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A Didone dedicano vari accenni anche Coluccio Salutati e Maffeo Vegio Il punto di partenza è ancora una volta il dibattito poetologico circa il rapporto tra inventio e rispetto della verità storica

§1 Landino e gli altri umanisti di fronte a Didone

3. A Didone dedicano vari accenni anche Coluccio Salutati e Maffeo Vegio Il punto di partenza è ancora una volta il dibattito poetologico circa il rapporto tra inventio e rispetto della verità storica

che deve regolare l’operato degli scrittori, così come riassunto da Boccaccio nella frase «poetas non esse mendaces»25. Salutati26, nel secondo capitulum (Que sint poetice fundamenta) del secondo libro del De laboribus Herculis, scrive a tale riguardo:

«Quantum autem ad creaturas attinet, habent ipsi poete propriam subiectamque materiam rerum omnium naturam, productiones, et mores. Und eque fabulosa videntur apud poetas inseri, sive omnino ficta sint sive pura videntur hystoria, cum tamen vera non fuerint (qualis est amor Didonis et Enee), qui nedum non fuit sed etiam omnino esse non potuit, cum Eneas fuerit annis CXLIII, ut quidam dicunt, vel sicut illi qui plus temporis tradiderunt, duobus ferme seculis ante reginam que continentissima viduitatis fuit, adeo quod illata necessitate coniugii spontanea morte potius quam nuptiis viduitatem elegerit interrumpere, que quidem constat Silvii Latini temporibus, qui fuit Latinorum rex quintus, facta esse), omnia, inquam, que apud poetas fabulosa videntur, oportet vel ad deum vel ad creaturas aut ad aliquid ad hos pertinens debita expositione reduci».

Seguendo l’esempio di Boccaccio quindi, ma lungo una linea mitico/esegetica già presente nel

Chronicon di Benzo di Alessandria27, l’attenzione viene posta sulla discrepanza cronologica che metterebbe in dubbio lo stesso incontro tra Didone ed Enea. Similmente si muoverà Girolamo Fracastoro Naugero: nel suo De poetica dialogus (1540 circa) Naugero dice infatti all’interlocutore Bardulone:

«Quod vero et aperte falsa et impudenter quidem assumant [poetae], manifestum esse potest in iis quae de Aenea et Didone Virgilius scribit: quos constat multo tempore discretos fuisse»28

25 G. BOCCACCIO, Genealogie deorum gentilium, XIV, 13. 26

Didone viene fugacemente nominata da Salutati anche nella lettera a Iacopo della Massa Alidosi («Insigni viro Iacobo de massa Alidosiorum»), colpevole di un giudizio sfavorevole su Virgilio («Indignatione commotus, quod nostrum Virgilium reprehendi videam, contineri non potui, quind his scribis respondeam»); dopo aver riportato l’accusa mossa dal destinatario della missiva, secondo cui l’autore dell’Eneide avrebbe dipinto il protagonista come figlio di un’unione illegittima di Venere («Inquis enim quod, cum voluerit MaroAugusti genus commendare, dicit Eneam Veneri set Anchise filium, quod quidem macula videatur, non laus generis, cum certa ratione relinquat intelligi sanguinis autore Eneam non legittimi nuptiis, sed stupro potius illicitoque concubitu procreatum»), ma – continua Salutati – Virgilio non avrebbe certo composto il poema, né posto a Didone i versi 616-617 del I libro, se ciò avesse potuto nuocere ad Enea: «quid enim Dido? Nonne Enea, conciliano sibi dixisse legitur post primam eius allocutionem:

Tune ille Eneas, quem dardanio Anchise

Alma Venus phrygii genuit Simoentis ad undas?»,

cfr. C. SALUTATI, Epistolario, volume I, a cura di F. NOVATI (edizioni 15-18 per la storia d’Italia, pubblicati dall’Istituto Storico italiano, secoli XIV-XV), Roma, Forzani, 1891, pp. 264-268.

27 Cfr. capitolo III p. 111.

28 Cfr. A. F. KINNEY, Continental Humanist Poetics – Studies in Herasmus, Castiglione, Marguerite de Navarre,

Rabelais, and Cervantes, University of Massachusetts Press, 1989, p. 317 e G. FRACASTORO NAVAGERO, Della poetica, testo critico, introduzione, traduzione e note a cura di E. PERUZZI, Firenze, Alinea, 2005, p. 99.

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Varie qualità della regina vengono messe in luce dagli esegeti umanisti: se infatti Salutati parla di Didone, come di regina «que continentissime viduitatis fuit», Francesco Barbaro, nel De re uxoria, scrive: «nutricis […] ingenium et natura quam Aeneam sit, prudentissimus vates Maro demonstrat, apud quem Dido cum Aeneam non modo ferum, sed etiam ferreum vocet, ‘Hircanae, inquit, admorunt ubera tigres’. Castità e carattere ferreo, quindi, in ossequio ad una linea della tradizione saldamente affermata in sede esegetica cristiana e allo stesso testo virgiliano per quel che concerne il ritratto fornito della regina fondatrice e amministratrice di Cartagine. Proprio partendo dalle qualità del condottiero troiano («vir omni virtute praeditus»29), Maffeo Vegio, all’interno di una trattazione di chiara impostazione pedagogica, pone come modello comportamentale femminile quello di Didone, simbolo di nobiltà d’animo e valore di tutte le virtù domestiche30, sostenendo:

«Quae nam enim audiens illam condendis tantae urbis moenibus intensissime vacantem […] marito etiam extincto fidem ac pacta tori conservantem […] non eius exemplo moveatur atque ad virtutis stadium magnopere incendatur; contra vero intelligens novi eam ospiti amore insanientem […] mortem etiam ultro sibi consciscentem non amìnimo conquassetur, non exterreatur?».

Un’indagine sull’evoluzione della figura di Didone nel periodo rinascimentale non può però prescindere da uno sguardo alla diffusione che ebbero i volgarizzamenti dei testi virgiliani e ovidiani31: diffusione che si fa particolarmente significativa in relazione al IV libro dell’Eneide, considerato quale «infrazione della materia epica in direzione tragico-elegiaca»32. Aldilà della tematica in senso stretto, il repertorio dei testi classici volgarizzati investe anche il passaggio dalla terza rima di matrice dantesca all’ottava rima, che dalla sperimentazione di Boccaccio era poi venuta connaturandosi al poema cavalleresco33. Sempre in riferimento alle riprese/rielaborazioni

29 La definizione, tratta dal De perseverantia religionis (I, 5), è ripresa anche nel secondo libro del De educatione

liberorum et eorum claris moribus.

30 Cfr. C. C. GREENFIELD, Humanist and scholastics poetics, 1250-1500, Lewisburg, Buckwell University Press,

1981, p. 185 e M. A. FRANKLIN, Boccaccio’s heroines: power and virtue in Renaissance society, Aldershot, Ashgate, 2006, p. 159 nota 104.

31 Cfr. G. FOLENA, ‘Volgarizzare’ e ‘tradurre’. Idea e terminologia della traduzione e W. ROMANI, La traduzione

letterarie nel Cinquecento, in La traduzione. Saggi e studi, Atti del convegno di studi sulla traduzione, Lint, Trieste, 1973, a cura di G. PETRONIO, pp. 59-120 e pp. 389-402, L. BORSETTO, L’«Eneida» tradotta. Riscritture poetiche del testo di Virgilio nel XVI secolo, Milano, Unicopli, 1989 e Id. Tradurre Orazio, tradurre Virgilio. «Eneide» e «Arte poetica» nel Cinque e Seicento, Padova, CLUEP, 1996, B. GUTHMÜLLER, Letteratura nazionale e traduzione dei classici nel Cinquecento, in «Lettere Italiane», XLV, 1993, n°4, pp. 501-518. Con specifico riferimento a Virgilio cfr. M. DAVIES-J. GOLDFINCH, A census of printed editions 1469-1500, London, The Bibliographical Society, 1992 e C. KALLENDORF, A bibliography of Renaissance Italian translation of Vergil, Firenze, Olschki, 1994 e M. SAVORETTI, L’«Eneide» di Virgilio nelle traduzioni cinquecentesche in ottava rima di Aldobrando Cerretani, Lodovico Dolce e Ercole Udine, in «Critica letteraria», 29, 2001, n°3, pp. 435-457, mentre per Ovidio cfr. I. GALLI-L. NICASTRI, Aetates Ovidianae: lettori di Ovidio dall’antichità al Rinascimento, NAPOLI, ESI, 1995 e B. GUTHMÜLLER, Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Roma, Bulzoni, 1997. Per una parziale (oltre che eterogenea) catalogazione di questo materiale cfr. inoltre S. MAFFEI, Traduttori italiani. O sia notizia de’ volgarizzamenti d’antichi scrittori latini e greci che sono in luce, Venezia, Coleti, 1720, pp. 82-83, F. S. QUADRIO, Della storia e della ragione di ogni poesia, Milano, Agnelli, 1749, volume IV, pp. 694-700, F. ARGELATI, Biblioteca degli volgarizzatori. O sia notizia dall’opere volgarizzate d’autori che scrissero in lingue morte prima del secolo XV, Milano, Agnelli, 1767, volume IV, pp. 100-171, B. GAMBA, Dei volgarizzamenti italiani delle opere di Virgilio, in «Poligrafo», VII, 1831, pp. 371-377.

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S. SIGNORINI, L’«antiqua fiamma». Didone nella riscrittura di Bernardo Accolti (cod. Vaticano Rossiano 680), in «Studi di letteratura italiana in onore di Claudio Scarpati», a cura di E. BELLINI, M. T. GIRADI, U. MOTTA, Milano, Vita e pensiero, 2010, pp. 167-198.

33 Cfr. A. LIMENTANI, Struttura e storia dell’ottava rima, in «Lettere Italiane», n° 12, 1961, pp. 20-77A.

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della vicenda di Didone, non bisogna infine dimenticare la prospettiva sociologica in cui s’inserisce la letteratura cortigiana34.

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