram se ad virum, sicut praeceperint, dicit vitamque

et gladio finivit» (Trogi Pompei historiarum Philippicarum Epitoma, XVIII.6.6). (XVIII. 6. 6)

182 […] ensemque recludit / Dardanium, non hos quaesitum munus in usus. 183

E. LEFÈVRE, Dido und Aias – Ein Beitrag zur römischen Tragödie, in «Abhandlungen der Geistes-und Sozialwissenschaftichen Klasse», Akademie der Wissenschaftenund der Literatur, Jg. 1978, n°2, pp. 5-28.

184 Cfr. R. LAMACCHIA, Didone e Aiace (in margine a una pagina di esegesi virgiliana antica), in «Studi di poesia latina

in onore di Antonio Traglia», Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, I, p. 432. Il primo (Sat., V.2.14), elencando una serie di loci communes tra l’Eneide e l’Odissea e parlando della discesa agli inferi di Enea, scrive: «ibi Palinurus Elpenori, sed et infesto Aiaci infesta Dido et Tiresiae consiliis Anchisae monita respondent», mentre il secondo, come commento al verso

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«Credibile est, contendisse Virgilium ad exemplum Soph. in Aiace: ubi Aiax ipse iā moriturus, Atridisque imprecatus, ad Solem dirigit sermonem, hunc in modum,

σὺ δ᾽, ὦ τὸν αἰπὺν οὐρανὸν διφρηλατῶν Ἥλιε, πατρῴαν τὴν ἐµὴν ὅταν χθόνα ἴδῃς, ἐπισχὼν χρυσόνωτον ἡνίαν ἄγγειλον ἄτας τὰς ἐµὰς µόρον τ᾽ ἐµὸν γέροντι πατρὶ τῇ τε δυστήνῳ τροφῷ. [Aiace, 845-849]. […]

Ex hac imitatione apparet eo consilio aduocatum Solem ab Elissa ante diras, ut hae quocunque terrarum perueniant, Sole ipso, qui videt, nuntium perferente»185».

Proprio in virtù di ciò è quindi ipotizzabile una contaminatio virgiliana delle due versioni differenti circa la morte di Didone: al più arcaico motivo della pira, intriso di valenze mitico-magiche, si unisce sovrapponendosi quello di carattere più strettamente eroico legato alla spada, trait d’union con il motivo sofocleo di Aiace.

In effetti vi sono, tra i due testi, alcune stringenti somiglianze. In primo luogo, come le accalorate parole di Tecmessa, in preda alla disperazione di fronte ad una prospettiva di solitudine:

ἐµοὶ γὰρ οὐκέτ᾽ ἔστιν εἰς ὅ τι βλέπω

πλὴν σοῦ. σὺ γάρ µοι πατρίδ᾽ ᾔστωσας δόρει, καὶ µητέρ᾽ ἄλλη µοῖρα τὸν φύσαντά τε

καθεῖλεν Ἅιδου θανασίµους οἰκήτορας.

(Aiace, 514-517) possono già, almeno in parte, riflettere in nuce, la situazione della regina cartaginese, così dell’ imprecazione dolorosa, intrisa di memorie, pronunciata dalla figlia del re di Frigia fatta schiava:

καί σ᾽ ἀντιάζω πρός τ᾽ ἐφεστίου ∆ιὸς

εὐνῆς τε τῆς σῆς […] (Aiace, 491-492)

è possibile trovare un’eco nello sfogo di Didone (Eneide, IV, 313-319) memore della supposta stabilità di un legame invece già finito, nonostante il suggello del giuramento, di cui già sono state osservate le molteplici connessioni. Ma le analogie più stringenti sembrano tuttavia riguardare Didone e il protagonista del testo sofocleo. La constatazione dell’impossibilità d’azione o di valida alternativa, che si apre in entrambi i casi con una domanda, già sottintende l’unica e radicale soluzione nella morte, essendo per il primo impossibile, perso l’onore, ritornare presso il padre, mentre per la seconda non è ormai più ipotizzabile un futuro di dignità e libertà:

virgiliano [Aeneas] lenibat dictis / animum lacrimasque ciebat (VI, 468), spiega: «tractum autem est hoc de Homero qui inducit Aiacis umbram Ulixis conloquia fugientem, quod ei fuerat causa mortis».

185 P. Virgilii Maronis Æneidos Libri Sex priores Argumentis Explicationibus et Notis illustrata a Ioanne Ludovico de la

34 καὶ νῦν τί χρὴ δρᾶν; ὅστις ἐµφανῶς θεοῖς ἐχθαίροµαι, µισεῖ δέ µ᾽ Ἑλλήνων στρατός, ἔχθει δὲ Τροία πᾶσα καὶ πεδία τάδε. πότερα πρὸς οἴκους, ναυλόχους λιπὼν ἕδρας µόνους τ᾽ Ἀτρείδας, πέλαγος Αἰγαῖον περῶ; καὶ ποῖον ὄµµα πατρὶ δηλώσω φανεὶς Τελαµῶνι; […] (Aiace, 457-463)

“En quin ago? Rursune procos inrisa priores, experiar Nomadumque petam conubia supplex, quos ego sim totiens iam designata maritos? Iliacas igitur classes atque ultima Teucrum iussa sequar? Quiane ausilio iuvat ante levatos

et bene apud memores veteris stat gratia facti? (Eneide, IV, 534-539).

Una similitudine è possibile tracciare anche tra le due invocazioni che, in punto di morte, pronunciano entrambi i protagonisti: ambedue, nel desiderio di subitanea morte, si raccomandano – il primo ad una divinità, la seconda alla nutrice Barce, persona terrena, ma assolutamente fidata – affinché il loro corpo sia consegnato alle persone più care186:

σὺ πρῶτος, ὦ Ζεῦ, καὶ γὰρ εἰκός, ἄρκεσον. αἰτήσοµαι δέ σ᾽ οὐ µακρὸν γέρας λαχεῖν. πέµψον τιν᾽ ἡµῖν ἄγγελον, κακὴν φάτιν Τεύκρῳ φέροντα, πρῶτος ὥς µε βαστάσῃ πεπτῶτα τῷδε περὶ νεορράντῳ ξίφει, καὶ µὴ πρὸς ἐχθρῶν του κατοπτευθεὶς πάρος ῥιφθῶ κυσὶν πρόβλητος οἰωνοῖς θ᾽ ἕλωρ.

(Aiace, 823-830)

“Annam, cara mihi nutrix, huc siste sororem; dic corpus properet fluviali spargere lympha et pecudes secum et mostrata piacula ducat.

[…] (Eneide, IV, 634-640).

Allo stesso modo, l’espressione di Anna:

Exstinxisti te meque, soror, populumque patresque

Sidonios urbemque tuam. […] (Eneide, IV, 681-682)

186 «She sends for Anna so that her next of kin may be to reach her dead body, compose it, and prepare it for a decent burial.

Thus, Ajax prays Zeus to send a messenger for Teucer, who will be the first to lift his body off the sword and protect it from dishonor », G. HIGHET, The speeches in Virgil’s Aeneid, New York, Princeton University Press, 1972, p. 230.

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sembra riecheggiare quanto esclamato dal Coro, subito dopo che l’inorridita Tecmessa ha annunciato la terribile visione di Aiace “riverso. Caldo nel sangue. Carne che fascia la lama […]”:

ὤµοι, κατέπεφνες, ἄναξ,

τόνδε συνναύταν, τάλας

(Aiace, 901-902).

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