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aggiunta di «senza calce» a fine verso Aggiunta di parentesi graffa a inizio verso con le varianti «poveri / umili»

Non pensavo che si potesse fare una lettura dei segni di questa terra assonnata.

1. aggiunta di «senza calce» a fine verso Aggiunta di parentesi graffa a inizio verso con le varianti «poveri / umili»

6. «masseria color delle nuvole»] cassato e sostituito da «dov’era acqua si allungavano cerchi / perfetti,

perfettissimi cerchi / attorno al tuffarsi delle mantidi»

10. «polli»] «ragazzi», cassato e sostituito da «il gatto giocava col topo sulla polvere delle strade di

Albona»

12-4. cassati e sostituiti dal breve elenco «cerchio mantide pietra erba polvere attesa» a sua volta spostato mediante freccia e parentesi graffa in fondo al componimento, al verso 21.

21. inserimento dell’elenco elaborato all’altezza del verso 14.

Unico avantesto manoscritto pervenutoci, la redazione 4a assembla in effetti tre redazioni successive marcate dall’uso di tre diverse penne sulla stessa carta. Il primo tronco di testo (redazione 4a in stilografica nera) consta di undici versi, i cui primi sei consistono in frasi nominali legate solo da figure retoriche (il terzo verso «pazienza di secoli» allittera col secondo –pietra/pietra/pazienza– e tenta una rima inclusiva col primo –secco/secoli–; mentre i versi 4, 5, 6 sono costruiti con la ripetizione del costrutto “color di+sostantivo”). La sistemazione deve essere evidentemente parsa un po’ troppo meccanica poiché le modifiche procedono verso la dissimulazione delle strategie retoriche più esplicite: la ripetizione del costrutto “color di…” ai versi 4, 5 e 6 è ridotta a due sole occorrenze, mentre la rima inclusiva ai versi 1 e 3 è resa meno visibile dall’aggiunta dell’emistichio «senza calce» al primo verso, che guadagna così una notazione paesaggistica e un ulteriore eco alla |s| già in consonanza (secco-senza-secoli). Al verso 6 si realizza inizialmente il procedimento opposto: Erba affastella tre nuovi versi caratterizzati addirittura da: allitterazione della vocale |a| (acqua-allungavano), allitterazione di |r|, |f|, |t| (perfetti-perfettissimi- attorno-tuffarsi), anadiplosi (cerchi-cerchi) ed epanadiplosi (perfetti-perfettissimi cerchi). La sovrabbondanza retorica risulta talmente evidente da essere del tutto sfoltita nella versione a stampa che conserva una sola figura di suono in vocale (l’assonanza interna in |a|, acqua-basta, anziché le allitterazioni) e una sola in consonante (il nesso |r+consonante| di allarghino-perfettisimi-cerchi). Questa prima redazione permette tuttavia di rilevare quale fosse l’orizzonte entro il quale si muoveva Erba e quali erano gli obiettivi cui mirava. L’insistenza sulle figure doppie testimonia l’interesse per una costruzione del testo secondo il criterio della duplicazione: anadiplosi ed epanodo saranno in seguito rimosse perché troppo artificiose e insistite, lasciando spazio alle tre coppie «pietra su pietra» (promosso infine a incipit), «color delle foglie / color dell’amore» e «le mani in mano».

L’elenco di sostantivi che sostituiscono i versi 12-4 sono quindi integrati nella maglia dei versi anziché essere isolati alla fine o posizionati fra la menzione topografica (Albona) e il personaggio della donna, che profittano in tal modo della vicinanza acquisita per instaurare un’assonanza in una zona del testo che era ancora carente di figure di suono (Albona-donna). Due soli sostantivi del verso 21, poi cassato, non troveranno sede nella versione definitiva: si tratta di «erba» e «attesa». Per il primo possiamo supporre che si tratti ancora della difficoltà di trovare la giusta sede in cui l’io poetante possa autofigurarsi come elemento nel testo e non solo voce del testo (da Erba a erba, insomma), mentre il secondo risulterà del tutto innecessario quando sarà l’intero componimento a piegarsi in direzione di un’immobilità appena incrinata dall’aspettativa. Per ottenere infatti un effetto d’attesa, lo scorrazzare dei «polli» al verso 10 diverrà inizialmente il viavai dei «ragazzi» per poi sparire del tutto a favore del «gatto» che «gioca col topo» nella strada polverosa. Ancora una volta la titubanza e le successive modificazioni del verso si risolvono solo in una figura di suono (gatto-gioca, facendo eco a giornata-gente dei versi immediatamente precedenti). Sempre il fine di perseguire un effetto di immobilità sembra motivare la sostituzione di tutti gli imperfetti indicativi in presenti atemporali, ad eccezione dell’ultimo emistichio che rappresenta infatti un momento di presa di coscienza (dunque di ritorno alla temporalità dopo la parentesi d’incanto statico) e viene congiunto al corpo delle redazione 4a sostituendo e compendiando i versi 18-21 in modo da eliminare ancora una volta le figure retoriche formate da due componenti troppo ostentate (la paronomasia poeta-profeta).

Le modifiche ulteriormente apportate prima della stampa si muovono infine verso la costruzione di un ponte lessicale agganciato al testo precedente: l’introduzione della preposizione «senza» in sede incipitaria

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non può non richiamare il primo verso del testo III, così come la sostituzione di «paese» con «terra», in chiusura, corrisponde alla «terra» con cui si conclude lo stesso testo al verso 6. L’eliminazione di «paese» interrompe una catena allitterativa in |s| (destino-questi-scorci-paese-assonnato), che subirà un’ulteriore riduzione con il subentro di un solo termine in |s| ben più sostanzioso nell’economia lessicale dell’Ippopotamo («segni») al posto dei tre precedentemente ipotizzati (destino-scorci-paese). Il posizionamento di Istria in questa sede potrebbe persino indurre a supporre un’interferenza con il testo III per quanto riguarda le singolari espressioni «un colore di antenne» (Grafologia di una addio) e «color delle foglie», «color dell’amore», «color delle nuvole» (Istria). Giacché il testo IV è stato redatto sulla carta in cui compare anche il testo I, lo si potrebbe supporre anteriore a Grafologia, teoria avvallata forse dal fatto che il nesso “color di + sostantivo” sia qui particolarmente insistito, al principio, ma che, una volta ridotto da tre a due occorrenze, esondi nell’incipit della redazione di un altro componimento, la 3a, dove invece permarrà pressoché invariato in tutte le redazioni e costituirà –quasi fosse già stato testato e potesse quindi essere messo a frutto– la cellula d’origine dell’intera poesia. In caso contrario, se Erba avesse considerato particolarmente riuscita l’impostazione di un gioco cromatico al principio di Grafologia di un addio, dovrebbe aver poi ritenuto opportuno espandere il nucleo coloristico in due poesie distinte (testi III e IV), e infine aver cambiare idea in corso d’opera per sviluppare in Istria le possibilità offerte dalla ripetizione e in Grafologia le possibilità offerte dalla similitudine.

La relazione tra le genesi dei due testi mi sembra comunque probabile anche per il fatto che le due poesie si siano evolute come un dittico riguardante la «scrittura» sul paesaggio e sulla «lettura» del paesaggio: il primo termine compare infatti come aggiunta a margine, apportata in penna stilografica blu, nel manoscritto 3a, mentre il secondo sostituisce l’infinito «leggere» al verso 19 della redazione 4a. Entrambi appaiono insomma come modifiche apposte dopo la prima redazione e come tentativi di concepire il panorama dell’abitato (cittadino o paesano che sia) come testo organizzato e fruibile sul piano verbale.

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Redazione 4b

Istria

1. Pietra su pietra

2. poveri muri a secco senza calce